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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. IV,
03/08/2010, Sentenza n. 5170
DIRITTO URBANISTICO - Reato di lottizzazione abusiva - Configurabilità -
Mutamento di destinazione d’uso - Art. 18, L. n. 47/1985, trasfuso senza
modificazioni nell’art. 30, DPR n. 380/2001. Il reato di lottizzazione
abusiva, secondo la definizione contenuta nella L. n. 47 del 1985, art. 18,
trasfuso senza modificazioni nel DPR n. 380 del 2001, art. 30, può essere
realizzato mediante attività materiale costituita dalla esecuzione di opere che
determinano una trasformazione edilizia o urbanistica del territorio, in
violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati o comunque di leggi
statali e regionali, ovvero il compimento di attività negoziale che, attraverso
il frazionamento dei terreni, ne modifichi inequivocabilmente la destinazione
d’uso a scopo edificatorio (Cass. Pen. N. 10889/05). Particolare rilevanza
assume, quindi, la destinazione del territorio stabilita dagli strumenti
urbanistici, in quanto la lottizzazione abusiva viene ad incidere direttamente
sul potere di programmazione dell’uso del territorio da parte dell’ente locale o
sull’assetto del territorio già stabilito. E’ stata identificata la
lottizzazione abusiva nel caso in cui le singole unità abitative perdano la
originaria destinazione d’uso per acquistare quella residenziale, posto che tale
modifica si pone in contrasto con lo strumento urbanistico (Cass. Pen., III
Sez., n. 6990 del 2006). Oppure, per effetto del mutamento di destinazione d’uso
di un complesso immobiliare la cui originaria destinazione assentita dalla P.A
era quella di manufatti in zona artigianale con destinazione laboratorio-
alloggio del custode (Cass. Pen., III sez., n. 42471/08). (conferma, sentenza
T.A.R. CAMPANIA - NAPOL, Sez. II n. 04934/2009) - Pres. Giaccardi - Est. Leoni -
Progetto Casa 2000 S.p.A. (avv.ti Clarizia e Laudadi) c. Comune di Melito di
Napoli (avv. D'Angelo). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 03/08/2010, Sentenza n.
5170
DIRITTO URBANISTICO - Lottizzazione abusiva - Mutamento di destinazione d’uso -
Fattispecie. In tema di lottizzazione abusiva, il mutamento di destinazione
d’uso incide sulla pianificazione del territorio effettuata dalla P.A., sicché a
nulla rileva l’eventuale rispetto degli standards edificatori in relazione al
rapporto superficie/volume previsti dal PRG per l’edilizia residenziale. Nella
specie, manufatti originariamente assentiti a scopo artigianale sono stati
trasformati in unità residenziali. (conferma, sentenza T.A.R. CAMPANIA - NAPOL,
Sez. II n. 04934/2009) - Pres. Giaccardi - Est. Leoni - Progetto Casa 2000
S.p.A. (avv.ti Clarizia e Laudadi) c. Comune di Melito di Napoli (avv.
D'Angelo). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 03/08/2010, Sentenza n. 5170
DIRITTO URBANISTICO - Convenzioni di lottizzazione - Opere di urbanizzazione
primaria e secondaria - Termine per l’esecuzione - 10 anni dalla sottoscrizione
dell’atto negoziale - Permesso di costruire - Potere regionale di annullamento
Termine - Art. 39, DPR n. 380/2001. In materia di convenzioni di
lottizzazione, il termine per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione è
fissato in 10 anni dalla sottoscrizione dell’atto negoziale e conseguentemente
si considera esigibile il correlativo diritto dell’Amministrazione alla scadenza
di tale arco temporale. Così come l’art. 39 del DPR n. 380 del 2001, fissa il
termine massimo in dieci anni dalla adozione il potere regionale di annullamento
del permesso di costruire. (conferma, sentenza T.A.R. CAMPANIA - NAPOL, Sez. II
n. 04934/2009) - Pres. Giaccardi - Est. Leoni - Progetto Casa 2000 S.p.A.
(avv.ti Clarizia e Laudadi) c. Comune di Melito di Napoli (avv. D'Angelo).
CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 03/08/2010, Sentenza n. 5170
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 05170/2010 REG.DEC.
N. 10136/2009 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 10136 del 2009, proposto da:
Progetto Casa 2000 S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Angelo Clarizia,
Felice Laudadio, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via
Principessa Clotilde, 2;
contro
Comune di Melito di Napoli, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Laura
D'Angelo, con domicilio eletto presso Leonardo Salvatori in Roma, via Sicilia,
50;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE II n. 04934/2009, resa tra
le parti, concernente OPERE DI URBANIZZAZIONE PRIMARIA E SECONDARIA.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Melito di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2010 il Cons. Anna Leoni e
uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Laudadio, e Abbamonte, su delega di
D'Angelo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il giudizio instaurato in I grado avanti al Tribunale amministrativo
regionale della Campania dalla società Progetto Casa 2000 verteva sulla
legittimità dei provvedimenti con i quali l’Amministrazione comunale di Melito
di Napoli, ritenendo la sussistenza di una lottizzazione abusiva, aveva
annullato in autotutela la delibera di Giunta municipale n.39 del 2001 che aveva
approvato la concessione convenzionata e dato luogo al rilascio delle singole
concessioni edilizie per la realizzazione di manufatti in zona artigianale con
destinazione laboratorio- alloggio del custode. Successivamente aveva annullato
le singole concessioni edilizie così come rilasciate anche a seguito di numerose
varianti che avevano consentito aumenti di cubatura, dichiarando l’inefficacia
della convenzione del 2/5/01, modificata il 7/11/01 e disponendo l’acquisizione
degli immobili indicati.
2. Il Tribunale amministrativo regionale ha rigettato il ricorso, ritenendo
infondata la domanda proposta con il ricorso principale e quella con i primi e
con i secondi motivi aggiunti. In particolare, ha ritenuto sussistenti i
presupposti per l’annullamento d’ufficio(ragionevolezza del termine e
ponderazione degli interessi contrapposti), ha ritenuto lacunoso il procedimento
non essendo stati calcolati gli oneri concessori nemmeno con riferimento alla
ritenuta natura artigianale degli edifici, né calcolate le aree da cedere; ha
ritenuto, sulla scorta dell’accertamento compiuto dal CTU, che vi sia stato un
mutamento di destinazione d’uso; che vi sia stata violazione dell’art.5 delle
NTA; che si sia realizzata una lottizzazione abusiva, ancorchè in area già
urbanizzata ed in assenza della necessaria autorizzazione; che sia stata
compiuta una palese violazione dello strumento urbanistico.
Ha, pertanto, respinta la richiesta risarcitoria, non potendo i danni subiti
considerarsi ingiusti.
3. Appella la soc. Progetto Casa 2000 deducendo i seguenti motivi di ricorso:
3.1. Error in judicando, in relazione alla violazione e falsa
applicazione dell’art. 18 L. n. 47/85 e dell’art. 30 DPR n. 380/2001 e dell’art.
28 L n.1150/42- Omesso esame di punti decisivi della controversia e delle
risultanze istruttorie- Violazione art.654 c.p.p.
Nonostante l’assoluzione in sede penale, il TAR avrebbe incentrato la propria
decisione sulla sussistenza, nella fattispecie, del reato di lottizzazione
abusiva e sul fatto che l’intervento non poteva essere realizzato per le sue
connotazioni oggettive e per la carenza di opere di urbanizzazione.
Inoltre, il TAR non avrebbe preso in esame le censure proposte, trascurando la
relazione del CTU ed incorrendo in ultrapetizione e straripamento della
motivazione dal sindacato sulla esistenza dei vizi di legittimità prospettati
dal ricorrente.
3.2. Error in judicando in relazione all’art. 21 nonies l. n. 241
del 1990 e s.m. - Violazione dei principi generali regolanti l’attività di
autotutela - Errata qualificazione della situazione soggettiva dei destinatari
dell’atto - Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 DPR n. 380 del 2001-
Motivazione contraddittoria ed erronea - Omesso esame degli atti esibiti -
Violazione art. 112 c.p.c. - Extrapetizione - Surrogazione giudiziale della
motivazione degli atti impugnati.
Si contesta la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 21 nonies della L.
n. 241 del 1990 per l’autoannullamento, essendo mancata l’indicazione delle
concrete ed attuali esigenze di tutela dell’assetto urbanistico-territoriale che
si intendevano soddisfare, nonchè l’indicazione di eventuali misure alternative
al disposto annullamento.
3.3. Error in judicando in relazione all’art. 21 nonies L. n. 241
del 1990 e s. m. - Violazione dei principi generali regolanti l’attività di
autotutela- Errata qualificazione della situazione soggettiva dei destinatari
dell’atto - Violazione e falsa applicazione della L. n. 326/03 - Motivazione
contraddittoria ed erronea - Omesso esame degli atti esibiti- Violazione art.
112 c.p.c. - Extrapetizione - Surrogazione giudiziale della motivazione degli
atti impugnati.
Il Tar avrebbe errato nel ritenere non rilevante, ai fini dell’esercizio dl
potere di autotutela, la circostanza che per gli edifici in questione fossero
state presentate domande di sanatoria, non ancora definite.
3.4. Error in judicando in relazione alla violazione e falsa applicazione
dell’art. 11 l.n. 10/77 - Violazione art. 5 NTA del PRG - Violazione e falsa
applicazione degli artt. 7 e 8 L. n. 10/77, art. 18 L. n. 47/85 e art. 30 DPR n.
380/01, art. 28L. n. 1150/42 - Omesso esame di punti decisivi della controversia
e delle risultanze istruttorie - Extrapetizione - Violazione art. 112 c.p.c.
Il TAR avrebbe errato nel ritenere che si fosse realizzata una lottizzazione
abusiva per aver impresso una destinazione di fatto residenziale in spregio a
quelle di zona (D2 e E1) che prevedono, rispettivamente, una destinazione
produttiva ed artigianale.
Lo stesso CTU avrebbe dato atto che gli edifici realizzati erano conformi alle
tipologie previste dalle NTA del PRG in relazione alle zone D2 e E1.
Si tratterebbe, infatti, di aree a natura mista, nelle quali sono legittimamente
realizzabili edifici a destinazione commerciale con possibilità di residenza per
i titolari degli esercizi ed il custode.
Nella delineata prospettiva si è data applicazione sia all’art. 11 della L. n.
10/77 sia all’art. 5 delle NTA del PRG, che prevede la possibilità di procedere
ad ampliamento dell’altezza in cambio di cessione di aree da destinare ad
attrezzature di interesse comune.
Si contesta, quindi, la asserita modifica di destinazione su cui il TAR ha
basato la propria decisione.
3.5. Error in judicando in relazione alla violazione dell’art. 11 L.n. 10/77 -
Falsa applicazione artt. 7 e 8 L. n. 10/77 - Violazione art. 28 L. n. 1150/42 -
Violazione art. 5 NTA del PRG - Violazione dell’art. 42 D.Lgs. n. 267 del 2000 -
Omesso esame di punti decisivi della controversia - Extrapetizione - Violazione
art. 112 c.p.c.
Avrebbe errato il TAR non riconoscendo applicabile il modulo della concessione
convenzionata previsto dal’art. 11 della L. n. 10/77, avendo la società
sottoscritto una convenzione con cui si obbligava alla esecuzione diretta delle
opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri, oltre che alla cessione gratuita
di aree a favore del Comune, con applicazione del meccanismo incentivante ex
art.5 NTA del PRG.
3.6. Error in judicando e violazione art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 5
delle NTA del PRG - Omesso esame degli atti.
Avrebbe errato il TAR nel ritenere che la norma che introduce una premialità nel
caso di cessione di aree, consente l’incremento degli indici metrici, ma esclude
l’incremento del numero di piani.
3.7. Error in judicando in relazione alle censure formulate attraverso la
deliberazione commissariale n. 190 del 6/12/2007 - Violazione L. n. 1150/42;
L.r. n. 14/82 e 16 del 2004 - Omesso esame di punti decisivi della causa -
Violazione art. 112 c.p.c.
Il TAR avrebbe omesso di esaminare le censure con le quali la società appellante
evidenziava le ritenute illegittimità della delibera commissariale n. 190 del
2007 che, in assenza del procedimento di variante al PRG, aveva modificato
radicalmente la parte normativa del PRG.
Vengono, pertanto, riproposti i motivi articolati sul punto nel ricorso
introduttivo di I grado, nonché i motivi aggiunti avanzati, sia per vizi propri
sia in via derivata, avverso le ordinanze di demolizione adottate dal Comune
successivamente al provvedimento di annullamento della delibera n. 39/01, sui
quali, pur respingendoli, il TAR non si sarebbe pronunciato.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Melito di Napoli contestando nel
merito le proposte censure.
5. L’appellante ha depositato memoria difensiva.
6. Il ricorso è stato inserito nei ruoli di udienza del 20 aprile 2010 e
trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. L’appello all’esame del Collegio, riguardante l’intervento edilizio
consistente in 18 fabbricati realizzato su area di circa 28000 mq. ricadente in
parte in zona D2 ed in parte in zona E1 del vigente PRG del Comune di Melito di
Napoli, è infondato e va respinto.
2. Nel primo motivo di appello si contesta l’omesso esame di punti decisivi
della controversia e delle risultanze istruttorie. In particolare i primi
giudici non avrebbero tenuto conto delle risultanze della CTU espletata
nell’ambito del giudizio amministrativo, né della intervenuta sentenza di
assoluzione pronunciata dal GUP con riferimento al contestato reato di
lottizzazione abusiva.
La censura non può essere condivisa.
Invero, dalla sentenza gravata è possibile dedurre, in maniera in equivoca, che
i primi giudici hanno ben avuto presente le risultanze della disposta consulenza
tecnica, alla quale in più punti fanno riferimento, come pure a tutta la
istruttoria compiuta sul caso. In particolare, sulla base di tali risultanze, il
Tribunale ha potuto acclarare che le aree da cedere non erano state calcolate e
che neppure il funzionario incaricato della consulenza aveva potuto pervenire
alla loro quantificazione, in assenza delle complesse operazioni di verifica
dell’intera dotazione delle aree, omessa anche in sede istruttoria.
Quanto alla ritenuta illegittimità della sentenza perché non avrebbe considerato
la intervenuta assoluzione in sede penale dal reato di lottizzazione abusiva, va
osservato che oggetto del giudizio penale, rivolto avverso una pluralità di
imputati, era l’associazione ai fini di commettere un serie indeterminata di
delitti, aventi come oggetto l’attività edificatoria contestata in quanto
realizzata in difformità ai titoli autorizzatori, concernenti abuso di atti
d’ufficio in relazione a delibere di lottizzazioni illegittime, nonché al
rilascio di concessioni edilizie illegittime, falso in atti pubblici, truffa
aggravata e altro.
Il GUP di Napoli, con sentenza depositata in data 7/10/2008 ha dichiarato il non
luogo a procedere nei confronti di tutti gli imputati perché il fatto non
sussiste e perché il fatto non costituisce reato; quanto ai rimanenti capi di
imputazione, per insufficienza ed inidoneità degli elementi raccolti a sostenere
l’accusa in giudizio.
A ben vedere, la sentenza richiamata, se pur rileva nel senso di escludere la
responsabilità personale degli imputati in ordine ai reati contestati e alle
modalità di loro commissione, non può, invece, rilevare ai fini della
individuazione, nella fattispecie, di una ipotesi di lottizzazione abusiva sulla
scorta dell’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale della Cassazione
secondo cui, come nel caso in esame, la stessa si configura per effetto del
mutamento di destinazione d’uso di un complesso immobiliare la cui originaria
destinazione assentita dalla P.A era quella di manufatti in zona artigianale con
destinazione laboratorio- alloggio del custode (cfr. Cass. Pen., III sez., n.
42471/08).
E’ noto che il reato di lottizzazione abusiva, secondo la definizione contenuta
nella L. n. 47 del 1985, art. 18, trasfuso senza modificazioni nel DPR n. 380
del 2001, art. 30, può essere realizzato mediante attività materiale costituita
dalla esecuzione di opere che determinano una trasformazione edilizia o
urbanistica del territorio, in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o
adottati o comunque di leggi statali e regionali, ovvero il compimento di
attività negoziale che, attraverso il frazionamento dei terreni, ne modifichi
inequivocabilmente la destinazione d’uso a scopo edificatorio(Cass. Pen. N.
10889/05).
Particolare rilevanza assume, quindi, la destinazione del territorio stabilita
dagli strumenti urbanistici, in quanto la lottizzazione abusiva viene ad
incidere direttamente sul potere di programmazione dell’uso del territorio da
parte dell’ente locale o sull’assetto del territorio già stabilito.
Al riguardo è stata identificata la lottizzazione abusiva nel caso in cui le
singole unità abitative perdano la originaria destinazione d’uso per acquistare
quella residenziale, posto che tale modifica si pone in contrasto con lo
strumento urbanistico(Cass. Pen., III Sez., n. 6990 del 2006).
La fattispecie corrisponde a quanto verificatosi nella fattispecie, ove, secondo
quanto accertato in sede istruttoria e in sede di consulenza tecnica, manufatti
originariamente assentiti a scopo artigianale sono stati trasformati in unità
residenziali.
Gli atti impugnati in I grado hanno, infatti, posto in rilievo come gli immobili
fossero ubicati in aree qualificate D ed E(zona artigianale), non contestate da
parte appellante, che sostiene però che l’aver realizzato alloggi per custodi in
edifici ad uso artigianale renderebbe compatibile l’intervento con la
destinazione di area.
Senonchè, il mutamento di destinazione d’uso incide sulla pianificazione del
territorio effettuata dalla P.A., sicchè a nulla rileva l’eventuale
rispetto(invocato dagli appellanti) degli standards edificatori in
relazione al rapporto superficie/volume previsti dal PRG per l’edilizia
residenziale.
Alla luce di tali osservazioni in punto di diritto si deve ritenere che, a
prescindere dalla sentenza di non doversi procedere pronunciata dal GUP di
Napoli, il TAR abbia correttamente ravvisato l’esistenza di elementi idonei per
configurare la lottizzazione abusiva, avendo rilevato che le unità immobiliari
facevano parte del complesso originariamente assentito a destinazione
artigianale .
2.1. Con il secondo motivo di appello si insiste sulla censura di violazione
dell’art. 21 della L. n. 241 del 1990, in quanto non sarebbero stati
evidenziate, con adeguata motivazione, le concrete ragioni di pubblico interesse
all’annullamento dei permessi di costruire dopo sette anni dal rilascio.
La censura non può essere condivisa, atteso che il mutamento di destinazione
operato sulle unità immobiliari a suo tempo assentite incide sulla
pianificazione urbanistica del territorio, area riservata a scelte di carattere
assolutamente discrezionale della P.A., rispetto alle quali recedono le
posizioni giuridiche dei destinatari e dei contro interessati, né sono
ipotizzabili le misure alternative invocate dall’appellante.
Circa, poi, la ragionevolezza del termine entro il quale l’Amministrazione è
intervenuta in autotutela, va osservato, da un lato, che correttamente il TAR ha
fatto riferimento, quale tertium comparationis normativo, all’art. 39 del
DPR n. 380 del 2001 che disciplina il potere regionale di annullamento del
permesso di costruire fissando in dieci anni dalla adozione il termine massimo
per il loro annullamento; dall’altro, per analogia e ai soli fini della
dimostrazione della non irragionevolezza del termine, va ricordato
l’orientamento giurisprudenziale che, in riferimento alle convenzioni di
lottizzazione, stabilisce il termine per l’esecuzione delle opere di
urbanizzazione in 10 anni dalla sottoscrizione dell’atto negoziale e
conseguentemente considera esigibile il correlativo diritto dell’Amministrazione
alla scadenza di tale arco temporale.
2.2. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’erroneità della sentenza per
non aver preso in considerazione che, per gli edifici in questione, erano state
avanzate istanze di condono.
Premesso che tali istanze non possono che costituire conferma della difformità
dei manufatti realizzati rispetto agli strumenti urbanistici vigenti, e della
conseguente abusività dell’insediamento nel suo complesso, ne discende che esse
non potevano in alcun modo incidere sulla realtà giuridica delle opere in
questione, sicchè la censura appare irrilevante ai fini della verifica della
legittimità dell’esercizio del potere di autotutela da parte della P.A.
2.3. Con il quarto motivo di ricorso si sostiene che la natura mista delle aree
D2 ed E1 nelle quali gli insediamenti sono stati realizzate renderebbe le stesse
compatibili con le destinazioni di zona, escludendo l’ipotesi di lottizzazione
abusiva ed avvalorando la legittimità dell’applicazione sia dell’art. 11 della
L. n. 10/77, sia dell’art. 5 delle NTA del PRG che prevede la possibilità di
procedere ad ampliamento dell’altezza in cambio di cessione di aree da destinare
ad attrezzature di interesse comune. Ciò troverebbe conferma anche nella
relazione del CTU.
Va, anzitutto, rilevato come le argomentazioni dell’appellante non siano in
grado di smentire quanto già in precedenza chiarito circa la realizzazione,
nell’area, di una consistente lottizzazione abusiva, contrastante con le
previsioni di Piano di zona.
Inoltre, quanto affermato dal CTU nella relazione depositata agli atti circa la
rispondenza dei manufatti realizzati agli standards di zona, va letto in
correlazione con quanto affermato dallo stesso CTU nelle medesima relazione e
cioè che per gli stessi erano state avanzate istanze di condono per cambio di
destinazione anche per i piani terra, a vantaggio di usi residenziali non ancora
materializzati attraverso la loro concreta attuazione, in quanto non abitati e
non arredati funzionalmente all’utilizzazione dichiarata, ma che tuttavia si
presterebbero all’uso residenziale.
La sentenza impugnata sembra al Collegio correttamente rispondere, in termini
motivazionali, alla tesi che la sorregge della realizzazione di una
lottizzazione abusiva, il che esclude la possibilità che entrino in gioco le
norme di cui all’art.11 della L. n. 10/77 e all’art.5 delle NTA richiamate
dall’appellante.
2.4. Con il quinto ed il sesto motivo di appello si insiste nella violazione
degli artt.11 della L.n. 10/77 e 5 delle NTA del PRG, in quanto la società
avrebbe sottoscritto una convenzione con la quale si obbligava alla esecuzione
diretta delle opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri, oltre che alla
cessione gratuita di aree in favore del Comune, con applicazione del meccanismo
incentivante dell’art. 5 delle NTA (meccanismo della concessione convenzionata).
Il Tar ha negato tale possibilità, ritenendola applicabile alle sole previsioni
degli artt. 7 e 8 della L.n. 10 del 1977, ma l’appellante sostiene che l’art. 11
cit. contempla in via generale la convenzione quale fonte pattizia regolatrice
della realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria a scomputo del
pagamento degli oneri.
Tale affermazione non può essere condivisa, dal momento che ai fini della
eventuale applicazione dell’art. 11 cit. andavano determinate sia le quote di
contributo di concessione sia le opere di urbanizzazione, diverse dalle
primarie, che il concessionario doveva eseguire direttamente in caso di
scomputo.
La relazione del CTU conferma che le opere di urbanizzazione primaria presenti
sul territorio sono analoghe a quelle previste per un insediamento residenziale,
trattandosi di attività produttive di dimensioni contenute nella natura tipica
di funzioni non caratterizzate da una preponderante prevalenza delle une
rispetto alle altre, mentre non altrettanto può dirsi per quelle di
urbanizzazione secondaria.
Per queste ultime, infatti, la normativa (D.M. 1444/68) non fa carico al
soggetto esecutore dell’insediamento di eseguirle, ma limita l’obbligo di
quest’ultimo alla cessione di spazi da riservare alle attività collettive, a
verde pubblico o a parcheggi.
Dai calcoli effettuati dal CTU per le aree da cedere in equivalente (mq. 18 per
abitante) emerge un totale di mq. 11240 di superficie da cedere al Comune,
riferito alle quantità di cubature desunte dalle concessioni edilizie e dalle
loro varianti, di cui non vi è traccia, né tantomeno se ne faceva cenno nella
convenzione e nei titoli edilizi rilasciati. Le sole aree di cui risulta la
cessione risultano derivare esclusivamente dall’applicazione dell’art. 5 delle
NTA, nei casi in cui è invocata la premialità delle cubature proposte e
individuate nelle singole concessioni rilasciate.
Tale norma, peraltro, viene invocata dall’appellante al fine di legittimare
l’ampliamento dell’altezza, ma la tesi proposta non può trovare condivisione,
sia perché non vi è stata cessione di aree al Comune da bilanciare con le
possibilità derogatorie previste dalla norma, sia perché la realizzazione di un
piano ulteriore non può essere assimilato agli ampliamenti derogatori previsti
dalla norma, sia perché la violazione della destinazione di piano rende
inutilizzabile lo strumento della premialità di cui alla norma invocata.
2.5. Con il settimo motivo di appello di contesta che il Tar abbia omesso di
esaminare le censure con cui la società appellante evidenziava l’illegittimità
della delibera commissariale n. 190/07 che, in assenza di procedimento di
variante del PRG, avrebbe modificato radicalmente la parte normativa del PRG
stesso.
La censura non può essere condivisa, atteso che la natura dell’atto in questione
(Chiusura del procedimento di annullamento della delibera di G.M. n. 39/01) non
contiene in sè le potenzialità dedotte dall’appellante. Le argomentazioni in
esso contenute sono utilizzate al fine di controdedurre alle osservazioni
presentate dalla società appellante nel procedimento di annullamento della
delibera di G.M. n. 39/01 e delle relative concessioni edilizie e non certo
valore indicativo ai fini dell’applicazione del PRG.
2.6. Con l’ottavo motivo di ricorso si riproducono i motivi aggiunti avanzati
sia per vizi propri sia in via derivata avverso le ordinanze di demolizione
adottate dal Comune successivamente al provvedimento di annullamento della
Delibera n. 39/01.
I vizi dedotti in via derivata subiscono la stessa sorte delle censure proposte
avverso l’atto principale.
Quelli dedotti in via principale appaiono al Collegio del tutto generici e come
tali inammissibili.
3. Per le suesposte considerazioni, l’appello va rigettato, con conseguente
conferma della sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV, definitivamente
pronunciando in ordine all’appello indicato in epigrafe, lo rigetta e, per
l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio che liquida
in Euro 4000,00.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2010 con
l'intervento dei Signori:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Pier Luigi Lodi, Consigliere
Antonino Anastasi, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere, Estensore
Sergio De Felice, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/08/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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ISSN 1974-9562