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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO
DI STATO, Sez. VI, 28/10/2010, Sentenza n. 7635
APPALTI - DIRITTO URBANISTICO - BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Esecuzione
dell’appalto - Danni derivati a terzi - Responsabilità del committente - Colpa
“in eligendo” e di omesso controllo - Artt. 2043 e 2049 c.c. - Immobile
dichiarato di interesse storico-artistico - Demolizione non autorizzata -
Fattispecie - Art. 160 D. Lgs. n. 42/2004. La responsabilità del committente
(nella specie il comune di Bitonto) per danni derivati a terzi dall’appalto non
si basa soltanto sull’art. 2049 c.c., secondo cui la particolare autonomia
contrattuale di cui gode l’appaltatore esclude la possibilità di configurare in
genere la esistenza di un rapporto di preposizione che giustificherebbe la
responsabilità del committente stesso (il quale non risponde, quindi,
normalmente, dei danni cagionati a terzi dall’appaltatore), ma si basa, in
talune ipotesi, come appunto quella in esame, sulla clausola generale
dell’art.2043 c.c.; e cioè sulla c.d. colpa “in eligendo”, potendo il
committente essere eccezionalmente corresponsabile in via diretta con
l’appaltatore per i danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’appalto.
Fattispecie: totale distruzione di un bene assoggettato a vincolo
storico-artistico. (conferma sentenze riunite del T.a.r. Puglia - Bari: Sezione
III nn. 00155/2005 e 01148/2007) Pres. Ruoppolo - Est. Cafini - Comune di
Bitonto (avv. Valla) c. Ministero per i beni e le attività' culturali
(Avvocatura generale dello Stato) ed altri. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI,
28/10/2010, Sentenza n. 7635
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Bene sottoposto a vincolo storico-artistico -
Totale distruzione - Responsabilità dell’ente - Criterio per la commisurazione
della sanzione pecuniaria - Esercizio di discrezionalità tecnica - Contestazione
- Presupposti - Irragionevolezza e illogicità - Art.160, c.4, D.Lgs n. 42/2004.
Ai sensi dell’art.160, comma 4, del D.Lgs n. 42/2004, qualora non sia
possibile la reintegrazione del bene protetto, il responsabile deve
corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa perduta o alla
diminuzione di valore subita dalla stessa (nella specie, totale demolizione
senza autorizzazione di un immobile sottoposto a vincolo storico-artistico per
lavori di allargamento della strada provinciale). Dal che la conseguenza che è
privo di fondamento il rilievo relativo all’asserita contraddittorietà e
l’illogicità della sanzione pecuniaria non sorretta dalla necessaria indicazione
delle ragioni di fatto e di diritto a base dell’asserita responsabilità del
Comune. Inoltre, in merito alla concreta determinazione del “quantum” della
sanzione pecuniaria irrogata, trattandosi di espressione di esercizio di
discrezionalità tecnica, essa può essere contestata soltanto per
irragionevolezza e illogicità. (conferma sentenze riunite del T.a.r. Puglia -
Bari: Sezione III nn. 00155/2005 e 01148/2007) Pres. Ruoppolo - Est. Cafini -
Comune di Bitonto (avv. Valla) c. Ministero per i beni e le attività' culturali
(Avvocatura generale dello Stato) ed altri. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI,
28/10/2010, Sentenza n. 7635
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N. 07635/2010 REG.SEN.
N. 02030/2005 REG.RIC.
N. 01963/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 2030 del 2005, proposto da:
comune di Bitonto, rappresentato e difeso dall'avv. Giacomo Valla, con domicilio
eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza 24;
contro
Ministero per i beni e le attività' culturali, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è per legge
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Siciliano Costruzioni S.r.l.;
Montagna Francesco Paolo, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Cantasano e
Livia Maria Veneziano, con domicilio eletto presso Giancarlo Perone in Roma, via
Gramsci, 20;
sul ricorso numero di registro generale 1963 del 2008, proposto da:
comune di Bitonto, rappresentato e difeso dall'avv. Giacomo Valla, con domicilio
eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza 24;
contro
Ministero per i beni e le attività' culturali;
Siciliano Costruzioni Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Piazza,
Raffaele Piazza e Domenico Schiavo, con domicilio eletto presso Pancrazio
Saccone in Roma, via Casilina 1748;
per la riforma, previa sospensione dell’esecuzione,
quanto al ricorso n. 2030 del 2005:
della sentenza del T.a.r. Puglia - Bari: Sezione III n. 00155/2005, resa tra le
parti, concernente DEMOLIZIONE NON AUTORIZZATA DI IMMOBILE DICHIARATO DI
INTERESSE STORICO-ARTISTICO.
quanto al ricorso n. 1963 del 2008:
della sentenza del T.a.r. Puglia - Bari: Sezione III n. 01148/2007, resa tra le
parti, concernente SANZIONE PECUNIARIA PER DEMOLIZIONE DI CHIESA MEDIEVALE.
Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
Visto l’appello incidentale della s.r.l. Siciliano Costruzioni;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2010, relatore il Cons. Domenico
Cafini, uditi per le parti gli avvocati Abbamonte (per l’avv. Valla) e Veneziano
nonché l’ avvocato dello Stato Pisana.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con decreto del direttore generale per i beni architettonici e il paesaggio
del Ministero per i beni e le attività culturali in data 9.7.2004 veniva
irrogata, nei confronti della società Siciliano Costruzioni s.r.l. e del comune
di Bitonto, la sanzione pecuniaria di € 516.456,9 in applicazione dell’art. 160
del D. Lgs. 22.1.2004, n. 42 per la totale demolizione, senza autorizzazione,
della “chiesetta rupestre di S. Aneta”, ubicata in agro di Bitonto, sottoposta a
vincolo storico-artistico con D.M. in data 2.10.1992.
2. Tale decreto veniva impugnato - con ogni atto presupposto, connesso e
consequenziale, tra cui la nota della Soprintendenza per i beni architettonici e
il paesaggio della Puglia 12.7.2004 n. 514 relativa alla comunicazione d’avvio
del procedimento per l’irrogazione della sanzione pecuniaria predetta - con due
distinti ricorsi, proposti innanzi al T.a.r della Puglia, Bari, dal comune di
Bitonto, da una parte, e dalla società Siciliano Costruzioni, dall’altra.
Il primo di essi (n. 2357 del 2004), avanzato dal comune anzidetto e affidato a
plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili,
veniva respinto con sentenza n. 155/2005, resa in forma abbreviata dall’adito
T.a.r. .
Con il secondo ricorso (n.2474 del 2004), proposto dalla s.r.l. Siciliano
Costruzioni - affidataria di lavori di allargamento della strada provinciale
Bitonto - Molfetta, eseguiti per conto del comune di Bitonto nell’ambito delle
opere di urbanizzazione del P.I.P., di zona D1, e riguardanti, tra l’altro, il
suolo in contrada S. Aneta, già appartenente al sig. Francesco Paolo Montagna
(in catasto al foglio 37 p.lla 779, derivante dal frazionamento della p.lla 661,
quest’ultima derivata a sua volta dal frazionamento della originaria p.lla 236)
- venivano impugnati gli stessi atti sopra descritti, in quanto ritenuti
illegittimi per violazione e falsa applicazione dell’art. 160 D.Lgs. n. 42/2004
ed eccesso di potere sotto più profili.
Anche tale ricorso era respinto dal T.a.r. della Puglia, Bari Sez. III, con
sentenza n.1148 del 2007, “salvo il riconoscimento dell’errore di calcolo della
misura complessiva della sanzione, come indicata in € 516.456,9 anziché nella
diversa somma di € 468.811,20”.
3. Avverso la predetta
sentenza n.155/2005 ha proposto appello - con richiesta di sospensiva - il
comune di Bitonto (n.2030 del 2005), il quale, in estrema sintesi, ha dedotto:
che sarebbe contraddittoria e
irrazionale la gravata pronuncia, perché, in particolare, la sanzione pecuniaria
contestata non sarebbe sorretta dalla necessaria indicazione delle ragioni di
fatto e di diritto a base dell’asserita responsabilità del comune stesso; che,
allo stato, non vi sarebbero state prove in ordine all’addebitabilità del fatto
illecito alla società appaltatrice dei lavori sopra menzionati, diversamente da
quanto presupposto dall’Amministrazione statale e statuito dal T.a.r.; che il
comune medesimo non si sarebbe potuto ritenere, comunque, responsabile
dell’accaduto, in quanto all’epoca dei fatti che avevano determinato l’adozione
degli atti impugnati in primo grado, non era proprietario del bene vincolato e
non ne aveva la materiale disponibilità; che, infine, il decreto impugnato
sarebbe contestabile anche nella parte concernente la concreta determinazione
del “quantum” della sanzione pecuniaria irrogata.
Nelle conclusioni il comune di Bitonto ha chiesto l’accoglimento dell’appello
con conseguente riforma della sentenza impugnata ed annullamento degli atti
contestati in primo grado.
Ricostituitosi il contraddittorio nell’attuale fase giudiziale, il sig.
Francesco Paolo Montagna ha replicato, con un’articolata memoria, ai motivi
dell’appello, concludendo per la reiezione del gravame, dopo avere chiesto la
propria estromissione del giudizio, essendo stato “impropriamente” coinvolto
nella controversia de qua dal Comune ricorrente.
Anche la parte appellante ha depositato memorie, insistendo per l’accoglimento
del ricorso.
Con ordinanza in data 16.5.2005 l’istanza cautelare è stata accolta e, per
l’effetto, è stata sospesa l’efficacia della gravata pronuncia.
4. Avverso l’altra sentenza del T.a.r. della Puglia, Bari, (n.1148 del 2007), il
comune di Bitonto ha proposto, previa sua sospensione, un ulteriore appello
(n.1963 del 2008), prospettando, a sostegno del gravame, censure in gran parte
analoghe a quelle formulate nel precedente appello.
Più precisamente, l’ente appellante ha dedotto, in sintesi: che, mancando ogni
prova circa la contestata demolizione del bene vincolato da parte della soc.
Siciliano Costruzioni, la sanzione irrogata, in assenza di prove circa la
effettiva sussistenza di fatti materiali e del relativo autore, non avrebbe
potuto trovare giustificazione in un mero sospetto di qualsivoglia condotta
illecita; che il T.a.r. avrebbe colmato l’evidente difetto di motivazione del
provvedimento impugnato fornendo la presunta giustificazione della sanzione, con
diretto apprezzamento dei fatti e degli elementi istruttori; che sarebbe erronea
la statuizione della gravata decisione secondo cui “il complesso degli elementi
fattuali implica(va) l’inevitabile riconducibilità delle operazioni di
spianamento del suolo e delle emergenze esistenti sul medesimo soggetto munito
di mezzi meccanici necessari e altresì interessato alla realizzazione del
sottofondo funzionale a successivi lavori”, soggetto identificabile con la
società appaltatrice dell’opera pubblica”, atteso che nella specie sarebbero
stati valutati dai primi giudici soltanto meri elementi indiziari; che, infine,
la concreta determinazione della misura della sanzione irrogata sarebbe stata
illegittima sotto più profili, come denunciato in primo grado.
Il comune ricorrente ha concluso, quindi, per l’accoglimento del proposto
gravame, con conseguente riforma della sentenza impugnata e annullamento dei
provvedimenti impugnati in prime cure.
4.1. Avverso la stessa sentenza n. 1148/2007 del T.a.r. Puglia, Bari, ha
interposto appello incidentale la s.r.l. Siciliano Costruzioni, che ne ha
chiesto l’annullamento, dopo avere dedotto i seguenti motivi: “violazione delle
norme sul procedimento; errores in judicando; difetto di motivazione;
contraddittorietà; perplessità; inesistenza dei presupposti di fatto e di
diritto; travisamento; sviamento; ingiustizia manifesta; irrazionalità”. La
medesima società ha pure riproposto i motivi già formulati nel giudizio di primo
grado, ossia; “violazione e falsa applicazione dell’art.160 D.Lgs. n.42/2003;
eccesso di potere (per errore sui presupposti di fatto e di diritto e
conseguente travisamento; difetto di istruttoria e di motivazione)”.
Ha sostenuto, in sintesi, l’appellante incidentale l’erroneità della sentenza
impugnata per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle indicate nell’appello
principale, evidenziando, in particolare, che la gravata pronuncia sarebbe
fondata “sulla indimostrata asserzione della responsabilità della Siciliano
Costruzioni s.r.l. e dell’avvenuta distruzione del bene storico-artistico
tutelato”, circostanza questa che non aveva “trovato alcun concreto riscontro”,
e chiedendo, nelle conclusioni, l’annullamento della contestata decisione.
Alla camera di consiglio del 6 maggio 2008 l’esame dell’istanza di sospensione è
stata rinviata al merito.
5. Con pronuncia interlocutoria n.1824/2010 in data 31.3.2010 questo Consiglio
di Stato, Sezione VI - dopo avere riunito i ricorsi in appello n.2030 del 2005 e
n. 1963 del 2008, sopra specificati, ai fini di un’unica decisione, essendo
soggettivamente ed oggettivamente connessi - ha ritenuto, in via preliminare,
che, ai fini del decidere, fosse necessario acquisire dall’Amministrazione per i
beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e per il
paesaggio di Bari e Foggia, una relazione che indicasse, con ogni altro atto o
chiarimento ritenuto utile ai fini della soluzione della controversia, le
eventuali risultanze in esito al procedimento penale nei confronti delle otto
persone indagate, alle quali era stato inviato - come da comunicazione della
Soprintendenza predetta n.5232 del 12.9.2006, depositata agli atti di causa -
apposito avviso di garanzia, in quanto ritenute responsabili a vario titolo: di
“concorso in danneggiamento e demolizione di un monumento sottoposto a vincolo,
con l’aggravamento dell’occultazione dei conci rinvenienti dall’abbattimento”;
per aver “omesso di sottoporre alla Soprintendenza ai beni architettonici della
Puglia i progetti esecutivi delle opere a realizzarsi nella zona vincolata”;
“omesso la denuncia di trasferimento di proprietà dei beni sottoposti a vincolo
al Ministero per i beni e le attività culturali” e, infine,”per falso in atto
pubblico”, secondo quanto specificamente segnalato dalla Regione Carabinieri
Puglia, Reparto territoriale di Bari con nota n.010880/B/ set/2005.
In relazione a tale decisione istruttoria, l’Amministrazione per i beni e le
attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio
di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia, ha trasmesso, in data 24.5.2010, alla
Segreteria della Sezione una nota con la quale è stato comunicato che il Comando
Nucleo Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, avente sede presso la
Soprintendenza medesima, aveva fatto presente che il procedimento penale
n.1343/03 RGNR istruito dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Bari “era allo stato ancora nella fase delle indagini preliminari”.
Con ulteriori memorie le parti hanno, successivamente, ribadito le rispettive
tesi e conclusioni.
6. I ricorsi in esame, come sopra riuniti, infine, sono stati assunti in
decisone nella pubblica udienza dell’8 giugno 2010.
DIRITTO
1 Costituisce l’oggetto della controversia in esame, riferita ai sopra indicati
appelli già riuniti con decisione n. 1824 del 2010, le sentenze in epigrafe
specificate del T.a.r. della Puglia, sede di Bari, con le quali sono stati
respinti i ricorsi proposti dal comune di Bitonto e dalla società Siciliano
Costruzioni s.r.l. avverso il decreto del direttore generale per i beni
architettonici e il paesaggio del Ministero per i beni e le attività culturali
in data 9.7.2004, volto ad irrogare, nei confronti della società. e del comune
anzidetti, la sanzione pecuniaria di € 516.456,9 in applicazione dell’art. 160
del D. Lgs. 22.1. 2004, n. 42 per la totale demolizione senza autorizzazione di
un immobile (“chiesetta rupestre di S. Aneta”), sito nel territorio comunale di
Bitonto e sottoposto a vincolo storico-artistico in data. 2.10.1992.
Decreto ministeriale che era stato, appunto, contestato dalle parti ricorrenti,
unitamente ad ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, compresa la nota
della Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio della Puglia n.
514 del 12.2004, di comunicazione dell’avvio del procedimento per l’irrogazione
della sanzione suddetta nei confronti del comune di Bitonto e della s.r.l.
Siciliano Costruzioni, affidataria dei lavori di allargamento della strada
provinciale Bitonto -Molfetta, (eseguiti per conto del detto comune nell’ambito
delle opere di urbanizzazione del P.I.P., di zona D1, e riguardanti, tra
l’altro, il suolo in contrada S. Aneta, in catasto al foglio 37 p.lla 779,
derivante da frazionamento, alla partita 6999, della p.lla 661, derivata s sua
volta dal frazionamento della originaria p.lla 236 (p.lla 661, su cui si
trovavano appunto i ruderi della chiesetta rupestre in questione, inclusa,
insieme ad altre aree già appartenenti al sig. Francesco Paolo Montagna, nel
piano di espropriazione a causa di pubblica utilità per il completamento delle
opere di urbanizzazione nell’indicato P.I.P.).
2. Prima di prendere in considerazione i singoli rilievi mossi negli appelli in
esame, giova far presente che i ruderi della “chiesetta rupestre di S. Aneta”
erano stati sottoposti a vincolo diretto con D.M. in data 2.6.1992 e che l‘area
pertinenziale relativa (di forma quadrata, con m. 40 di lunghezza. per ogni
lato) era stata, con altro D.M. in pari data, assoggettato a vincolo indiretto,
risultando dalla documentazione allegata ai detti decreti, che, oltre ai ruderi
accennati - costituiti dalla parte absidale limitata da un arcata e da due
pareti laterali - era stata assoggettato a vincolo l’intero terreno circostante
(confinante con la residua parte della particella n. 236 - poi n.661- , con la
particella 125 e con la strada provinciale Bitonto - Molfetta).
Infatti, come evidenziato dal T.a.r., almeno una parte della fascia della
particella n. 661, sottoposta ad espropriazione per l’allargamento della
menzionata strada provinciale, coincideva con l’area pertinenziale del bene
culturale di cui trattasi sottoposta al vincolo indiretto; peraltro, dal piano
particellare di esproprio (in scala 1:2000), depositato agli atti del giudizio,
risultava che la particella 661 (già 236) era interessata alla procedura
ablatoria per una fascia dell’estensione di 350 mq., con la sua intera lunghezza
sul fronte strada, che comprendeva anche la porzione (di 40 ml. di lunghezza e
40 ml. di profondità) dell’area di pertinenza del bene culturale assoggettata al
vincolo indiretto; in ogni caso, la menzionata chiesetta risultava individuata
pure (con apposito segno grafico e indicazione “chiesa rurale di S. Aneto sec.
XII”), nella planimetria catastale con viabilità di piano particolareggiato di
esecuzione in scala 1:1000 tavola 2, risalente all’ottobre 1999.
In definitiva dalla documentazione predetta emergono elementi di indubbio valore
e che appaiono determinanti ai fini dell’esame dei rilievi mossi dal comune di
Bitonto; mentre - atteso il maggior dettaglio della scala di rappresentazione
(1:100) e della specificità delle funzioni della planimetria catastale - nessuna
valida indicazione nel senso della pregressa intervenuta demolizione in epoca
anteriore all’avvio dei lavori di allargamento della strada provinciale, può
trarsi, come correttamente osservato dai primi giudici, dalla circostanza che la
“chiesetta rupestre” in questione non fosse evidenziata nella più generica
rappresentazione grafica, in scala maggiore, di cui al rilievo
aerofotogrammetrico dell’anno 2000 o, addirittura, in quella, di ancor minore
dettaglio del successivo rilievo aerofotogrammetrico del 2004, posteriore,
comunque, alla distruzione del bene culturale in questione, sicché deve
concludersi che la documentazione prodotta dal comune di Bitonto appare
certamente non idonea a sostenere la tesi esposta di una demolizione avvenuta
precedentemente ad opera d’ignoti in periodo anteriore agli anni 2000 o 2004.
D’altra parte, quanto sostenuto dal comune ricorrente (e anche dall’appellante
incidentale) appare chiaramente smentito dal telegramma-denuncia in data
28.8.2002 del Dirigente dell’ufficio tecnico comunale, che presuppone la
cognizione da parte del medesimo della esistenza nell’area in questione dei
menzionati ruderi della chiesetta di S. Aneta, telegramma con cui viene
denunciata, appunto, l’avvenuta demolizione del bene culturale in questione, con
contestazione e sospensione delle opere, e che conferma indirettamente che,
almeno al momento del verbale di consegna del 23.7.2002, i “ruderi” in parola
erano ancora esistenti nell’area in cui dovevano eseguirsi i lavori appaltati
alla società Siciliano Costruzioni.
3. Ciò posto, il Collegio, analizzando la vicenda oggetto della controversia -
da valutare allo stato degli atti, di per sé comunque sufficienti ai fini della
decisione nonostante che dall’eseguita istruttoria non si siano potuti trarre
gli ulteriori elementi richiesti all’Amministrazione ai fini di una più
approfondita cognizione del quadro fattuale - può passare all’esame dei singoli
motivi posti a sostegno dei ricorsi in epigrafe indicati.
In proposito, le censure svolte dal comune appellante e dalla società appellante
incidentale, dirette ad inficiare le statuizioni dei primi giudici, possono così
sintetizzarsi:
a) sarebbe contraddittoria e irrazionale la gravata pronuncia, perché, in
particolare, la sanzione pecuniaria contestata sarebbe priva della necessaria
indicazione delle ragioni di fatto e di diritto a base dell’asserita
responsabilità del comune stesso; peraltro il T.a.r. avrebbe colmato l’evidente
difetto di motivazione del provvedimento impugnato fornendo la presunta
giustificazione della sanzione, con diretto apprezzamento dei fatti e degli
elementi istruttori, valicando così i confini del proprio sindacato
giurisdizionale;
b) sarebbero mancate nella specie adeguate prove in ordine all’addebitabilità
del fatto illecito alla società appaltatrice dei lavori sopra menzionati,
diversamente da quanto presupposto dall’Amministrazione statale e statuito dal
T.a.r.; più specificamente non vi sarebbe stata alcuna prova in ordine al fatto
che la contestata demolizione del bene vincolato fosse stata compiuta dalla
società Siciliano Costruzioni s.r.l., né, d’altronde, sarebbe stato chiarito nel
provvedimento impugnato sulla base di quali elementi di fatto l’Amministrazione
avesse ritenuto di addebitare la responsabilità dell’illecito alla società
anzidetta;
c) il comune di Bitonto non si sarebbe potuto ritenere, comunque, responsabile
dell’accaduto, in quanto all’epoca dei fatti che avevano dato luogo all’adozione
degli atti impugnati in primo grado, non era proprietario del bene vincolato e
non ne aveva la materiale disponibilità;
d) sarebbe, peraltro, erronea la statuizione della gravata decisione secondo cui
“il complesso degli elementi fattuali implica(va) l’inevitabile riconducibilità
delle operazioni di spianamento del suolo e delle emergenze esistenti sul
medesimo a soggetto munito di mezzi meccanici necessari e altresì interessato
alla realizzazione del sottofondo funzionale a successivi lavori e tale soggetto
non poteva che identificarsi con la società appaltatrice dell’opera pubblica”;
e) la concreta determinazione della misura della sanzione irrogata, infine,
sarebbe illegittima sotto più profili, come denunciato in primo grado, in
particolare il decreto impugnato sarebbe contestabile nella parte concernente la
concreta determinazione del “quantum” della sanzione pecuniaria irrogata, avendo
l’Amministrazione statale “arbitrariamente e in violazione dell’art.160 del D.Lgs. n.42/2004 aggiunto alla sanzione (valore della cosa perduta) il costo di
ricostruzione integrale dell’immobile demolito”.
4. Le censure, come sopra riassunte, non possono essere condivise.
4.1. Innanzi tutto va rilevato, in linea generale, che la responsabilità del
committente (nella specie il comune di Bitonto) per danni derivati a terzi
dall’appalto non si basa soltanto sull’art. 2049 c.c., secondo cui la
particolare autonomia contrattuale di cui gode l’appaltatore esclude la
possibilità di configurare in genere la esistenza di un rapporto di preposizione
che giustificherebbe la responsabilità del committente stesso (il quale non
risponde, quindi, normalmente, dei danni cagionati a terzi dall’appaltatore), ma
si basa, in talune ipotesi, come appunto quella in esame, sulla clausola
generale dell’art.2043 c.c.; e cioè sulla c.d. colpa “in eligendo”, potendo il
committente essere eccezionalmente corresponsabile in via diretta con
l’appaltatore per i danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’appalto.
In applicazione di tale principio, di cui va tenuto conto nell’esame, in
particolare, dei rilievi mossi ai punti 3 a) e 3 b) che precedono, deve
ritenersi, dunque, effettivamente sussistente nella specie la responsabilità
riconosciuta in capo al comune di Bitonto dall’Amministrazione statale e, poi,
dai primi giudici in conseguenza dei danni derivati a terzi in sede di
esecuzione dell’appalto affidato, a seguito di apposita gara, alla s.r.l.
Siciliano Costruzioni, dallo stesso comune.
Va rilevato, inoltre, che il comune ricorrente, nell’escludere la propria
responsabilità quale stazione appaltante, non sembra contestare, in effetti, che
la distruzione della “chiesetta rupestre S.Aneta”, assoggettata a vincolo
storico-artistico, sia stata determinata dalla società appaltatrice suddetta,
ritenuta nel ricorso originario“responsabile materiale della demolizione
contestata”, avendo operato “senza alcun collegamento con il progetto delle
opere da eseguire” e avendo invaso l’area in cui si trovava il bene vincolato
con i propri mezzi meccanici (si veda al riguardo, in particolare, la denuncia
di demolizione del Dirigente dell’ufficio tecnico comunale del 28.8.2002, con
contestazione e sospensione delle opere, denuncia che dà pure dimostrazione che
poco prima di quel momento i “ruderi” in parola erano ancora esistenti nell’area
in cui venivano svolti i lavori appaltati alla società Siciliano Costruzioni).
Circostanza questa che, peraltro, non fa venir meno la responsabilità dell’ente
appaltante per la violazione del principio del “neminem laedere”, il quale
incombe, come sopra accennato, sul comune di Bitonto, quale stazione che nella
specie ha conferito l’esecuzione delle opere di allargamento stradale in area
adiacente a quella in cui era situato il bene vincolato (si veda al riguardo, in
particolare, il verbale di consegna dei lavori in data 23.7.2008 alla s.r.l.
Siciliano Costruzione in cui il comune anzidetto assume vari obblighi),
affidandolo in definitiva ad una impresa poi risultata inidonea ad eseguire i
lavori stessi senza determinare danni gravissimi al patrimonio culturale di che
trattasi, responsabilità “in eligendo”, quindi, esistente in capo all’ente
medesimo per il danno verificatosi al patrimonio indisponibile dello Stato, in
conseguenza del mancato suo necessario controllo prima e nel corso
dell’esecuzione dei lavori nei confronti della società predetta, controllo nella
specie ancor più indispensabile a causa del pregio particolare del bene oggetto
di tutela.
Il comune ricorrente non può dunque validamente sostenere nel caso in esame la
mancanza di ogni sua responsabilità per il fatto che la distruzione del bene
vincolato di cui trattasi sarebbe derivato dalla occupazione abusiva del suolo
su cui sorgeva la “chiesetta rupestre di S.Aneta”, suolo che non era interessato
dal progetto approvato; e ciò in quanto lo stato dei luoghi nel caso in esame
imponeva certamente, come evidenziato dal T.a.r., l’attenzione massima da parte
dell’ente stesso nel segnalare preventivamente all’impresa appaltatrice la
presenza, nella zona di esecuzione dei lavori in questione, del detto bene
vincolato.
Quanto alla doglianza prospettata al suddetto punto 3 a), il Collegio deve
osservare, peraltro, come non sia censurabile la contestata sentenza, in quanto
il provvedimento impugnato in prime cure risulta adeguatamente motivato,
indicando chiaramente il titolo di responsabilità a cui l’ente odierno
appellante era chiamato a rispondere, ossia il richiamo all’art.160, comma 4,
del D.Lgs n. 42/2004, secondo cui, qualora non sia possibile la reintegrazione
del bene protetto, il responsabile deve corrispondere allo Stato una somma pari
al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla stessa;
dal che la conseguenza che va ritenuto privo di fondamento il rilievo, ribadito
negli attuali appelli, relativo all’asserita contraddittorietà e l’illogicità,
perché, in particolare, la contestata sanzione pecuniaria non sarebbe sorretta
dalla necessaria indicazione delle ragioni di fatto e di diritto a base
dell’asserita responsabilità del Comune stesso.
Pertanto, vanno disattese, in conclusione, entrambe le censure dedotte ai punti
3 a) e 3 b) sopra specificati.
4.2. Circa l’assunto che il comune di Bitonto non era ancora proprietario del
bene al momento della demolizione (avendo stipulato solo in data 24.10.2002
l’atto pubblico di cessione volontaria, in epoca quindi successiva alla denuncia
di demolizione del 28.8.2002), sicché non vi sarebbe alcuna responsabilità a suo
carico (v. punto 3 c che precede), il Collegio deve ritenere che anch’esso sia
privo di pregio.
Infatti, quanto al titolo di proprietà, il bene vincolato di cui trattasi, al
momento della sua demolizione, risultava già acquisito, come evidenziato dal
T.a.r., al patrimonio comunale, essendosi perfezionata (con delibera 23.7.2001
n.243, dichiarata urgente il 24.7.2001, della G.M.- ove veniva indicata
specificamente la particella 661 sopra menzionata - a seguito della quale è
stato corrisposto al sig. Montagna l’acconto dell’80% sul prezzo di cessione
volontaria) la cessione bonaria, ai sensi dell’art.12, L.. 21.10.1971, n.865,
del suolo interessato dall’allargamento stradale in questione da parte del
proprietario espropriando sig. Francesco Paolo Montagna; cessione volontaria
attraverso cui è stato consentito dal legislatore, in materia di espropriazione
di per pubblica utilità, la sostituzione dell’intervento autoritativo della P.A.
con uno strumento di carattere negoziale.
Ne deriva che la delibera di G.M. sopra menzionata è atto certamente idoneo a
manifestare l’accettazione della proposta di cessione volontaria del suolo da
parte del sig. Montagna perché proveniente da organo che poteva impegnare
validamente il comune di Bitonto, per cui è proprio da quel momento che il
comune stesso è divenuto proprietario del bene, essendo il successivo atto
pubblico meramente riproduttivo dell’accordo contrattuale di cui alla detta
deliberazione.
La responsabilità dell’amministrazione comunale, in ogni caso, sussisteva
qualunque fosse il titolo del suo possesso, essendo destinatari dell’art.160
cit., come ricordato dai primi giudici, tutti coloro che hanno un rapporto
qualificato con il bene vincolato e potendo quindi l’Amministrazione statale
ordinare la riduzione in pristino a “chiunque” trasgredisse le disposizioni
contenute nella legge stessa; sicché destinatari del provvedimento di riduzione
in pristino, a causa dell’ampiezza della formula usata dal legislatore, devono
ritenersi tutti coloro che hanno un rapporto qualificato col bene, siano essi
proprietari, possessori o detentori dei terreni stessi.
Sulla base delle considerazioni che precedono, non è suscettibile, quindi, di
positiva valutazione nemmeno il motivo ora esaminato, di cui al punto 3 c) sopra
specificato.
4.3. In relazione, poi, al rilievo con cui si deduce nuovamente l’illegittimità
della concreta determinazione della misura della sanzione irrogata, in
particolare perché il decreto impugnato sarebbe contestabile nella parte
concernente la concreta determinazione del “quantum” della sanzione pecuniaria
irrogata (v motivo sopra indicato alla lett.3 e)), il Collegio deve rilevare
che, trattandosi di espressione di esercizio di discrezionalità tecnica, essa
può essere contestata soltanto per irragionevolezza e illogicità, vizi questi
non presenti nel caso in questione, e che comunque, la sanzione irrogata nella
specie appare congrua in relazione alla lesione arrecata al patrimonio statale
nei limiti indicati dal Giudice di primo grado.
Non sussiste, pertanto, nel caso in esame il rilievo prospettato da parte
appellante secondo cui l’operato dell’Amministrazione si sarebbe svolto
“arbitrariamente e in violazione dell’art.160 del D.Lgs. n.42/2004”, non avendo
pregio l’assunto riferito all’entità della sanzione pecuniaria, determinata,
come osservato dal Giudice di prime cure, in funzione del costo ipotetico di
ricostruzione dell’immobile distrutto e del valore della cosa perduta
ragguagliata al valore non inferiore di edificio realizzabile al suo posto,
salva la rettificazione della misura della sanzione operata dallo stesso
Giudice.
4. 5. Infine, prendendo in considerazione la censura di cui al punto 3 d)
summenzionato, il Collegio deve rilevare che, appare evidente, dalla
documentazione acquisita agli atti del giudizio, che la s.r.l. Siciliano
costruzioni aveva ottenuto la consegna dei lavori nel giorno 23.7.2002 (come
dall’apposito verbale sopra specificato) ed era da quel momento responsabile
dell’intera esecuzione dei lavori da svolgere nell’intera area assegnata.
Il fatto constatato e contestato, dopo circa un mese dopo tale consegna, dal
direttore dell’ufficio tecnico comunale, con telegramma del 28.8.2002, con
riguardo alla distruzione della chiesetta rupestre in questione, dunque, non può
che essere considerato imputabile e comunque rientrante nell’ambito della sfera
di responsabilità dell’impresa esecutrice dei lavori, oltre che in quella del
comune appaltante (a titolo, in particolare di colpa “in eligendo” e di omesso
controllo); e ciò a prescindere dall’accertamento puntuale dei fatti imputabili
ai singoli soggetti in ordine ai quali risultano ancora in fase preliminare gli
accertamenti di cui al relativo procedimento penale.
Da ciò, dunque, l’ascrivibilità nella specie alla società Siciliano Costruzioni
del fatto addebitato e posto alla base del decreto d’irrogazione della sanzione
pecuniaria, essendo esso basato su risultanze di assoluto rilievo, quali, come
già evidenziato dal Giudice di prime cure: l’invio della nota telegrafica in
data 28.8. 2002, con cui dirigente comunale summenzionato, nel denunciare
l’intervenuta demolizione della chiesetta rupestre alla Soprintendenza per i
beni architettonici e il paesaggio della Puglia, la contestava direttamente e
senza alcun indugio all’impresa esecutrice dell’appalto, sospendendo
l’esecuzione delle opere in corso; la relazione dei funzionari della
Soprintendenza in data 30.8.2002, relativa all’esito del sopralluogo svoltosi
alla presenza anche di un vigile urbano, relazione in cui si faceva presente,
tra l’altro, che, oltre alla evidente demolizione, risultavano portate via “le
macerie e quindi tutto il materiale demolito, lasciando sul terreno i segni di
ruote cingolate in manovra con abbassamento della quota di calpestio di almeno
60 cm.” e si evidenziava, altresì,che “i pochi materiali lapidei superstiti di
grosse dimensioni e di notevole peso erano semiricoperti dal terreno rimosso”;
infine, la documentazione fotografica (unita alla medesima relazione) da cui
emergeva il completo “spianamento” del suolo a confine con la strada
provinciale, e quindi sia dell’area pertinenziale del bene culturale di cui
trattasi che dell’area di sedime della menzionata chiesa rurale in questione.
In definitiva, gli elementi anzidetti, come sottolineato dal T.a.r., rendono
ragione delle modalità di verificazione dei fatti, ricollegandoli ad evidenti
operazioni, con mezzi meccanici, di spianamento del suolo e delle emergenze
insistenti sul medesimo, preparatorie rispetto ai lavori di allargamento della
strada provinciale Bitonto-Molfetta, come del pari è significativo che lo
spianamento non presenta soluzioni di continuità lungo il fronte della strada,
laddove l’abbassamento della quota di campagna pure si ricollega in modo
inequivoco alle esigenze dei lavori di ampliamento dell’opera pubblica e di
preparazione del suo sottofondo.
Elementi questi che - come correttamente ritenuto dai primi giudici con
argomentazioni che le censure mosse al riguardo negli odierni appelli non
appaiono scalfire - implicano la riconducibilità delle operazioni di spianamento
del suolo e delle emergenze insistenti sul medesimo soggetto munito dei mezzi
meccanici necessari e altresì interessato alla realizzazione della sistemazione
del sottofondo funzionale a successivi lavori, soggetto questo da identificarsi
nella stessa società appaltatrice dell’opera pubblica esistente “in loco”.
5.. In conclusione, il Collegio deve ritenere che le statuizioni delle sentenze
appellate non siano inficiate dai rilievi mossi nei ricorsi del comune di
Bitonto e in quello incidentale della soc. Siciliano Costruzioni e che, di
conseguenza, esse debbano ottenere conferma, unitamente alla pronuncia di
estromissione dal giudizio del sig. Montagna.
Gli appelli in esame devono essere, pertanto, respinti, con conseguente conferma
delle impugnate sentenze.
Quanto alle spese del giudizio, sussistono giusti motivi, in relazione alla
particolarità della controversia, per disporne, tra le parti in causa, la
integrale compensazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione VI, definitivamente
pronunciando sui ricorsi in epigrafe specificati, così dispone:
- respinge gli appelli principali, come sopra riuniti, del comune di Bitonto;
- respinge l’appello incidentale della s.r.l. Siciliano Costruzioni;
- compensa integralmente, tra le parti, le spese di giudizio;
- ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2010 con
l'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Luciano Barra Caracciolo, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Domenico Cafini, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/10/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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