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CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. Grande, 23/03/2010, Sentenze C-236/08 a C-238/08
DIRITTI DEI CONSUMATORI - Marchi d’impresa - Internet - Motore di ricerca
(Google) - Pubblicità a partire da parole chiave (“keyword advertising”) -
Visualizzazione, da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa, di
link verso siti di concorrenti dei titolari di detti marchi ovvero verso
siti sui quali sono offerti prodotti di imitazione - Servizio di
posizionamento «AdWords» - Link pubblicitario e link sponsorizzati - Art. 5,
n. 1, lett. a) Direttiva 89/104/CEE - Art. 9, n. 1, lett. a) Regolamento
(CE) n. 40/94 - Responsabilità del gestore del motore di ricerca - Direttiva
2000/31/CE (“direttiva sul commercio elettronico”). In materia di marchi
d’impresa, gli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1,
lett. a), del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che
il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità
- a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da
tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet
senza il consenso dello stesso titolare - a prodotti o servizi identici a
quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui
trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio
di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio
provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa
a quest’ultimo o invece da un terzo. Tuttavia, il prestatore di un servizio
di posizionamento su Internet che memorizza come parola chiave un segno
identico a un marchio e organizza, a partire da quest’ultima, la
visualizzazione di annunci non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5,
n. 1 e 2, della direttiva 89/104 o dell’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del
regolamento n. 40/94. Pres. Skouris - Rel. Ilešic - Google Inc. ed alto c.
Louis Vuitton Malletier SA ed altri. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. Grande,
23/03/2010, Sentenze C-236/08 a C-238/08
DIRITTI DEI CONSUMATORI - Marchi d’impresa - Internet - Motore di ricerca
(Google) - Pubblicità a partire da parole chiave (“keyword advertising”) -
Servizio di posizionamento «AdWords» - Siti sui quali sono offerti prodotti
di imitazione - Responsabilità del gestore del motore di ricerca -
Esclusione - Presupposti - Art. 14, Direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul
commercio elettronico”). L’art. 14 della direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti
giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il
commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio
elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta
si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet
qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli
la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un
siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i
dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che,
essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività
di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati
o disabilitare l’accesso agli stessi. Pres. Skouris - Rel. Ilešic - Google
Inc. ed alto c. Louis Vuitton Malletier SA ed altri. CORTE DI GIUSTIZIA
CE, Sez. Grande, 23/03/2010, Sentenze C-236/08 a C-238/08
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
23 marzo 2010
«Marchi - Internet - Motore di ricerca - Pubblicità a partire da parole
chiave (“keyword advertising”) - Visualizzazione, a partire da parole
chiave corrispondenti a marchi di impresa, di link verso siti di
concorrenti dei titolari di detti marchi ovvero verso siti sui quali
sono offerti prodotti di imitazione - Direttiva 89/104/CEE - Art. 5 -
Regolamento (CE) n. 40/94 - Art. 9 - Responsabilità del gestore del
motore di ricerca - Direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio
elettronico”)»
Nei procedimenti riuniti da C-236/08 a C-238/08,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla
Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Cour de cassation (Francia) con
decisioni 20 maggio 2008, pervenute in cancelleria il 3 giugno 2008,
nelle cause
Google France SARL,
Google Inc.
contro
Louis Vuitton Malletier SA (C-236/08),
e
Google France SARL
contro
Viaticum SA,
Luteciel SARL (C-237/08),
e
Google France SARL
contro
Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL,
Pierre-Alexis Thonet,
Bruno Raboin,
Tiger SARL (C-238/08),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N.
Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e E. Levits, presidenti di sezione, dai
sigg. C.W.A. Timmermans, A. Rosas, A. Borg Barthet, M. Ilešic
(relatore), J. Malenovský, U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e J.-J. Kasel,
giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17
marzo 2009,
considerate le osservazioni presentate:
- per la Google France SARL e la Google Inc., dagli avv.ti A. Néri e S.
Proust, avocats, nonché dal sig. G. Hobbs, QC;
- per la Louis Vuitton Malletier SA, dall’avv. P. De Candé, avocat;
- per la Viaticum SA e la Luteciel SARL, dall’avv. C. Fabre, avocat;
- per il Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL
e il sig. Thonet, dagli avv.ti L. Boré e P. Buisson, avocats;
- per la Tiger SARL, dall’avv. O. de Nervo, avocat;
- per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e B. Cabouat, in
qualità di agenti;
- per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. H. Krämer, in
qualità di agente,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 22 settembre 2009,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione
dell’art. 5, nn. 1 e 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre
1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), dell’art.
9, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94,
sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), e dell’art. 14 della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000,
2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della
società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel
mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag.
1).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che
vedono contrapposte, nella causa C-236/08, le società Google France SARL
e Google Inc. (in prosieguo, singolarmente o congiuntamente: la
«Google») alla società Louis Vuitton Malletier SA (in prosieguo: la
«Vuitton») e, nelle cause C-237/08 e C-238/08, la Google alle società
Viaticum SA (in prosieguo: la «Viaticum»), Luteciel SARL (in prosieguo:
la «Luteciel»), Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH)
SARL (in prosieguo: il «CNRRH») e Tiger SARL (in prosieguo: la «Tiger»),
nonché a due privati, i sigg. Thonet e Raboin, in ordine alla
visualizzazione su Internet di link pubblicitari a partire da parole
chiave corrispondenti a marchi di impresa.
I - Contesto normativo
A - La direttiva 89/104
3 L’art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal
marchio di impresa», dispone quanto segue:
«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto
esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio
consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi
identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto
segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti
o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare
adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un
rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.
2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il
diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel
commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i
prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato
registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato
membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente
vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di
impresa o reca pregiudizio agli stessi.
3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al
paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a
tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal
segno;
c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;
d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella
pubblicità.
(…)».
4 L’art. 6 della direttiva 89/104, rubricato «Limitazione degli effetti
del marchio di impresa», dispone quanto segue:
«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare
dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:
a) del loro nome e indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità,
alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di
fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre
caratteristiche del prodotto o del servizio;
c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la
destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o
pezzi di ricambio,
purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo
industriale e commerciale.
(…)».
5 L’art. 7 della direttiva 89/104, rubricato «Esaurimento del diritto
conferito dal marchio di impresa», nella sua versione iniziale, così
recitava:
«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare
dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti
immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare
stesso o con il suo consenso.
2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi
perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei
prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o
alterato dopo la loro immissione in commercio».
6 In conformità all’art. 65, n. 2, dell’Accordo sullo Spazio economico
europeo (SEE) del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3), in combinato
disposto con l’allegato XVII, punto 4, di tale Accordo, l’art. 7, n. 1,
della direttiva 89/104, nella sua versione iniziale, è stato modificato
ai fini di detto Accordo, cosicché l’espressione «nella Comunità» è
stata sostituita dai termini «in una Parte contraente».
7 La direttiva 89/104 è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa
(versione codificata) (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28
novembre 2008. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i
fatti, alle cause principali resta applicabile la direttiva 89/104.
B - Il regolamento n. 40/94
8 L’art. 9 del regolamento n. 40/94, rubricato «Diritti conferiti dal
marchio comunitario», dispone quanto segue:
«1. Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto
esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio
consenso, di usare in commercio:
a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi
identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio
comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi
contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a
un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione
comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;
c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o
servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato
registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e
se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente
vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio
comunitario o reca pregiudizio agli stessi.
2. Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:
a) l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro confezionamento;
b) l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a
tali scopi oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura
del segno;
c) l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del
segno;
d) l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.
(…)».
9 L’art. 12 del regolamento n. 40/94, rubricato «Limitazione degli
effetti del marchio comunitario», dispone quanto segue:
«Il diritto conferito dal marchio comunitario non consente al titolare
di impedire ai terzi l’uso in commercio:
a) del loro nome o indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità,
alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di
fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre
caratteristiche del prodotto o servizio;
c) del marchio, se esso è necessario per contraddistinguere la
destinazione di un prodotto o di un servizio, in particolare accessori o
pezzi di ricambio;
purché questo uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo
industriale o commerciale».
10 L’art. 13 del medesimo regolamento, rubricato «Esaurimento del
diritto conferito dal marchio comunitario», così recita:
«1. Il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al
titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nella
Comunità con tale marchio dal titolare stesso [o] con il suo consenso.
2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi
perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio
dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o
alterato dopo la loro immissione in commercio».
11 Il regolamento n. 40/94 è stato abrogato dal regolamento (CE) del
Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (versione
codificata) (GU L 78, pag. 1), entrato in vigore il 13 aprile 2009. Ciò
nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alle cause
principali resta applicabile il regolamento n. 40/94.
C - La direttiva 2000/31
12 Il ventinovesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31 così recita:
«Le comunicazioni commerciali sono essenziali per il finanziamento dei
servizi della società dell’informazione e per lo sviluppo di un’ampia
gamma di nuovi servizi gratuiti. Nell’interesse dei consumatori e della
correttezza delle operazioni, le comunicazioni commerciali (…) devono
ottemperare a numerosi obblighi di trasparenza. (…)».
13 I ‘considerando’ dal quarantesimo al quarantaseiesimo della direttiva
2000/31 recitano quanto segue:
«(40) Le attuali o emergenti divergenze tra le normative e le
giurisprudenze nazionali, nel campo della responsabilità dei prestatori
di servizi che agiscono come intermediari, impediscono il buon
funzionamento del mercato interno, soprattutto ostacolando lo sviluppo
dei servizi transnazionali (…). In taluni casi, i prestatori di servizi
hanno il dovere di agire per evitare o per porre fine alle attività
illegali. La presente direttiva dovrebbe costituire la base adeguata per
elaborare sistemi rapidi e affidabili idonei a rimuovere le informazioni
illecite e disabilitare l’accesso alle medesime. (…)
(41) La direttiva rappresenta un equilibrio tra i vari interessi in
gioco e istituisce principi su cui possono essere basati gli accordi e
gli standard delle imprese del settore.
(42) Le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva
riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di
servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di
attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono
trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a
disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la
trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico,
automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della
società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni
trasmesse o memorizzate.
(43) Un prestatore può beneficiare delle deroghe previste per il
semplice trasporto (“mere conduit”) e per la memorizzazione temporanea
detta “caching” se non è in alcun modo coinvolto nell’informazione
trasmessa. (…)
(44) Il prestatore che deliberatamente collabori con un destinatario del
suo servizio al fine di commettere atti illeciti non si limita alle
attività di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” e non può
pertanto beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste
per tali attività.
(45) Le limitazioni alla responsabilità dei prestatori intermedi
previste nella presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità
di azioni inibitorie di altro tipo. (…)
(46) Per godere di una limitazione della responsabilità, il prestatore
di un servizio della società dell’informazione consistente nella
memorizzazione di informazioni deve agire immediatamente per rimuovere
le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena
sia informato o si renda conto delle attività illecite. (…)».
14 L’art. 2, lett. a), della direttiva 2000/31 definisce i «servizi
della società dell’informazione» mediante richiamo all’art. 1, n. 2,
della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998,
98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle
norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai
servizi della società dell’informazione (GU L 204, pag. 37), come
modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20
luglio 1998, 98/48/CE, (GU L 217, pag. 18), e quindi come:
«qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a
distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un
destinatario di servizi».
15 L’art. 1, n. 2, della direttiva 98/34, nella sua versione modificata
con direttiva 98/48, dispone inoltre quanto segue:
«(…)
Ai fini della presente definizione si intende:
- “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle
parti;
- “per via elettronica”: un servizio inviato all’origine e ricevuto a
destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (…) e di
memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e
ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi
elettromagnetici;
- “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio
fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.
(…)».
16 L’art. 6 della direttiva 2000/31 è del seguente tenore:
«Oltre agli altri obblighi di informazione posti dal diritto
comunitario, gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni
commerciali che costituiscono un servizio della società
dell’informazione (…) rispettino le seguenti condizioni minime:
(…)
b) la persona fisica o giuridica per conto della quale viene effettuata
la comunicazione commerciale è chiaramente identificabile;
(…)».
17 Nel capo II della direttiva 2000/31 è contenuta la sezione 4, recante
l’intestazione «Responsabilità dei prestatori intermediari», la quale
comprende gli artt. 12-15.
18 L’art. 12 della direttiva 2000/31, rubricato «Semplice trasporto
(“mere conduit”)», dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un
servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su
una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del
servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il
prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse a
condizione che egli:
a) non dia origine alla trasmissione;
b) non selezioni il destinatario della trasmissione; e
c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.
2. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al
paragrafo 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e
transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva
solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata
non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo.
3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo
gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o
un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga
fine ad una violazione».
19 L’art. 13 della medesima direttiva, rubricato «Memorizzazione
temporanea detta “caching”», così recita:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un
servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su
una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del
servizio, il prestatore non sia responsabile della memorizzazione
automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al
solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri
destinatari a loro richiesta, a condizione che egli:
a) non modifichi le informazioni;
b) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni;
c) si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate
in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del
settore;
d) non interferisca con l’uso lecito di tecnologia ampiamente
riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego
delle informazioni, e
e) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato,
o per disabilitare l’accesso, non appena venga effettivamente a
conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo
dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle
informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o
un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la
disabilitazione dell’accesso.
2. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo
gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o
un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca o ponga
fine ad una violazione».
20 L’art. 14 della direttiva 2000/31, rubricato «Hosting», dispone
quanto segue:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un
servizio della società dell’informazione consistente nella
memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio,
il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a
richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto
prestatore:
a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o
l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie,
non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta
l’illegalità dell’attività o dell’informazione, o
b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per
rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.
2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce
sotto l’autorità o il controllo del prestatore.
3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, per un
organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa, in conformità agli
ordinamenti giuridici degli Stati membri, di esigere che il prestatore
ponga fine ad una violazione o la impedisca nonché la possibilità, per
gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle
informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime».
21 L’art. 15 della direttiva 2000/31, rubricato «Assenza dell’obbligo
generale di sorveglianza», prevede quanto segue:
«1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli
Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di
sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un
obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che
indichino la presenza di attività illecite.
2. Gli Stati membri possono stabilire che i prestatori di servizi della
società dell’informazione siano tenuti ad informare senza indugio la
pubblica autorità competente di presunte attività o informazioni
illecite dei destinatari dei loro servizi o a comunicare alle autorità
competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano
l’identificazione dei destinatari dei loro servizi con cui hanno accordi
di memorizzazione dei dati».
II - Cause principali e questioni pregiudiziali
A - Il servizio di posizionamento «AdWords»
22 La Google gestisce un motore di ricerca su Internet. Quando un utente
di Internet effettua una ricerca a partire da una o più parole, il
motore di ricerca visualizza, in ordine decrescente di pertinenza, i
siti che sembrano meglio corrispondere a tali parole. Si tratta dei
risultati cosiddetti «naturali» della ricerca.
23 La Google propone inoltre un servizio di posizionamento a pagamento
denominato «AdWords». Tale servizio consente a qualsiasi operatore
economico di far apparire un link pubblicitario verso il suo sito
mediante la selezione di una o più parole chiave, qualora tale o tali
parole coincidano con quella o quelle contenute nella richiesta
indirizzata da un utente di Internet al motore di ricerca. Tale link
pubblicitario appare nella rubrica «link sponsorizzati», visualizzata
sia sul lato destro dello schermo, a destra dei risultati naturali, sia
nella parte superiore dello schermo, al di sopra di tali risultati.
24 Detto link pubblicitario è accompagnato da un breve messaggio
commerciale. Tale link e tale messaggio costituiscono, insieme,
l’annuncio visualizzato nella succitata rubrica.
25 L’inserzionista è tenuto a pagare il servizio di posizionamento per
ogni selezione del link pubblicitario. Tale pagamento è calcolato in
funzione, in particolare, del «prezzo massimo per click» che, al momento
della conclusione del contratto di servizio di posizionamento con la
Google, l’inserzionista ha dichiarato di essere disposto a pagare nonché
del numero di click su tale link da parte degli utenti di Internet.
26 Più inserzionisti possono selezionare la stessa parola chiave.
L’ordine in cui vengono visualizzati i loro link pubblicitari in tal
caso sarà determinato, in particolare, in base al prezzo massimo per
click, da quante volte i detti link sono stati selezionati in
precedenza, nonché dalla qualità dell’annuncio come valutata dalla
Google. In qualunque momento l’inserzionista può migliorare la sua
posizione nell’ordine di visualizzazione fissando un prezzo massimo per
click più alto oppure provando a migliorare la qualità del suo annuncio.
27 La Google ha messo a punto un processo automatizzato per consentire
la selezione di parole chiave e la creazione di annunci. Gli
inserzionisti selezionano le parole chiave, redigono il messaggio
commerciale e inseriscono il link al loro sito.
B - Causa C-236/08
28 La Vuitton, che commercializza in particolare borse di lusso e altri
prodotti di pelletteria, è titolare del marchio comunitario «Vuitton» e
dei marchi nazionali francesi «Louis Vuitton» e «LV». È pacifico che
tali marchi sono notori.
29 Agli inizi del 2003, la Vuitton ha fatto constatare che, utilizzando
il motore di ricerca della Google, l’inserimento da parte degli utenti
di Internet dei termini costituenti i suoi marchi faceva apparire, nella
rubrica «link sponsorizzati», alcuni link verso siti che offrivano
imitazioni di prodotti della Vuitton. È stato inoltre accertato che la
Google offriva agli inserzionisti la possibilità di selezionare non solo
parole chiave corrispondenti ai marchi della Vuitton, ma anche tali
parole chiave associate ad espressioni indicanti attività di imitazione,
quali «imitazione» e «copia».
30 La Vuitton ha citato in giudizio la Google al fine di far accertare,
in particolare, che quest’ultima aveva arrecato pregiudizio ai suoi
marchi.
31 La Google è stata condannata per contraffazione dei marchi della
Vuitton con sentenza del tribunal de grande instance de Paris (Tribunale
di Parigi) 4 febbraio 2005 e, successivamente, in appello con sentenza
della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) 28 giugno 2006.
Essa ha proposto un ricorso per cassazione contro quest’ultima sentenza.
32 In tale contesto, la Cour de cassation (Corte di cassazione francese)
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se gli artt. 5, n. 1, lett. a) e b) della [direttiva 89/104], e 9,
n. 1, lett. a) e b), del [regolamento n. 40/94], debbano essere
interpretati nel senso che il prestatore del servizio di posizionamento
a pagamento che mette a disposizione degli inserzionisti parole chiave
che riproducono o imitano marchi registrati, e organizza, in forza del
contratto di posizionamento, la creazione e la visualizzazione
privilegiata, partendo da tali parole chiave, di link pubblicitari verso
siti sui quali sono offerti prodotti contraffatti faccia un uso di tali
marchi che il [loro] titolare ha il diritto di vietare.
2) Se, nel caso in cui i marchi siano marchi notori, il titolare possa
opporsi ad un tale uso, in forza dell’art. 5, n. 2, della direttiva
[89/104], e dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento [n. 40/94].
3) Nel caso in cui un tale uso non costituisca un uso che può essere
vietato dal titolare del marchio in applicazione della direttiva
[89/104] e del regolamento [n. 40/94], se il prestatore del servizio di
posizionamento a pagamento possa essere considerato fornitore di un
servizio della società dell’informazione consistente nella
memorizzazione delle informazioni fornite da un destinatario del
servizio, ai sensi dell’art. 14 della [direttiva 2000/31], di guisa che
non è possibile ravvisare una sua responsabilità prima che egli sia
stato informato dal titolare del marchio dell’uso illecito del segno da
parte dell’inserzionista».
C - Causa C-237/08
33 La Viaticum è titolare dei marchi francesi «Bourse des Vols», «Bourse
des Voyages» e «BDV», registrati per servizi relativi all’organizzazione
di viaggi.
34 La Luteciel svolge un’attività di prestazione di servizi informatici
per conto di agenzie di viaggi. Essa si occupa della creazione e della
gestione del sito Internet della Viaticum.
35 La Viaticum e la Luteciel hanno fatto constatare che, in occasione
dell’utilizzo del motore di ricerca della Google da parte degli utenti
di Internet, l’inserimento dei termini costituenti i marchi succitati
faceva apparire, nella rubrica «link sponsorizzati», alcuni link verso
siti di concorrenti della Viaticum. È stato inoltre accertato che la
Google offriva agli inserzionisti la possibilità di selezionare a tale
scopo parole chiave corrispondenti a detti marchi.
36 La Viaticum e la Luteciel hanno citato in giudizio la Google. Con
sentenza 13 ottobre 2003, il tribunal de grande instance de Nanterre
(Tribunale di Nanterre) ha dichiarato che la Google aveva commesso atti
di contraffazione di marchio e l’ha condannata a risarcire il danno
subito dalla Viaticum e dalla Luteciel. La Google ha interposto appello
dinanzi alla cour d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles).
Quest’ultima, con sentenza 10 marzo 2005, ha dichiarato che la Google
aveva concorso a commettere atti di contraffazione e ha confermato la
sentenza 13 ottobre 2003. La Google ha proposto un ricorso per
cassazione contro quest’ultima sentenza.
37 In tale contesto, la Cour de cassation ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) Se l’art. 5, n. 1, lett. a) e b) della [direttiva 89/104] debba
essere interpretato nel senso che il prestatore del servizio di
posizionamento a pagamento che mette a disposizione degli inserzionisti
parole chiave che riproducono o imitano marchi registrati, e organizza,
in forza del contratto di posizionamento, la creazione e la
visualizzazione privilegiata, partendo da tali parole chiave, di link
pubblicitari verso siti sui quali sono offerti prodotti identici o
simili a quelli contraddistinti dal marchio registrato faccia un uso di
tali marchi che il loro titolare ha il diritto di vietare.
2) Nel caso in cui un tale uso non costituisca un uso che può essere
vietato dal titolare del marchio in applicazione della direttiva
[89/104] e del regolamento [n. 40/94], se il prestatore del servizio di
posizionamento a pagamento possa essere considerato fornitore di un
servizio della società dell’informazione consistente nella
memorizzazione delle informazioni fornite da un destinatario del
servizio, ai sensi dell’art. 14 della [direttiva 2000/31], di guisa che
non è possibile ravvisare una sua responsabilità prima che egli sia
stato informato dal titolare del marchio dell’uso illecito del segno da
parte dell’inserzionista».
D - Causa C-238/08
38 Il sig. Thonet è titolare del marchio francese «Eurochallenges»,
registrato in particolare per servizi di agenzia matrimoniale. La
società CNRRH esercita l’attività di agenzia matrimoniale. Essa è
titolare di una licenza relativa al suddetto marchio, concessa dal sig.
Thonet.
39 Nel corso del 2003, il sig. Thonet e la CNRRH hanno fatto constatare
che, in occasione dell’utilizzo del motore di ricerca della Google da
parte degli utenti di Internet, l’inserimento del termine corrispondente
al suddetto marchio faceva apparire, nella rubrica «link sponsorizzati»,
alcuni link verso siti di concorrenti della CNRRH, gestiti
rispettivamente dal sig. Raboin e dalla Tiger. È stato inoltre accertato
che la Google offriva agli inserzionisti la possibilità di selezionare a
tale scopo detto termine come parola chiave.
40 Il sig. Raboin, la Tiger e la Google, su istanza del sig. Thonet e
della CNRRH, sono stati condannati per contraffazione di marchio con
sentenza del tribunal de grande instance de Nanterre 14 dicembre 2004 e,
successivamente, in appello con sentenza della cour d’appel de
Versailles 23 marzo 2006. La Google ha proposto un ricorso per
cassazione contro quest’ultima sentenza.
41 In tale contesto, la Cour de cassation ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) Se il fatto che un operatore economico dia in opzione, tramite un
contratto di posizionamento a pagamento su Internet, una parola chiave
che, se utilizzata per una ricerca, provoca la visualizzazione di un
link che offre la possibilità di connettersi ad un sito utilizzato da
tale operatore per mettere in vendita prodotti o servizi, e che
riproduce o imita un marchio registrato da un terzo per
contraddistinguere prodotti identici o simili, senza l’autorizzazione
del titolare di tale marchio, leda di per se stesso il diritto esclusivo
garantito a quest’ultimo dall’art. 5 della [direttiva 89/104].
2) Se l’art. 5, n. 1, lett. a) e b) della [direttiva 89/104] debba
essere interpretato nel senso che il prestatore del servizio di
posizionamento a pagamento che mette a disposizione degli inserzionisti
parole chiave che riproducono o imitano marchi registrati e organizza,
in forza del contratto di posizionamento, la creazione e la
visualizzazione privilegiata, partendo da tali parole chiave, di link
pubblicitari verso siti sui quali sono offerti prodotti identici o
simili a quelli contraddistinti dal marchio registrato faccia un uso di
tali marchi che il loro titolare ha il diritto di vietare.
3) Nel caso in cui un tale uso non costituisca un uso che può essere
vietato dal titolare del marchio in applicazione della direttiva
[89/104] e del regolamento [n. 40/94], se il prestatore del servizio di
posizionamento a pagamento possa essere considerato fornitore di un
servizio della società dell’informazione consistente nella
memorizzazione delle informazioni fornite da un destinatario del
servizio, ai sensi dell’art. 14 della [direttiva 2000/31], di guisa che
non è possibile ravvisare una sua responsabilità prima che egli sia
stato informato dal titolare del marchio dell’uso illecito del segno da
parte dell’inserzionista».
III - Sulle questioni pregiudiziali
A - Sull’impiego di parole chiave corrispondenti a marchi altrui
nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet
1. Considerazioni preliminari
42 È pacifico che le cause principali scaturiscono dall’impiego, quali
parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet,
di segni corrispondenti a marchi di impresa, senza che i titolari di
questi ultimi abbiano prestato il loro consenso. Dette parole chiave
sono state scelte da clienti del prestatore del servizio di
posizionamento e sono state accettate e memorizzate da quest’ultimo. I
clienti in questione commercializzano imitazioni dei prodotti del
titolare del marchio (causa C-236/08) oppure sono semplicemente
concorrenti di quest’ultimo (cause C-237/08 e C-238/08).
43 Con la prima questione nella causa C-236/08, la prima questione nella
causa C-237/08 nonché la prima e la seconda questione nella causa
C-238/08, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del
rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 5, n. 1, lett. a) e b), della
direttiva 89/104 e l’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n.
40/94 debbano essere interpretati nel senso che il titolare di un
marchio ha il diritto di vietare a un terzo di visualizzare o di
permettere la visualizzazione di un annuncio, per prodotti o servizi
identici o simili a quelli per i quali detto marchio è registrato, a
partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, che,
senza il consenso di detto titolare, tale terzo ha selezionato o
memorizzato nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet.
44 La prima questione nella causa C-236/08, la prima questione nella
causa C-237/08 e la seconda questione nella causa C-238/08 si
concentrano, in proposito, sulla memorizzazione di una siffatta parola
chiave da parte del prestatore del servizio di posizionamento e
sull’organizzazione, da parte di quest’ultimo, della visualizzazione
dell’annuncio del suo cliente a partire da detta parola, mentre la prima
questione nella causa C-238/08 verte sulla selezione del segno come
parola chiave da parte dell’inserzionista e sulla visualizzazione
dell’annuncio risultante da detta selezione mediante il meccanismo del
posizionamento.
45 L’art. 5, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 89/104 e l’art. 9, n.
1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94 autorizzano, a determinate
condizioni, i titolari di marchi a vietare a terzi l’uso di segni
identici o simili ai loro marchi per prodotti o servizi identici o
simili a quelli per i quali tali marchi sono registrati.
46 Nelle cause principali, l’impiego di segni corrispondenti a marchi di
impresa quali parole chiave ha per oggetto e per effetto di determinare
la visualizzazione di link pubblicitari verso siti che offrono prodotti
o servizi identici a quelli per i quali detti marchi sono registrati,
vale a dire, rispettivamente, prodotti di pelletteria, servizi relativi
all’organizzazione di viaggi e servizi di agenzia matrimoniale.
47 Pertanto, la Corte esaminerà la questione di cui al punto 43 della
presente sentenza principalmente alla luce degli artt. 5, n. 1, lett.
a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94
e, soltanto in via incidentale, alla luce del medesimo n. 1, lett. b),
di tali articoli, poiché, in caso di segno identico al marchio,
quest’ultima disposizione riguarda l’ipotesi in cui i prodotti o i
servizi del terzo siano soltanto simili a quelli per i quali detto
marchio è registrato.
48 A seguito di detto esame, sarà individuata la soluzione alla seconda
questione nella causa C-236/08, con cui la Corte è chiamata a
pronunciarsi sulla medesima problematica, alla luce degli artt. 5, n. 2,
della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94,
concernenti i diritti conferiti dai marchi che godono di notorietà.
Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale si evince, con riserva di
verifica da parte del giudice di rinvio, che la normativa applicabile in
Francia contiene la norma di cui all’art. 5, n. 2, della direttiva
89/104. Del resto, la Corte ha precisato che tale disposizione della
direttiva non deve essere interpretata esclusivamente alla luce del suo
testo, ma anche in considerazione dell’economia generale e degli
obiettivi del sistema del quale fa parte. Pertanto, la norma di cui
all’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 non riguarda soltanto i casi in
cui un terzo faccia uso di un segno identico o simile a un marchio
notorio per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali
tale marchio è registrato, ma anche i casi in cui un siffatto uso
avvenga per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali
detto marchio è registrato (sentenze 9 gennaio 2003, causa C-292/00,
Davidoff, Racc. pag. I-389, punti 24-30, nonché 10 aprile 2008, causa
C-102/07, adidas e adidas Benelux, Racc. pag. I-2439, punto 37).
2. Sull’interpretazione degli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva
89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94
49 In applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104
o, trattandosi di marchio comunitario, dell’art. 9, n. 1, lett. a), del
regolamento n. 40/94, il titolare del marchio può vietare che un terzo,
senza il proprio consenso, faccia uso di un segno identico a detto
marchio qualora tale uso abbia luogo nel commercio, avvenga per prodotti
o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato e
pregiudichi ovvero sia idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio
(v., segnatamente, sentenza 11 settembre 2007, causa C-17/06, Céline,
Racc. pag. I-7041, punto 16; ordinanza 19 febbraio 2009, causa C-62/08,
UDV North America, Racc. pag. I-1279, punto 42, nonché sentenza 18
giugno 2009, causa C-487/07, L’Oréal e a., non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 58).
- a) Uso nel commercio
50 L’uso del segno identico al marchio ha luogo nel commercio se si
colloca nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un
vantaggio economico e non nell’ambito privato (sentenze 12 novembre
2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I-10273, punto
40, e Céline, cit., punto 17, nonché ordinanza UDV North America, cit.,
punto 44).
51 Per quanto riguarda, anzitutto, l’inserzionista che acquista il
servizio di posizionamento e sceglie come parola chiave un segno
identico a un marchio altrui, occorre constatare che egli fa un uso di
detto segno ai sensi della giurisprudenza summenzionata.
52 Infatti, dal punto di vista dell’inserzionista, la selezione della
parola chiave identica al marchio ha per oggetto e per effetto la
visualizzazione di un link pubblicitario verso il sito sul quale egli
mette in vendita i propri prodotti o i propri servizi. Dal momento che
il segno selezionato come parola chiave è lo strumento utilizzato per
rendere possibile tale visualizzazione pubblicitaria, non si può
contestare che l’inserzionista ne faccia un uso nel contesto delle
proprie attività commerciali e non nell’ambito privato.
53 Per quanto attiene, poi, al prestatore del servizio di
posizionamento, è pacifico che quest’ultimo esercita un’attività
commerciale e mira a un vantaggio economico quando memorizza, per conto
di taluni suoi clienti, segni identici a marchi come parole chiave e, a
partire dalle stesse, organizza la visualizzazione di annunci.
54 È altresì pacifico che tale servizio non è fornito soltanto ai
titolari di detti marchi o agli operatori abilitati a commercializzare i
prodotti o i servizi degli stessi, ma, almeno nelle cause di cui
trattasi, esso avviene senza il consenso dei titolari ed è fornito a
concorrenti degli stessi o ad imitatori.
55 Se da tali elementi risulta chiaramente che il prestatore del
servizio di posizionamento opera «nel commercio» quando consente agli
inserzionisti di selezionare, quali parole chiave, segni identici a
marchi, quando memorizza tali segni e visualizza a partire da questi
ultimi gli annunci dei propri clienti, ciò non significa che lo stesso
prestatore faccia un «uso» di tali segni ai sensi degli artt. 5 della
direttiva 89/104 e 9 del regolamento n. 40/94.
56 A tale proposito, è sufficiente osservare che l’uso di un segno
identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo comporta,
quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della
propria comunicazione commerciale. Nel caso del prestatore di un
servizio di posizionamento, quest’ultimo consente ai propri clienti di
usare segni identici o simili a marchi, senza fare egli stesso uso di
detti segni.
57 Tale conclusione non è smentita dal fatto che detto prestatore
percepisce un compenso per l’uso di detti segni da parte dei suoi
clienti. Infatti, la circostanza che si creino le condizioni tecniche
necessarie per l’uso di un segno e si percepisca un compenso per tale
servizio, non significa che colui che fornisce tale servizio faccia a
sua volta uso di detto segno. Nei limiti in cui egli ha consentito un
tale uso al proprio cliente, la sua posizione deve essere eventualmente
esaminata alla luce di norme giuridiche diverse da quelle di cui agli
artt. 5 della direttiva 89/104 e 9 del regolamento n. 40/94, quali
quelle cui fa riferimento il punto 107 della presente sentenza.
58 Da quanto precede si evince che il prestatore del servizio di
posizionamento non fa un uso nel commercio ai sensi delle citate
disposizioni della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94.
59 Ne consegue che le condizioni riguardanti l’uso «per prodotti o
servizi» e la violazione delle funzioni del marchio devono essere
esaminate soltanto in relazione all’uso del segno identico al marchio da
parte dell’inserzionista.
- b) Uso «per prodotti o servizi»
60 L’espressione «per prodotti o servizi» identici a quelli per cui il
marchio è registrato contenuta negli artt. 5, n. 1, lett. a), della
direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 riguarda,
in linea di principio, i prodotti o i servizi del terzo che fa uso del
segno identico al marchio [v. sentenze 25 gennaio 2007, causa C-48/05,
Adam Opel, Racc. pag. I-1017, punti 28 e 29, nonché 12 giugno 2008,
causa C-533/06, O2 Holdings e O2 (UK), Racc. pag. I-4231, punto 34].
Eventualmente, essa può parimenti riguardare i prodotti o i servizi di
un’altra persona per conto della quale il terzo agisce (v. ordinanza UDV
North America, cit., punti 43-51).
61 Come la Corte ha già avuto modo di dichiarare, i comportamenti
elencati agli artt. 5, n. 3, della direttiva 89/104 e 9, n. 2, del
regolamento n. 40/94, vale a dire l’apposizione del segno sui prodotti o
sul loro condizionamento, l’offerta in vendita di prodotti o di servizi
sotto la copertura del segno, l’importazione o l’esportazione sotto la
copertura del segno e l’uso del segno nella corrispondenza commerciale e
nella pubblicità, costituiscono usi per prodotti o servizi (v. sentenze
citate Arsenal Football Club, punto 41, e Adam Opel, punto 20).
62 I fatti all’origine della controversia principale nella causa
C-236/08 si avvicinano ad alcune situazioni descritte da dette
disposizioni della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, vale a
dire l’offerta dei prodotti del terzo sotto la copertura del segno
identico al marchio nonché l’uso di tale segno nella pubblicità.
Infatti, dal fascicolo risulta che segni identici a marchi della Vuitton
sono apparsi negli annunci visualizzati nella rubrica «link
sponsorizzati».
63 Al contrario, le fattispecie di cui alle cause C-237/08 e C-238/08
sono caratterizzati dall’assenza, nell’annuncio del terzo, del segno
identico al marchio.
64 La Google sostiene che, in assenza di una qualsivoglia menzione del
segno nell’annuncio stesso, non si può ritenere che l’uso di detto segno
come parola chiave sia fatto per prodotti o servizi. I titolari di
marchi opposti alla Google, nonché il governo francese, sostengono la
tesi opposta.
65 A tal proposito, occorre ricordare che gli artt. 5, n. 3, della
direttiva 89/104 e 9, n. 2, del regolamento n. 40/94 contengono soltanto
un elenco non tassativo dei tipi di uso che il titolare del marchio può
vietare (sentenze Arsenal Football Club, cit., punto 38; 17 marzo 2005,
causa C-228/03, Gillette Company e Gillette Group Finland, Racc. pag.
I-2337, punto 28, nonché Adam Opel, cit., punto 16). Pertanto, la
circostanza che il segno utilizzato dal terzo a fini pubblicitari non
compaia nella pubblicità stessa non può significare, di per sé, che tale
uso sia escluso dalla nozione di «us[o] (…) per i prodotti o servizi» ai
sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104.
66 Del resto, un’interpretazione secondo la quale soltanto gli usi
menzionati in detto elenco sarebbero rilevanti, non prenderebbe in
considerazione il fatto che quest’ultimo è stato redatto prima della
completa comparsa del commercio elettronico e delle pubblicità
sviluppate in tale ambito. Orbene, sono tali forme elettroniche di
commercio e di pubblicità che, attraverso l’impiego di tecnologie
informatiche, possono tipicamente dar luogo a usi diversi da quelli
elencati agli artt. 5, n. 3, della direttiva 89/104 e 9, n. 2, del
regolamento n. 40/94.
67 Nel caso del servizio di posizionamento, è pacifico che
l’inserzionista, che abbia selezionato come parola chiave il segno
identico a un marchio altrui, mira a far sì che gli utenti di Internet,
inserendo tale parola quale termine di ricerca, selezionino non solo i
link visualizzati che provengono dal titolare di detto marchio, ma anche
il link pubblicitario di detto inserzionista.
68 È chiaro altresì che, nella maggior parte dei casi, inserendo il nome
di un marchio quale parola da ricercare, l’utente di Internet si
prefigge di trovare informazioni od offerte sui prodotti o sui servizi
di tale marchio. Pertanto, quando sono visualizzati, sopra o a lato dei
risultati naturali della ricerca, link pubblicitari verso siti che
offrono prodotti o servizi di concorrenti del titolare di detto marchio,
l’utente di Internet, se non esclude subito tali link in quanto non
pertinenti e non li confonde con quelli del titolare del marchio, può
percepire che detti link offrano un’alternativa rispetto ai prodotti o
ai servizi del titolare del marchio.
69 In tale situazione caratterizzata dal fatto che un segno identico a
un marchio è selezionato come parola chiave da un concorrente del
titolare del marchio al fine di offrire agli utenti di Internet
un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi di detto titolare,
sussiste un uso di detto segno per i prodotti o i servizi di detto
concorrente.
70 Occorre ricordare, a tale proposito, che la Corte ha già avuto modo
di dichiarare che un inserzionista che utilizzi, nell’ambito di una
pubblicità comparativa, un segno identico o simile al marchio di un
concorrente al fine di identificare, in modo esplicito o implicito, i
prodotti o i servizi offerti da quest’ultimo e di comparare gli stessi
con i propri prodotti o servizi, fa un uso di detto segno «per prodotti
o servizi» ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 [v.
sentenze citate O2 Holdings e O2 (UK), punti 35, 36 e 42, nonché L’Oréal
e a., punti 52 e 53].
71 Orbene, senza che sia necessario esaminare se la pubblicità su
Internet in base a parole chiave identiche a marchi di concorrenti
costituisca o meno una forma di pubblicità comparativa, risulta comunque
che, alla stregua di quanto dichiarato dalla giurisprudenza citata al
punto precedente, l’uso che l’inserzionista fa del segno identico al
marchio di un concorrente, affinché l’utente di Internet conosca non
soltanto i prodotti o i servizi offerti da tale concorrente ma anche
quelli di detto inserzionista, è un uso per i prodotti o i servizi di
tale inserzionista.
72 Peraltro, si ha uso «per prodotti o servizi» anche nel caso in cui,
attraverso il proprio uso del segno identico al marchio come parola
chiave, l’inserzionista non miri a presentare i propri prodotti o
servizi agli utenti di Internet come un’alternativa rispetto ai prodotti
o ai servizi del titolare del marchio, ma, al contrario, intenda indurre
in errore gli utenti di Internet sull’origine dei propri prodotti o
servizi, lasciando credere loro che gli stessi provengono dal titolare
del marchio o da un’impresa economicamente legata a quest’ultimo.
Infatti, come la Corte ha già avuto modo di dichiarare, un uso del
genere esiste comunque quando il terzo usa il segno identico al marchio
in modo tale da creare un legame tra detto segno e i prodotti
commercializzati o i servizi forniti dal terzo (sentenza Céline, cit.,
punto 23, e ordinanza UDV North America, cit., punto 47).
73 Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte emerge che
l’impiego da parte dell’inserzionista di un segno identico al marchio,
come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su
Internet, rientra nella nozione di uso «per prodotti o servizi» ai sensi
dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104.
74 Del pari, si tratta di uso «per prodotti o servizi» ai sensi
dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, qualora il segno
oggetto di detto uso sia identico a un marchio comunitario.
- c) Uso idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio
75 Il diritto esclusivo di cui agli artt. 5, n. 1, lett. a), della
direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 è stato
concesso al fine di permettere al titolare del marchio di tutelare i
propri interessi specifici quale titolare di tale marchio, ossia di
garantire che quest’ultimo possa adempiere le sue proprie funzioni.
Pertanto, l’esercizio di tale diritto deve essere riservato ai casi in
cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa
pregiudicare le funzioni del marchio (v., segnatamente, sentenze citate
Arsenal Football Club, punto 51; Adam Opel, punti 21 e 22, nonché L’Oréal
e a., punto 58).
76 Da tale giurisprudenza risulta che il titolare del marchio non può
opporsi all’uso di un segno identico al marchio se tale uso non sia
idoneo a compromettere una delle funzioni del marchio in questione
(sentenze citate Arsenal Football Club, punto 54, nonché L’Oréal e a.,
punto 60).
77 Fra dette funzioni è da annoverare non solo la funzione essenziale
del marchio consistente nel garantire ai consumatori l’origine del
prodotto o del servizio (in prosieguo: la «funzione di indicazione di
origine»), ma anche le altre funzioni del marchio, segnatamente quella
di garantire la qualità del prodotto o del servizio di cui trattasi, o
quelle di comunicazione, investimento o pubblicità (sentenza L’Oréal e
a., cit., punto 58).
78 A tal riguardo, la tutela conferita dagli artt. 5, n. 1, lett. a),
della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 è
più ampia di quella prevista dai medesimi articoli, n. 1, lett. b), per
la cui applicazione occorre l’esistenza di un rischio di confusione (v.,
in tal senso, sentenze citate Davidoff, punto 28, nonché L’Oréal e a.,
punto 59).
79 Emerge dalla giurisprudenza testé richiamata che nell’ipotesi di cui
agli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett.
a), del regolamento n. 40/94, in cui l’uso da parte di un terzo di un
segno identico al marchio avviene per prodotti o servizi identici a
quelli per cui il marchio è registrato, il titolare del marchio ha il
diritto di vietare tale uso qualora quest’ultimo possa arrecare
pregiudizio a una delle funzioni del marchio, indipendentemente dal
fatto che si tratti della funzione di indicazione di origine ovvero di
un’altra delle sue funzioni.
80 È ben vero che il titolare del marchio non può vietare un siffatto
uso nei casi, costituenti eccezione, di cui agli artt. 6 e 7 della
direttiva 89/104 e agli artt. 12 e 13 del regolamento n. 40/94.
Tuttavia, non è stato fatto valere che nel caso di specie sia
applicabile una di tali ipotesi.
81 Nel caso di specie, le funzioni che interessa esaminare sono la
funzione di indicazione di origine e la funzione di pubblicità.
i) Violazione della funzione di indicazione di origine
82 La funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al
consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto
o del servizio contrassegnato, consentendogli di distinguere tale
prodotto o tale servizio da quelli di diversa provenienza (v., in tal
senso, sentenze 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag.
I-5507, punto 28, e 6 ottobre 2005, causa C-120/04, Medion, Racc. pag.
I-8551, punto 23).
83 La questione se sussista una violazione di tale funzione allorché, a
partire da una parola chiave identica a un marchio, è mostrato agli
utenti di Internet un annuncio di un terzo, quale un concorrente del
titolare di tale marchio, dipende in particolare dal modo in cui tale
annuncio è presentato.
84 Sussiste violazione della funzione di indicazione di origine del
marchio quando l’annuncio non consente o consente soltanto difficilmente
all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento
di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce
provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente
connessa a quest’ultimo o, al contrario, da un terzo (v., in tal senso,
sentenza Céline, cit., punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
85 Infatti, in una situazione del genere - caratterizzata del resto dal
fatto che l’annuncio in questione appare subito dopo che l’utente di
Internet interessato abbia inserito il marchio come parola da ricercare
ed è visualizzato in un momento in cui il marchio, in qualità di parola
da ricercare, è parimenti indicato sullo schermo - l’utente di Internet
può confondersi sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione. In
tali circostanze, l’uso del segno identico al marchio da parte del
terzo, come parola chiave che lancia la visualizzazione di detto
annuncio, è idoneo ad avvalorare l’esistenza di un collegamento
materiale nel commercio tra i prodotti o servizi interessati e il
titolare del marchio (v., per analogia, sentenze Arsenal Football Club,
cit., punto 56, e 16 novembre 2004, causa C-245/02, Anheuser-Busch,
Racc. pag. I-10989, punto 60).
86 Sempre relativamente alla violazione della funzione di indicazione di
origine, giova osservare che la necessità di una visualizzazione
trasparente degli annunci su Internet è sottolineata nella legislazione
dell’Unione sul commercio elettronico. Considerati gli interessi della
correttezza delle operazioni e della tutela dei consumatori, di cui al
ventinovesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31, l’art. 6 della
medesima sancisce la regola secondo la quale deve essere chiaramente
identificabile la persona fisica o giuridica per conto della quale viene
effettuata una comunicazione commerciale rientrante in un servizio della
società dell’informazione.
87 Se risulta così che la responsabilità di inserzionisti su Internet
può eventualmente sorgere in applicazione di norme relative ad altre
branche del diritto, quali quelle sulla concorrenza sleale, ciò non
toglie che l’asserito uso illecito su Internet di segni identici o
simili a marchi si presta a un esame alla luce del diritto dei marchi.
Considerata la funzione principale del marchio, che, nell’ambito del
commercio elettronico, consiste in particolare nel consentire agli
utenti di Internet che scorrono gli annunci visualizzati, risultanti da
una ricerca avente ad oggetto un determinato marchio, di distinguere i
prodotti o i servizi del titolare di tale marchio da quelli di diversa
provenienza, detto titolare deve poter vietare la visualizzazione di
annunci di terzi che gli utenti di Internet rischiano di percepire
erroneamente come provenienti da lui.
88 Spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se i fatti
della controversia sottopostagli siano caratterizzati da una violazione,
o da un rischio di violazione, della funzione di indicazione di origine
quale descritta al precedente punto 84.
89 Qualora l’annuncio del terzo adombri la sussistenza di un
collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si
dovrà concludere che sussiste una violazione della funzione di
indicazione di origine.
90 Qualora l’annuncio, pur non adombrando la sussistenza di un
collegamento economico, sia talmente vago sull’origine dei prodotti o
dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato
e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del
link pubblicitario e del messaggio commerciale allegato, se
l’inserzionista sia un terzo rispetto al titolare del marchio o, al
contrario, sia economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà
parimenti concludere che sussiste violazione della funzione del marchio.
ii) Violazione della funzione di pubblicità
91 Atteso che il commercio è caratterizzato da un’offerta varia di
prodotti e di servizi, il titolare di un marchio non solo può
prefiggersi di indicare, mediante tale marchio, l’origine dei propri
prodotti o dei propri servizi, ma può anche voler impiegare il suo
marchio per scopi pubblicitari con l’intento di informare e persuadere
il consumatore.
92 Pertanto, il titolare di un marchio può vietare l’uso, senza il suo
consenso, di un segno identico al suo marchio per prodotti o servizi
identici a quelli per i quali tale marchio è registrato, qualora tale
uso pregiudichi l’impiego del marchio, da parte del suo titolare, quale
strumento di promozione delle vendite o di strategia commerciale.
93 Per quanto attiene all’uso da parte degli inserzionisti su Internet
del segno identico al marchio altrui come parola chiave ai fini della
visualizzazione di messaggi pubblicitari, è evidente che tale uso può
produrre alcune ripercussioni sull’utilizzo a fini pubblicitari di detto
marchio da parte del suo titolare nonché sulla strategia commerciale di
quest’ultimo.
94 Infatti, considerato l’importante ruolo svolto nel commercio dalla
pubblicità su Internet, è plausibile che il titolare del marchio iscriva
il proprio marchio come parola chiave presso il fornitore del servizio
di posizionamento, al fine di ottenere un annuncio nella rubrica «link
sponsorizzati». Qualora ciò avvenga, il titolare del marchio dovrà, se
del caso, accettare di pagare un prezzo per click più elevato rispetto a
quello di taluni altri operatori economici, se vuole ottenere che il suo
annuncio compaia prima di quelli di detti operatori che hanno parimenti
selezionato il suo marchio come parola chiave. Inoltre, anche laddove il
titolare del marchio sia disposto a pagare un prezzo per click più
elevato di quello offerto dai terzi che del pari hanno selezionato detto
marchio, non v’è garanzia che il suo annuncio compaia prima di quelli di
detti terzi, dal momento che nel determinare l’ordine di visualizzazione
degli annunci sono presi in considerazione anche altri elementi.
95 Tuttavia, tali ripercussioni dell’uso del segno identico al marchio
da parte di terzi non costituiscono di per sé una violazione della
funzione di pubblicità del marchio.
96 Infatti, secondo le stesse constatazioni del giudice di rinvio, la
situazione oggetto delle questioni pregiudiziali è quella della
visualizzazione di link promozionali in seguito all’inserimento, come
parola chiave, da parte dell’utente di Internet di una parola da
ricercare corrispondente al marchio selezionato. È altresì pacifico, in
tali cause, che tali link promozionali sono visualizzati al di sopra o
al lato dell’elenco dei risultati naturali della ricerca. Infine, è
indubbio che l’ordine dei risultati naturali deriva dalla pertinenza dei
rispettivi siti rispetto alla parola da ricercare inserita dall’utente
di Internet e che l’operatore del motore di ricerca non rivendica alcun
pagamento per la visualizzazione di tali risultati.
97 Da tali elementi risulta che, quando l’utente di Internet inserisce
il nome di un marchio quale parola da ricercare, il link verso la pagina
iniziale e verso il sito sponsorizzato del titolare di detto marchio
comparirà nell’elenco dei risultati naturali e, di regola, tra i primi
posti di tale elenco. Tale visualizzazione, che inoltre è gratuita,
comporta che all’utente di Internet è garantita la visibilità dei
prodotti o servizi del titolare del marchio, indipendentemente dal fatto
che tale titolare riesca o meno ad ottenere che un annuncio nella
rubrica «link sponsorizzati» venga visualizzato del pari tra i primi
posti.
98 Alla luce di tali circostanze, si deve concludere che l’uso di un
segno identico a un marchio altrui nell’ambito di un servizio di
posizionamento quale quello di cui trattasi nelle cause principali, non
è idoneo a pregiudicare la funzione di pubblicità del marchio.
d) Conclusione
99 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre risolvere la prima
questione nella causa C-236/08, la prima questione nella causa C-237/08
nonché la prima e la seconda questione nella causa C-238/08, dichiarando
che:
- gli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett.
a), del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il
titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare
pubblicità - a partire da una parola chiave identica a detto marchio,
selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di
posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare - a
prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato,
qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto
difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i
servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da
un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo;
- il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che
memorizza come parola chiave un segno identico a un marchio e organizza,
a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso
di tale segno ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 o
dell’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94.
3. Sull’interpretazione degli artt. 5, n. 2, della direttiva 89/104 e 9,
n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94
100 Con la sua seconda questione nella causa C-236/08, il giudice del
rinvio chiede, in sostanza, se il prestatore di un servizio di
posizionamento su Internet, che memorizza come parola chiave un segno
identico a un marchio notorio e organizza, a partire dalla stessa parola
chiave, la visualizzazione di annunci, faccia un uso di tale segno che
il titolare di detto marchio può vietare ai sensi dell’art. 5, n. 2,
della direttiva 89/104 o, qualora detto segno sia identico a un marchio
comunitario notorio, ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 40/94.
101 Secondo le constatazioni del giudice del rinvio, in tale causa è
stato accertato che la Google consentiva agli inserzionisti che offrono
agli utenti di Internet imitazioni dei prodotti della Vuitton di
selezionare parole chiave corrispondenti ai marchi della Vuitton,
associate a parole chiave quali «imitazione» e «copia».
102 La Corte ha già avuto modo di dichiarare nel caso di offerta di
vendita di imitazioni, che, quando un terzo tenta, mediante l’uso di un
segno identico o simile a un marchio notorio, di porsi nel solco
tracciato da quest’ultimo, al fine di beneficiare del suo potere
attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, nonché di
sfruttare, senza qualsivoglia compensazione economica e senza dover
operare sforzi propri a tale scopo, lo sforzo commerciale effettuato dal
titolare del marchio per creare e mantenere l’immagine di detto marchio,
si deve considerare il vantaggio derivante da siffatto uso come
indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del
marchio in parola (sentenza L’Oréal e a., cit., punto 49).
103 Tale giurisprudenza rileva nei casi in cui inserzionisti su Internet
offrano in vendita, attraverso l’uso di segni identici a marchi notori
quali «Louis Vuitton» o «Vuitton», prodotti che sono imitazioni dei
prodotti del titolare di detti marchi.
104 Tuttavia, per quanto attiene alla questione se il prestatore di un
servizio di posizionamento, quando memorizza tali segni associati a
termini come «imitazione» e «copia» quali parole chiave e consente la
visualizzazione di annunci partendo dagli stessi termini, faccia a sua
volta un uso che il titolare di detti marchi può vietare, occorre
ricordare, come indicato ai punti 55-57 della presente sentenza, che
tali atti del prestatore non costituiscono un uso ai sensi degli artt. 5
della direttiva 89/104 e 9 del regolamento n. 40/94.
105 Pertanto, occorre risolvere la seconda questione presentata nella
causa C-236/08 dichiarando che il prestatore di un servizio di
posizionamento su Internet che memorizza, come parola chiave, un segno
identico a un marchio notorio e, a partire dalla stessa, organizza la
visualizzazione di annunci, non fa un uso di tale segno ai sensi
dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 ovvero dell’art. 9, n. 1,
lett. c), del regolamento n. 40/94.
B - Sulla responsabilità del prestatore del servizio di
posizionamento
106 Con la sua terza questione nella causa C-236/08, la sua seconda
questione nella causa C-237/08 e la sua terza questione nella causa
C-238/08 il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 14 della
direttiva 2000/31 debba essere interpretato nel senso che un servizio di
posizionamento su Internet costituisca un servizio della società
dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni
fornite dall’inserzionista, di guisa che tali dati sono oggetto di
un’attività di «hosting» ai sensi di tale articolo e che, pertanto, non
è possibile ravvisare una responsabilità del prestatore del servizio di
posizionamento prima che egli sia stato informato del comportamento
illecito di detto inserzionista.
107 La sezione 4 della direttiva 2000/31, che comprende gli artt. 12-15,
recante l’intestazione «Responsabilità dei prestatori intermediari», è
diretta a limitare le ipotesi in cui, conformemente al diritto nazionale
applicabile in materia, può sorgere la responsabilità dei prestatori di
servizi intermediari. È pertanto nell’ambito di tale diritto nazionale
che vanno ricercati i requisiti per accertare una siffatta
responsabilità, fermo restando però che, ai sensi della sezione 4 di
tale direttiva, talune fattispecie non possono dar luogo a una
responsabilità dei prestatori di servizi intermediari. Successivamente
alla scadenza del termine di trasposizione di detta direttiva, le norme
di diritto nazionale riguardanti la responsabilità di tali prestatori
devono prevedere le limitazioni di cui ai detti articoli.
108 La Vuitton, la Viaticum e la CNRRH sostengono, tuttavia, che un
servizio di posizionamento quale AdWords non è un servizio della società
dell’informazione come definito dalle citate disposizioni della
direttiva 2000/31, cosicché il prestatore di un tale servizio non può in
alcun caso godere di dette limitazioni della responsabilità. La Google e
la Commissione europea sostengono il contrario.
109 La limitazione della responsabilità di cui all’art. 14, n. 1, della
direttiva 2000/31 si applica in caso di «prestazione di un servizio
della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di
informazioni fornite da un destinatario del servizio» e significa che il
prestatore di un tale servizio non può essere ritenuto responsabile per
i dati che ha memorizzato su richiesta di un destinatario del servizio
in parola, salvo che tale prestatore, dopo aver preso conoscenza,
mediante un’informazione fornita dalla persona lesa o in altro modo,
della natura illecita di tali dati o di attività di detto destinatario,
abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso
agli stessi.
110 Come indicato ai punti 14 e 15 della presente sentenza, il
legislatore ha definito la nozione di «servizio della società
dell’informazione» come comprendente i servizi prestati a distanza
mediante attrezzature elettroniche di trattamento e di memorizzazione di
dati, a richiesta individuale di un destinatario di servizi e,
normalmente, dietro retribuzione. Tenuto conto delle caratteristiche del
servizio di posizionamento di cui trattasi nelle cause principali,
riassunte al punto 23 della presente sentenza, si deve concludere che
tale servizio presenta tutti gli elementi di tale definizione.
111 Non si può contestare, inoltre, il fatto che il prestatore di un
servizio di posizionamento trasmette informazioni del destinatario di
detto servizio, vale a dire l’inserzionista, su una rete di
comunicazione accessibile agli utenti di Internet e memorizza, vale a
dire salva sul proprio server, taluni dati, quali le parole chiave
selezionate dall’inserzionista, il link pubblicitario e il messaggio
commerciale che lo accompagna, nonché l’indirizzo del sito
dell’inserzionista.
112 È necessario inoltre, affinché la memorizzazione effettuata dal
prestatore di un servizio di posizionamento possa rientrare nella
previsione dell’art. 14 della direttiva 2000/31, che il comportamento di
tale prestatore si limiti a quello di un «prestatore intermediario» nel
senso voluto dal legislatore nell’ambito della sezione 4 di tale
direttiva.
113 Dal quarantaduesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31 risulta,
a tal proposito, che le deroghe alla responsabilità previste da tale
direttiva riguardano esclusivamente i casi in cui l’attività di
prestatore di servizi della società dell’informazione sia di ordine
«meramente tecnico, automatico e passivo», con la conseguenza che detto
prestatore «non conosce né controlla le informazioni trasmesse o
memorizzate».
114 Pertanto, al fine di verificare se la responsabilità del prestatore
del servizio di posizionamento possa essere limitata ai sensi dell’art.
14 della direttiva 2000/31, occorre esaminare se il ruolo svolto da
detto prestatore sia neutro, in quanto il suo comportamento è meramente
tecnico, automatico e passivo, comportante una mancanza di conoscenza o
di controllo dei dati che esso memorizza.
115 Per quanto attiene al servizio di posizionamento di cui trattasi
nelle cause principali, dal fascicolo e dalla descrizione di cui ai
punti 23 e seguenti della presente sentenza si evince che la Google,
tramite software da essa sviluppati, effettua un trattamento dei dati
inseriti dagli inserzionisti ottenendo la visualizzazione di annunci a
condizioni stabilite dalla stessa Google. Quest’ultima stabilisce quindi
l’ordine di visualizzazione in funzione, in particolare, del pagamento
degli inserzionisti.
116 Occorre osservare che la semplice circostanza che il servizio di
posizionamento sia a pagamento, che la Google stabilisca le modalità di
pagamento, o ancora che essa dia informazioni di ordine generale ai suoi
clienti, non può avere come effetto di privare la Google delle deroghe
in materia di responsabilità previste dalla direttiva 2000/31.
117 Del pari, il fatto che la parola chiave selezionata e il termine di
ricerca inserito da un utente di Internet coincidano non è di per sé
sufficiente a ritenere che la Google conosca o controlli i dati inseriti
dagli inserzionisti nel suo sistema e memorizzati sul suo server.
118 Nell’ambito dell’esame di cui al punto 114 della presente sentenza,
è invece rilevante il ruolo svolto dalla Google nella redazione del
messaggio commerciale che accompagna il link pubblicitario o nella
determinazione o selezione di tali parole chiave.
119 Proprio alla luce delle suesposte considerazioni spetta al giudice
nazionale, che meglio può conoscere le modalità concrete della fornitura
del servizio nelle cause principali, valutare se il ruolo svolto dalla
Google corrisponda a quello descritto al punto 114 della presente
sentenza.
120 Da ciò consegue che occorre risolvere la terza questione nella causa
C-236/08, la seconda questione nella causa C-237/08 e la terza questione
nella causa C-238/08 dichiarando che l’art. 14 della direttiva 2000/31
deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica
al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto
prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la
conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un
siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile
per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista,
salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali
dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di
prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi.
III - Sulle spese
121 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva del Consiglio 21
dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d’impresa, e 9, n. 1, lett. a), del
regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio
comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un
marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità - a partire
da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale
inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet
senza il consenso dello stesso titolare - a prodotti o servizi identici
a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di
cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente
medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati
nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa
economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo.
2) Il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che
memorizza come parola chiave un segno identico a un marchio e organizza,
a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso
di tale segno ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 o
dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94.
3) L’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8
giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi
della società dell’informazione, in particolare il commercio
elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio
elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi
contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su
Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto
a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non
ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto
responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un
inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura
illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia
omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli
stessi.
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