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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 30/07/2010, Sentenza n.
5055
DIRITTO URBANISTICO - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Diniego lavori di manutenzione
infrastrutture nel sottosuolo - Disposizioni regolamentari che prevedono
indennità di ristoro - Illegittimità - Art. 238, d.P.R. n. 156/1973 e art. 4 L.
n. 259/1997 - Art. 93 D.lgs. n. 259/2003. Prima dell’entrata in vigore
dell’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, nella vigenza dell’art. 238 del d.P.R. 29
marzo 1973, n. 156, l’amministrazione comunale ben poteva istituire una
indennità di ristoro a carico di coloro che avessero eseguito scavi nella sua
sede stradale, per evitare che questi potessero conseguire un arricchimento
senza causa (C.S. Sez. V, 20/12/1996, n. 1572; C.d.S. Sez. VI, 01/03/1995, n.
214). Nondimeno, rileva ora, l’art. 93, comma 2, del decreto legislativo 1°
agosto 2003, n. 259, per il quale, oltre alla tassa, al canone e al contributo
una tantum ivi elencati, “nessun altro onere finanziario o reale può essere
imposto, in base all’articolo 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249, in
conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al presente decreto”. Tale
disposizione ha fatto dunque perdere efficacia alle disposizioni regolamentari,
emesse dai Comuni - con riferimento a tali opere - sulla base della previgente
normativa (l’art. 238 del d.P.R. n. 156 del 1973, ovvero l’art. 4 della legge n.
259 del 1997), e dunque preclude all’amministrazione di subordinare il rilascio
delle autorizzazioni al pagamento di importi riferibili al periodo successivo
alla data di entrata in vigore del medesimo art. 93. (riforma, sentenza del
T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: Sez. I n. 00064/2007) - Pres. Ruoppolo - Est.
Buonvino - Telecom Italia s.p.a. (avv.ti Ferraris ed Robaldo) c. Comune di
Carate Brianza (avv.ti Grella e Romanelli). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI,
30/07/2010, Sentenza n. 5055
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 05055/2010 REG.DEC.
N. 03211/2007 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 3211 del 2007, proposto dalla società
Telecom Italia s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Ferraris ed
Enzo Robaldo, con domicilio eletto presso lo Studio dell’avv. Pierfrancesco
della Porta in Roma, via Lorenzo Valla 2,
contro
il Comune di Carate Brianza, rappresentato e difeso dagli avv.ti Umberto Grella
e Guido Francesco Romanelli, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via
Cosseria 5;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 00064/2007, resa tra
le parti, concernente DINIEGO LAVORI DI MANUTENZIONE INFRASTRUTTURE NEL
SOTTOSUOLO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune appellato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2010, il Cons. Paolo
Buonvino;
Uditi, per le parti, gli avv.ti Franzin per Romanelli;
Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1) - Con la sentenza appellata il TAR ha dichiarato in parte irricevibile e in
parte inammissibile il ricorso proposto dall’odierna appellante per
l’annullamento del provvedimento 6 ottobre 2004, prot. n. 27534, assunto dal
Responsabile del Settore Lavori Pubblici del Comune di Carate Brianza avente ad
oggetto il diniego dell’autorizzazione ad effettuare lavori manutentivi delle
infrastrutture per comunicazioni elettroniche installate nel sottosuolo stradale
di via Manzoni; in parte qua, del Regolamento comunale per la sistemazione nel
sottosuolo degli impianti tecnologici adottato con provvedimento commissariale
24 giugno 2004, n. 138, e di ogni altro atto connesso, presupposto e
conseguente, con particolare riferimento al provvedimento assunto dal
Responsabile del Settore Lavori Pubblici del Comune stesso il 22 luglio 2004,
prot. L.P. 17248; con il conseguente risarcimento del danno patito.
Hanno premesso, i primi giudici:
- che la società Telecom Italia s.p.a. aveva chiesto al comune intimato,
nell'anno 2004, l'autorizzazione ad eseguire lavori di manutenzione della rete
di comunicazione elettronica installata nel sottosuolo comunale, comportanti la
perforazione del suolo stradale;
- che a tale richiesta il comune aveva opposto un diniego, con la citata nota
del 22 luglio 2004, n. L.P. 17248, che aveva motivato genericamente la decisione
con la difformità della richiesta stessa rispetto a quanto previsto dal
regolamento comunale per la sistemazione nel sottosuolo di impianti tecnologici;
- che la società anzidetta, avendo informalmente saputo che la ragione del
rifiuto consisteva nel mancato pagamento dell'indennità di “civico ristoro” di
cui all'art. 11 di detto regolamento, con nota 30 settembre 2004 aveva
evidenziato all’amministrazione di non essere tenuta al pagamento della stessa;
- che a tale nota il Comune aveva fornito riscontro con un nuovo diniego in data
6 ottobre 2004 prot. 17450, evidenziando le ragioni che, a suo dire, avrebbero
comportato nel caso di specie l'applicazione dell’indennità;
- che tale ultimo diniego, insieme al diniego precedente ed in parte qua al
regolamento comunale per la sistemazione nel sottosuolo degli impianti
tecnologici, era stato, allora, impugnato per violazione di legge ed eccesso di
potere sotto diversi profili.
Fatte tali premesse, hanno osservato, i primi giudici, che, con il primo motivo
di gravame, la ricorrente sosteneva che il Codice delle comunicazioni avrebbe
vietato l'imposizione di oneri per l'occupazione di suolo pubblico da parte di
imprese operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche, le quali
sarebbero tenute solo al rimborso delle spese necessarie per la sistemazione
delle aree pubbliche coinvolte dagli interventi; mentre, con il secondo motivo
si lamentava che l'indennità prevista dal regolamento comunale in discussione
sarebbe stata calcolata con criteri avulsi dagli effettivi costi di ripristino
del suolo pubblico.
Il TAR riassumeva, poi, le eccezioni di inammissibilità e irricevibilità del
ricorso sollevate dal Comune resistente.
Quindi, respinta l’accezione di sopravvenuta carenza di interesse dallo stesso
Comune sollevata, il TAR ha rilevato:
- che il primo diniego alla richiesta autorizzativa per i lavori in questione
risaliva al 22 luglio 2004, mentre il ricorso era stato notificato il 4 dicembre
2004;
- che risultava dagli atti che la ricorrente era a conoscenza di tale diniego
quantomeno alla data del 30 settembre 2004, poiché in quel giorno ha fatto
pervenire all'amministrazione comunale una sua nota con la quale lo contestava;
- che tale diniego, pertanto avrebbe dovuto essere impugnato, al più tardi, il
30 novembre 2004;
- che il diniego in questione non presentava i vizi elencati dall'art. 21
septies, legge 7 agosto 1990 n. 241, e pertanto non poteva essere considerato
nullo, sicché esso esplicava i propri effetti nel mondo giuridico fino ad
annullamento avvenuto;
- che era vero che esso non conteneva le indicazioni circa l'autorità e il
termine cui ricorrere, obbligatorie in base all’art. 3, comma 4, l. 241/90, ma
che, tuttavia la ricorrente non aveva chiesto che venisse riconosciuto l'errore
scusabile per tale motivo;
- che ne seguiva, pertanto, l’irricevibilità del ricorso rispetto al primo
diniego di cui alla nota del Comune intimato 22 luglio 2004, prot. L.P. 17248;
- che, per l’effetto, il ricorso si presentava, allora, carente di interesse
rispetto all'impugnazione del secondo diniego in data 6 ottobre 2004, prot.
27534, poiché l'annullamento di quest'ultimo non avrebbe comportato la
caducazione del primo rifiuto, che avrebbe continuato ad esplicare i propri
effetti rendendo quindi inutile per la ricorrente l’accoglimento del gravame.
- che, quindi, il ricorso andava dichiarato irricevibile quanto al provvedimento
di cui alla nota del Comune intimato 22 luglio 2004, prot. L.P. 17248, ed
inammissibile per carenza di interesse quanto al provvedimento di cui alla nota
del Comune intimato 6 ottobre 2004, prot. 27534.
2) - Appella la società ricorrente in primo grado deducendo, anzitutto, che il
predetto regolamento comunale e gli altri atti impugnati intenderebbero
determinare un’alterazione dei rapporti concessori per l’occupazione di suolo
pubblico, con la conseguenza che l’accertamento della loro illegittimità
rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi
dell’art. 5 della legge TAR, sicché non potrebbe soggiacere al termine
decadenziale
Deduce, poi, l’appellante l’erroneità della sentenza in quanto la prima delle
suindicate note comunali (22 luglio 2004) non avrebbe costituito, in
considerazione dei suoi contenuti del tutto generici, atto utilmente
impugnabile; e, comunque, la successiva nota del 6 ottobre 2004, pure impugnata,
non avrebbe costituito atto meramente confermativo, con la conseguente piena
ammissibilità del gravame avverso di essa proposto.
In ogni caso la ricorrente avrebbe dovuto essere ammessa al beneficio
dell’errore scusabile.
Nel merito, poi, le censure svolte innanzi al TAR, qui riproposte, meriterebbero
accoglimento, attesa l’illegittimità - per violazione degli artt. 88, comma 10,
e 93 del d.lgs. n. 259/2003, nonché degli artt. 2033 e 2041 c.c., oltre che
dell’art. 23 Cost. - delle impugnate statuizioni e dell’art. 11 del regolamento
comunale che ne costituiva presupposto, nonché dei relativi allegati B1, B2 e C.
Reitera, infine, l’appellante la propria pretesa risarcitoria, con riserva di
quantificarla in corso di causa.
3) - Per il Comune appellato avrebbero errato, i primi giudici, a disattendere
l’eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di
interesse, correlata al fatto che la richiesta autorizzazione sarebbe stata,
poi, comunque rilasciata all’odierna appellante; per quant’altro, comunque, la
sentenza in esame dovrebbe essere pienamente confermata; nella specie, infatti,
opererebbe l’ordinario termine decadenziale e correttamente il TAR avrebbe
ritenuto, al riguardo tardiva l’impugnazione della prima delle dette note
comunali (22 luglio 2004) e inammissibile quella della seconda (6 ottobre 2004);
il Comune ha, inoltre, escluso l’applicabilità, nella specie, del beneficio
dell’errore scusabile.
Quanto alle censure riproposte dalla società appellante, il Comune resistente
deduce, anzitutto, l’inammissibilità di quelle che investono la citata
disciplina regolamentare comunale, sia perché tardive, sia perché detto
regolamento costituisce mera attuazione dell’inoppugnata Direttiva della PCM 3
marzo 1999, con la conseguente inammissibilità dell’impugnazione del regolamento
stesso e delle note comunali che di questo si limitano a fare applicazione.
Le censure stesse, secondo la difesa comunale, sarebbero, comunque, prive di
fondamento.
Da rigettare sarebbe, infine, per il Comune, anche la pretesa risarcitoria
avanzata ex adverso.
4) - Rileva, anzitutto, il Collegio l’inammissibilità dell’eccezione di
improcedibilità dell’originario ricorso per sopravvenuta carenza di interesse
(per avere, l’appellante, nelle more del giudizio, conseguito il richiesto
titolo autorizzatorio); l’eccezione era stata, infatti, motivatamente disattesa
dai primi giudici, con la conseguenza che, ai fini della sua rinnovazione in
appello, la stessa avrebbe potuto essere nuovamente prospettata solo previa
proposizione di gravame incidentale, in quanto volta a colpire un capo per il
Comune non favorevole della sentenza in esame.
5) - Quanto alle censure formulate avverso la sentenza stessa da parte della
società Telecom Italia s.p.a., le stesse meritano, invece, accoglimento nei
limiti che seguono.
Detta società, con nota pervenuta al Comune il 16 luglio 2004, chiedeva di
essere autorizzata ad eseguire lavori di formazione, in una strada comunale, di
una buca per collocare un giunto.
Il Comune, con nota del 22 luglio 2004, n. LP 17248 (in partenza il 28 luglio
successivo con prot. n. 21356) rigettava l’istanza perché “non conforme a quanto
previsto dal Regolamento per la sistemazione nel sottosuolo di impianti
tecnologici (esecutivo dal 09/07/2004)”.
Replicava l’odierna appellante con nota pervenuta in Comune il 30 settembre
2004, con la quale esponeva articolatamente le ragioni che si opponevano alla
richiesta di corresponsione di oneri e indennità correlate alle richieste di
manomissione dalla stessa società avanzate, ostandovi gli artt. 88 e 93 del
d.lgs. n. 259/2003.
Controreplicava il Comune con nota 6 ottobre 2004, n. LP 17450 (in partenza il
giorno successivo con protocollo in uscita n. 29539), sostenendo che “l’art. 93,
comma 2, 1° periodo, d.lgs. 259/2003 stabilisce esattamente il contrario di
quanto da voi sostenuto; in particolare, gli operatori che forniscono reti di
comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne l’Ente locale,
ovvero l’Ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione
delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione
e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi
stabiliti dall’Ente locale; la disposizione è molto chiara e da essa si evince
che l’operatore ha due obblighi: 1) ripristinare a regola d’arte le aree oggetto
di intervento; 2) corrispondere una indennità a titolo di sistemazione delle
aree interessate dai lavori; quest’ultima indennità è quella prevista dal
suddetto regolamento”.
Avverso le note ed il Regolamento anzidetti veniva proposto ricorso innanzi al
TAR, notificato il 4 dicembre 2004.
Per il TAR l’impugnativa della prima di dette note era tardiva, con la
conseguente inammissibilità, per carenza di interesse, dell’impugnativa della
successiva nota del 6 ottobre 2004 e del presupposto regolamento comunale.
Tale convincimento può essere solo in parte condiviso.
Vero che la prima delle note impugnate avrebbe dovuto essere fatta oggetto di
gravame nei sessanta giorni decorrenti dal 30 settembre 2004 (data, questa, di
sicura conoscenza della missiva da parte della società destinataria) e, quindi,
entro il 30 novembre 2004, non rilevando che la stessa non recava indicazione
circa l’Autorità giurisdizionale presso la quale avrebbe dovuto essere gravata,
né il termine entro il quale l’impugnativa avrebbe dovuto essere proposta, tali
circostanze potendo costituire presupposto per il riconoscimento dell’errore
scusabile solo nel caso in cui sia apprezzabile una qualche giustificata
incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario
dell’atto, dovendosi, in caso contrario, evitare che tale formale inadempimento
conduca ad una indiscriminata esenzione dall’onere di ottemperare a prescrizioni
vincolanti dettate dalla legge in vigore (cfr., tra le altre, Cons. St.; Sezione
IV, 27 novembre 2008, n. 5860; 10 aprile 2008, n. 1528; 11 maggio 2007, n.
2270).
In definitiva, correttamente il TAR ha dichiarato tardiva l’impugnativa della
nota ora detta.
Deve, per converso, ritenersi che abbiano errato, i primi giudici, nel
dichiarare inammissibile per carenza di interesse l’impugnativa della nota del 6
ottobre 2004.
A seguito delle doglianze manifestate con nota del 30 settembre 2004, infatti,
il Comune ha ripreso in considerazione la vicenda ed ha fornito ampia
motivazione in merito alle ragioni che si opponevano all’accoglimento
dell’istanza e del successivo reclamo, tenendo conto, in particolare, anche
delle norme di carattere primario invocate dalla società interessata che, ad
avviso del Comune, non ostavano al rigetto dell’istanza autorizzatoria, ma,
anzi, lo sorreggevano.
La nota in questione, quindi, non costituiva mero atto confermativo del
precedente diniego, bensì provvedimento di puntuale riesame dell’istanza e del
reclamo proposto avverso il suo rigetto, con la conseguente ammissibilità
ricevibilità della relativa impugnativa, avvenuta, in questo caso, in termini,
mentre non rileva, in una situazione siffatta, la tardività dell’impugnativa del
precedente provvedimento negativo.
Quanto al Regolamento comunale, il termine per la sua impugnativa non decorre
dal momento della sua adozione, ma solo da quello di adozione del relativo atto
applicativo (e, quindi, della ripetuta nota del 6 ottobre 2004); mentre non può
condividersi l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa del regolamento
stesso in quanto costituente, si assume, atto meramente attuativo della citata
direttiva della PCM del 1999, in quanto si trattava, evidentemente, di atto -
non avente carattere normativo - di mero indirizzo e che non poteva, inoltre,
logicamente tenere conto, ratione temporis, della novella di cui al Codice delle
comunicazioni e, in particolare, degli artt. 88 e 93 dello stesso.
6) - Appaiono fondate, poi, le censure di merito svolte dall’appellante con
particolare riferimento all’art. 11, comma 2, del citato Regolamento (di cui le
note di diniego oggetto del presente giudizio costituiscono provvedimenti
attuativi).
Prevede, tale norma, che “è corrisposta al Comune…………un’indennità a titolo di
civico ristoro in relazione al complesso dei maggiori oneri che vengono a
gravare sul Comune e dei disagi che si determinano nei riguardi del regolare
svolgimento delle attività e dei servizi in conseguenza della realizzazione
delle opere. Detta indennità è destinata prioritariamente ad interventi connessi
con il miglioramento delle opere concernenti la mobilità, ivi comprese le
infrastrutture sotterranee e, comunque, per la copertura di oneri che siano
attinenti alla viabilità”.
Analoga disciplina - in quel caso, del Comune di Firenze - è già stata,
peraltro, da questa Sezione, ritenuta illegittima con decisione (7 marzo 2008,
n. 1005) dai cui contenuti non vi è ragione di discostarsi.
È stato rilavato, nell’occasione, che, mentre prima dell’entrata in vigore
dell’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, nella vigenza dell’art. 238 del d.P.R. 29
marzo 1973, n. 156, l’amministrazione comunale ben poteva istituire una
indennità di ristoro a carico di coloro che avessero eseguito scavi nella sua
sede stradale, per evitare che questi potessero conseguire un arricchimento
senza causa (Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1572; Sez. VI, 1° marzo 1995, n. 214).
Sennonché, rileva ora, in materia, l’art. 93, comma 2, del decreto legislativo
1° agosto 2003, n. 259, per il quale, oltre alla tassa, al canone e al
contributo una tantum ivi elencati, “nessun altro onere finanziario o reale può
essere imposto, in base all’articolo 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249, in
conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al presente decreto”.
Tale disposizione ha fatto dunque perdere efficacia alle disposizioni
regolamentari, emesse dai Comuni - con riferimento a tali opere - sulla base
della previgente normativa (l’art. 238 del d.P.R. n. 156 del 1973, ovvero l’art.
4 della legge n. 259 del 1997), e dunque preclude all’amministrazione di
subordinare il rilascio delle autorizzazioni al pagamento di importi riferibili
al periodo successivo alla data di entrata in vigore del medesimo art. 93.
Sotto tale aspetto è da escludere, quindi, che le contestate disposizioni del
regolamento del 2001 continuino ad avere un proprio fondamento nell’art. 2041
del codice civile; infatti:
- il testo dell’art. 93, comma 2, è univoco nel disporre che non può essere più
“imposto” dall’amministrazione alcun altro onere, oltre quelli espressamente
previsti dalla legge, e cioè che non può essere subordinato il rilascio
dell’autorizzazione al pagamento di altri importi, né può essere imposto un
pagamento sulla base di determinazioni unilaterali;
- l’art. 2041 c.c. conserva il suo rilievo di carattere generale, poiché
consente all’amministrazione - una volta constatata la spesa pubblica con cui i
luoghi sono stati ripristinati, in assenza di corrispondenti lavori di
ripristino a regola d’arte da parte del gestore - di formulare la relativa
richiesta e di agire in giudizio, conseguentemente, per la condanna del
debitore.
In altri termini, l’art. 93, comma 2, ha precluso che il rilascio
dell’autorizzazione e la gestione dell’impianto siano subordinati al pagamento
di importi ulteriori rispetto a quelli ivi espressamente previsti (poiché non
può essere determinata ex ante alcuna spesa per il ripristino a regola d’arte),
ma non preclude che l’amministrazione ex post chieda al gestore il pagamento
dell’importo che abbia effettivamente speso per il ripristino, che il medesimo
gestore abbia omesso di realizzare.
Ciò comporta che, successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 259/2003,
il Comune non può più subordinare il rilascio di concessioni per lo scavo al
pagamento dell’indennità; donde l’illegittimità degli atti che impongano, in
contrasto con l’art. 93 D.Lgs. n. 259/2003, il pagamento preventivo di oneri
aggiuntivi (quali l’ “indennità di civico ristoro” ed il “canone metro/ tubo”) a
carico degli operatori di TLC che devono eseguire scavi sul territorio comunale.
Tali considerazioni calzano pienamente nella presente controversia, avente ad
oggetto la disciplina regolamentare concernente proprio l’ “indennità di civico
ristoro” e relativo atto applicativo di cui alla nota comunale del 6 ottobre
2004 che, quindi, vanno, per le considerazioni tutte che precedono, dichiarati
illegittimi; la nota comunale di diniego nella sua interezza e il regolamento
comunale nella parte in cui, all’art. 11, comma 2, prevede un onere siffatto.
7) - Va, infine, dichiarata inammissibile la pretesa risarcitoria ribadita in
appello, non avendo la deducente fornito alcun elemento atto a comprovare
l’entità del danno solo asseritamente patito; al riguardo, si noti, tra l’altro,
che l’autorizzazione risulta, di lì a poco, rilasciata all’interessata e che
nell’ipotesi, in tal caso, di versamento dei richiesti oneri, si porrebbe solo
la questione dell’eventuale pretesa restitutoria degli stessi, distinta e
autonoma rispetto alla presente controversia).
8) - Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato nei limiti di cui
all’esposizione che precede e va, pertanto, parzialmente accolto; per l’effetto,
in parziale riforma della sentenza impugnata, va accolto in parte il ricorso di
primo grado, con il conseguente annullamento del provvedimento assunto dal
Responsabile del Settore Lavori Pubblici del Comune di Carate Brianza il 6
ottobre 2004, prot. n. 27534, e dell’art. 11, comma 2, del Regolamento comunale
per la sistemazione nel sottosuolo degli impianti tecnologici adottato con
provvedimento commissariale 24 giugno 2004, n. 138.
Le spese del grado possono essere integralmente compensate tra le parti attesa,
all’epoca dei fatti, la novità della questione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, accoglie, nei
termini e limiti di cui in narrativa, l’appello in epigrafe e, per l’effetto,
accoglie in parte in ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Giovanni Ruoppolo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere, Estensore
Luciano Barra Caracciolo, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Domenico Cafini, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/07/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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