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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 15/09/2010, Sentenza n.
6871
DIRITTO URBANISTICO - Piano di recupero al patrimonio edilizio (PRPE) -
Demolizione e ripristino stato dei luoghi - Terzi acquirenti e subacquirenti -
Avviso di avvio del procedimento - Necessità - Esclusione - Natura vincolata
dell’atto di demolizione - Fattispecie - Art. 7 L. n. 241/1990 - Art. 31 DPR n.
380/2001. Nei casi in cui il precedente giudicato non attribuisce alcun
potere discrezionale al dirigente, tenuto ad adeguare la situazione di fatto a
quella di diritto, (in specie demolizione e ripristino stato dei luoghi) non
occorre alcun avviso di avvio del procedimento e di conseguenza non sussiste
alcuna violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Inoltre, gli
acquirenti delle unità immobiliari, quali titolari di posizioni derivate dalla
parte soccombente nei precedenti giudizi, vanno considerati titolari di un
interesse ad intervenire nel corso del procedimento amministrativo e non come
‘parti necessarie’ del medesimo procedimento. Sotto tale profilo, è frequente in
materia edilizia che possa assumere iniziative, in sede amministrativa o
giurisdizionale, il soggetto leso da un provvedimento, anche se
l’amministrazione non ha il dovere di trasmettergli l’avviso di avvio del
procedimento. Nella specie, la natura vincolata dell’atto di demolizione e la
titolarità del relativo obbligo in capo alla società, rispetto alla quale i
subacquirenti hanno assunto una posizione derivata e riflessa, fanno escludere
che il Comune aveva l’obbligo di trasmettere l’avviso di avvio del procedimento
anche a soggetti estranei alle vicende che hanno condotto alla formazione del
giudicato. (riforma sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA n.
00157/2008) Pres. Maruotti - Est. Potenza - Comune di Lanciano (avv. Carlini) c.
D'Amico (n.c.) ed altri. CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 15/09/2010, Sentenza n.
6871
DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Legittimità
del provvedimento impugnato - Domande risarcitoria nei confronti dell’Ente -
Esclusione. Nei casi in cui risulti la legittimità del provvedimento,
impugnato in primo grado, sono infondate le domande risarcitorie proposte nei
confronti del Comune poiché non è configurabile un suo illecito. (riforma
sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA n. 00157/2008) Pres.
Maruotti - Est. Potenza - Comune di Lanciano (avv. Carlini) c. D'Amico (n.c.) ed
altri. CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 15/09/2010, Sentenza n. 6871
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 06871/2010 REG.DEC.
N. 02125/2009 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 2125 del 2009, proposto dal Comune di
Lanciano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv.
Giovanni Carlini, con domicilio eletto presso il signor Dario Di Gravio in Roma,
via Anapo, 29;
contro
Il signor D'Amico Bruno, non costituitosi nel presente grado del giudizio, e i
signori Finoli Nicoletta, De Iuliis Giuseppa, Finoli Grazia, rappresentati e
difesi dagli avv.ti Attilio Taverniti e Bruno Taverniti, con domicilio eletto
presso lo studio dell’avv. Attilio Taverniti in Roma, via Germanico, 96;
nei confronti di
L’avv. Salvatore Pietro, rappresentato e difeso da se stesso, con domicilio
eletto presso il signor Alessandro Rimato in Roma, viale delle Milizie, 9;
la signora Gaeta Angela, rappresentata e difesa dagli avv.ti Attilio Taverniti e
Bruno Taverniti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Attilio
Taverniti in Roma, via Germanico, 96;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA n. 00157/2008, resa
tra le parti, concernente DEMOLIZIONE E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2010 il Consigliere Raffaele
Potenza e uditi per le parti gli avvocati Carlini e Taverniti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso al TAR Abruzzo , sezione staccata di Pescara, i signori D’Amico
Bruno, Finoli Nicoletta, De Iuliis Giuseppa , proprietari nel territorio del
Comune di Lanciano di appartamenti situati in v. Cesare De Titta (ed
identificati a catasto al fg. N.26/mapp577-4405), impugnavano un ordine di
demolizione edilizia, emesso dal Comune, al termine di un’articolata vicenda,
che può essere ripercorsa come segue.
Adiacente alla proprietà degli esponenti, si è un villino bifamiliare, dello
stesso stile, di proprietà dell’Avv. Pietro Salvatore. Gli esponenti facevano
anche presente l’inserimento di entrambi detti immobili nella variante al PRG
del 1985 in zona di ristrutturazione urbanistica, da attuarsi attuata attraverso
piano di recupero al patrimonio edilizio (PRPE), mediante demolizione e
ricostruzione di un unico edificio.
La Società precedente proprietaria dell’immobile presentava al Comune un PRPE
relativo solo all’area di sua proprietà, che riceveva l’approvazione dal
consiglio comunale (atti nn. 56/1996 e 11/1997).
Conseguentemente il Comune rilasciava poi la concessione edilizia (n. 180 del
7.4.1998) in favore della Società D.N.D Immobiliare per la costruzione del
fabbricato residenziale, previa ristrutturazione di quello preesistente.
Tuttavia, su ricorso del confinante proprietario, avv. Salvatore, il TAR
annullava la concessione edilizia e gli atti di approvazione del PRPE (sent.n.
458/1999), evidenziando che il Comune non avrebbe potuto approvare l’intervento
poiché il progetto e la concessione interessavano solo una parte dell’unico
comparto individuato nello strumento urbanistico.
Il TAR aggiungeva che, anche ove il PRG avesse individuato due distinti
comparti, gli atti impugnati dovevano ritenersi ugualmente illegittimi, perché
non si era disposta la demolizione dei due fabbricati, era stata realizzata una
volumetria eccedente, il nuovo edificio era stato costruito in aderenza al
supposto limite di zona ed infine perché la zona a verde pubblico non era stata
realizzata all’estremità del comparto.
Il Consiglio di Stato confermava la decisione di primo grado, rigettando gli
appelli proposti dal Comune e dalla Società D.N.D. (sent. sez. V, n. 697/2003).
Nelle more dello svolgimento dei due gradi di giudizio, la costruzione è
comunque stata realizzata, ottenendo anche l’abitabilità, per cui gli
appartamenti nel 2001 venivano venduti agli attuali appellati e ad altri
acquirenti.
In esecuzione della pronuncia del Consiglio di Stato, il Comune, preso atto
dell’annullamento dei titoli edilizi, ordinava il ripristino dello stato dei
luoghi con atto del 20.6.2003, immediatamente dopo tuttavia autoannullato.
Di fronte alla successiva inerzia del Comune, l’avv. Salvatore proponeva
ulteriore ricorso al TAR per l’ottemperanza alla sentenza n. 458/1999, che era
accolto con la sentenza n. 859/2004, con cui si nominava anche il Commissario
“ad acta”. In particolare con tale decisione il Tribunale individuava le “regole
cui deve uniformarsi l’amministrazione in sede di esecuzione” (volte a rimuovere
le conseguenze delle commesse illegittimità, in ordine alla mancata approvazione
di un unico piano per il comparto, alla realizzazione di un ulteriore edificio,
in assenza della demolizione di quelli preesistenti, e all’eccesso di
volumetria); la sentenza, inoltre, rilevava il dovere del Comune di “procedere
alla demolizione coattiva delle opere edilizie realizzate, ovvero, sussistendo
interesse pubblico contrario, all’applicazione di altra sanzione secondo le
previsioni delle vigenti norme in materia di abusi edilizi”, oppure conformando
“diversamente la situazione di fatto alla normativa urbanistica con riferimento
agli strumenti vigenti all’epoca di notifica della sentenza del Consiglio di
Stato, dando conto, in particolare, attraverso un giudizio che implica anche
valutazioni di interesse pubblico, della compatibilità delle opere realizzate
con gli stessi strumenti urbanistici, con particolare riferimento alla questione
concernente la volumetria residenziale realizzata”.
In sede di esecuzione di tale giudicato, con la delibera n. 36 del 14 dicembre
2004 la Giunta comunale di Lanciano stabiliva:
a) di procedere alla “attuazione del comparto nella sua unitarietà”, “approvando
un piano di recupero” e “soprassedendo nelle more” “alla demolizione
dell’edificio compatibile con lo strumento urbanistico di attuazione”;
b) di invitare il dirigente a demolire - dopo l’approvazione del comparto - le
opere incompatibili (per la misura di mc. 1976,51) applicando la sanzione
pecuniaria per l’impossibilità di procedere alla demolizione di ulteriori mc
253, 52.
Con la nota n. 18993 del 2005 il Dirigente della programmazione urbanistica
comunicava l’avviso di avvio del procedimento per la formazione del comparto,
invitando l’avv. Salvatore e la società a costituire il consorzio previsto
dall’art. 26 della L.R. n. 18/1983, in assenza del quale è stata prospettata
l’approvazione d’ufficio del piano.
Con la nota n. 18993 del 2005, il dirigente della programmazione urbanistica
comunicava poi l’avviso di avvio del procedimento per l’attuazione del comparto
ed invitava l’avv. Salvatore e la società DND a costituire il consorzio previsto
dall’art. 26 della legge regionale n. 18 del 1983, in assenza del quale il
Comune prospettava l’approvazione d’ufficio del piano.
L’avv. Salvatore impugnava però dinanzi al TAR tali provvedimenti con ulteriori
ricorsi (nn. 67 e 262 del 2005) al TAR Abruzzo, i quali con la sentenza n.
98/2006 venivano accolti, sulla base delle seguenti considerazioni:
- la delibera n. 36 del 2004 aveva constatato l’interesse pubblico alla
conservazione dell’edificio realizzato da oltre cinque anni (ed abitato da dieci
famiglie), in base a piano di recupero a suo tempo annullato;
- era stata prevista la formazione del comparto non per attuare la previsione
del piano regolatore, ma per sanare l’opera divenuta abusiva per l’annullamento
della concessione edilizia n. 180 del 1998;
- l’esecuzione della medesima delibera comporterebbe la conservazione di
immobili su una sagoma diversa da quella prevista dal piano regolatore, in
assenza del consenso del proprietario finitimo e con un eccesso di volumetria;
- in sostanza, la delibera mirava a soddisfare esigenze meramente privatistiche
alla conservazione di un bene abusivo, senza tenere conto delle esigenze del
proprietario finitimo.
2.- In tale contesto, infine, il Comune, preso atto della conferma
giurisdizionale dell’annullamento dei titoli edilizi (Cons. di Stato,
n.697/2003) reiterava in data 13.12.2006 l’ordine di ripristino dello stato dei
luoghi, mediante abbattimento di tutte le opere edilizie eseguite fuori terra ed
interrate, ordine che veniva impugnato con il menzionato ricorso al TAR da parte
dei proprietari esponenti.
A sostegno dell’impugnativa si denunciava:
- la violazione degli artt. 7 e 8 della L.241/1990, per non essere stati i
ricorrenti previamente informati circa l’avvio di siffatto procedimento, quando
addirittura agli stessi era stato comunicato l’avvio del procedimento volto alla
costituzione del “Consorzio”, in attuazione dell’art. 26 della L.R. 18/1983.
- la violazione delle statuizioni contenute nelle pronunce del TAR n. 458/1999 e
859/2004, nonché la violazione dell’art. 38 del DPR 380/2001, avendo
l’Amministrazione omesso ogni valutazione circa la possibilità di mantenere
l’intervento edilizio, che è stato realizzato non abusivamente, ma in base a
permessi regolarmente assentiti, annullati in sede giurisdizionale solo dopo che
l’opera era stata edificata.
- la violazione della pronuncia n. 859/2004, con cui il TAR aveva stabilito
l’obbligo dell’Amministrazione di procedere ad un riesame dell’intera vicenda,
indicando i provvedimenti da assumere, costituiti o dalla demolizione coattiva
ovvero, sussistendo interesse pubblico contrario, dall’applicazione di altra
sanzione, o da un provvedimento teso a conformare la situazione di fatto alla
normativa urbanistica con riferimento agli strumenti vigenti all’epoca di
notifica della sentenza del Consiglio di Stato;
- l’ inesistenza delle istruttoria e delle valutazioni che si sarebbero dovute
esternare prima di adottare la misura repressiva in parola, anche tenendo conto
che l’esecuzione di tale misura priverebbe dell’abitazione dieci famiglie in un
Comune ad alta densità abitativa, come Lanciano;
- la mancata considerazione del fatto che, essendo stato l’immobile realizzato
in base a titoli edilizi rilasciati dal Comune, nel caso di demolizione l’ente
dovrebbe risarcire i proprietari degli appartamenti e l’impresa costruttrice,
che avevano riposto affidamento nella legittimità della concessione rilasciata;
- la violazione dell’art.38 del DPR 380/2001, che impone l’obbligo di rendere
motivata valutazione circa l’impossibilità di rimuovere i vizi delle procedure
amministrative prima di disporre la rimozione delle opere, atteso che in nessuna
parte dell’atto si indicano le ragioni della scelta compiuta a fronte delle
alternative previste dalla norma ricordata;
- la omessa indicazione delle ragioni per cui l’amministrazione aveva ritenuto
non più sussistenti le ragioni che avevano indotto all’autoannullamento della
prima ordinanza di demolizione, con cui si pone in contraddizione l’attuale
ordine di rimozione;
- il contrasto con le precedenti valutazioni e determinazioni
dell’Amministrazione contenute delle delibere consiliari n. 56/1996 e 11/1997 e
con la volontà di salvaguardare la villa risalente ai primi anni del ‘900,
avente elementi di pregio ed esistente a fianco alla palazzina oggetto
dell’ordine di rimozione;
- la violazione dell’art. 3, comma 4, della L.241/1990 per l’omessa indicazione
del termine e dell’autorità cui ricorrere, mentre con altro motivo ci si duole
della mancata indicazione dell’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del
comma 3 dell’art. 31 del DPR 380/2001;
- l’impossibilità di eseguire l’ordine di demolizione ingiunto, in quanto
rivolto non ad un soggetto unico, ma a più soggetti, proprietari di beni
esclusivi e di parti condominiali, di talchè chi volesse adempiere di fatto
sarebbe impossibilitato a farlo senza il consenso di tutti gli altri, consenso
che non si sa bene come raccogliere, con la conseguenza che il provvedimento
impugnato non potrebbe essere che eseguito mediante l’acquisizione della
proprietà dell’immobile da parte dell’ente.
3.- Con la sentenza epigrafata, il TAR riconosceva la fondatezza delle prime due
censure, ritenute assorbenti degli ulteriori motivi formulati.
4.- Il Comune di Lanciano (con atto notificato il 19.2.2009) ha impugnato
innanzi a questo Consiglio la sentenza del TAR, chiedendone la riforma.
Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti in prime cure (salvo il sig.
D’amico, nelle more deceduto) e l’avv. Salvatore, resistendo al gravame ed
esponendo in successiva memoria le proprie argomentazioni difensive, che si
hanno qui per riportate.
Alla pubblica udienza del 4 maggio 2010 il ricorso è stato trattenuto in
decisione.
DIRITTO
1. Non ha fondamento l’eccezione di nullità, proposta dagli appellati, della
notificazione dell’appello in quanto effettuata dal Comune al ricorrente in
primo grado D’Amico Bruno (deceduto il 15.3.2008) nel domicilio eletto presso il
suo procuratore nel giudizio di primo grado. Successivamente al deposito della
sentenza di primo grado, ai fini della notificazione dell’ appello, le parti si
presumono conservare l’elezione di domicilio disposta per il giudizio di primo
grado, salvo che risulti abbiano dato avviso alle controparti del mutamento del
domicilio o degli eventi che ne determino la necessità.
2- Come accennato in fatto, il TAR per l’Abruzzo ha accolto il ricorso contro il
contestato ordine di ripristino dei luoghi (ord. n.346/2006) ritenendo la
fondatezza dei motivi che avevano sostenuto:
- la violazione degli artt. 7 e 8 della L.241/1990 per non essere stati i
ricorrenti previamente informati circa l’avvio di siffatto procedimento, quando
addirittura agli stessi era stato comunicato l’avvio del procedimento volto alla
costituzione del “Consorzio”, in attuazione dell’art. 26 della L.R. 18/1983.
- la violazione delle statuizioni contenute nelle precedenti pronunce del TAR n.
458/1999 e 859/2004, nonché la violazione dell’art. 38 del DPR 380/2001, avendo
l’Amministrazione omesso ogni valutazione circa la possibilità di mantenere
l’intervento edilizio, che è stato realizzato non abusivamente, ma in base a
permessi regolarmente assentiti, annullati in sede giurisdizionale solo dopo che
l’opera era stata edificata.
In particolare, non vi è stata alcuna modifica dello strumento urbanistico
generale, che - per non risultare affetto da irragionevolezza o da altri profili
di eccesso di potere - comunque non avrebbe potuto consentire alcun superamento
dei limiti massimi volumetrici da parte della società costruttrice.
3. Ritiene la Sezione che l’appello risulta fondato e va accolto.
E’ decisivo considerare che risulta una attuale eccedenza dei limiti massimi di
volumetria complessivamente assentibili e che non vi è stata alcuna modifica
dello strumento urbanistico, volta a dare un nuovo regime alle aree in questione
(nel rispetto dei principi di legalità e di ragionevolezza delle scelte).
Pertanto, risultano pienamente operanti le statuizioni derivanti dai precedenti
giudicati, che impongono al Comune di Lanciano di adeguare la situazione di
fatto a quella di diritto, con la materiale demolizione dell’edificio da
considerare realizzato sine titulo.
Ne consegue che - col provvedimento impugnato in primo grado - del tutto
legittimamente il dirigente ha ravvisato i presupposti per disporre la
demolizione.
4. E’ anche fondata la censura secondo cui non sussiste la dedotta violazione
dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Nei confronti della società, parte nei
precedenti giudizi, non occorreva alcun avviso di avvio del procedimento, poiché
il precedente giudicato non ha attribuito alcun potere discrezionale al
dirigente, tenuto ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.
Inoltre, gli acquirenti delle unità immobiliari, quali titolari di posizioni
derivate dalla parte soccombente nei precedenti giudizi, vanno considerati
titolari di un interesse ad intervenire nel corso del procedimento
amministrativo e non come ‘parti necessarie’ del medesimo procedimento.
Sotto tale profilo, è frequente in materia edilizia che possa assumere
iniziative, in sede amministrativa o giurisdizionale, il soggetto leso da un
provvedimento, anche se l’amministrazione non ha il dovere di trasmettergli
l’avviso di avvio del procedimento.
Nella specie, la natura vincolata dell’atto di demolizione e la titolarità del
relativo obbligo in capo alla società, rispetto alla quale i subacquirenti hanno
assunto una posizione derivata e riflessa, fanno escludere che il Comune aveva
l’obbligo di trasmettere l’avviso di avvio del procedimento anche a soggetti
estranei alle vicende che hanno condotto alla formazione del giudicato.
5. Risultano invece infondate le domande risarcitorie già proposte in primo
grado nei confronti del Comune, poiché - per la ravvisata legittimità del
provvedimento impugnato in primo grado - non è configurabile un suo illecito.
5. Pertanto l’appello deve essere accolto e in riforma della sentenza impugnata
il ricorso di primo grado va respinto. Le spese del giudizio seguono il
principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente
pronunziando in merito al ricorso in epigrafe n. 2125 del 2009, lo accoglie e,
per l’effetto ed in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di
primo grado.
Condanna gli appellati al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del
doppio grado di giudizio, che liquida, complessivamente in Euro 2.500 (oltre
accessori).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2010 con
l'intervento dei Signori:
Luigi Maruotti, Presidente FF
Antonino Anastasi, Consigliere
Bruno Mollica, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/09/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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