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CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 16 febbraio 2010, n. 888
AGRICOLTURA - Attività agricola - Art. 2135 c.c. - Attività connessa -
Definizione - Vincolo di strumentalità o complementarietà - Limiti.
L’attività connessa dell’imprenditore agricolo (art. 2135 c.c.) deve restare
collegata all’attività dal medesimo esercitata in via principale mediante un
vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale, in assenza del quale
essa non rientra nell’esercizio normale dell’agricoltura ed assume, invece, il
carattere prevalente od esclusivo dell’attività commerciale o industriale(cfr.
Cons. Stato, IV Sez., 12 ottobre 1999 n. 1555; 14 maggio 2001 n. 2669; VI Sez.,
6 marzo 2007 n. 1051). In ogni caso, allorquando l’attività, della cui
connessione con un’attività propriamente agricola si discute, abbia in concreto
dimensioni tali (anche nell’ambito della medesima impresa) che la rendono
principale rispetto a quella agricola, deve escludersi il carattere agricolo
dell’attività stessa(Cass. 6 giugno 1974 n. 1682, ripresa da Cons. Stato, VI
Sez., n. 1051/07 cit.). Pres. Salvatore, Est. Leoni - O. s.r.l. (avv.
Pellegrino) c. Comune di Salice Salentino e altri (avv. Quinto) e altro (n.c.) -
(Conferma, con diversa motivazione,TAR Puglia- Lecce, n. 339 del 2009).
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 16 febbraio 2010, n. 888
AGRICOLTURA - Impianto per la lavorazione di sanse vergini - Estrazione del
nocciolino mediante essiccamento - natura di attività connessa alla
trasformazione di prodotti agricoli - Esclusione - Ragioni - Prevalenza
dell’attività industriale. Un impianto per la lavorazione di sanse vergini,
il cui processo tecnologico consiste nella estrazione, mediante particolari
strutture di essiccazione ad aria calda, del nocciolino di sansa da utilizzare
come combustibile, non può essere considerato come attività strettamente
connessa alla trasformazione di prodotti agricoli, bensì di una vera e propria
attività industriale di secondo livello, che utilizza residui derivanti dalla
lavorazione dell’oliva provenienti da opifici e in cui la precedente lavorazione
ne ha spezzato la diretta derivazione dalla produzione agricola in quanto tale.
Invero, in tanto un impianto può essere considerato strettamente connesso con la
trasformazione di prodotti agricoli in quanto l’aspetto industriale di
trasformazione sia, per un verso, connesso alla chiusura del ciclo produttivo
agricolo e, per altro verso, non sia prevalente, per modalità di
approvvigionamento o di trasformazione, rispetto all’attività agricola in quanto
tale. Pres. Salvatore, Est. Leoni - O. s.r.l. (avv. Pellegrino) c. Comune di
Salice Salentino e altri (avv. Quinto) e altro (n.c.) - (Conferma, con diversa
motivazione,TAR Puglia- Lecce, n. 339 del 2009). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV
- 16/02/2010, n. 888
RIFIUTI - Materia derivante da un processo di fabbricazione che non sia
principalmente destinato a produrla - Natura di sottoprodotto - Elementi -
Intenzione dell’impresa di sfruttare o commercializzare il bene in un processo
diverso e successivo - Fattispecie: sansa vergine essiccata per ottenere
combustibile - Utilizzazioni principali della sansa. Un bene, un materiale o
una materia prima derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione che
non è principalmente destinato a produrlo non è sempre un residuo, ma può anche
essere considerato un sottoprodotto, ossia un bene del quale l’impresa non ha
intenzione di disfarsi, ma che intende utilizzare commercialmente. Centrale
nella determinazione di tale concetto appare, allora, l’intenzione dell’impresa
di sfruttare o commercializzare in un processo diverso e successivo il bene in
questione(in termini, TAR Campania, sent. N. 8169/06). Nel caso di specie, la
circostanza che l’impresa intenda utilizzare la sansa vergine proveniente da
opifici di zona, per ottenere, mediante essiccazione, il nocciolino di sansa, da
utilizzare quale combustibile, pare confortare l’interpretazione secondo cui non
si verta in tema di rifiuti (Cass. Pen. III, 17 maggio 2005). La sansa, invero,
rappresenta una materia di derivazione dal processo di estrazione dell’olio di
oliva, costituito dal residuo solido della spremitura della pasta di olive,
utilizzabile sia all’interno dei santifici, sia successivamente in un ciclo
produttivo diverso (e ciò diversamente dalle sanse esauste, derivanti dal
processo estrattivo dell’olio di sansa, che sono invece soggette di
regolamentazione quale rifiuto e di procedure semplificate di recupero ex artt.
31 e 33 D.L.vo n. 22 del 1997). Gli utilizzi principali che può avere la sansa,
oltre alla estrazione dell’olio di sansa, sono la distribuzione come ammendante
sui terreni agrari e l’impiego come combustibile per riscaldamento
(utilizzazione che interessa la fattispecie). Pres. Salvatore, Est. Leoni - O.
s.r.l. (avv. Pellegrino) c. Comune di Salice Salentino e altri (avv. Quinto) e
altro (n.c.) - (Conferma, con diversa motivazione,TAR Puglia- Lecce, n. 339 del
2009). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 16 febbraio 2010, n. 888
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00888/2010 REG.DEC.
N. 02891/2009 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 2891 del 2009, proposto da:
Oil Salento S.r.l., rappresentato e difeso dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con
domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento
N.11;
contro
Comune di Veglie, n.c.;
Comune di Salice Salentino, Comune di Sandonaci, Comune di San Pancrazio
Salentino, Comune di Guagnano, Comune di Porto Cesareo, rappresentati e difesi
dall'avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma,
via Cosseria N.2;
per la riforma
della sentenza del TAR PUGLIA - LECCE :Sezione I n. 00339/2009, resa tra le
parti, concernente REALIZZAZIONE STABILIMENTO INDUSTRIALE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei Comuni appellati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2009 il Cons. Anna Leoni e
uditi per le parti gli avvocati Pellegrino e l'avv. Quinto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il TAR Puglia- Lecce, Sez. I, con la sentenza n. 339 del 2009 impugnata in
questa sede ha accolto il ricorso n. 1524/08 proposto dai Comuni di Salice
Salentino, Sandonaci, San Pancrazio Salentino, Guagnano e Porto Cesareo, diretto
all’annullamento del provvedimento conclusivo del procedimento unico n. 50/08,
rilasciato in data 11/8/08 dal Responsabile del Settore Urbanistica del Comune
di Veglie sull’istanza in data 6/8/08 n. prot. 10448 della soc. Oil Salento,
nonchè del permesso di costruire in sanatoria n. 172 dell’11/8/08 ed atti
connessi.
Nel ricorso erano intervenuti, ad opponendum, le soc. Masseria Pisanello s.r.l.,
l’Azienda agricola Graziuso Vincenza, la soc. Benegiamo Lucio e figli, l’Azienda
Gennaccari di Giuseppa Gennaccari e C., la soc. coop. Agricola Botrugnese e
Anglano Antonio, responsabile del S.U.A.P. del Comune di Veglie.
L’istanza presentata dalla soc. Oil Salento ai sensi dell’art.4 del DPR n.
447/98 era finalizzata alla realizzazione di uno stabilimento industriale
diretto alla produzione ed alla commercializzazione di olii vegetali e
nocciolino di sansa, con essiccazione di sansa, estrazione di olii vegetali con
solventi, deposito liquidi infiammabili e combustibili(il progetto originario
era stato, poi, ridotto da una ulteriore DIA in variante al permesso di
costruire, escludendo la fase di lavaggio della sansa con esano per l’estrazione
dell’olio vegetale).
L’intervento ricadeva in una zona agricola qualificata dal PUTT come ambito
territoriale esteso di valore “C” all’interno di un’area definita “Parco del
Negroamaro”, interessata dalla coltivazione del corrispondente vitigno a
denominazione d’origine controllata.
Il Tribunale amministrativo ha ritenuto meritevole di accoglimento il ricorso
sotto il profilo di censura, ritenuto assorbente, della violazione della
normativa in tema di giusto procedimento.
Invero, secondo il TAR, le notevolissime dimensioni dell’impianto in progetto e
le sue eccezionali capacità produttive(può lavorare 13.000 quintali di sansa
umida al giorno pari a 474.500 quintali all’anno), unitamente alla particolare
natura del materiale trattato, avrebbero richiesto il coinvolgimento e la
partecipazione al procedimento dei soggetti pubblici e privati gravitanti entro
un’area di qualche chilometro dalla stesso, quali potenziali destinatari del
provvedimento, mediante forme di pubblicità idonee a raggiungere la platea dei
residenti, degli enti e delle imprese operanti in aree vicine, ai sensi
dell’art. 8 comma 3 L. n. 241 del 1990.
Una volta acquisiti gli elementi valutativi e conoscitivi apportabili dagli
interessati, rispetto ai quali il Tribunale non ha espresso alcun giudizio,
l’Amministrazione avrebbe potuto operare più consapevolmente e sulla base di una
istruttoria esaustiva, anche sotto il profilo del punto di vista dei soggetti
portatori di interessi contrari.
2. Ricorre in appello la Soc. Oil Salento s.r.l. avverso la sentenza n. 339/09
del TAR di Lecce, precisando anzitutto in punto di fatto che:
- l’area in cui ricade l’opificio(già utilizzato per pomodorificio)è zona
tipizzata E2 dal vigente strumento urbanistico, nella quale sono consentite,
oltre alla destinazione agricola e connesse, tutte le destinazioni d’uso
compatibili con quella agricola;
.- la stessa norma di piano comprende tra tali ultime destinazioni sia la
costruzione di complessi produttivi agricoli, sia la costruzione di opifici
industriali purchè strettamente connessi con la trasformazione dei prodotti
agricoli e con la zootecnia;
- la norma di piano, a conferma di tale impostazione, prevede per tali
insediamenti la possibilità di deroga agli indici per le nuove costruzioni,
nonché la possibilità di ampliamento del 20% della volumetria esistente;
- essendo possibile che all’interno l’area E2 fossero già presenti insediamenti
di tipo industriale, viene fatta salva l’attività in corso, chiarendosi che alla
dismissione della stessa le nuove destinazioni non potranno che essere quelle
consentite dalla intervenuta pianificazione;
- l’appellante ha onerosamente acquisito la disponibilità dell’opificio
esistente, destinandolo, senza nuove costruzioni né implementazioni di volumi, a
sansificio e quindi ad attività industriale tipicamente connessa con la
trasformazione del prodotto agricolo;
- l’impianto è funzionale al completamento di una filiera della tipica economia
connessa all’attività agricola di zona, essendo l’area salentina terra di
intensa coltivazione ad uliveto, con elevata attività di molitura di olive e
conseguente necessità e possibilità di utilizzazione del sottoprodotto
costituito dalla sansa;
- l’appellante, procedendo alla ristrutturazione dell’opificio, ha realizzato un
moderno impianto di essiccazione della sansa a mezzo di semplice riscaldamento
con aria calda, con separazione meramente meccanica del cd. nocciolino di sansa,
che trova utilizzazione come combustibile alternativo;
- l’iniziale contemporaneo processo di estrazione dalla medesima sansa di olio
vegetale tramite solventi è stato successivamente stralciato dall’originario
progetto;
- l’attività in questione, consistente in trasformazione di prodotto agricolo
qual è la sansa, ha comportato un investimento di 5 milioni di Euro, giusta
autorizzazioni rilasciate dal Comune di Veglie- Settore Urbanistica ai sensi del
DPR n. 447/98, con acquisizione dei pareri espressi di ASL e Vigili del fuoco,
senza fare ricorso al procedimento semplificato a mezzo di autocertificazioni di
cui all’art.4 del DPR n. 447/98 cit.;
- l’appellante ha formulato puntuale istanza al competente settore della
Provincia di Lecce per l’autorizzazione alla emissione in atmosfera di cui
all’art. 269 D.Lgs. n. 152/06;
- la Provincia di Lecce ha sottoposto l’iniziativa a procedura di verifica di
assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, incaricando per
l’istruttoria una commissione di esperti indicati dal Rettore dell’Università
del Salento, che ha concluso per la conferma della compatibilità ambientale
dell’intervento, con esclusione della sua assoggettabilità a procedura di VIA.
2.1. La società deduce, quindi, i seguenti motivi di appello:
2.1.1. Inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione.
Il ricorso accolto dal T.A.R. è stato proposto esclusivamente avverso gli atti
con cui il Comune di Veglie ha rilasciato gli assensi edilizi all’iniziativa
dell’appellante e ha raccolto, a mezzo dello sportello unico, i relativi pareri
istruttori di ASL e Vigili del fuoco. Tali atti vengono impugnati da
Amministrazioni comunali che pongono a base della loro iniziativa pretesi
interessi di tipo ambientale delle rispettive collettività amministrate. Esse
non avrebbero i requisiti di legittimazione ad agire nei confronti dei
provvedimenti di natura edilizia di altra autonoma amministrazione comunale. Né
potrebbe individuarsi un interesse sovracomunale di natura ambientale, per il
quale è in corso un procedimento non ancora concluso e non avendo, peraltro, i
Comuni ritenuto di partecipare con osservazioni o rilievi alla verifica di
assoggettabilità a VIA.
A giudizio dell’appellante il TAR avrebbe operato una illegittima equiparazione
fra interesse alla partecipazione procedimentale da un lato e legittimazione
processuale dall’altro, richiedendo quest’ultima(a differenza del primo) la
sussistenza di una specifica posizione differenziata a tutela di un interesse
protetto dall’ordinamento.
Per le medesime ragioni i ricorrenti in I grado sarebbero, altresì, sprovvisti
di un interesse attuale e diretto alla proposta impugnazione avverso gli atti
gravati.
2.2. Erroneità nel merito della pronuncia di accoglimento del preteso vizio
relativo al mancato avviso di avvio del procedimento.
L’accoglimento di detta censura sarebbe errato, perché oggetto di impugnazione
sono unicamente le determinazioni comunali di assenso edilizio ed il relativo
atto dello sportello unico che ha raccolto i pareri di ASL e Vigili del fuoco,
per i quali né la normativa generale sul procedimento né la normativa di
semplificazione di cui al DPR n. 447/98 richiedono alcuna comunicazione di avvio
del procedimento.
Il Tar, inoltre, avrebbe errato nel valutare la capacità produttiva
dell’impianto, non considerando la stagionalità del medesimo e che detta
capacità è funzionale proprio all’abbattimento dei tempi di emissione, azzerando
i tempi di stoccaggio.
Non corrisponderebbe, poi, al vero l’affermazione, riportata in sentenza, che
l’unico frantoio presente nel comprensorio lavorerebbe solo 600 quintali di
sansa all’anno, essendo al contrario prodotti nel solo territorio di Veglie
circa 120.000 quintali di sansa umida, provenienti dai sette frantoi presenti,
quantità che raggiunge i 400.000 quintali riferendosi al comprensorio dei paesi
limitrofi.
La comunicazione di avvio del procedimento non sarebbe stata necessaria, neppure
nelle forme indicate dal TAR richiamando l’art. 8 comma 3 della L. n.
241/90(forme di pubblicità)in quanto essa è prevista nei confronti dei soggetti
destinatari del pregiudizio solo là dove individuati o facilmente individuabili.
Al contrario, nella fattispecie, come viene espressamente detto nella sentenza,
la selezione dei soggetti effettivamente e concretamente interessati si sarebbe
determinata a posteriori in ragione della stessa circostanza di partecipazione.
In nessun caso i ricorrenti potrebbero ritenersi soggetti destinatari di effetti
diretti degli atti impugnati in I grado(assensi edilizi e relativi pareri
istruttori), in quanto destinatario diretto degli stessi sarebbe solamente
l’istante.
Né a diverse conclusioni potrebbe giungersi sulla base della normativa di
semplificazione per gli impianti produttivi di cui al DPR n. 447/98, che solo
per il procedimento in autocertificazione prevede un sistema di pubblicità, al
fine di bilanciare con un controllo diffuso l’eventuale abuso di
autocertificazione.
Del resto sarebbe la stessa legge n. 241 del 1990 a distinguere fra facoltà di
partecipazione procedimentale e obbligo di avviso, laddove all’art.9 facultizza
all’intervento ogni soggetto pubblico, privato o esponenziale che possa subire
pregiudizio dall’emanando provvedimento, con ciò confermando che non tutti tali
soggetti sono titolari della posizione legittimante a ricevere la necessaria
comunicazione di avvio.
Infine, l’appellante ritrae conferma della bontà delle proprie tesi anche
dall’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, in quanto la piena conformità
urbanistica ed edilizia dell’intervento renderebbe dovuti gli atti
amministrativi impugnati in I grado.
3. Si costituiscono per resistere i Comuni ricorrenti in I grado, eccependo:
3.1. Violazione dell’art. 7 L. n. 241 del 1990 e successive modificazioni-
Mancata comunicazione di avvio del procedimento.
L’assenza dell’adempimento procedurale avrebbe prodotto effetti negativi sul
piano sostanziale, essendo stato precluso a tutti coloro che potevano subire un
pregiudizio dal provvedimento conclusivo di partecipare per far rilevare tutte
le ritenute violazioni di legge.
Le Amministrazioni comunali ricorrenti in I grado e odierne resistenti fondano
la propria legittimazione attiva ed il proprio interesse sulla circostanza che
tutte rientrano nel cd. Parco del Negramaro, al pari del Comune di Veglie.
3.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 DPR n. 447/98. Violazione e
falsa applicazione degli artt. 8.1 e 9.2 N.T.A. del P.R.G. del Comune di Veglie.
Eccesso di potere- Carenza di istruttoria.
Sostengono i resistenti che l’attività che intende esercitare la Oil Salento
s.r.l. non potrebbe, per tipologia di struttura e per modalità del processo di
produzione e quantità del prodotto trattato, considerarsi né attività agricola,
perché del tutto scollegata dal terreno asservito all’impianto, né strettamente
connessa con l’utilizzazione agricola, perché destinata a produrre un bene
destinato ad altri scopi, da ricercare nell’oggetto sociale della Oil Salento.
Essa, quindi, sarebbe in contrasto con la disciplina di zona di cui all’art.
8.1. N.T.A. del P.R.G. del Comune di Veglie.
Neppure può essere considerata come strettamente connessa con la trasformazione
di prodotti vegetali(art. 9.2. N.T.A.), essendo la sansa umida qualificabile
come rifiuto, seppure non pericoloso. Essa, inoltre, non proviene direttamente
dalla coltivazione, ma è il risultato di una precedente lavorazione industriale.
L’insediamento è, inoltre , incompatibile con l’art.9.2 N.T.A. del P.R.G. di
Veglie che prevede la destinazione ad attività agricola o ad essa connessa degli
opifici industriali di zona non correlati ad attività agricola.
Si sarebbe, in realtà, in presenza di una vera e propria attività industriale,
che necessiterebbe di una variante urbanistica, non essendo compatibile con la
destinazione di zona.
3.3. Violazione e falsa applicazione dell’art.4 D.P.R. n. 447/98 e successive
modificazioni- Carenza assoluta d’istruttoria.
La procedura seguita rivelerebbe carenze istruttorie e di pareri tecnici.
3.4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 DPR n. 380/01 e successive
modificazioni- Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di
diritto- Carenza d’istruttoria- Perplessità dell’azione amministrativa.
Non si tratterebbe, nella fattispecie, di ristrutturazione edilizia, ma di nuova
costruzione rispetto all’esistente.
3.5. Violazione e falsa applicazione dell’art.4.02 e 5.01 N.T.A. P.U.T.T./PBA-Puglia-
Errata applicazione dell’art. 4.02 N.T.A. PUTT/PBA_Puglia-Eccesso di potere-
Carenza d’istruttoria.
Il Responsabile del S.U.A.P. avrebbe dovuto effettuare lo studio di impatto
paesaggistico, onde verificare l’entità delle modifiche introdotte
dall’intervento proposto sugli elementi strutturali del territorio, l’effetto
delle opere di mitigazione previste ed il livello della compatibilità
paesaggistica.
In ogni caso, il nulla osta paesaggistico avrebbe dovuto essere richiesto
essendo stata modificata la precedente destinazione d’uso.
4. Con memoria di replica, la soc. Oil Salento ha preliminarmente fatto rilevare
che la lavorazione della sansa, quale prodotto residuo della lavorazione delle
olive, rientrerebbe nelle destinazioni d’uso previste dalla normativa
urbanistica di piano che regola l’area in questione, che consente tutte le
destinazioni d’uso compatibili con quella agricola, ivi compresa la costruzione
di complessi produttivi agricoli e di opifici industriali purchè strettamente
connessi con la trasformazione dei prodotti e con la zootecnia.
Nel merito, poi, ha contestato che la sansa costituisca un rifiuto speciale, in
quanto le cd. sanse umide sarebbero prodotto di diretta derivazione agricola,
usata come ammendante per i terreni agricoli, ovvero più spesso per l’ulteriore
estrazione dell’olio di sansa destinato al mercato.
Quanto al D.Lgs. n. 152/06 l’appellante contesta la riconducibilità della sansa
ai rifiuti, quali definiti dall’art. 183 comma 1 lett.a), essendo invece, a suo
avviso riconducibile ai sottoprodotti, quali definiti dalla successiva lett.p) e
dall’art. 185 commi 1 e 2.
Il medesimo T.U., poi, all’All.X rubricato”disciplina dei combustibili” include
le sanse di oliva disoleata fra le biomasse combustibili, purchè ottenute dal
trattamento delle sanse vergini con esano per l’estrazione dell’olio di sansa
destinato all’alimentazione umana e da successivo trattamento termico, purchè i
predetti trattamenti siano effettuati all’interno del medesimo impianto.
Il medesimo riconoscimento sarebbe pervenuto a livello comunitario(Comunicazione
del 21/02/07 della Commissione dell’Unione europea riguardante linee guida per
ottenere una definizione comunitaria di sottoprodotto). In base ad essa un
residuo è considerato sottoprodotto e non rifiuto quando l’utilizzo è certo e
non una mera possibilità; non ci sono state trasformazioni preliminari;
l’utilizzo è parte di un processo di produzione.
Tali principi sono stati, poi, acquisiti dalla direttiva quadro sui rifiuti
adottata in via definitiva dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo.
A livello nazionale sarebbe stato, poi, riconosciuto espressamente che la sansa
di oliva è idonea, in virtù dei requisiti indicati, ad essere qualificata come
sottoprodotto dell’agricoltura(risoluzione della 13^ Commissione permanente-
territorio, ambiente e beni ambientali, approvata in data 31/07/08).
Analogamente, a livello regionale si definisce la sansa un sotto prodotto del
ciclo di lavorazione delle olive(deliberazione G.R. del 27/11/07 n. 1933 di
approvazione del progetto regionale di certificazione della filiera delle
biomasse).
Secondo l’appellante, poi, le decisioni del giudice penale citate si
riferirebbero a fattispecie di scarico incontrollato a cielo aperto di
vegetazione e sansa umida derivante dall’attività di oleifici, senza
utilizzazione alcuna nei cicli produttivi citati. Con ciò le decisioni del
giudice penale sarebbero coerenti con il principio contenuto nell’art. 183 comma
1 lett.a) del D.Lgs. n. 152/06.
L’appellante ribadisce, poi, la piena compatibilità urbanistica dell’iniziativa
in questione, comprendendo la norma di piano anche la costruzione di opifici
industriali, purchè connessi con la trasformazione dei prodotti agricoli e con
la zoootecnia, aggiungendo per tali insediamenti la possibilità di deroga sugli
indici per le nuove costruzioni, nonché la possibilità di ampliamento del 20%
della volumetria esistente ed, altresì, facendo salva l’attività in corso, fermo
restando che alla dismissione della stessa le nuove destinazioni non potranno
essere che quelle consentite.
Viene, inoltre, contestato che l’impianto dovesse essere approvato in variante
urbanistica.
Vengono, infine, contestate le censure afferenti ai risalenti titoli edilizi che
hanno conformato l’opificio esistente.
5. I Comuni resistenti hanno depositato memoria difensiva con la quale hanno
ribadito le proprie tesi.
6. L’appellante, a sua volta, ha effettuato una breve replica deducendo la
inammissibilità delle tesi avversarie, in quanto esse sarebbero volte ad
ottenere un risultato più favorevole di quello ottenuto in I grado, senza però
aver contestato la statuizione di assorbimento che il TAR ha operato.
7. Il ricorso è stato inserito nei ruoli d’udienza del 27 ottobre 2009 e
trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. La sentenza appellata ha annullato il provvedimento conclusivo del
procedimento unico n. 50/08 ex DPR n. 447/98, rilasciato in data 11/8/08 dal
Responsabile del settore urbanistica del Comune di Veglie e finalizzato alla
realizzazione di uno stabilimento industriale per produzione e
commercializzazione di olii vegetali e nocciolino di sansa, tramite sua
essiccazione, nonché il permesso di costruire in sanatoria n. 172
dell’11/8/2008.
Il TAR, assorbiti tutti gli altri motivi esposti nel ricorso proposto dal Comune
di Salice Talentino ed altri, ha accolto quello afferente alla violazione della
normativa in tema di giusto procedimento, sostenendo che le notevolissime
dimensioni dell’impianto e le sue eccezionali capacità produttive, unitamente
alla natura del materiale trattato, avrebbero richiesto il coinvolgimento e la
partecipazione al procedimento dei soggetti pubblici e privati gravitanti entro
un’area di qualche chilometro dallo stesso, quali potenziali destinatari del
provvedimento, mediante forme di pubblicità idonee a raggiungere la platea dei
residenti, degli enti e delle imprese operanti in aree vicine, ai sensi
dell’art.8 comma 3 L. n. 241 del 1990.
2. Con riguardo ai Comuni resistenti, l’appellante ha riproposto, in primo
luogo, le eccezioni di difetto di legittimazione ad agire e di difetto
d’interesse, in quanto essi non avrebbero i requisiti di legittimazione ad agire
nei confronti dei provvedimenti di natura edilizia di altra autonoma
amministrazione comunale. Né potrebbe individuarsi un interesse sovracomunale di
natura ambientale, per il quale è in corso un procedimento non ancora concluso e
non avendo, peraltro, i Comuni ritenuto di partecipare con osservazioni o
rilievi alla verifica di assoggettabilità a VIA.
A giudizio dell’appellante il TAR avrebbe operato una illegittima equiparazione
fra interesse alla partecipazione procedimentale da un lato e legittimazione
processuale dall’altro, richiedendo quest’ultima(a differenza del primo) la
sussistenza di una specifica posizione differenziata a tutela di un interesse
protetto dall’ordinamento.
Per le medesime ragioni i ricorrenti in I grado sarebbero, altresì, sprovvisti
di un interesse attuale e diretto alla proposta impugnazione avverso gli atti
gravati
Ritiene il Collegio che le eccezioni possano essere superate.
L’insistenza sul territorio d’interesse degli Enti territoriali resistenti
comprova la sussistenza di comuni scopi di tutela, in ragione delle finalità
dalle stesse perseguite di creare una rete di turismo rurale nel territorio, di
tutelare e valorizzare il territorio di insediamento della rete e di
incrementare lo sviluppo delle attività turistico- ricettive ivi presenti. In
ragione della natura degli Enti in questione, non può essere revocato in dubbio
che le loro finalità di tutela siano di carattere permanente, atteso il loro
radicamento sul territorio e l’innegabile sussistenza di comuni ragioni a
difendersi da eventuali pregiudizi ambientali nell’ambito del territorio di loro
competenza.
Analoghe considerazioni possono svolgersi per l’interesse dei Comuni ad agire,
in difesa del settore della vinicoltura nella zona, importante qualitativamente
e quantitativamente, a che l’area non venga pregiudicata sotto il profilo
paesaggistico e della vocazione enologica.
Quanto alla eccepita carenza d’interesse, ritiene il Collegio che anch’essa
possa essere superata.
Se, infatti, da un lato è vero che la giurisprudenza ha avuto modo di
puntualizzare che la mera circostanza della prossimità all’opera pubblica da
realizzare non è idonea a radicare un interesse all’impugnazione in assenza
della congrua dimostrazione del danno che deriverebbe dall’impianto (Cons. St.,
Sez. VI, 18 luglio 1995 n. 754; Sez. V 13 luglio 1998 n. 1088; 31 gennaio 2001
n. 358; 20 maggio 2002 n. 2714; 16 aprile 2003 n. 1948), dall’altro lato nella
specie i ricorrenti di I grado si sono dati cura della richiesta dimostrazione
in termini ritenuti dal Collegio sufficienti a radicare la legittimità del
proprio titolo alla impugnazione.
Non appare, invero, fuor di logica ritenere, come gli stessi hanno sostenuto,
che i soggetti ricorrenti abbiano interesse a ricorrere in relazione al danno
concreto, immediato ed attuale che gli stessi temono di ricevere nella propria
sfera giuridica in ragione delle lavorazioni praticate dalla Oil Salento o per
il fatto che la localizzazione dell’impianto della stessa, unitamente alle nuove
lavorazioni ivi previste, riducano il valore economico del territorio, in
ragione delle attività ivi praticate.
3. Per quanto riguarda il profilo di censura accolto dal TAR, con assorbimento
delle restanti censure, incentrato sulla ritenuta violazione della normativa in
tema di giusto procedimento, ritiene il Collegio che esso sia fondato.
Invero, va ricordato come la giurisprudenza amministrativa si sia ormai
consolidata nell’escludere che l’obbligo di cui agli artt. 7 e 8 della L. n. 241
del 1990 possa essere inteso in senso puramente formale.
E’ stato ritenuto, infatti(dec. V Sez. n. 5436/05), che l’obbligo di cui
all’art.7 non può essere applicato meccanicamente e formalisticamente, essendo
volto non solo ad assolvere ad una funzione difensiva a favore del destinatario
dell’atto conclusivo, ma anche a formare nell’Amministrazione procedente una più
completa e meditata volontà e dovendosi, comunque, ritenere che il vizio
derivante dall’omissione di comunicazione non sussiste nei casi in cui lo scopo
della partecipazione del privato sia stato comunque raggiunto o manchi l’utilità
della comunicazione all’azione amministrativa(VI Sez., n. 1844/08; V n. 6641/04
e n. 343/02).
Dal che consegue che non può ritenersi sussistente la violazione di tale obbligo
di comunicazione nel caso in cui il soggetto inciso sfavorevolmente da un
provvedimento non dimostri che, ove fosse stato reso edotto dell’avvio del
procedimento, sarebbe stato in grado di fornire elementi di conoscenza e di
giudizio tali da far determinare in modo diverso le scelte dell’Amministrazione
procedente(cfr. in termini, dec. nn. 1844 e 343 cit.; Sez. II, n. 1359/99).
Sotto altro profilo, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato
che l’esigenza di informazione del destinatario dell’azione amministrativa non
sussiste ogniqualvolta lo stesso destinatario ne abbia già avuto conoscenza
aliunde(V Sez., n. 6641/04).
Quanto alla individuazione della platea dei destinatari dell’atto, osserva il
Collegio che l’art. 7 co. 1 della L. n. 241 del 1990 impone tale comunicazione
nei riguardi dei “soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è
destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono
intervenirvi”(Sez. IV, n. 1234/97).
Precisato che oggetto di impugnazione sono unicamente le determinazioni comunali
di assenso edilizio ed il relativo atto dello sportello unico che ha raccolto i
pareri di ASL e Vigili del fuoco, e che i ricorrenti originari non sono fra i
soggetti che per legge sono tenuti a partecipare al procedimento anzidetto, a
causa dell’assenza di una norma che sancisca tale diritto di partecipazione(né
nella normativa generale sul procedimento né nelle norme di semplificazione di
cui al DPR n. 447/98), deve, allora, essere valutato se ricorra l’altra
circostanza prevista dalla disposizione riferita, quella secondo la quale
l’Associazione ricorrente, le sue associate ed il Consorzio di tutela vinicola
siano soggetti nei cui confronti l’atto è destinato a produrre effetti diretti.
Tale circostanza non sembra sussistere, nel caso in esame.
Gli effetti diretti dei provvedimenti impugnati sono quelli che si verificano
nei confronti dei richiedenti gli assensi edilizi, che sono i veri destinatari
degli stessi, mentre quelli che si verificano nei riguardi dell’Associazione e
degli altri ricorrenti sono soltanto effetti indiretti, assistiti dal potere di
esperire apposita azione per la tutela giurisdizionale(Cons. Stato, IV Sez., n.
1234/97), esattamente quella che è stata richiesta in primo grado.
Il medesimo art. 7 della L. n. 241 cit., al secondo comma, prevede che la
comunicazione del procedimento debba avvenire anche nei confronti di eventuali
ulteriori soggettivi quali dal provvedimento possa derivare un pregiudizio,
purchè “individuati e facilmente individuabili”.
Orbene, trattandosi di atti edilizi, riferiti alla struttura dell’impianto e non
alla attività produttiva conseguente al funzionamento dello stesso e alle sue
eventuali immissioni(procedimento distinto e risultante tuttora in corso presso
la competente autorità provinciale, nel quale potranno essere eventualmente
valutati i fattori delle dimensioni dell’impianto, della sua capacità di
lavorazione e della quantità di sansa prodotta dai frantoi dell’area)non sembra
potersi convenire sul fatto che i ricorrenti in I grado fossero soggetti da
ritenersi, a monte, individuati o facilmente individuabili, sicchè la
disposizione in questione non è ad essi applicabile.
Del resto, come ha correttamente fatto notare l’appellante, lo stesso giudice di
prime cure ha affermato che il Comune avrebbe dovuto procedere a mezzo di avviso
pubblico, così sarebbe stata la successiva concreta partecipazione al
procedimento ad individuare i soggetti interessati. Ma se così è, essi non
potevano certo ritenersi a monte né individuati né facilmente individuabili.
Né può giovare il richiamo all’art. 8 della L. n. 241 del 1990, che, al comma 3,
prevede che qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non
sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’Amministrazione provvede a
rendere noti gli elementi di cui al precedente comma 2, mediante forme di
pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’Amministrazione medesima.
Detta disposizione, invero, non costituisce in alcun modo un ampliamento delle
ipotesi di comunicazione del procedimento, ma, una volta fissati dal comma 2 i
contenuti della comunicazione, ne consente l’effettuazione mediante forme idonee
di pubblicità ove la comunicazione personale non sia possibile o risulti
particolarmente gravosa.
Si osserva, infine , che la L. n. 241 del 1990 accorda, all’art.9, ai soggetti
portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati la
possibilità di partecipazione al procedimento. Si tratta, però, di una norma che
sancisce una possibilità e non un diritto di partecipazione e che, in ogni caso,
ha come sua primaria finalità quella di dare rilevanza ad interessi che non sono
riconoscibili in capo a singoli individui e dei quali è dubbia la tutela
giurisdizionale nei casi in cui ne siano portatrici associazioni che non
risultino inserite negli elenchi previsti dall’art.5 della L. n. 281 del 1998.
Da quanto sopra esposto, deriva che non poteva ritenersi sussistente alcun
obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ai sensi della L. n. 241 del
1990.
Ad analoghe conclusioni si giunge sulla base della disciplina di semplificazione
prevista per gli impianti produttivi dal DPR n. 447/98, che solo per il
procedimento mediante autocertificazione di cui al Capo III prevede, all’art.6,
commi 2 e 13, un sistema di pubblicità, evidentemente finalizzato a compensare,
con un controllo diffuso, l’utilizzazione di un procedimento ad alta
semplificazione come quello mediante autocertificazione.
4. La riconosciuta fondatezza dell’unico motivo dell’appello proposto dalla OIL
SALENTO, impone l’esame delle censure di merito sollevate dai ricorrenti in
primo grado, dichiarate assorbite dal giudice di primo grado e riproposte con
memoria dai Comuni resistenti.
Le questioni da risolvere, ai fini della odierna decisione, ruotano
sostanzialmente attorno ai seguenti punti:
1)stabilire se l’intervento che la soc. Oil Salento intende realizzare ( e per
cui ha chiesto l’autorizzazione e la concessione in sanatoria assentite dagli
organi competenti) possa ritenersi compatibile con la destinazione dell’area
interessata;
2) stabilire se la materia utilizzata nel ciclo produttivo e i prodotti dallo
stesso derivanti siano riconducibili ad attività agricola;
3) stabilire se l’intervento edilizio in sé rientri fra quelli consentiti nella
zona E secondo le NTA del Comune di Veglie, anche con riferimento al principio
di conservazione della originaria destinazione d’uso.
Relativamente al primo punto, va ricordato che, come già esposto in fatto:
- l’area in cui ricade l’opificio (già utilizzato per pomodorificio) è zona
tipizzata E2 dal vigente strumento urbanistico, nella quale sono consentite,
oltre alla destinazione agricola e connesse, tutte le destinazioni d’uso
compatibili con quella agricola;
.- la stessa norma di piano comprende tra tali ultime destinazioni sia la
costruzione di complessi produttivi agricoli, sia la costruzione di opifici
industriali purchè strettamente connessi con la trasformazione dei prodotti
agricoli e con la zootecnia;
- la norma di piano, a conferma di tale impostazione, prevede per tali
insediamenti la possibilità di deroga agli indici per le nuove costruzioni,
nonché la possibilità di ampliamento del 20% della volumetria esistente;
- essendo possibile che all’interno dell’area E2 fossero già presenti
insediamenti di tipo industriale, viene fatta salva l’attività in corso,
chiarendosi che alla dismissione della stessa le nuove destinazioni non potranno
che essere quelle consentite dalla intervenuta pianificazione.
Ne deriva che gli strumenti urbanistici del Comune non precludevano del tutto
l’edificabilità, in zona agricola, di opifici industriali, essendo consentita in
certa misura la realizzazione di impianti ed insediamenti produttivi, purchè
“strettamente connessi con al trasformazione dei prodotti agricoli e con la
zootecnia”.
Si tratta, quindi, di verificare l’esatta portata di tale definizione, onde
accertare se l’intervento che l’appellante ha chiesto di realizzare possa
esservi ricompreso.
Al riguardo va rilevato che si definiscono attività connesse all’agricoltura
(art. 2135 c.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 228) le
attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo dirette alla
manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla
coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le
attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione
prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate
nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione
del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e di
ospitalità, come definite dalla legge.
La parte del nuovo articolo 2135 del codice civile riferita alle cosiddette
"attività connesse" è quella che ha suscitato maggiori discussioni, in quanto
quella di "attività connesse" non costituisce una ulteriore definizione che si
aggiunge alle fondamentali, ma sta proprio ad indicare che esse non possono
essere esercitate da soggetti diversi dall'imprenditore agricolo che esercita
una o più delle attività di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento
di animali. Infatti, il nuovo secondo comma inizia proprio affermando che le
attività subito dopo elencate si intendono sempre "connesse" quando sono svolte
dall'imprenditore agricolo che esercita le attività di coltivazione del fondo,
silvicoltura e allevamento di animali. Secondo l'elencazione contenuta nella
norma, queste attività sono quelle "dirette alla manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione" dei prodotti.
A proposito di questi ultimi la norma, logicamente, precisa che le attività
connesse, come prima elencate, devono avere "ad oggetto prodotti ottenuti
prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di
animali". Viene introdotto il concetto di "prevalenza", fino ad ora presente in
una parte della legislazione riferita alle attività agricole e mai esplicitato
chiaramente, il che consente all'imprenditore agricolo il ricorso al mercato per
acquistare prodotti da destinare alla manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, sempreché non siano
prevalenti rispetto a quelli ottenuti dall'imprenditore attraverso la
coltivazione del fondo o del bosco e l'allevamento di animali e integrino il
prodotto originario al fine di realizzare un migliore prodotto finale.
E’ stato precisato, in giurisprudenza, che la suddetta attività connessa
dell’imprenditore agricolo deve restare collegata all’attività dal medesimo
esercitata in via principale mediante un vincolo di strumentalità o
complementarietà funzionale, in assenza del quale essa non rientra
nell’esercizio normale dell’agricoltura ed assume, invece, il carattere
prevalente od esclusivo dell’attività commerciale o industriale(cfr. Cons.
Stato, IV Sez., 12 ottobre 1999 n. 1555; 14 maggio 2001 n. 2669; VI Sez., 6
marzo 2007 n. 1051).
In ogni caso, è stato affermato che allorquando l’attività della cui connessione
con un’attività propriamente agricola si discute abbia in concreto dimensioni
tali (anche nell’ambito della medesima impresa) che la rendono principale
rispetto a quella agricola, deve escludersi il carattere agricolo dell’attività
stessa(Cass. 6 giugno 1974 n. 1682, ripresa da Cons. Stato, VI Sez., n. 1051/07
cit.).
Alla stregua dei ricordati principi va verificato l’aspetto rilevante della
fattispecie in esame e cioè la stretta connessione con la trasformazione dei
prodotti agricoli dell’attività industriale che la soc. Oil Salento intenderebbe
realizzare, onde poterne inferire la compatibilità urbanistica.
Come risulta incontestatamente dagli atti di causa, il ciclo produttivo
dell’impianto, nella sua ultima definizione, è finalizzato al trattamento di
derivati di seconda lavorazione della molitura delle olive (sanse vergini),
conferiti da opifici di zona, per ottenerne, mediante il metodi di essiccazione
ad aria calda, il nocciolino di sansa, da utilizzare quale combustibile.
Si sostiene, da parte dei resistenti, contrastati con avverse argomentazioni
dalla soc. Oil Salento, che l’Amministrazione avrebbe operato una errata
qualificazione giuridica della tipologia del prodotto lavorato (sanse umide), in
quanto la circostanza che esso derivi dalla lavorazione di un prodotto agricolo,
qual è l’oliva, non sarebbe sufficiente a farlo qualificare come sottoprodotto,
ostandovi la normativa comunitaria recepita nel nostro ordinamento con il D.M.
5/2/98, che qualifica la sansa come rifiuto e non come sottoprodotto agricolo.
Né sarebbe idoneo a conferire alla sansa una diversa qualificazione il D.Lgs. n.
152/06, che pur definendo nell’All. X la sansa di oliva disoleata come biomassa
combustibile, prevede che a tali fini essa debba essere sottoposta ad una
lavorazione preliminare.
Alla sansa, pertanto, sarebbe applicabile la disciplina relativa agli impianti
che utilizzano rifiuti speciali, per i quali il D.Lgs. n. 152/06 all’art. 184,
comma 3 lett. a) prevede una competenza specifica per la autorizzazione
relativa.
Le approvazioni di detti impianti, invero, sarebbero (art. 196 D.Lgs. cit.) di
competenza delle Regioni (o della Provincia delegata) che, ai fini della
localizzazione di detti impianti, privilegerebbero le aree industriali. La
stessa Regione Puglia con decreto n. 246 del 2006 ha approvato un Piano
regionale di gestione dei rifiuti che, all’art.9, prevede per i rifiuti speciali
il vincolo di localizzazione in aree industriali, mentre l’impianto assentito è
situato in zona qualificata dal P.R.G. come verde agricolo.
Per definire la natura della sansa vergine di oliva occorre ripercorrere la
normativa, comunitaria e nazionale, che se ne è in qualche modo occupata e
l’evoluzione giurisprudenziale succedutasi in materia.
Anzitutto, per quanto riguarda la disciplina normativa, l’art.6 del D.Lgs.
5/2/97 n. 22 (cd. Decreto Ronchi) definisce rifiuto qualsiasi sostanza od
oggetto che rientri nelle categorie dell’All. X e di cui il detentore si disfi o
abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi; distingue, poi, rifiuti pericolosi e
non pericolosi e per questi ultimi prevede le modalità di raccolta e avvio alle
operazioni di recupero e smaltimento.
Il D.M. 5/2/98, art.11 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti
alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del D.Lgs.
n. 22/97) prevede, al punto 11, i rifiuti derivati dall’industria
agroalimentare, fra cui rientra (punto 11.12) la sansa esausta di oliva
(provenienza: industria olearia, processo di produzione di olio di sansa
mediante estrazione con solvente).
Il DPCM 8/3/2002(Disciplina della caratteristiche merceologiche dei combustibili
aventi rilevanza ai fini dell’inquinamento atmosferico.), all’All. III
(Individuazione delle biomasse combustibili e delle loro condizioni di
utilizzo), come modificato dal successivo DPCM 8 ottobre 2004, prevede fra le
biomasse la sansa di olive disoleata, avente le caratteristiche riportate in
apposita tabella, ottenuta dal trattamento delle sanse vergini con n-esano per
l’estrazione dell’olio di sansa destinato all’alimentazione umana e da
successivo trattamento termico, purchè i predetti trattamenti siano effettuati
all’interno del medesimo impianto; tali requisiti, nel caso di impiego del
prodotto al di fuori dell’impianto stesso di produzione, devono risultare da un
sistema di identificazione conforme a quanto stabilito al punto 3. (Il decreto è
stato abrogato dall’art. 297 D.Lgs. n. 152/06, coi limiti ivi indicati).
Il D.L. 8/7/2002 n. 138(Interventi urgenti in materia tributaria, di
privatizzazioni etc.) all’art.14 prevede “Interpretazione autentica della
definizione di rifiuto di cui all’art.6, comma 1, lett.a) del decreto
legislativo 5 febbraio 1997 n. 22”. In particolare, prevede che non vengano
considerati rifiuti: a) i beni o sostanze o materiali residuali di produzione o
di consumo ove gli stessi possano essere effettivamente ed oggettivamente
riutilizzati nel medesimo o in analogo o in diverso ciclo produttivo o di
consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare
pregiudizio all’ambiente; b) ove gli stessi possano essere e siano
effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o
diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento
preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra
quelle individuate nell’All. C del D.Lgs. n. 22/97(La norma è stata abrogata
dall’art. 264 del D.Lgs. n. 152 del 2006 e sostituita dall’art. 183 lett.n)
D.lgs. n. 152 cit.).
Il D.Lgs. 3/4/2006 n. 152, recante “Norme in materia ambientale” prevede, per
quanto d’interesse per la fattispecie, le seguenti disposizioni:
- a) art. 183(Definizioni), nel testo sostituito dall’art. 2, comma 20, del
D.Lgs. 16 gennaio 2008 n. 4(correttivo ambientale) che, al comma 1 lett.a)
definisce “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie
riportate nell’Allegato A alla parte quarta del decreto e di cui il detentore si
disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi; alla lett.p) definisce
“sottoprodotto” le sostanze e i materiali dei quali il produttore non intende
disfarsi ai sensi dell’art. 183 comma 1 lett.a) che soddisfino tutti i seguenti
criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non
direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin
dalla fase di produzione, integrale ed avvenga direttamente nel corso del
processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e
definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientali idonei a
garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali
qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per
l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere
sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per
soddisfare i requisiti merceologici o di qualità ambientale di cui al punto 3,
ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un
valore economico di mercato;
- b) art. 184(Classificazione) che, al comma 3, ricomprende fra i rifiuti
speciali anche i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
- c) art. 185 (Limiti al campo di applicazione) che, al comma 2, prevede, fra
l’altro, che possano essere “sottoprodotti”, nel rispetto delle condizioni della
lett.p, comma 1, dell’art. 183, “ materiali fecali e vegetali provenienti da
attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o
interaziendali per produrre energia o calore o biogas”;
- d) art. 196(Competenza delle Regioni) che definisce le competenze regionali in
materia di gestione di rifiuti.
- e) Allegato X (Disciplina dei combustibili) che ricomprende fra le biomasse
combustibili la sansa di oliva disoleata e ne definisce le caratteristiche e le
condizioni di utilizzo.
Per quanto riguarda, poi, gli orientamenti giurisprudenziali succedutisi nella
disciplina ricordata, va anzitutto rilevato, in merito all’applicazione
dell’art. 183 D,.Lgs. n. 152/06, che ha distinto in maniera precisa rifiuti e
sottoprodotti, che, nella pratica, l’individuazione e la differenziazione fra
tali categorie è risultata più difficoltosa.
Per quanto attiene alla giurisprudenza comunitaria, si ricordano i principali
passaggi interpretativi:
- Corte di giustizia delle comunità europee: Sentenza 11 novembre 2004(Causa C
457/02): ha introdotto il concetto di sottoprodotto per descrivere un bene che
non presentava le caratteristiche del prodotto principale, ma del quale comunque
l’impresa produttrice non intendeva disfarsi perché poteva riutilizzarlo
all’interno del ciclo produttivo o commercializzarlo a condizioni economiche
favorevoli. La sentenza ha proposto una applicazione restrittiva del concetto,
limitata ai casi in cui il riutilizzo, certo e non eventuale, avvenga
all’interno dello stesso ciclo.
- Corte di giustizia delle comunità europee: Sentenza 8 settembre 2005 (Causa C-
121/03, Regno di Spagna): ha ribadito il concetto introdotto con la sentenza 11
novembre 2004.
- Corte di giustizia delle comunità europee: Sentenza 8 settembre 2005 (Causa
C-416/02 Regno di Spagna): è stata abbandonata l’applicazione restrittiva a
favore di una posizione più aperta alla commercializzazione(“una sostanza non
può essere considerata un rifiuto ai sensi della direttiva 74/442 se viene
utilizzata con certezza per il fabbisogno di operatori economici diversi da chi
l’ha prodotta”).
- Corte di giustizia delle comunità europee: Sentenza 18 dicembre 2007(Causa C-
263/05, Repubblica italiana): è stato precisato che “se per il riutilizzo
occorrono operazioni di deposito che possono avere una certa durata e, quindi,
rappresentare un onere per il detentore, nonché essere potenzialmente fonte di
quei danni per l’ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare, esso
non può considerarsi certo né prevedibile solo a più o meno lungo termine,
cosicché la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di
principio, come rifiuto”.
- Grande Sezione della Corte di giustizia: Sentenza 24 giugno 2008(Causa C-
188/07): è stato precisato che una sostanza(nella specie si trattava di olio
pesante venduto come combustibile) non costituisce rifiuto ai sensi della
direttiva n. 75/442 CEE relativa ai rifiuti, nei limiti in cui è sfruttata o
commercializzata a condizioni economicamente vantaggiose e può essere
effettivamente utilizzata come combustibile senza necessitare di preliminari
operazioni di trasformazione.
Per quanto attiene, invece, alla più recente giurisprudenza italiana si
ricordano:
- Sentenza Corte Cassazione 4 aprile 2007 n. 13754: sono state ribadite le
condizioni che rendono possibile escludere i residui di lavorazione dalla
disciplina dei rifiuti, soffermandosi in particolare sulla necessità
dell’assenza di trasformazione preliminare e sull’utilizzo certo. Per quanto
riguarda l’olio di sansa la Corte ha sottolineato che è lo stesso D,Lgs. N. 152
del 2006 che stabilisce espressamente, tra le condizioni di riutilizzo delle
biomasse combustibili, che la sansa di oliva disoleata deve avere(per poter
essere riutilizzata) determinate caratteristiche tecniche, ottenibili mediante
un apposito e peculiare trattamento preliminare. Ha, quindi, escluso che la
stessa possa farsi rientrare nella categoria dei sotto prodotti.
- Sentenza Corte Cassazione 29 luglio 2008 n. 31462: è stato affermato che, ai
fini della qualifica di un materiale o una sostanza come sottoprodotto, non è
necessario che il riutilizzo avvenga nello stesso processo produttivo che lo ha
originato, essendo sufficiente che il processo di utilizzazione sia stato
preventivamente individuato e definito(la pronuncia si discosta da precedenti
pronunce: v. sent. N. 14557 dell’11 aprile 2007).
- Sentenza Corte Cassazione 12 settembre 2008 n. 35235: in materia di residui da
lavorazione(nella specie, pavimenti in linoleum) è stata rimarcata l’importanza
del valore economico, elemento determinante per la distinzione tra scarto e
sottoprodotto.
- Tar Campania 5 giugno 2006 n. 8169: richiamando la giurisprudenza comunitaria,
ha sottolineato come sia centrale, nella determinazione del concetto di
sottoprodotto, accertare l’intenzione dell’impresa di sfruttare o
commercializzare in un processo diverso e successivo il bene in questione. Il
caso affrontato riguardava proprio la sansa vergine qualificata come materia
prima utilizzabile sia all’interno dei sansifici, sia successivamente in un
processo produttivo diverso. E ciò diversamente dalle sanse esauste, derivanti
dalla estrazione dell’olio di sansa, che invece sono oggetto di regolamentazione
come rifiuto (artt. 31 e 33 D.Lgs. n. 22 del 1997).
- Tar Emilia Romagna 9 luglio 2008 n. 3296: è stata esclusa la qualifica di
sottoprodotto per il liquame zootecnico perché previsto come rifiuto ex All.D al
D.Lgs. n. 152 cit. e perché il suo utilizzo per produrre energia richiede la
trasformazione in biogas e, quindi, la trasformazione tramite un successivo
processo produttivo.
- Tar Sicilia 24 maggio 2007 n. 1430: è stato ritenuto che l’individuazione
della natura di sottoprodotto ruoti essenzialmente attorno alle modalità di
utilizzo del materiale, per cui da un lato è assolutamente indifferente che tale
riutilizzo avvenga presso il luogo di produzione o altrove, da parte di un
terzo, mentre dall’altro è necessario che vengano in ogni caso fornite garanzie
sufficienti sull’identificazione e sull’utilizzazione effettiva delle sostanze
nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver
subito un trattamento preventivo tale da non costituire recupero; il che risulta
ammissibile solo per quelle attività che si limitano a rendere la sostanza
idonea al riutilizzo, senza mutarne la composizione chimica.
- C.G.A. 21 gennaio 2008 n. 2: è stato ritenuto che l’utilizzazione delle
buccette essiccate (derivato dalla produzione vinicola) come combustibile
rientri nella nozione di rifiuto, trattandosi di beni riutilizzati dopo un
processo di trasformazione(lavaggi ed essiccazione) e destinati ad operazioni di
smaltimento e di recupero secondo gli Allegati B e C del D.Lgs. n. 22 cit.
Dalle decisioni soprariportate, sembra di potersi dedurre che, a livello
comunitario, è stata messa a fuoco la nozione collaterale di “sottoprodotto”,
nel senso che un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo
di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo
non è sempre un residuo, ma può anche essere considerato un sottoprodotto, ossia
un bene del quale l’impresa non ha intenzione di disfarsi, ma che intende
utilizzare commercialmente. Centrale nella determinazione di tale concetto
appare, allora, l’intenzione dell’impresa di sfruttare o commercializzare in un
processo diverso e successivo il bene in questione(in termini, TAR Campania,
sent. N. 8169/06).
Nel caso di specie, la circostanza che la soc. Oil Salento intenda utilizzare la
sansa vergine parrebbe confortare l’interpretazione dalla stessa società
proposta, ossia che nella fattispecie non si verta in tema di rifiuti(Cass. Pen.
III, 17 maggio 2005).
Essa, invero, sembra rappresentare una materia di derivazione dal processo di
estrazione dell’olio di oliva, costituito dal residuo solido della spremitura
della pasta di olive, utilizzabile sia all’interno dei santifici, sia
successivamente in un ciclo produttivo diverso, come intende fare la società
appellante( e ciò diversamente dalle sanse esauste, derivanti dal processo
estrattivo dell’olio di sansa, che sono invece soggette di regolamentazione
quale rifiuto e di procedure semplificate di recupero ex artt. 31 e 33 D.L.vo n.
22 del 1997).
Gli utilizzi principali che può avere la sansa, oltre alla estrazione dell’olio
di sansa, sono la distribuzione come ammendante sui terreni agrari e l’impiego
come combustibile per riscaldamento (utilizzazione che interessa la
fattispecie).
Tuttavia, ad avviso del Collegio, la possibile non riconducibilità della sansa
vergine alla disciplina dei rifiuti, non è di per sé sufficiente ad affermare la
stretta connessione dell’attività assentita per l’opificio della società
appellante con la trasformazione dei prodotti agricoli.
Come risulta dai provvedimenti impugnati, il progetto in questione riguarda
(dopo il suo ridimensionamento) la ristrutturazione edilizia e la riconversione
dei fabbricati esistenti in uno stabilimento industriale precedentemente adibito
a pomodorificio, per destinarlo a produzione e commercializzazione di nocciolino
di sansa, tramite sua essiccazione.
L’impianto di essiccazione, che viene incontestatamente considerato fra i più
grandi d’Europa, è in grado di lavorare circa 13.000 quintali al giorno di sansa
(ancorché su base stagionale, essendo legato al periodo di lavorazione
dell’oliva) il che fa supporre la necessità di approvvigionamenti corposi sul
territorio, anche a notevole distanza dalla localizzazione dell’impianto.
La caratteristica principale dell’attività consiste, dunque, in una lavorazione
di prodotti di terzi mediante una tecnologia che non è, di per sé, espressione
di tipica attività di trasformazione agricola, in cui normalmente dal prodotto
grezzo, attraverso la conoscenza dei processi chimici e biodinamici e con
l’applicazione di adeguate tecnologie di trasformazione, si passa a prodotti più
definiti, specificamente finalizzati all’utilizzazione umana od animale.
A tale ambito di attività di trasformazione è, infatti, estranea l’attività di
smaltimento dei residui di precedenti lavorazioni agricole, ancorché
finalizzata, come nella fattispecie, a produzioni alternative.
Nella fattispecie, come si è già detto, viene infatti in considerazione un
impianto per la lavorazione di sanse vergini, il cui processo tecnologico
consiste nella estrazione, mediante particolari strutture di essiccazione ad
aria calda, del nocciolino di sansa da utilizzare come combustibile.
Non si è, pertanto, in presenza di una attività strettamente connessa alla
trasformazione di prodotti agricoli, bensì di una vera e propria attività
industriale di secondo livello, che utilizza residui derivanti dalla lavorazione
dell’oliva provenienti da opifici operanti su una vasta area territoriale e in
cui la precedente lavorazione ne ha spezzato la diretta derivazione dalla
produzione agricola in quanto tale.
Invero, in tanto un impianto può essere considerato strettamente connesso con la
trasformazione di prodotti agricoli in quanto l’aspetto industriale di
trasformazione sia, per un verso, connesso alla chiusura del ciclo produttivo
agricolo e, per altro verso, non sia prevalente, per modalità di
approvvigionamento o di trasformazione, rispetto all’attività agricola in quanto
tale.
Resta da stabilire se l’intervento edilizio in sé rientri fra quelli consentiti
nella zona E secondo le NTA del Comune di Veglie, con riferimento al principio
di conservazione della originaria destinazione d’uso, attraverso la mera
attività di ristrutturazione.
Secondo la OIL SALENTO ciò potrebbe consentirsi in quanto si tratta di opificio
industriale, nato precedentemente alla entrata in vigore del P.R.G., cui
dovrebbe attagliarsi la previsione, contenuta nelle N.T.A., in base alla quale
“nel caso di cessazione di attività industriali esistenti non correlate con
l’attività agricola, gli edifici relativi dovranno essere destinati
esclusivamente all’attività agricola o ad essa connessa”.
Ritiene il Collegio che, sulla base delle considerazioni sopraesposte circa la
natura dell’attività che la soc. Oil Salento intende esercitare, resti preclusa
anche la possibilità di recupero delle attività industriali già esistenti
contemplata dalle N.T.A.
Invero, viene espressamente previsto che gli edifici dismessi debbano essere
esclusivamente destinati all’attività agricola o ad attività ad essa connessa,
il che, come si è detto, non si verifica nella fattispecie. Né alcun rilievo può
assumere la circostanza che in precedenza negli edifici venisse svolta attività
di pomodorificio, essendo detta attività cessata da moltissimi anni.
5. Le considerazioni che precedono consentono di ritenere fondati gli esaminati
profili di censura ed assorbiti i restanti motivi di gravame.
Deriva da quanto sopra che la sentenza di accoglimento del TAR Puglia- Lecce, n.
339 del 2009, va confermata sia pure con diversa motivazione e conseguente
annullamento degli atti impugnati in primo grado, salvi restando gli ulteriori
provvedimenti dell’amministrazione.
Attesa la complessità della vicenda, sussistono i presupposti per la
compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del doppio grado di
giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sez. IV, definitivamente
pronunciando in merito al ricorso in appello indicato in epigrafe, conferma con
diversa motivazione la sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo
grado, salvi restando gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 27 ottobre 2009 e 15
febbraio 2010 con l'intervento dei Signori:
Costantino Salvatore, Presidente
Luigi Maruotti, Consigliere
Goffredo Zaccardi, Consigliere
Armando Pozzi, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/02/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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