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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO, Sez.
VI - 4 giugno 2010, n. 3556
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vicolo archeologico - Divieto di edificazione di
nuove costruzioni - Nozione di interventi di nuova costruzione -
Differenziazione ontologica tra interventi di ampliamento e interventi di
sopraelevazione - Esclusione. Il divieto di edificazione di nuove
costruzioni - nella specie, a tutela di beni archeologici - deve necessariamente
essere inteso alla luce del pertinente quadro normativo, il quale ascrive alla
nozione di ‘interventi di nuova costruzione’ (inter alia) l’ampliamento degli
immobili esistenti all’esterno della sagoma esistente (art. 3, co. 1, lett.
e.1), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), non consentendo - sotto tale aspetto -
alcuna ontologica differenziazione in relazione agli interventi i quali
comportino unicamente una sopraelevazione di immobili già realizzati. Pres.
Barbagallo, Est. Contessa - Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Avv.
Stato) c. P.S. (avv. Ricciardi) - (Riforma Tar Lazio Roma, n. 887/2008) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 4 giugno 2010, n. 3556
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 03556/2010 REG.DEC.
N. 03209/2008 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 3209 del 2008, proposto:
dal Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministero,
legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato per legge in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12;
contro
Piccioni Sabrina, rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Ricciardi, con
domicilio eletto presso l’Avv. Paolo Ricciardi in Roma, viale Tiziano, n. 80;
nei confronti di
Comune di Tarquinia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, Sezione II-Quater n. 00887/2008, resa
tra le parti, concernente DINIEGO AUTORIZZAZIONE REALIZZAZIONE LAVORI
SOPRAELEVAZIONE FABBRICATO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2010 il consigliere Claudio
Contessa e uditi per le parti gli avvocati l'avvocato dello Stato Vitale e
l'avvocato Ricciardi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Ministero per i beni e le attività culturali riferisce che con decreto
ministeriale in data 4 giugno 1971 fu dichiarato l’interesse archeologico
particolarmente importante in relazione ad alcune aree site nel territorio del
Comune di Tarquinia (Vt), località ‘Ripagretta’, censite in catasto al fg. 75,
p.lle 45, 56, 47, 52 e 118.
Il decreto impositivo del vincolo veniva adottato in quanto “a seguito di lavori
edilizi, sono venute alla luce tombe a camera ipogea del IV-I secolo a.C., che
fanno parte di un importante settore della necropoli etrusca di Tarquinia,
testimonianza della civiltà etrusca in loco”.
Conseguentemente, il competente Ministero riteneva “che è necessario
salvaguardare l’ambiente archeologico in cui si trovano inserite le tombe,
limitatamente alla parte non ancora compromessa dalle costruzioni già
realizzate, onde garantire la piena visibilità e il decoro dei monumenti venuti
alla luce”.
Per quanto concerne la portata prescrittiva del vincolo in questione, veniva
prescritto che nelle aree assoggettate a vincolo “è fatto divieto [di] edificare
costruzioni di qualsiasi tipo e destinazione, di eseguire scassi del terreno, di
utilizzare l’area per scarichi e accumulo di rifiuti”.
Risulta agli atti che con atto in data 20 agosto 1997 l’Ufficio centrale per i
beni archeologici, architettonici, artistici e storici del Ministero appellante
ebbe ad esprimere nulla-osta al condono del piano interrato realizzato
nell’ambito dell’immobile di proprietà dell’odierna appellata (avente causa del
sig. Gulino, proprietario del bene al momento dell’imposizione del vincolo).
Risulta, ancora, agli atti che nel corso del 1998 l’odierna appellata ebbe a
presentare al Comune di Tarquinia un’istanza finalizzata al completamento
(sopraelevazione) del seminterrato a suo tempo realizzato dal signor Gulino,
mediante la costruzione di un piano terra e di un soprastante vano-lavatoio.
A fronte di tale istanza la competente Soprintendenza archeologica per l’Etruria
meridionale, dopo aver ripercorso le complesse vicende (sfociate, peraltro, in
sede giudiziaria) che avevano interessato l’edificazione dell’area per cui è
causa sin dalla prima iniziativa edificatoria avviata dal dante causa della
signora Piccioni, concludeva comunque nel senso dell’assentibilità
dell’intervento richiesto.
Nell’occasione, la Soprintendenza osservava che, fra gli elementi i quali
deponevano nel senso dell’assentibilità del progetto (in deroga al vincolo
insistente sull’area) militassero le seguenti considerazioni:
“- [che] la costruzione in progetto interessa esclusivamente l’area del
manufatto esistente e che non saranno eseguiti scavi di alcun genere escludendo
di conseguenza ogni rischio per il Patrimonio Archeologico del sottosuolo;
- (…) [che] l’edificio in progetto ricade in un’area purtroppo già intensamente
edificata e che la sua altezza risulterà inferiore alla quasi totalità delle
costruzioni circostanti”.
Ed ancora, l’atto di assenso veniva rilasciato:
“-considerata la peculiarità delle vicende sopra riportate, legate
all’edificazione del terreno, che non si ripropongono in nessuno dei lotti del
comprensorio di Ripagretta ancora non edificati [nonché]
- verificato che il progetto [della sig.ra Piccioni] non contrasta con le linee
di salvaguardia archeologica individuate per la zona di Ripagretta da questa
Soprintendenza in accordo con il Superiore Ministero”.
Dopo aver realizzato l’edificazione del primo piano dell’immobile (autorizzato a
seguito del provvedimento soprintendizio da ultimo richiamato), la signora
Piccioni rivolgeva alle competenti Amministrazioni una nuova istanza finalizzata
all’ulteriore innalzamento della costruzione, attraverso l’edificazione di un
altro piano fuori terra.
Con il provvedimento oggetto del primo ricorso (14 settembre 2006) la
Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale ebbe ad
escludere qualunque ulteriore, possibile ampliamento del fabbricato in
questione, osservando – per un verso – che la precedente autorizzazione
rilasciata nel 1998 fosse giunta all’esito di una vicenda da considerarsi del
tutto eccezionale ed irripetibile e che – per altro verso – “l’immobile ove
sorge il fabbricato è integralmente soggetto a vincolo archeologico per la
presenza nel sottosuolo di tombe etrusche e confina ad ovest con un terreno –
ugualmente soggetto a vincolo – dove gli scavi della Soprintendenza hanno messo
alla luce ben 17 tombe a camera”.
Il provvedimento da ultimo richiamato veniva impugnato dalla sig.ra Piccioni
innanzi al T.A.R. del Lazio il quale, con la pronuncia oggetto del presente
gravame, accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento negativo.
Nell’occasione il T.A.R. osservava che l’impugnato provvedimento negativo
risultasse affetto da lamentati di vizi di carenza di motivazione e
contraddittorietà con precedenti provvedimenti.
In particolare, il provvedimento reiettivo risulterebbe illegittimo per non aver
indicato in modo compiuto le ragioni che inducevano l’Organo statale a
conclusioni diverse rispetto a quelle cui lo stesso Organo era giunto appena
pochi anni prima (1998), allorquando – a fronte di una situazione
complessivamente assimilabile all’attuale – aveva ritenuto di poter assentire la
realizzazione del primo piano dell’edificio.
In particolare, il T.A.R. osservava che una fra le ragioni che avevano indotto
nel 1998 la Soprintendenza a concedere il proprio assenso alla realizzazione
della richiamata sopraelevazione (i.e.:il carattere ormai intensamente edificato
dell’area ed il fatto che la costruzione in sopraelevazione non avrebbe comunque
determinato il rischio di compromissione dei reperti archeologici in loco
esistenti) fossero certamente valide anche in relazione alla nuova istanza
proposta dalla signora Piccioni.
Ancora, il Tribunale laziale osservava che, avuto riguardo alle determinazioni
già assunte nel corso del 1998, in tanto l’Organo statale avrebbe potuto opporre
un diniego a fronte della nuova istanza di sopraelevazione, in quanto si fossero
indicate in modo compiuto le ragioni per cui “la modesta modifica proposta possa
avere un impatto negativo in un contesto già saturo di costruzioni di dimensioni
ben più invasive” (sentenza, cit., p. 9).
Ed ancora, il T.A.R. osservava che il provvedimento di diniego sarebbe risultato
illegittimo per avere operato una indebita confusione fra la nozione di
‘ulteriore ampliamento’ dell’edificio preesistente e i caratteri specifici
dell’intervento richiesto (il quale era limitato al mero ‘innalzamento’
dell’immobile, nozione in alcun modo assimilabile, ai fini della tutela
archeologica, a quella di ‘ampliamento’ dell’immobile).
La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dal Ministero per i
beni e le attività culturali, il quale ne chiedeva l’integrale riforma
articolando un unico, complesso motivo di doglianza.
Si costituiva in giudizio la signora Piccioni la quale concludeva nel senso
della reiezione del gravame.
Con ordinanza n. 2687/08 (resa all’esito della Camera di consiglio del 20 maggio
2008) questo Consiglio di Stato accoglieva la domanda di sospensione cautelare
della pronuncia in epigrafe, osservando che “alla luce del vincolo gravante
sull’area interessata dai provvedimenti impugnati in primo grado, l’appello
presenta rilevanti profili di fumus”
All’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2010 i procuratori delle parti
costituite rassegnavano le proprie conclusioni e il ricorso veniva trattenuto in
decisione.
DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe, il Ministero per i beni e le attività culturali
chiede la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato accolto il
ricorso proposto dalla proprietaria di un immobile ubicato nell’ambito del
territorio comunale di Tarquinia (Vt) e, per l’effetto, è stato annullato il
provvedimento della competente Soprintendenza con cui si era espresso parere
sfavorevole all’edificazione in un nuovo piano del fabbricato, in considerazione
della consistenza del vincolo archeologico esistente sull’area.
2. Con l’unico motivo di gravame il Ministero appellante lamenta che la
pronuncia oggetto di impugnativa risulti erronea per aver assunto ai fini del
decidere che l’Organi statale disponesse – in relazione all’istanza proposta
dalla sig.ra Piccioni nel corso del 2006 – di poter decisori quali quelli
tipicamente esercitabili a fronte di autorizzazioni su beni soggetti a vincoli
che non comportino vincoli di inedificabilità assoluta.
In tal modo decidendo, tuttavia, il T.A.R. avrebbe omesso di considerare che
sull’area per cui è causa insisteva sin dal 1971 un vincolo di inedificabilità
assoluta, il quale non avrebbe consentito neppure in astratto la complessiva
ponderazione richiesta dalla signora Piccioni.
Nella tesi del Ministero appellante, quindi, “nessuna particolare motivazione
[era] necessaria per respingere la richiesta di autorizzazione de qua,
considerato che, se è pur vero che la sopraelevazione dell’edificio insistente
sull’area vincolata non comporta lavori di scavo, essa determina comunque un
incremento della volumetria del fabbricato, contrastante con il divieto di
edificazione imposto dalla normativa di tutela” (ricorso, cit., pag. 5).
Ed ancora,la pronuncia in epigrafe risulterebbe meritevole di riforma per la
parte in cui ha ritenuto che gravasse sull’Organo statale l’onere di esporre
puntualmente le motivazioni le quali inducevano a conclusioni affatto diverse
rispetto a quelle fornite nel 1998 (allorquando era stata autorizzata la
costruzione del primo piano del fabbricato).
Secondo l’Avvocatura, un siffatto onere motivazionale non poteva dirsi in
concreto esistente se solo si consideri che (in base alla consistenza del
vincolo insistente sull’area) l’autorizzazione rilasciata nel corso del 1998
aveva un carattere del tutto eccezionale e derogatorio rispetto alla consistenza
del vincolo, di guisa tale da non poter costituire un valido tertium
comparationis per la valutazione delle successive determinazioni che la medesima
Amministrazione avrebbe in seguito adottato in relazione alla medesima area.
Da ultimo, l’appellante osserva che la pronuncia gravata risulti meritevole di
riforma per la parte in cui ha ritenuto che il carattere ormai quasi interamente
edificato dell’area avrebbe dovuto indurre l’Organo statale ad una valutazione
particolarmente attenta in ordine alle eventuali ragioni ostative al rilascio
dell’atto di assenso. Al contrario –nella tesi dell’Avvocatura – le pregresse
violazioni dei vincoli di tutela non giustificherebbero in alcun modo una
qualsiasi forma di attenuazione del rigore nell’attuazione del vincolo e delle
relative prescrizioni di salvaguardia.
2.1. I motivi di doglianza dinanzi sinteticamente richiamati, che possono essere
esaminati in modo congiunto sono fondati.
In particolare, il Collegio osserva che risulti fondato il motivo di gravame con
il quale si sottolinea che, in considerazione della consistenza obiettiva del
vincolo insistente sull’area (importante l’inedificabilità assoluta), il
provvedimento di diniego impugnato in prime cure rivestisse un carattere del
tutto vincolato e non avrebbe potuto presentare in concreto un contenuto
diverso, qualunque fosse il grado di approfondimento istruttorio in concreto
dedicato alla questione da parte dell’Organo decidente.
Ed invero, la pronuncia gravata sembra presupporre che, a fronte di vincoli di
inedificabilità assoluta imposti ai sensi dell’art. 21, l. 1° giugno 1939, n.
1089, graverebbero in capo all’Amministrazione procedente oneri valutativi e
motivazionali assimilabili a quelli tipici dei vincoli di inedificabilità c.d.
‘relativa’ (in relazione ai quali spetta all’Amministrazione preposta alla
tutela del vincolo un vaglio discrezionale in ordine al concreto nocumento che
il rilascio del richiesto titolo abilitativo è idoneo ad arrecare al valore
storico-archeologico oggetto di tutela, secondo i canoni tipici della
discrezionalità di tipo tecnico).
Al contrario, in presenza di vincoli di inedificabilità expressisverbis
qualificati come di carattere assoluto, non residua alcun margine di
apprezzamento discrezionale in capo all’Organo statale, il quale dovrà limitarsi
a verificare se la proposta di intervento implichi a qualunque titolo un
episodio di carattere edificatorio per farne conseguire – in modo
sostanzialmente automatico –la mera riconferma della sussistenza del vincolo (e,
quale logico corollario, il diniego della proposta).
Né può ritenersi (come, pure, ipotizzato dal T.A.R.) che le prescrizioni
vincolistiche poste a tutela dei beni archeologici dispiegherebbero la propria
valenza preclusiva solo in presenza di istanze di ampliamento (per così dire –
‘in senso orizzontale’ -) degli immobili preesistenti, e non anche nel caso
delle mere istanze di ‘innalzamento’ degli stessi.
Ed infatti, il divieto di edificazione di nuove costruzioni deve necessariamente
essere inteso alla luce del pertinente quadro normativo, il quale ascrive alla
nozione di ‘interventi di nuova costruzione’ (inter alia) l’ampliamento degli
immobili esistenti all’esterno della sagoma esistente (art. 3, co. 1, lett.
e.1), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), non consentendo – sotto tale aspetto –
alcuna ontologica differenziazione in relazione agli interventi i quali
comportino unicamente una sopraelevazione di immobili già realizzati.
Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena
osservato, si osserva poi che l’estensione della preclusione edificatoria anche
agli interventi di sopraelevazione appare un logico corollario delle esigenze di
tutela trasfuse nel decreto impositivo del vincolo, il quale espressamente
menzionava (inter alia) l’esigenza di “garantire la piena visibilità e il
decoro” dei monumenti esistenti nell’area.
Dal carattere di assolutezza del vincolo di inedificabilità esistente sull’area,
deriva che il competente Organo statale non disponesse in alcun modo del potere
di valutare discrezionalmente le ragioni che avrebbero potuto indurre ad
ammettere una deroga al vincolo attraverso l’assentimento al proposto episodio
di nuova edificazione.
Sotto tale aspetto, quindi, non rilevavano in alcun modo (né potevano in alcun
modo indurre ad un diverso esito della vicenda provvedimentale) le ragioni che
avevano indotto nel 1998 la Soprintendenza a ritenere – evidentemente, in modo
erroneo – l’assentibilità di un primo intervento di sopraelevazione.
Né può in alcun modo ritenersi che un siffatto, pregresso errore
nell’individuazione dell’ampiezza del vincolo (e delle conseguenti prescrizioni)
potesse assurgere a parametro di valutazione per un giudizio comparativo fra la
vicenda provvedimentale svoltasi nel 1998 e quella del 2006 (anche al fine di
individuare gli elementi sintomatici della figura dell’eccesso di potere sotto
la specie della contrarietà con precedenti provvedimenti o della disparità di
trattamento).
Per ragioni analoghe, si esclude che il medesimo vizio dell’eccesso di potere
per contraddittorietà e disparità di trattamento con precedenti provvedimenti
potesse essere invocato in relazione agli atti con cui era stata in precedenza
assentita la costruzione degli immobili circostanti, ovvero in relazione
all’impatto verosimilmente ridotto che l’intervento proposto avrebbe presentato
“in un contesto già saturo di costruzioni di dimensioni ben più invasive”
(sentenza, cit., pag. 9)
Al riguardo si osserva che (fermo restando il dato dirimente relativo
all’assenza di un potere discrezionale in capo all’Amministrazione
nell’apprezzamento dell’ampiezza del vincolo insistente sull’area), i richiamati
vizi non potrebbero comunque essere ravvisati nel caso che ne occupa.
Ed infatti, nel risolvere la vicenda di causa dovrebbe comunque trovare puntuale
conferma il consolidato (e qui condiviso) orientamento giurisprudenziale secondo
cui l’avvenuta edificazione di un'area o le sue condizioni di degrado non
costituiscono ragione sufficiente per recedere dall'intento di proteggere i
valori estetici o culturali ad essa legati, poiché l'imposizione del vincolo
costituisce il presupposto per l'imposizione al proprietario delle cautele e
delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi
incompatibili con la conservazione dell'integrità dello stesso (sul punto, cfr.
–ex plurimis -: Cons. Stato, Sez. V, sent. 12 giugno 2009, n. 3770).
3. In base a quanto esposto, l’appello in epigrafe deve essere accolto e
conseguentemente, in riforma della pronuncia in epigrafe, deve essere disposta
la reiezione del primo ricorso..
Le spese fra appellante e appellata costituita seguono la soccombenza e vengono
liquidate in dispositivo;ricorrono giusti motivi per compensare le spese nei
rapporti con il Comune di Tarquinia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto, in riforma
della pronuncia gravata, respinge il ricorso proposto dalla signora Piccioni
innanzi al T.A.R. del Lazio e recante in n. 3209/08.
Condanna la signora Piccioni alla rifusione delle spese di lite, che liquida in
complessivi euro 3.000 (tremila), oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali, come
per legge in favore della Amministrazione appellante; compensa per il resto.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2010 con
l'intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Roberto Garofoli, Consigliere
Giancarlo Montedoro, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/06/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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