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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 03/08/2010, Sentenza n. 5170


DIRITTO URBANISTICO - Reato di lottizzazione abusiva - Configurabilità - Mutamento di destinazione d’uso - Art. 18, L. n. 47/1985, trasfuso senza modificazioni nell’art. 30, DPR n. 380/2001.
Il reato di lottizzazione abusiva, secondo la definizione contenuta nella L. n. 47 del 1985, art. 18, trasfuso senza modificazioni nel DPR n. 380 del 2001, art. 30, può essere realizzato mediante attività materiale costituita dalla esecuzione di opere che determinano una trasformazione edilizia o urbanistica del territorio, in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati o comunque di leggi statali e regionali, ovvero il compimento di attività negoziale che, attraverso il frazionamento dei terreni, ne modifichi inequivocabilmente la destinazione d’uso a scopo edificatorio (Cass. Pen. N. 10889/05). Particolare rilevanza assume, quindi, la destinazione del territorio stabilita dagli strumenti urbanistici, in quanto la lottizzazione abusiva viene ad incidere direttamente sul potere di programmazione dell’uso del territorio da parte dell’ente locale o sull’assetto del territorio già stabilito. E’ stata identificata la lottizzazione abusiva nel caso in cui le singole unità abitative perdano la originaria destinazione d’uso per acquistare quella residenziale, posto che tale modifica si pone in contrasto con lo strumento urbanistico (Cass. Pen., III Sez., n. 6990 del 2006). Oppure, per effetto del mutamento di destinazione d’uso di un complesso immobiliare la cui originaria destinazione assentita dalla P.A era quella di manufatti in zona artigianale con destinazione laboratorio- alloggio del custode (Cass. Pen., III sez., n. 42471/08). (conferma, sentenza T.A.R. CAMPANIA - NAPOL, Sez. II n. 04934/2009) - Pres. Giaccardi - Est. Leoni - Progetto Casa 2000 S.p.A. (avv.ti Clarizia e Laudadi) c. Comune di Melito di Napoli (avv. D'Angelo). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 03/08/2010, Sentenza n. 5170

DIRITTO URBANISTICO - Lottizzazione abusiva - Mutamento di destinazione d’uso - Fattispecie.
In tema di lottizzazione abusiva, il mutamento di destinazione d’uso incide sulla pianificazione del territorio effettuata dalla P.A., sicché a nulla rileva l’eventuale rispetto degli standards edificatori in relazione al rapporto superficie/volume previsti dal PRG per l’edilizia residenziale. Nella specie, manufatti originariamente assentiti a scopo artigianale sono stati trasformati in unità residenziali. (conferma, sentenza T.A.R. CAMPANIA - NAPOL, Sez. II n. 04934/2009) - Pres. Giaccardi - Est. Leoni - Progetto Casa 2000 S.p.A. (avv.ti Clarizia e Laudadi) c. Comune di Melito di Napoli (avv. D'Angelo). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 03/08/2010, Sentenza n. 5170

DIRITTO URBANISTICO - Convenzioni di lottizzazione - Opere di urbanizzazione primaria e secondaria - Termine per l’esecuzione - 10 anni dalla sottoscrizione dell’atto negoziale - Permesso di costruire - Potere regionale di annullamento Termine - Art. 39, DPR n. 380/2001.
In materia di convenzioni di lottizzazione, il termine per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione è fissato in 10 anni dalla sottoscrizione dell’atto negoziale e conseguentemente si considera esigibile il correlativo diritto dell’Amministrazione alla scadenza di tale arco temporale. Così come l’art. 39 del DPR n. 380 del 2001, fissa il termine massimo in dieci anni dalla adozione il potere regionale di annullamento del permesso di costruire. (conferma, sentenza T.A.R. CAMPANIA - NAPOL, Sez. II n. 04934/2009) - Pres. Giaccardi - Est. Leoni - Progetto Casa 2000 S.p.A. (avv.ti Clarizia e Laudadi) c. Comune di Melito di Napoli (avv. D'Angelo). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 03/08/2010, Sentenza n. 5170

 


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REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


N. 05170/2010 REG.DEC.

N. 10136/2009 REG.RIC.



Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)



ha pronunciato la presente


DECISIONE


Sul ricorso numero di registro generale 10136 del 2009, proposto da:
Progetto Casa 2000 S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Angelo Clarizia, Felice Laudadio, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

Comune di Melito di Napoli, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Laura D'Angelo, con domicilio eletto presso Leonardo Salvatori in Roma, via Sicilia, 50;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE II n. 04934/2009, resa tra le parti, concernente OPERE DI URBANIZZAZIONE PRIMARIA E SECONDARIA.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Melito di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2010 il Cons. Anna Leoni e uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Laudadio, e Abbamonte, su delega di D'Angelo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


1. Il giudizio instaurato in I grado avanti al Tribunale amministrativo regionale della Campania dalla società Progetto Casa 2000 verteva sulla legittimità dei provvedimenti con i quali l’Amministrazione comunale di Melito di Napoli, ritenendo la sussistenza di una lottizzazione abusiva, aveva annullato in autotutela la delibera di Giunta municipale n.39 del 2001 che aveva approvato la concessione convenzionata e dato luogo al rilascio delle singole concessioni edilizie per la realizzazione di manufatti in zona artigianale con destinazione laboratorio- alloggio del custode. Successivamente aveva annullato le singole concessioni edilizie così come rilasciate anche a seguito di numerose varianti che avevano consentito aumenti di cubatura, dichiarando l’inefficacia della convenzione del 2/5/01, modificata il 7/11/01 e disponendo l’acquisizione degli immobili indicati.

2. Il Tribunale amministrativo regionale ha rigettato il ricorso, ritenendo infondata la domanda proposta con il ricorso principale e quella con i primi e con i secondi motivi aggiunti. In particolare, ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’annullamento d’ufficio(ragionevolezza del termine e ponderazione degli interessi contrapposti), ha ritenuto lacunoso il procedimento non essendo stati calcolati gli oneri concessori nemmeno con riferimento alla ritenuta natura artigianale degli edifici, né calcolate le aree da cedere; ha ritenuto, sulla scorta dell’accertamento compiuto dal CTU, che vi sia stato un mutamento di destinazione d’uso; che vi sia stata violazione dell’art.5 delle NTA; che si sia realizzata una lottizzazione abusiva, ancorchè in area già urbanizzata ed in assenza della necessaria autorizzazione; che sia stata compiuta una palese violazione dello strumento urbanistico.

Ha, pertanto, respinta la richiesta risarcitoria, non potendo i danni subiti considerarsi ingiusti.

3. Appella la soc. Progetto Casa 2000 deducendo i seguenti motivi di ricorso:

3.1. Error in judicando, in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 18 L. n. 47/85 e dell’art. 30 DPR n. 380/2001 e dell’art. 28 L n.1150/42- Omesso esame di punti decisivi della controversia e delle risultanze istruttorie- Violazione art.654 c.p.p.

Nonostante l’assoluzione in sede penale, il TAR avrebbe incentrato la propria decisione sulla sussistenza, nella fattispecie, del reato di lottizzazione abusiva e sul fatto che l’intervento non poteva essere realizzato per le sue connotazioni oggettive e per la carenza di opere di urbanizzazione.

Inoltre, il TAR non avrebbe preso in esame le censure proposte, trascurando la relazione del CTU ed incorrendo in ultrapetizione e straripamento della motivazione dal sindacato sulla esistenza dei vizi di legittimità prospettati dal ricorrente.

3.2. Error in judicando in relazione all’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990 e s.m. - Violazione dei principi generali regolanti l’attività di autotutela - Errata qualificazione della situazione soggettiva dei destinatari dell’atto - Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 DPR n. 380 del 2001- Motivazione contraddittoria ed erronea - Omesso esame degli atti esibiti - Violazione art. 112 c.p.c. - Extrapetizione - Surrogazione giudiziale della motivazione degli atti impugnati.

Si contesta la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990 per l’autoannullamento, essendo mancata l’indicazione delle concrete ed attuali esigenze di tutela dell’assetto urbanistico-territoriale che si intendevano soddisfare, nonchè l’indicazione di eventuali misure alternative al disposto annullamento.

3.3. Error in judicando in relazione all’art. 21 nonies L. n. 241 del 1990 e s. m. - Violazione dei principi generali regolanti l’attività di autotutela- Errata qualificazione della situazione soggettiva dei destinatari dell’atto - Violazione e falsa applicazione della L. n. 326/03 - Motivazione contraddittoria ed erronea - Omesso esame degli atti esibiti- Violazione art. 112 c.p.c. - Extrapetizione - Surrogazione giudiziale della motivazione degli atti impugnati.

Il Tar avrebbe errato nel ritenere non rilevante, ai fini dell’esercizio dl potere di autotutela, la circostanza che per gli edifici in questione fossero state presentate domande di sanatoria, non ancora definite.

3.4. Error in judicando in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 11 l.n. 10/77 - Violazione art. 5 NTA del PRG - Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 L. n. 10/77, art. 18 L. n. 47/85 e art. 30 DPR n. 380/01, art. 28L. n. 1150/42 - Omesso esame di punti decisivi della controversia e delle risultanze istruttorie - Extrapetizione - Violazione art. 112 c.p.c.

Il TAR avrebbe errato nel ritenere che si fosse realizzata una lottizzazione abusiva per aver impresso una destinazione di fatto residenziale in spregio a quelle di zona (D2 e E1) che prevedono, rispettivamente, una destinazione produttiva ed artigianale.

Lo stesso CTU avrebbe dato atto che gli edifici realizzati erano conformi alle tipologie previste dalle NTA del PRG in relazione alle zone D2 e E1.

Si tratterebbe, infatti, di aree a natura mista, nelle quali sono legittimamente realizzabili edifici a destinazione commerciale con possibilità di residenza per i titolari degli esercizi ed il custode.

Nella delineata prospettiva si è data applicazione sia all’art. 11 della L. n. 10/77 sia all’art. 5 delle NTA del PRG, che prevede la possibilità di procedere ad ampliamento dell’altezza in cambio di cessione di aree da destinare ad attrezzature di interesse comune.

Si contesta, quindi, la asserita modifica di destinazione su cui il TAR ha basato la propria decisione.

3.5. Error in judicando in relazione alla violazione dell’art. 11 L.n. 10/77 - Falsa applicazione artt. 7 e 8 L. n. 10/77 - Violazione art. 28 L. n. 1150/42 - Violazione art. 5 NTA del PRG - Violazione dell’art. 42 D.Lgs. n. 267 del 2000 - Omesso esame di punti decisivi della controversia - Extrapetizione - Violazione art. 112 c.p.c.

Avrebbe errato il TAR non riconoscendo applicabile il modulo della concessione convenzionata previsto dal’art. 11 della L. n. 10/77, avendo la società sottoscritto una convenzione con cui si obbligava alla esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri, oltre che alla cessione gratuita di aree a favore del Comune, con applicazione del meccanismo incentivante ex art.5 NTA del PRG.

3.6. Error in judicando e violazione art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 5 delle NTA del PRG - Omesso esame degli atti.

Avrebbe errato il TAR nel ritenere che la norma che introduce una premialità nel caso di cessione di aree, consente l’incremento degli indici metrici, ma esclude l’incremento del numero di piani.

3.7. Error in judicando in relazione alle censure formulate attraverso la deliberazione commissariale n. 190 del 6/12/2007 - Violazione L. n. 1150/42; L.r. n. 14/82 e 16 del 2004 - Omesso esame di punti decisivi della causa - Violazione art. 112 c.p.c.

Il TAR avrebbe omesso di esaminare le censure con le quali la società appellante evidenziava le ritenute illegittimità della delibera commissariale n. 190 del 2007 che, in assenza del procedimento di variante al PRG, aveva modificato radicalmente la parte normativa del PRG.

Vengono, pertanto, riproposti i motivi articolati sul punto nel ricorso introduttivo di I grado, nonché i motivi aggiunti avanzati, sia per vizi propri sia in via derivata, avverso le ordinanze di demolizione adottate dal Comune successivamente al provvedimento di annullamento della delibera n. 39/01, sui quali, pur respingendoli, il TAR non si sarebbe pronunciato.

4. Si è costituito in giudizio il Comune di Melito di Napoli contestando nel merito le proposte censure.

5. L’appellante ha depositato memoria difensiva.

6. Il ricorso è stato inserito nei ruoli di udienza del 20 aprile 2010 e trattenuto in decisione.


DIRITTO


1. L’appello all’esame del Collegio, riguardante l’intervento edilizio consistente in 18 fabbricati realizzato su area di circa 28000 mq. ricadente in parte in zona D2 ed in parte in zona E1 del vigente PRG del Comune di Melito di Napoli, è infondato e va respinto.

2. Nel primo motivo di appello si contesta l’omesso esame di punti decisivi della controversia e delle risultanze istruttorie. In particolare i primi giudici non avrebbero tenuto conto delle risultanze della CTU espletata nell’ambito del giudizio amministrativo, né della intervenuta sentenza di assoluzione pronunciata dal GUP con riferimento al contestato reato di lottizzazione abusiva.

La censura non può essere condivisa.

Invero, dalla sentenza gravata è possibile dedurre, in maniera in equivoca, che i primi giudici hanno ben avuto presente le risultanze della disposta consulenza tecnica, alla quale in più punti fanno riferimento, come pure a tutta la istruttoria compiuta sul caso. In particolare, sulla base di tali risultanze, il Tribunale ha potuto acclarare che le aree da cedere non erano state calcolate e che neppure il funzionario incaricato della consulenza aveva potuto pervenire alla loro quantificazione, in assenza delle complesse operazioni di verifica dell’intera dotazione delle aree, omessa anche in sede istruttoria.

Quanto alla ritenuta illegittimità della sentenza perché non avrebbe considerato la intervenuta assoluzione in sede penale dal reato di lottizzazione abusiva, va osservato che oggetto del giudizio penale, rivolto avverso una pluralità di imputati, era l’associazione ai fini di commettere un serie indeterminata di delitti, aventi come oggetto l’attività edificatoria contestata in quanto realizzata in difformità ai titoli autorizzatori, concernenti abuso di atti d’ufficio in relazione a delibere di lottizzazioni illegittime, nonché al rilascio di concessioni edilizie illegittime, falso in atti pubblici, truffa aggravata e altro.

Il GUP di Napoli, con sentenza depositata in data 7/10/2008 ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di tutti gli imputati perché il fatto non sussiste e perché il fatto non costituisce reato; quanto ai rimanenti capi di imputazione, per insufficienza ed inidoneità degli elementi raccolti a sostenere l’accusa in giudizio.

A ben vedere, la sentenza richiamata, se pur rileva nel senso di escludere la responsabilità personale degli imputati in ordine ai reati contestati e alle modalità di loro commissione, non può, invece, rilevare ai fini della individuazione, nella fattispecie, di una ipotesi di lottizzazione abusiva sulla scorta dell’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale della Cassazione secondo cui, come nel caso in esame, la stessa si configura per effetto del mutamento di destinazione d’uso di un complesso immobiliare la cui originaria destinazione assentita dalla P.A era quella di manufatti in zona artigianale con destinazione laboratorio- alloggio del custode (cfr. Cass. Pen., III sez., n. 42471/08).

E’ noto che il reato di lottizzazione abusiva, secondo la definizione contenuta nella L. n. 47 del 1985, art. 18, trasfuso senza modificazioni nel DPR n. 380 del 2001, art. 30, può essere realizzato mediante attività materiale costituita dalla esecuzione di opere che determinano una trasformazione edilizia o urbanistica del territorio, in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati o comunque di leggi statali e regionali, ovvero il compimento di attività negoziale che, attraverso il frazionamento dei terreni, ne modifichi inequivocabilmente la destinazione d’uso a scopo edificatorio(Cass. Pen. N. 10889/05).

Particolare rilevanza assume, quindi, la destinazione del territorio stabilita dagli strumenti urbanistici, in quanto la lottizzazione abusiva viene ad incidere direttamente sul potere di programmazione dell’uso del territorio da parte dell’ente locale o sull’assetto del territorio già stabilito.

Al riguardo è stata identificata la lottizzazione abusiva nel caso in cui le singole unità abitative perdano la originaria destinazione d’uso per acquistare quella residenziale, posto che tale modifica si pone in contrasto con lo strumento urbanistico(Cass. Pen., III Sez., n. 6990 del 2006).

La fattispecie corrisponde a quanto verificatosi nella fattispecie, ove, secondo quanto accertato in sede istruttoria e in sede di consulenza tecnica, manufatti originariamente assentiti a scopo artigianale sono stati trasformati in unità residenziali.

Gli atti impugnati in I grado hanno, infatti, posto in rilievo come gli immobili fossero ubicati in aree qualificate D ed E(zona artigianale), non contestate da parte appellante, che sostiene però che l’aver realizzato alloggi per custodi in edifici ad uso artigianale renderebbe compatibile l’intervento con la destinazione di area.

Senonchè, il mutamento di destinazione d’uso incide sulla pianificazione del territorio effettuata dalla P.A., sicchè a nulla rileva l’eventuale rispetto(invocato dagli appellanti) degli standards edificatori in relazione al rapporto superficie/volume previsti dal PRG per l’edilizia residenziale.

Alla luce di tali osservazioni in punto di diritto si deve ritenere che, a prescindere dalla sentenza di non doversi procedere pronunciata dal GUP di Napoli, il TAR abbia correttamente ravvisato l’esistenza di elementi idonei per configurare la lottizzazione abusiva, avendo rilevato che le unità immobiliari facevano parte del complesso originariamente assentito a destinazione artigianale .

2.1. Con il secondo motivo di appello si insiste sulla censura di violazione dell’art. 21 della L. n. 241 del 1990, in quanto non sarebbero stati evidenziate, con adeguata motivazione, le concrete ragioni di pubblico interesse all’annullamento dei permessi di costruire dopo sette anni dal rilascio.

La censura non può essere condivisa, atteso che il mutamento di destinazione operato sulle unità immobiliari a suo tempo assentite incide sulla pianificazione urbanistica del territorio, area riservata a scelte di carattere assolutamente discrezionale della P.A., rispetto alle quali recedono le posizioni giuridiche dei destinatari e dei contro interessati, né sono ipotizzabili le misure alternative invocate dall’appellante.

Circa, poi, la ragionevolezza del termine entro il quale l’Amministrazione è intervenuta in autotutela, va osservato, da un lato, che correttamente il TAR ha fatto riferimento, quale tertium comparationis normativo, all’art. 39 del DPR n. 380 del 2001 che disciplina il potere regionale di annullamento del permesso di costruire fissando in dieci anni dalla adozione il termine massimo per il loro annullamento; dall’altro, per analogia e ai soli fini della dimostrazione della non irragionevolezza del termine, va ricordato l’orientamento giurisprudenziale che, in riferimento alle convenzioni di lottizzazione, stabilisce il termine per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione in 10 anni dalla sottoscrizione dell’atto negoziale e conseguentemente considera esigibile il correlativo diritto dell’Amministrazione alla scadenza di tale arco temporale.

2.2. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’erroneità della sentenza per non aver preso in considerazione che, per gli edifici in questione, erano state avanzate istanze di condono.

Premesso che tali istanze non possono che costituire conferma della difformità dei manufatti realizzati rispetto agli strumenti urbanistici vigenti, e della conseguente abusività dell’insediamento nel suo complesso, ne discende che esse non potevano in alcun modo incidere sulla realtà giuridica delle opere in questione, sicchè la censura appare irrilevante ai fini della verifica della legittimità dell’esercizio del potere di autotutela da parte della P.A.

2.3. Con il quarto motivo di ricorso si sostiene che la natura mista delle aree D2 ed E1 nelle quali gli insediamenti sono stati realizzate renderebbe le stesse compatibili con le destinazioni di zona, escludendo l’ipotesi di lottizzazione abusiva ed avvalorando la legittimità dell’applicazione sia dell’art. 11 della L. n. 10/77, sia dell’art. 5 delle NTA del PRG che prevede la possibilità di procedere ad ampliamento dell’altezza in cambio di cessione di aree da destinare ad attrezzature di interesse comune. Ciò troverebbe conferma anche nella relazione del CTU.

Va, anzitutto, rilevato come le argomentazioni dell’appellante non siano in grado di smentire quanto già in precedenza chiarito circa la realizzazione, nell’area, di una consistente lottizzazione abusiva, contrastante con le previsioni di Piano di zona.

Inoltre, quanto affermato dal CTU nella relazione depositata agli atti circa la rispondenza dei manufatti realizzati agli standards di zona, va letto in correlazione con quanto affermato dallo stesso CTU nelle medesima relazione e cioè che per gli stessi erano state avanzate istanze di condono per cambio di destinazione anche per i piani terra, a vantaggio di usi residenziali non ancora materializzati attraverso la loro concreta attuazione, in quanto non abitati e non arredati funzionalmente all’utilizzazione dichiarata, ma che tuttavia si presterebbero all’uso residenziale.

La sentenza impugnata sembra al Collegio correttamente rispondere, in termini motivazionali, alla tesi che la sorregge della realizzazione di una lottizzazione abusiva, il che esclude la possibilità che entrino in gioco le norme di cui all’art.11 della L. n. 10/77 e all’art.5 delle NTA richiamate dall’appellante.

2.4. Con il quinto ed il sesto motivo di appello si insiste nella violazione degli artt.11 della L.n. 10/77 e 5 delle NTA del PRG, in quanto la società avrebbe sottoscritto una convenzione con la quale si obbligava alla esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri, oltre che alla cessione gratuita di aree in favore del Comune, con applicazione del meccanismo incentivante dell’art. 5 delle NTA (meccanismo della concessione convenzionata).

Il Tar ha negato tale possibilità, ritenendola applicabile alle sole previsioni degli artt. 7 e 8 della L.n. 10 del 1977, ma l’appellante sostiene che l’art. 11 cit. contempla in via generale la convenzione quale fonte pattizia regolatrice della realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria a scomputo del pagamento degli oneri.

Tale affermazione non può essere condivisa, dal momento che ai fini della eventuale applicazione dell’art. 11 cit. andavano determinate sia le quote di contributo di concessione sia le opere di urbanizzazione, diverse dalle primarie, che il concessionario doveva eseguire direttamente in caso di scomputo.

La relazione del CTU conferma che le opere di urbanizzazione primaria presenti sul territorio sono analoghe a quelle previste per un insediamento residenziale, trattandosi di attività produttive di dimensioni contenute nella natura tipica di funzioni non caratterizzate da una preponderante prevalenza delle une rispetto alle altre, mentre non altrettanto può dirsi per quelle di urbanizzazione secondaria.

Per queste ultime, infatti, la normativa (D.M. 1444/68) non fa carico al soggetto esecutore dell’insediamento di eseguirle, ma limita l’obbligo di quest’ultimo alla cessione di spazi da riservare alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi.

Dai calcoli effettuati dal CTU per le aree da cedere in equivalente (mq. 18 per abitante) emerge un totale di mq. 11240 di superficie da cedere al Comune, riferito alle quantità di cubature desunte dalle concessioni edilizie e dalle loro varianti, di cui non vi è traccia, né tantomeno se ne faceva cenno nella convenzione e nei titoli edilizi rilasciati. Le sole aree di cui risulta la cessione risultano derivare esclusivamente dall’applicazione dell’art. 5 delle NTA, nei casi in cui è invocata la premialità delle cubature proposte e individuate nelle singole concessioni rilasciate.

Tale norma, peraltro, viene invocata dall’appellante al fine di legittimare l’ampliamento dell’altezza, ma la tesi proposta non può trovare condivisione, sia perché non vi è stata cessione di aree al Comune da bilanciare con le possibilità derogatorie previste dalla norma, sia perché la realizzazione di un piano ulteriore non può essere assimilato agli ampliamenti derogatori previsti dalla norma, sia perché la violazione della destinazione di piano rende inutilizzabile lo strumento della premialità di cui alla norma invocata.

2.5. Con il settimo motivo di appello di contesta che il Tar abbia omesso di esaminare le censure con cui la società appellante evidenziava l’illegittimità della delibera commissariale n. 190/07 che, in assenza di procedimento di variante del PRG, avrebbe modificato radicalmente la parte normativa del PRG stesso.

La censura non può essere condivisa, atteso che la natura dell’atto in questione (Chiusura del procedimento di annullamento della delibera di G.M. n. 39/01) non contiene in sè le potenzialità dedotte dall’appellante. Le argomentazioni in esso contenute sono utilizzate al fine di controdedurre alle osservazioni presentate dalla società appellante nel procedimento di annullamento della delibera di G.M. n. 39/01 e delle relative concessioni edilizie e non certo valore indicativo ai fini dell’applicazione del PRG.

2.6. Con l’ottavo motivo di ricorso si riproducono i motivi aggiunti avanzati sia per vizi propri sia in via derivata avverso le ordinanze di demolizione adottate dal Comune successivamente al provvedimento di annullamento della Delibera n. 39/01.

I vizi dedotti in via derivata subiscono la stessa sorte delle censure proposte avverso l’atto principale.

Quelli dedotti in via principale appaiono al Collegio del tutto generici e come tali inammissibili.

3. Per le suesposte considerazioni, l’appello va rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV, definitivamente pronunciando in ordine all’appello indicato in epigrafe, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 4000,00.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2010 con l'intervento dei Signori:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Pier Luigi Lodi, Consigliere

Antonino Anastasi, Consigliere

Anna Leoni, Consigliere, Estensore

Sergio De Felice, Consigliere


L'ESTENSORE                                                                               IL PRESIDENTE

Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/08/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
 


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