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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 29/12/2010, Sentenza n.
9578
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico - Compromissione della
bellezza naturale ad opera di preesistenti realizzazioni abusive - Intervento
della soprintendenza - Giudizio di comparazione - Condizioni effettive
dell’area. L’intervento della Sovrintendenza deve tendere alla conservazione
dei valori presidiati dal vincolo al fine di evitare ulteriori interventi
deturpanti, a prescindere dall’esistenza di eventuali altre evidenze abusive.
Infatti la situazione di compromissione della bellezza naturale ad opera di
preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede che nuove
costruzioni non deturpino esteriormente l’ambito protetto. Nondimeno, perché
l’azione amministrativa risulti ragionevole, deve avere per obiettivo
un’effettiva tutela del paesaggio e non l’inutile evocazione di un valore
astratto ed irreale. Perciò il giudizio di comparazione dell’opera al contesto
da difendere va compiuto tenendo presente le effettive condizioni dell’area in
cui il manufatto è stato inserito. Pres. Severini, Est. Vigotti - Ministero per
i beni e le attivita' culturali (Avv. Stato) c. Istituto A. (avv.ti Ceceri,
Nardone e Testa) - (Conferma T.A.R. CAMPANIA, Napoli, n. 1483/2009) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 29 dicembre 2010, n. 9578
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 09578/2010 REG.SEN.
N. 02449/2010 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2449 del 2010, proposto da:
Ministero per i beni e le attivita' culturali, in persona del ministro in
carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata
per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Istituto Antoniano Maschile dei Padri Rogazionisti, in persona del legale
rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocatri Giuseppe Ceceri, Antonio
Nardone, Arturo Testa, con domicilio eletto presso l’avvocato Antonio Nardone in
Roma, piazza del Popolo, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE IV n. 01483/2009, resa tra
le parti, concernente DINIEGO CONCESSIONE EDILIZIA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Istituto Antoniano maschile dei
padri Rogazionisti;
Visto l’appello incidentale proposto dall’Istituto predetto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2010 il consigliere
Roberta Vigotti e uditi per le parti l’ avvocato dello Stato Russo e l’avvocato
Ceceri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Ministero per i beni e le attività culturali chiede la riforma della sentenza
con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha accolto il
ricorso presentato dall’Istituto Antoniano maschile dei Padri Rogazionisti
avverso il provvedimento con il quale la Soprintendenza per i beni
architettonici di Napoli ha annullato il provvedimento comunale recante parere
favorevole, ai sensi dell’art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per la
concessione del condono edilizio relativamente al complesso immobiliare
destinato ad attività religiose sito in Napoli, viale dei Pini n. 53.
Avverso la stessa sentenza ha proposto ricorso incidentale condizionato
l’istituto, per riproporre i motivi non esaminati dal primo giudice, in quanto
assorbiti.
Risulta dagli atti che l’istituto ricorrente ha avviato nel 1957 lavori edilizi
di ampliamento dell’originario complesso con la sopraelevazione della struttura
risalente al XVIII secolo e con la costruzione, completata nel 1963, di un
secondo corpo di fabbrica, omettendo di chiedere concessione per tali lavori.
Il 28 marzo 1986 l’istituto ha perciò chiesto il condono ai sensi della legge 28
febbraio 1985, n. 47; il 13 gennaio 2005 la commissione edilizia integrata del
Comune di Napoli, e successivamente il dirigente comunale competente, hanno
rilasciato parere favorevole rilevando che gli interventi si inseriscono un una
zona ampiamente urbanizzata, nella quale non creano alterazione ambientale, ma
tale parere comunale è stato annullato dalla soprintendenza con l’atto oggetto
del ricorso di primo grado, sul presupposto dell’esistenza del vincolo imposto
sull’area con d.m. 25 giugno 1965, dell’alterazione del paesaggio creato dalle
opere realizzate, del contrasto con altra pratica interessante il medesimo
complesso immobiliare.
La sentenza impugnata ha accolto il ricorso, ritenendo che l’attività valutativa
dell’autorità di tutela non possa prescindere dalla tipologia delle opere
realizzate in connessione al contesto ambientale, e che debba essere condotta
alla stregua della valutazione dell’impatto concreto del manufatto, considerato
che, nel caso di specie, non può considerarsi incoerente con il contesto
urbanistico edilizio così come determinatosi nel corso degli anni.
La sentenza merita conferma.
Giova premettere che l’ampliamento edilizio del quale si tratta risulta eseguito
negli anni sessanta del secolo scorso; che tutta la zona nella quale l’opera è
inserita ha avuto un notevole sviluppo ad alta intensità edilizia e oggi è per
conseguenza densamente abitata; che il fatto che l’intera area non possa, in
realtà, essere considerata come il belvedere asserito dall’Amministrazione è
effetto dell’intensa e di fatto irreversibile urbanizzazione ed edificazione
realizzata negli anni successivi, anche in deroga al vincolo paesaggistico
gravante sulla stessa area.
È in linea di diritto anzitutto da sottolineare che è certamente condivisibile
quanto affermato dal Ministero appellante, cioè che l’intervento della
Sovpintendenza deve tendere alla conservazione dei valori presidiati dal vincolo
al fine di evitare ulteriori interventi deturpanti, a prescindere dall’esistenza
di eventuali altre evidenze abusive. Infatti è valido principio della
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che la situazione di compromissione
della bellezza naturale ad opera di preesistenti realizzazioni, anziché
impedire, maggiormente richiede che nuove costruzioni non deturpino
esteriormente l’ambito protetto (Cons. Stato, VI, 13 febbraio 1976, n. 87; 11
giugno 1990, n. 600; 28 agosto 1995, n. 820; II, 17 giugno 1998, n. 853.).
Nondimeno, la prevenzione di siffatti ulteriori deturpamenti deve essere
effettiva e non solo teorica. Perciò la valutazione dell’Amministrazione deve
essere riferita alla circostante, anche se circoscritta, realtà. Perché l’azione
amministrativa risulti ragionevole, deve avere per obiettivo un’effettiva tutela
del paesaggio e non l’inutile evocazione di un valore astratto ed irreale.
Perciò il giudizio di comparazione dell’opera al contesto da difendere va
compiuto tenendo presente le effettive condizioni dell’area in cui il manufatto
è stato inserito.
Tale valutazione, nel caso dell’edificazione oggetto della richiesta di condono
in questione, va dunque rapportata alla considerazione del sistematico degrado
dei valori paesaggistici naturali originariamente tutelati mediante il vincolo.
Questo degrado si è sedimentato per effetto di numerosissime costruzioni del
tipo e del genere di quella di cui si discute, nel cui stretto contesto questa è
collocata. Risulta dagli atti che l’intero abitato circostante (il Viale dei
Pini, in Capodimonte, Napoli) è stato trasformato - per spazi e cubature - in
modo così affollato, intenso e sistematico da rendere per quel luogo
radicalmente diverso e la bellezza naturale assoggettata a vincolo sminuita
rispetto alle forme pregresse.
Questa circostanza, se da un lato non fa venir meno il vincolo paesaggistico (e
con esso la necessità che ogni nuovo intervento vi risulti compatibile, come che
una tale compatibilità venga accuratamente vagliata), da un altro richiede
all’Amministrazione di tener presente la realtà e di valutare l’offensività
effettiva dell’innovazione rispetto a quanto davvero persiste dei valori
paesistici protetti. Un’innovazione che effettivamente sia idonea a ledere
quanto rimane del pregio paesaggistico che presiede al vincolo è, ai fini della
tutela, meritevole del diniego di legittimazione. Ma così non appare essere nel
caso di specie.
La sentenza impugnata, che su tali considerazioni essenzialmente si basa, merita
pertanto conferma (a nulla comunque rilevando le sue ridondanti considerazioni
circa la natura dell’ente di cui si tratta, che è inconferente rispetto alla
tutela del paesaggio): la reiezione dell’appello dell’Amministrazione esime il
Collegio dall’esaminare l’appello incidentale proposto dall’istituto appellato
per il caso di accoglimento del gravame principale.
Le spese di lite possono, peraltro, essere compensate tra le parti per
giustificati motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente
pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto,
conferma la sentenza impugnata.
Dichiara inammissibile per carenza di interesse l’appello incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/12/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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