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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 15 novembre 2010, Sentenza n. 8049


RIFIUTI - Smaltimento e recupero - Autorizzazione - Inadempienze - Procedura ex art. 28, c. 4 d.lgs. n. 22/97 (oggi art. 208, c. 13 d.lgs. n. 152/2006) - Contestazione, sospensione e revoca.
La procedura di cui all’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997 (oggi art. 208, c. 13 d.lgs. n. 152/2006)- in materia di inadempienze, rilevate in operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti - prevede una fase di contestazione delle inadempienze stesse, accompagnata da sospensione dell’autorizzazione al riguardo rilasciata e preceduta da diffida, nonchè successiva revoca di tale autorizzazione, che si configura come atto dovuto in caso di verificata assenza di ripristino dello stato dei luoghi nei modi prescritti. Pres. Severini, Est. De Michele - F. s.p.a. (avv.ti Bertinelli Terzi, Casellato e Cecconi) c. Provincia di Pesaro e Urbino (avv. Valentini), Comune di Fano (avv.ti Isotti e Reboa) e altri (n.c.) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 15 novembre 2010, n. 8049
 


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REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


N. 08049/2010 REG.SEN.
N. 06574/2006 REG.RIC.


Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)


ha pronunciato la presente


SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 6574 del 2006, proposto da:
Fornaci Laterizi Solazzi Spa, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Bertinelli Terzi, Adriano Casellato e Giuliano Cecconi, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, viale R. Margherita 290;


contro


Provincia di Pesaro e Urbino, Dirigente Settore VI-Ambiente, rappresentati e difesi dall'avv. Aldo Valentini, con domicilio eletto presso l’avv.Guido Romanelli in Roma, via Pacuvio, 34; Comune di Fano, rappresentato e difeso dagli avvocati Manuela Isotti e Romolo Reboa, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Flaminia 213; Agenzia Regionale Protezione Ambientale Marche-Arpam, Ditta Gennari Soluzioni Ambientali Srl;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Societa' Gennari Soluzioni Ambientali Srl, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Acquarone, Lorenzo Acquarone, Giovanni Candido Di Gioia, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, piazza Mazzini, 27;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA: SEZIONE I n. 00041/2006, resa tra le parti, concernente REVOCA AUTORIZZAZIONE ATTIVITA' DI CAVA E ORDINE DI RIPRISTINO AMBIENTALE

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2010 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Casellato, Del Vecchio per delega dell’avv. Valentini, Trivelli per delega dell’avv. Reboa e Di Gioia.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO


Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, sez. I, n. 41/06 del 7.2.2006 venivano respinti due ricorsi riuniti, proposti dalle società Fornaci Laterizi Solazzi s.p.a. e Gennari Soluzioni Ambientali s.r.l., avverso la revoca (con provvedimento n. 139 del 22 gennaio 2004) – e relativi atti presupposti (fra cui l’ordinanza n. 6 del 23 dicembre 2002, di sospensione dei lavori avviati) – dell’approvazione di un progetto di sistemazione ambientale, riferito ad un’area di cava d’argilla in località Carrara di Fano, nonché avverso la successiva ordinanza n. 96 del 14 aprile 2004, di rimozione e trasporto dei rifiuti depositati nell’area di cava, con avvio delle operazioni per il relativo recupero o smaltimento. Nella sentenza si rilevava come fosse stata accertata – previa verificazione in contraddittorio fra le parti – la non avvenuta miscelazione dei rifiuti con terra, con persistente presenza di strati omogenei e sovrapposti di materiali, senza messa in riserva di quelli pregiudizievoli per l’ambiente; quanto, poi, ai vizi di procedura prospettati, veniva in primo luogo rilevata la tardività dell’impugnativa, riferita all’ordinanza di sospensione n. 6 del 23 dicembre 2002, con conseguente inammissibilità della censura di omessa preventiva diffida, ex art. 28, c. 4, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (trattandosi di adempimento prescritto, appunto, in vista della sospensione e non anche della revoca dell’autorizzazione regionale). Ugualmente infondata, inoltre, era ritenuta la censura di violazione dell’art. 7 l. n. 241 del 1990, per omessa comunicazione di avvio del procedimento di revoca, potendo tale comunicazione ritenersi sostituita dall’ordinanza di sospensione ed avendo, comunque, le società interessate partecipato ai sopralluoghi effettuati e presentato osservazioni, esaminate in sede di conferenza dei servizi. Quanto alla mancata partecipazione delle medesime società alle conferenze di servizi in data 3 luglio 2003 e 3. dicembre 2003, si sarebbe trattato di adempimento non previsto dall’art. 27 del d.lgs. n. 22 del 1997, tanto che, in effetti, la convocazione di dette conferenze sarebbe stata effettuata a norma dell’art. 14, comma 1, della legge n. 241 del 19990, senza alcun obbligo di convocazione delle società in questione (le cui osservazioni sarebbero state comunque esaminate). L’incontestata omessa rimozione dei rifiuti, accumulati nella parte alta dell’area di cava, avrebbe infine giustificato di per sé la revoca, con assorbimento di altre ragioni difensive prospettate.

Avverso la sentenza sopra sintetizzata veniva proposto dalla società Fornaci Laterizi solazzi s.p.a. (con intervento ad adiuvandum della società Gennari Soluzioni Ambientali s.r.l.) l’atto di appello in esame, notificato in data 1 luglio 2006 e depositato il 26 luglio 2006, nel quale venivano ribadite le seguenti argomentazioni difensive:

1) erronea applicazione dell’art. 28, comma 4 del d.lgs. n. 22 del 1997 e dei principi generali in materia di procedimento amministrativo; violazione dell’art. 7 l. n. 241 del 1990 e dei principi in materia di trasparenza amministrativa; errata interpretazione e applicazione degli articoli 27 comma 2 e 28 comma 4 del d.lgs. n. 22 del 1997 nonché dell’art. 24, comma 3 della legge regionale delle Marche n. 28 del 1999; violazione del principio del “contrarius actus”; difetto di motivazione, in considerazione dell’omessa prescritta diffida, quale vizio dell’intera sequenza procedimentale, culminante nella revoca; quanto sopra, anche in considerazione della diversità delle ragioni, poste a fondamento della sospensione e della revoca, rispondendo la prima a contestata miscelazione dei rifiuti (con conseguenti difficoltà di controllo) e rapportandosi la seconda ad alcune irregolarità, concernenti la miscelazione dei rifiuti con terra e la mancata rimozione dei rifiuti miscelati, ancora presenti nella parte più elevata della cava (una diversità di motivazioni – quella sopra evidenziata – che avrebbe comportato la necessità di nuova diffida e nuovo atto di sospensione). Il principio di leale collaborazione, previsto come regola nei rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione, avrebbe inoltre imposto nel caso di specie la comunicazione di avvio del procedimento. Dal momento, poi, che l’art. 27, comma 2 del d.lgs. n. 22 del 1997 e l’art. 24, comma 3 della l.r. Marche. n. 28 del 1999 prevedono la partecipazione alla conferenza dei servizi, convocata in vista del rilascio delle autorizzazioni di cui trattasi, dei soggetti richiedenti le autorizzazioni stesse, detta partecipazione non avrebbe potuto non ritenersi prescritta – in base al principio del “contrarius actus” – anche per la conferenza di servizi, convocata per valutare i presupposti di eventuali revoche dei titoli abilitativi in questione;

2) incongruità, illogicità, contraddittorietà ed insufficienza della motivazione; erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti; errata interpretazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 22 del 1997; manifesta erroneità dell’interpretazione della D.G.R.M. n. 157/AMB/SR del 30 aprile 2002, in quanto le motivazioni, poste a base della revoca, sarebbero state frutto di “errata applicazione dei criteri e delle regole in materia di esercizio della discrezionalità tecnica della p.a., per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti, non essendovi stata, in realtà, alcuna miscelazione dei rifiuti ed essendo stata anzi rilevata, in via sperimentale, la sovrapposizione di detti rifiuti in strati omogenei. Il decreto regionale di autorizzazione, inoltre, non avrebbe escluso detta miscelazione, riguardando il divieto i rifiuti pericolosi, ma non anche quelli speciali. L’unica prescrizione esistente, dunque, avrebbe comportato un mero onere di comunicazione preventiva, 48 ore prima di procedere a tale operazione, per rendere possibile il controllo da parte delle autorità competenti (Provincia e ARPAM). Sarebbe risultata arbitraria inoltre l’equiparazione – effettuata nella sentenza appellata per generalizzare il divieto – fra rifiuti miscelati e stratificati, essendo il controllo sempre possibile per questi ultimi (anche a prescindere dall’insussistenza del divieto anche per la miscelazione, nei termini sopra precisari); nessuna prova, infine, avrebbe sostenuto il preteso conferimento di rifiuti non autorizzati.

Si costituivano nel presente giudizio la Provincia di Pesaro e Urbino ed il Servizio provinciale Ambiente, Agricoltura e Tutela della Fauna, in persona del relativo dirigente.

Le citate parti resistenti eccepivano, in via preliminare, la tardiva impugnazione dell’ordinanza n. 6 del 23 dicembre 2002, che sarebbe ormai divenuta inoppugnabile in rapporto sia all’omessa diffida che alle contestazioni sollevate, per illegittima miscelazione dei rifiuti, formazione e produzione incontrollata di percolato, superamento dei valori limite sul rilascio di piombo e rame nei rifiuti mescolati a terra, nonché contatto diretto fra acqua e rifiuti ed altre irregolarità. In tale contesto gli effetti pregiudizievoli, già prodottisi a carico dell’ambiente, sarebbero stati non più contestabili ed irreversibili, con conseguente inutilità di qualsiasi ulteriore diffida. Sarebbe stata in ogni caso assicurata, inoltre, la partecipazione delle società interessate al procedimento, né comunque queste ultime avrebbero potuto arrecare alcun apporto sostanziale alle scelte della p.a., affinchè il provvedimento finale avesse un diverso contenuto.

Nessuna sostanziale diversità, peraltro, sarebbe riscontrabile fra il provvedimento di sospensione e quello di revoca, ferma restando in quest’ultimo la contestazione del mancato adempimento di tutte le prescrizioni, non tempestivamente impugnate. Quanto alla mancata partecipazione alle conferenze di servizi, convocate ex artt. 14 l. n. 241 del 1990 (e non a norma del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22), la prima – in data 18 luglio 2003 – avrebbe avuto lo scopo di valutare alcune proposte (poi respinte) della ditta Gennari Soluzioni Ambientali s.r.l. e la seconda – in data 3 dicembre 2003 – sarebbe stata finalizzata soltanto a “resocontare le inadempienze della ditta, sulla scorta delle prescrizioni contenute nell’ordinanza di sospensione, mai impugnata”.

Alla data dell’ultimo sopralluogo, infine, sarebbero stati rilevati “rifiuti miscelati in maniera irreversibile fra loro e con la terra, per la considerevole volumetria di alcune centinaia di metri cubi”; anche i rifiuti stratificati non si sarebbero presentati sempre uniformi e distinguibili fra loro, essendo riscontrabili “aloni di putrefazione della sostanza organica”, di colorazione nera, nonché presenza di terreno entro strati intermedi, con le seguenti determinazioni conclusive: “…i rifiuti sono stati depositati in modo caotico, senza separazione fra rifiuti diversi per caratteristiche e origine, creando un ammasso indifferenziato che non consente, da un lato, l’esecuzione di normali controlli e prelievi….e, dall’altro, non permette l’individuazione, la separazione e l’allontanamento di singoli carichi eventualmente non conformi”. La stessa ditta incaricata del risanamento, d’altra parte, aveva comunicato che, una volta alla settimana, avrebbe avuto luogo la miscelazione dei rifiuti stoccati, con conseguenti note dell’ente locale e dell’Arpam, in cui si replicava l’effettuabilità di tali operazioni solo dopo avere adempiuto alle prescrizioni del D.R.G.M. 157/AMB/SR.

Premesso quanto sopra, il Collegio non può fare a meno rilevare come la procedura di cui al citato art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997 – in materia di inadempienze, rilevate in operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti – preveda una fase di contestazione delle inadempienze stesse, accompagnata da sospensione dell’autorizzazione al riguardo rilasciata e preceduta da diffida, nonchè successiva revoca di tale autorizzazione, in caso di verificata assenza di ripristino dello stato dei luoghi nei modi prescritti.

Nella procedura in questione acquista carattere fondamentale, pertanto, proprio l’ordine di sospensione dell’autorizzazione, contenente i rilievi formulati dall’Amministrazione ed implicante una fase partecipativa, introdotta con la diffida, tale da soddisfare sotto tale profilo le esigenze del giusto procedimento, come disciplinate dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

Per quanto riguarda i rilievi contenuti nell’atto di sospensione, invece, la revoca dell’autorizzazione si configura come atto vincolato, in presenza di riscontrate inadempienze, di modo che l’intervenuta inoppugnabilità dell’ordinanza n. 6 del 23 dicembre 2002 non può non riverberare i propri effetti sulla revoca, quale atto che, poichè strettamente consequenziale alla sospensione, non potrebbe avere contenuto diverso e risulterebbe, pertanto, non annullabile per vizi formali, ai sensi dell’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo introdotto dall’art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15.

Resterebbero quindi ammissibili, nel caso di specie, solo le censure riferite al contenuto del provvedimento di cui trattasi, sotto il profilo della erronea rappresentazione della realtà o del discostamento dai rilievi contenuti nell’atto presupposto: tali argomentazioni, tuttavia, risultano superate dall’avvenuta emanazione di un nuovo provvedimento (ordinanza provinciale n. 1/08 – n. prot.11768 – del 12 febbraio 2008), che appare frutto di riesame attualizzato della situazione, con imposizione di lavori di ripristino del sito di cui trattasi a norma dell’art. 244 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Detto provvedimento non risulta impugnato ed allo stesso le società interessate avrebbero anzi dato corso, previa approvazione di un piano di caratterizzazione da parte di apposita conferenza di servizi in data 18 novembre 2008, con la partecipazione delle società stesse (Fornaci Laterizi Solazzi s.p.a. e Soluzioni Ambientali s.r.l.).

In tale situazione – ed in assenza di qualsiasi controdeduzione sul punto – il Collegio ritiene che dette società non abbiano più interesse alla coltivazione del gravame, riferito ad una vicenda che ha ormai conosciuto nuovi e decisivi sviluppi.

Per quanto sopra l’appello deve essere dichiarato improcedibile, mentre si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese giudiziali, tenuto conto della condotta delle parti e del complesso quadro di riferimento, normativo e fattuale, in precedenza esaminato.


P.Q.M.


definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente
Domenico Cafini, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/11/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


 


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