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CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 04/03/2010, Sentenza C-297/08
RIFIUTI - Gestione dei rifiuti - Piano di gestione - Rete adeguata ed
integrata di impianti di smaltimento - Pericolo per la salute umana o per
l’ambiente - Forza maggiore - Turbative dell’ordine pubblico - Criminalità
organizzata - Rifiuti prodotti nella regione Campania - Inadempimento di uno
Stato (Italia - Reg. Campania) - Artt. 4 e 5, Direttiva 2006/12/CE. La
Repubblica italiana, non avendo adottato, per la regione Campania, tutte le
misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti
senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio
all’ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete adeguata ed
integrata di impianti di smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa
incombenti in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti. Pres.
Bonichot - Toader Rel. - Commissione europea c. Repubblica italiana.
CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 04/03/2010, Sentenza C-297/08
RIFIUTI - Installazione di impianti di smaltimento dei rifiuti -
Opposizione della popolazione locale - Presenza di organizzazioni criminali
- Giustificazione dell’inosservanza degli obblighi e termini imposti dal
diritto comunitario - Esclusione - Inadempimento di uno Stato (Italia - Reg.
Campania). L’opposizione manifestata dalla popolazione locale
all’installazione di taluni impianti di smaltimento dei rifiuti, non può
essere eccepita da uno Stato membro come situazioni interne idonee a creare
difficoltà di attuazione emerse nella fase di esecuzione di un atto
comunitario, comprese quelle dovute alla resistenza di privati, per
giustificare l’inosservanza degli obblighi e termini imposti dal diritto
comunitario (v. sentenze 7/04/1992, causa C-45/91, Commissione/Grecia;
nonché 9/12/2008, causa C-121/07, Commissione/Francia). Inoltre, la presenza
di organizzazioni criminali o di persone connotate come operanti «al limite
della legalità» che sarebbero attive nel settore della gestione dei rifiuti,
non può giustificare la violazione, da parte di tale Stato membro, degli
obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva 2006/12 (sentenza
18/12/2007, Commissione/Italia). Pres. Bonichot - Toader Rel. - Commissione
europea c. Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV,
04/03/2010, Sentenza C-297/08
RIFIUTI - DANNO AMBIENTALE - Piani di gestione dei rifiuti -
Razionalizzazione della raccolta - Criteri di localizzazione dei siti di
smaltimento - Protezione della salute e dell’ambiente - Divieto di
realizzare gli impianti in prossimità di zone vulnerabili - Rifiuti
pericolosi - Danni causati all’ambiente - Ambito di cooperazioni
interregionali o transfrontaliere - Limitare al massimo il trasporto -
Obiettivo di autosufficienza - Artt. 5, n. 2 e 7, n. 1, dir. 2006/12/CE.
In tema di corretta gestione dei rifiuti, una delle più importanti misure
che devono essere adottate dagli Stati membri nell’ambito del loro obbligo,
in forza della direttiva 2006/12, è quella di elaborare piani di gestione
che contemplino, in particolare, misure atte ad incoraggiare la
razionalizzazione della raccolta, della cernita e del trattamento dei
rifiuti, è quella, prevista all’art. 5, n. 2, di tale direttiva, consistente
nel cercare di trattare i rifiuti nell’impianto più vicino possibile (v.,
sentenza 9/06/2009, causa C-480/06, Commissione/Germania). Sicché, i criteri
di localizzazione dei siti di smaltimento dei rifiuti devono essere
individuati in considerazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva
2006/12, tra cui figurano, in particolare, la protezione della salute e
dell’ambiente, nonché la creazione di una rete integrata ed adeguata di
impianti di smaltimento che consenta in particolare lo smaltimento dei
rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini. Quindi, detti criteri
di localizzazione dovrebbero riguardare, in particolare, la distanza di tali
siti rispetto agli insediamenti in cui sono prodotti i rifiuti, il divieto
di realizzare gli impianti in prossimità di zone vulnerabili e l’esistenza
di infrastrutture adeguate per il trasporto dei rifiuti, quali il
collegamento alle reti di trasporto (v. sentenza 1°/04/2004, cause riunite
C-53/02 e C-217/02, Commune de Braine-le-Château e a.). Per quanto riguarda
i rifiuti urbani non pericolosi, per i quali non sono necessari, in linea di
principio, impianti specializzati come quelli richiesti per lo smaltimento
dei rifiuti pericolosi, gli Stati membri devono quindi adoperarsi per
disporre di una rete che consenta loro di soddisfare l’esigenza di impianti
di smaltimento quanto più vicini possibile ai luoghi di produzione, ferma
restando la possibilità di organizzare una rete siffatta nell’ambito di
cooperazioni interregionali, o addirittura transfrontaliere, che rispondano
al principio di prossimità. Ne consegue che, allorché uno Stato membro ha
singolarmente scelto nell’ambito del suo piano o dei suoi «piani di gestione
dei rifiuti» ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2006/12, di
organizzare la copertura del suo territorio su base regionale, occorre
dedurne che ogni regione dotata di un piano regionale debba garantire, in
linea di principio, il trattamento e lo smaltimento dei suoi rifiuti il più
vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti. Infatti, il principio di
correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, principio
stabilito per l’azione della Comunità in materia ambientale dall’art. 191
TFUE, comporta che spetta a ciascuna regione, comune o altro ente locale
adottare le misure adeguate per garantire la raccolta, il trattamento e lo
smaltimento dei propri rifiuti e che questi vanno quindi smaltiti il più
vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti, per limitarne al massimo
il trasporto (v. sentenza 17/03/1993, causa C-155/91,
Commissione/Consiglio). Di conseguenza, in una tale rete nazionale definita
dallo Stato membro, se una regione non è dotata, in misura e per un periodo
rilevanti, di infrastrutture sufficienti a soddisfare le sue esigenze per
quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, si può dedurre che dette gravi
carenze a livello regionale possono compromettere la rete nazionale di
impianti di eliminazione dei rifiuti, privandola delle caratteristiche di
integrazione ed adeguatezza richieste dalla direttiva 2006/12, che consenta
allo Stato membro interessato di perseguire individualmente l’obiettivo di
autosufficienza definito all’art. 5, n. 1, della direttiva in parola. Pres.
Bonichot - Toader Rel. - Commissione europea c. Repubblica italiana.
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RIFIUTI - DANNO AMBIENTALE - Smaltimento di rifiuti senza pericolo per la
salute dell’uomo e senza pregiudizio all’ambiente - Potere discrezionale
nella valutazione delle misure necessarie - Art. 4, n. 1, direttiva 2006/12.
Sebbene l’art. 4, n. 1, della direttiva 2006/12 non precisi il contenuto
concreto delle misure che debbono essere adottate per assicurare che i
rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare
pregiudizio all’ambiente, ciò non toglie che la direttiva vincola gli Stati
membri circa l’obiettivo da raggiungere, pur lasciando agli stessi un potere
discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure (sentenze
9/11/1999, causa C-365/97, Commissione/Italia e 18/11/2004, causa C-420/02,
Commissione/Grecia). Non è quindi in via di principio possibile dedurre
direttamente dalla mancata conformità di una situazione di fatto agli
obiettivi fissati all’art. 4, n. 1, della direttiva 2006/12 che lo Stato
membro interessato sia necessariamente venuto meno agli obblighi imposti da
questa disposizione, cioè adottare le misure necessarie per assicurare che i
rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare
pregiudizio all’ambiente. Tuttavia, la persistenza di una tale situazione di
fatto, in particolare quando comporta un degrado rilevante dell’ambiente per
un periodo prolungato senza intervento delle autorità competenti, può
rivelare che gli Stati membri hanno oltrepassato il potere discrezionale che
questa disposizione conferisce loro (sentenze 9/11/1999, Commissione/Italia
e 18/11/2004, Commissione/Grecia). Pres. Bonichot - Toader Rel. -
Commissione europea c. Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez.
IV, 04/03/2010, Sentenza C-297/08
RIFIUTI - DANNO AMBIENTALE - Gestione errata dei rifiuti su una parte
ridotta del territorio - Pericolo la salute e pregiudizio all’ambiente -
Configurabilità dell’art. 4, n. 1, dir. 2006/12 - Inadempimento di uno Stato
(Italia - Reg. Campania). Le conseguenze del mancato rispetto
dell’obbligo derivante dall’art. 4, n. 1, della direttiva 2006/12 rischiano,
per la natura stessa di tale obbligo, di mettere in pericolo la salute
dell’uomo e di recare pregiudizio all’ambiente anche in una parte ridotta
del territorio di uno Stato membro (sentenza 9/11/1999, Commissione/Italia).
Pres. Bonichot - Toader Rel. - Commissione europea c. Repubblica italiana.
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RIFIUTI - DANNO AMBIENTALE - Accumulo nelle strade e nelle aree di
stoccaggio temporanee di quantitativi ingenti di rifiuti - Pericolo per
l’ambiente - Inadempimento di uno Stato (Italia - Reg. Campania) - Art. 4,
n. 1, lett. a), Dir. 2006/12. I rifiuti sono oggetti di natura
particolare, cosicché il loro accumulo, ancor prima di diventare pericoloso
per la salute, costituisce, tenuto conto in particolare della capacità
limitata di ciascuna regione o località di riceverli, un pericolo per
l’ambiente (sentenza 9/07/1992, causa C-2/90, Commissione/Belgio). Pertanto,
un accumulo nelle strade e nelle aree di stoccaggio temporanee di
quantitativi ingenti di rifiuti, come è avvenuto nella regione Campania alla
scadenza del termine fissato nel parere motivato, ha dunque indubbiamente
creato un rischio «per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora»
ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 2006/12. Inoltre, tali
quantitativi di rifiuti provocano inevitabilmente «inconvenienti da odori»,
ai sensi del n. 1, lett. b), di tale articolo, in particolare se i rifiuti
rimangono per un lungo periodo abbandonati a cielo aperto nelle strade o
nelle vie. D’altra parte, tenuto conto della mancanza di disponibilità di
discariche sufficienti, la presenza di tali quantitativi di rifiuti fuori
dai luoghi di stoccaggio adeguati ed autorizzati, può «danneggiare il
paesaggio e i siti di particolare interesse» ai sensi dell’art. 4, n. 1,
lett. c), della direttiva 2006/12. Pres. Bonichot - Toader Rel. -
Commissione europea c. Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez.
IV, 04/03/2010, Sentenza C-297/08
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
4 marzo 2010
«Inadempimento di uno Stato - Ambiente - Direttiva 2006/12/CE - Artt.
4 e 5 - Gestione dei rifiuti - Piano di gestione - Rete adeguata ed
integrata di impianti di smaltimento - Pericolo per la salute umana o
per l’ambiente - Forza maggiore - Turbative dell’ordine pubblico -
Criminalità organizzata»
Nella causa C-297/08,
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226
CE, proposto il 3 luglio 2008,
Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra D. Recchia, dai sigg. C.
Zadra e J.-B. Laignelot, in qualità di agenti, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità
di agente, assistita dal sig. G. Aiello, avvocato dello Stato, con
domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
sostenuta da
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dal sig.
S. Ossowski, in qualità di agente, assistito dal sig. K. Bacon,
barrister,
interveniente,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. J.-C. Bonichot, presidente di sezione, dalla sig.ra C.
Toader (relatore), dai sigg. K. Schiemann, P. Kuris e L. Bay Larsen,
giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra R. ?ere?, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3
dicembre 2009,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di
giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il proprio ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede
alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo
adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per
assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per
la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in
particolare, non avendo creato una rete adeguata e integrata di impianti
di smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza
degli artt. 4 e 5 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti (GU L 114, pag. 9).
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 La direttiva 2006/12 ha codificato, a fini di chiarezza e di
razionalità, la direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE,
relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39).
3 Il secondo, sesto, ottavo, nono e decimo ‘considerando’ della
direttiva 2006/12 così recitano:
«(2) Ogni regolamento in materia di gestione dei rifiuti deve
essenzialmente mirare alla protezione della salute umana e dell’ambiente
contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del
trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti.
(…)
(6) Ai fini di un’elevata protezione dell’ambiente è necessario che gli
Stati membri, oltre a provvedere in modo responsabile allo smaltimento e
al recupero dei rifiuti, adottino misure intese a limitare la formazione
dei rifiuti promuovendo in particolare le tecnologie “pulite” e i
prodotti riciclabili e riutilizzabili, tenuto conto delle attuali e
potenziali possibilità del mercato per i rifiuti recuperati.
(…)
(8) Occorre che la Comunità stessa nel suo insieme sia in grado di
raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento dei suoi rifiuti ed è
auspicabile che ciascuno Stato membro singolarmente tenda a questo
obiettivo.
(9) Per realizzare tali obiettivi si dovrebbero delineare negli Stati
membri programmi di gestione dei rifiuti.
(10) Occorre ridurre i movimenti dei rifiuti e a tal fine gli Stati
membri possono adottare le misure necessarie nel contesto dei loro piani
di gestione».
4 L’art. 4 della direttiva 2006/12 così dispone:
«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i
rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute
dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare
pregiudizio all’ambiente e in particolare:
a) senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la
flora;
b) senza causare inconvenienti da rumori od odori;
c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.
2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare
l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti».
5 L’art. 5 della direttiva in esame prevede:
«1. Gli Stati membri, di concerto con altri Stati membri qualora ciò
risulti necessario od opportuno, adottano le misure appropriate per la
creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento,
che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non
comportino costi eccessivi. Questa rete deve consentire alla Comunità
nel suo insieme di raggiungere l’autosufficienza in materia di
smaltimento dei rifiuti e ai singoli Stati membri di mirare al
conseguimento di tale obiettivo, tenendo conto del contesto geografico o
della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di
rifiuti.
2. Tale rete deve permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli
impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e
delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione
dell’ambiente e della salute pubblica».
6 L’art. 7 della direttiva 2006/12 così recita:
«1. Per realizzare gli obiettivi previsti negli articoli 3, 4 e 5, la o
le autorità competenti di cui all’articolo 6 devono elaborare quanto
prima uno o più piani di gestione dei rifiuti, che contemplino fra
l’altro:
a) tipo, quantità e origine dei rifiuti da recuperare o da smaltire;
b) requisiti tecnici generali;
c) tutte le disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare;
d) i luoghi o gli impianti adatti per lo smaltimento.
2. I piani di cui al paragrafo 1 possono riguardare ad esempio:
(…)
c) le misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta,
della cernita e del trattamento dei rifiuti.
3. Eventualmente, gli Stati membri collaborano con gli altri Stati
membri interessati e la Commissione per l’elaborazione dei piani. Essi
li trasmettono alla Commissione.
(…)».
La normativa nazionale
7 Gli artt. 4 e 5 della direttiva 2006/12 sono stati trasposti
nell’ordinamento giuridico italiano per mezzo del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152, contenente norme in materia ambientale (Supplemento
ordinario alla GURI n. 96 del 14 aprile 2006).
8 L’art. 178, comma 2, di tale decreto stabilisce che:
«I rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la
salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero
recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare:
a) senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché per la
fauna e la flora;
b) senza causare inconvenienti da rumori o odori;
c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse,
tutelati in base alla normativa vigente».
9 L’art. 182, comma 3, dello stesso decreto dispone quanto segue:
«Lo smaltimento dei rifiuti è attuato con il ricorso ad una rete
integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, attraverso le migliori
tecniche disponibili e tenuto conto del rapporto tra i costi e i
benefici complessivi, al fine di:
a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non
pericolosi in ambiti territoriali ottimali;
b) permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti
appropriati più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di
ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto
geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati
tipi di rifiuti;
c) utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto
grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica».
10 La legge della regione Campania 10 febbraio 1993, n. 10, sulle «Norme
e procedure per lo smaltimento dei rifiuti in Campania», ha definito 18
zone territoriali omogenee in cui, attraverso la partecipazione
obbligatoria dei comuni situati in tali zone, si doveva procedere alla
gestione dello smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nei rispettivi
bacini.
Fatti
11 Il presente ricorso riguarda la regione Campania, che comprende 551
comuni tra cui la città di Napoli. Tale regione deve fronteggiare
problemi di gestione e di smaltimento dei rifiuti urbani.
12 Secondo quanto indicato dalla Repubblica italiana nel proprio
controricorso, sin dal 1994, allo scopo di effettuare rapidamente gli
interventi finalizzati a superare quella che è stata comunemente
definita la «crisi dei rifiuti», venne dichiarato lo stato di emergenza
nella suddetta regione e venne nominato un commissario delegato, che
riuniva in sé le funzioni e le competenze ordinariamente svolte da altri
organi pubblici.
13 Nel 1997 venne approvato un piano di gestione dei rifiuti urbani.
Esso prevedeva un sistema di impianti industriali di termovalorizzazione
dei rifiuti alimentato grazie a un sistema di raccolta differenziata
organizzata a livello della regione Campania.
14 Con ordinanza ministeriale 31 marzo 1998, n. 2774, si decise di
indire una gara d’appalto per affidare per un periodo di dieci anni il
trattamento dei rifiuti ad operatori privati capaci di realizzare
impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti (in
prosieguo: «CDR»), nonché impianti per l’incenerimento e
termovalorizzatori.
15 Gli appalti in questione vennero aggiudicati nel corso dell’anno 2000
alle società Fibe SpA e Fibe Campania SpA, appartenenti al gruppo
Impregilo. Tali società dovevano realizzare e gestire sette impianti per
la produzione di CDR e due impianti di termovalorizzazione, ubicati
rispettivamente ad Acerra e a Santa Maria La Fossa. I comuni della
regione Campania erano tenuti ad affidare il trattamento dei loro
rifiuti alle dette società.
16 Tuttavia, l’esecuzione del piano incontrò difficoltà a causa, da un
lato, dell’opposizione di talune popolazioni residenti in merito ai siti
scelti e, dall’altro, della scarsa quantità di rifiuti raccolta e
consegnata al servizio regionale. Inoltre, la costruzione degli impianti
subì ritardi e furono accertate carenze nella loro progettazione, ragion
per cui, non potendo essere trattati dalle infrastrutture in questione,
i rifiuti vennero accumulati fino a saturazione nelle discariche e nelle
aree di stoccaggio disponibili.
17 La Procura della Repubblica di Napoli avviò anche un’inchiesta volta
a dimostrare la responsabilità per reati di frode nelle pubbliche
forniture. Gli impianti di produzione di CDR della regione Campania
furono sottoposti a sequestro giudiziario, rendendo impossibile
l’adeguamento delle relative attrezzature in questione. Infine, furono
risolti i contratti che legavano l’amministrazione alla Fibe SpA ed alla
Fibe Campania SpA, ma la riaggiudicazione, mediante bandi di gara, degli
appalti medesimi relativi allo smaltimento dei rifiuti nella regione
sarebbe fallita in più occasioni, a causa, in particolare, del numero
insufficiente di offerte ricevibili.
Fase precontenziosa
18 La situazione della regione Campania è stata oggetto di discussioni
tra i servizi della Commissione e le autorità italiane. In tale
contesto, il commissario delegato per l’emergenza rifiuti, con nota del
16 maggio 2007, esponeva alla Commissione le ragioni che avevano
condotto all’adozione del decreto legge 11 maggio 2007, n. 61, che
stabiliva «interventi straordinari per superare l’emergenza nel settore
dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania», comprendenti,
segnatamente, la realizzazione di quattro nuove discariche nei comuni di
Serre, Savignano Irpino, Terzigno e Sant’Arcangelo Trimonte.
19 Secondo questa nota, le misure eccezionali erano necessarie «per
scongiurare il pericolo di epidemie o altre emergenze sanitarie a tutela
della salute della popolazione». Tale documento riconosceva che «lo
stato di crisi risulta[va] da ultimo acuito per la carenza di
un’adeguata disponibilità di siti di discarica per lo smaltimento finale
dei rifiuti» e qualificava detto stato come una situazione di «allerta
sociale, di pericolo per i diritti fondamentali dei cittadini campani e
di estrema attenzione anche sotto il profilo ambientale», poiché «le
discariche abusive realizzate senza il controllo degli enti pubblici
competenti, gli incendi spontanei e dolosi dei rifiuti abbandonati
sta[va]no determinando la compromissione dell’integrità dell’ambiente
per effetto dell’emissione di sostanze inquinanti in atmosfera (in
particolare diossina) e nel sottosuolo con pericolo di danni
irreparabili alle falde acquifere».
20 Ritenendo che le misure adottate dalla Repubblica italiana non
fossero sufficienti per assicurare un elevato livello di protezione
dell’ambiente e della sanità pubblica, in particolare per stabilire una
rete adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti, e che quindi detto
Stato membro fosse venuto meno agli obblighi ad esso imposti dagli artt.
4 e 5 della direttiva 2006/12, la Commissione, in data 29 giugno 2007,
inviava al suddetto Stato membro una lettera di diffida, invitandolo a
presentare le proprie osservazioni entro un mese dalla ricezione della
stessa.
21 Facendo seguito ad un invito della Repubblica italiana, una
delegazione della Commissione si recava a Napoli nel mese di luglio 2007
per incontrare le autorità e constatare l’effettiva situazione sul
territorio.
22 La Repubblica italiana rispondeva alla diffida con lettera del 3
agosto 2007, allegando una nota del direttore generale del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio - Direzione per la qualità
della vita, datata 2 agosto 2007. Sulla base delle informazioni
ricevute, la Commissione riteneva opportuno estendere le censure alla
violazione degli artt. 3 e 7 della direttiva 2006/12 e, in tal senso,
inviava a detto Stato membro, il 23 ottobre 2007, una diffida
complementare, invitandolo a trasmettere le proprie osservazioni entro
il termine di due mesi dalla ricezione della stessa.
23 Il 20 novembre 2007 si svolgeva una nuova riunione a Bruxelles, in
occasione della quale la Repubblica italiana presentava una nuova bozza
del piano di gestione dei rifiuti per la regione Campania e forniva un
resoconto dell’evoluzione della situazione, segnatamente riguardo
all’avanzamento della costruzione di talune infrastrutture, quali le
discariche. Tale piano veniva adottato il 28 dicembre 2007.
24 Con lettera del 24 dicembre 2007, la Repubblica italiana replicava
alla diffida complementare e allegava alla propria risposta una nota del
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del 21 dicembre
2007.
25 Il 28 gennaio 2008, si svolgeva a Roma una «riunione pacchetto» tra
la Repubblica italiana e la Commissione, nel corso della quale, riguardo
alla questione della gestione dei rifiuti in Campania, tale Stato membro
illustrava il contenuto di un nuovo piano che si prefiggeva di risolvere
la situazione di crisi entro la fine del mese di novembre 2008.
26 Alla luce delle informazioni fornite dalla Repubblica italiana nella
corrispondenza intercorsa, nonché di quelle provenienti da altre fonti,
come mass media, associazioni, organizzazioni e privati cittadini, la
Commissione, in data 1° febbraio 2008, inviava a detto Stato membro un
parere motivato, invitandolo a conformarvisi, data l’urgenza della
situazione, entro il termine di un mese. La Repubblica italiana
replicava al parere con lettera trasmessa alla Commissione il 4 marzo
2008, cui erano allegate tre note provenienti dai responsabili
regionali.
27 A fronte delle informazioni così raccolte, la Commissione decideva di
proporre il presente ricorso.
28 Con ordinanza del presidente della Corte 2 dicembre 2008, il Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è stato autorizzato ad
intervenire a sostegno delle conclusioni della Repubblica italiana.
Sul ricorso
29 A sostegno del proprio ricorso, la Commissione contesta alla
Repubblica italiana la violazione degli artt. 4 e 5 della direttiva
2006/12 in quanto, da un lato, essa non avrebbe creato una rete
integrata ed adeguata di impianti di smaltimento idonei a consentire
l’autosufficienza in materia di smaltimento di rifiuti, improntata al
criterio della prossimità geografica, e, dall’altro, tale situazione
avrebbe determinato un pericolo per la salute dell’uomo e per
l’ambiente.
30 La Commissione ritiene che la Repubblica italiana riconosca
l’inadempimento contestato. L’istituzione lo ritiene provato,
segnatamente, alla luce del contenuto delle risposte fornite dal governo
italiano nel corso della fase precontenziosa del procedimento. Così,
nella propria risposta alla diffida iniziale, il governo italiano aveva
illustrato il piano regionale di gestione dei rifiuti approvato nel
1997, ammettendo nel contempo che, «seppur giustamente individuato nel
Piano regionale, il sistema di gestione integrato dei rifiuti in
Campania non costituisce tuttora una realtà effettiva», soprattutto a
causa dei ritardi accumulati nella costruzione dei due inceneritori
previsti ad Acerra e a Santa Maria La Fossa nonché della chiusura di
discariche. Le autorità italiane avrebbero dunque riconosciuto la
«paralisi del sistema» e l’abbandono illegale o incontrollato dei
rifiuti, da esse descritto come un «fenomeno diffuso in Regione Campania
e condotto da settori della criminalità organizzata, rispetto al quale
risultano avviate diverse inchieste da parte dell’Autorità Giudiziaria».
31 Nella propria replica al parere motivato, la Repubblica italiana
avrebbe confermato che la situazione non era risolta e, secondo la
Commissione, dalle risposte fornite da tale Stato membro e, in
particolare, dai tempi necessari a realizzare le infrastrutture previste
nell’ultimo piano di gestione, nonché dalla stampa nazionale,
emergerebbe che, alla scadenza del termine impartito nel parere
motivato, tale Stato membro era ancora lontano dall’aver creato una rete
integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, improntata al criterio
della prossimità.
32 Inoltre, talune informazioni ricevute dopo il termine fissato nel
parere motivato confermerebbero la persistenza dell’inadempimento. In
tal senso, nelle comunicazioni datate 21 e 28 aprile 2008, trasmesse
alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, la Repubblica
italiana avrebbe riconosciuto che le discariche previste nei siti di
Savignano Irpino e Sant’Arcangelo Trimonte sarebbero entrate in
funzione, nella migliore delle ipotesi, nel mese di luglio dell’anno
2008 e che, quindi, fino a quel momento, soltanto la discarica di
Macchia Soprana, nel comune di Serre, sarebbe stata in funzione per
tutta la regione Campania.
33 La Commissione si basa parimenti su una nota trasmessa il 4 giugno
2008, con cui la Repubblica italiana le ha notificato il decreto legge
23 maggio 2008, n. 90 (Supplemento ordinario alla GURI n. 120 del 23
maggio 2008; in prosieguo: il «decreto legge n. 90/2008»). Il testo
stesso di tale decreto legge costituirebbe un’ammissione delle
inadeguatezze del sistema di smaltimento dei rifiuti in Campania. La
Commissione evidenzia altresì che lo «stato di emergenza» relativo alla
crisi dei rifiuti non sarebbe stato risolto alla data di proposizione
del ricorso e sarebbe stato necessario mantenerlo fino al 31 dicembre
2009.
34 Tuttavia, occorre constatare che, contrariamente a quanto sostiene la
Commissione, la Repubblica italiana nega di essere venuta meno agli
obblighi che le incombono in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva
2006/12. Di conseguenza, occorre esaminare la fondatezza delle censure
addotte dalla Commissione a sostegno del suo ricorso.
Sulla violazione dell’art. 5 della direttiva 2006/12
Argomenti delle parti
35 La Commissione deduce che, per poter ritenere che uno Stato membro
abbia creato una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento,
come richiesto dall’art. 5 della direttiva 2006/12, occorre che esso
disponga di un apparato di strutture tecniche volte a consentire, da un
lato, che i rifiuti impossibili da recuperare e/o riutilizzare siano
smaltiti senza pericolo per l’ambiente e la sanità pubblica e,
dall’altro, che, ai fini del rispetto dei principi di autosufficienza e
di prossimità, le capacità di assorbimento degli stabilimenti destinati
allo smaltimento dei rifiuti, come inceneritori e discariche,
corrispondano ai quantitativi di rifiuti suscettibili di smaltimento
nella regione interessata.
36 Orbene, a tale riguardo, il sistema istituito nella regione Campania
presenterebbe indubbie carenze. Così, la raccolta differenziata sarebbe
pari solamente al 10,6% dei rifiuti prodotti, contro una media
comunitaria del 33% e una media nazionale che oscilla dal 19,4% per le
regioni del centro Italia al 38,1% per le regioni settentrionali di tale
Stato membro.
37 Inoltre, pur dovendo le discariche essere utilizzate il meno
possibile, perché rappresentano la soluzione peggiore per l’ambiente, la
maggior parte dei rifiuti della Campania verrebbe smaltita in discarica
o abbandonata illegalmente. Inoltre, gli impianti di produzione di CDR
deputati a smaltire detti rifiuti sarebbero inadeguati e si
limiterebbero, in realtà, a trattarli, con la conseguenza che essi
dovrebbero essere successivamente inviati ad altre strutture per lo
smaltimento definitivo.
38 Gli inceneritori previsti nei comuni di Acerra e di Santa Maria La
Fossa non sarebbero ancora entrati in funzione e, complessivamente, la
regione disporrebbe di una sola discarica legale in attività, quella di
Serre, le cui capacità di assorbimento sarebbero assai inferiori ai
bisogni effettivi. Infine, numerose tonnellate di rifiuti sarebbero
state trasportate in Germania e in altre regioni d’Italia per essere
smaltite, e sarebbe stato siglato un accordo con la Repubblica federale
di Germania che prevede ulteriori spedizioni.
39 Secondo la Commissione, i rifiuti nelle strade alla data del 2 marzo
2008 ammontavano a 55 000 tonnellate, a cui si aggiungevano fra le 110
000 e le 120 000 tonnellate di rifiuti in attesa di trattamento presso i
siti comunali di stoccaggio. Orbene, la Corte avrebbe affermato nella
sentenza 26 aprile 2005, causa C-494/01, Commissione/Irlanda (Racc. pag.
I-3331), che un sistema di discariche vicino alla saturazione nonché la
presenza di depositi abusivi di rifiuti nel paese integra una violazione
dell’art. 5 della direttiva 2006/12.
40 La Repubblica italiana chiede il rigetto del ricorso. A suo avviso,
la censura attinente all’art. 5 della direttiva sarebbe viziata da
un’insufficiente analisi delle cause storiche della grave situazione che
imperversa nella regione Campania. Inoltre, tale Stato membro avrebbe
compiuto ogni possibile sforzo per arginare tale crisi, sia dispiegando
considerevoli mezzi amministrativi e militari, sia realizzando
importanti investimenti finanziari (400 milioni di euro tra il 2003 e il
2008).
41 Riguardo alla raccolta dei rifiuti, pur riconoscendo che le
percentuali a livello regionale indicate dalla Commissione sono
corrette, la Repubblica italiana osserva tuttavia che sarebbero state
intraprese iniziative straordinarie di raccolta e che, in linea
generale, si assisterebbe a un aumento del livello di raccolta
differenziata nella regione Campania, che dovrebbe accrescersi con
l’attuazione dell’ordinanza del Presidente del Consiglio n. 3639/08. Ad
esempio, tra il 14 gennaio ed il 1° marzo 2008 sarebbero state raccolte
e messe in sicurezza 348 000 tonnellate di rifiuti, in particolare dalle
strade. Attualmente la capacità di smaltimento complessiva dei rifiuti
sarebbe superiore alla produzione giornaliera regionale. 530 comuni
avrebbero attuato le prime misure per l’avvio della raccolta
differenziata, 73 comuni (circa 370 000 abitanti) avrebbero raggiunto
percentuali tra il 50% ed il 90%, mentre 134 comuni (circa un milione di
abitanti) si troverebbero tra il 25 ed il 50%.
42 Peraltro, nel mese di giugno 2008 sarebbe stata aperta la discarica
di Savignano Irpino, seguita da quella di Sant’Arcangelo Trimonte. Per
quanto riguarda gli inceneritori, il nuovo piano inserito nel decreto
legge n. 90/2008, prevederebbe la costruzione di altri due inceneritori,
a Napoli e a Salerno, che verrebbero ad aggiungersi a quelli di Acerra e
di Santa Maria La Fossa. Sarebbero altresì in fase di realizzazione
altre infrastrutture, come le discariche di Chiaiano, Terzigno, San
Tammaro e Andretta, o ancora i termovalorizzatori di Acerra e di
Salerno.
43 Riguardo ai sette impianti di produzione di CDR, di cui la
Commissione sottolinea l’attuale inoperatività, la Repubblica italiana
deduce che le disfunzioni accertate in tali impianti sono dovute ad
inadempienze contrattuali, o addirittura a comportamenti delittuosi o
criminali, che sarebbero indipendenti dalla sua volontà.
44 Relativamente alle discariche, la Repubblica italiana, pur ammettendo
che alla data impartita nel parere motivato era in funzione solo la
discarica di Macchia Soprana a Serra, fa tuttavia notare che l’apertura
di altri siti di discarica sarebbe stata ostacolata dalle azioni di
protesta della popolazione, che avrebbero persino reso necessario
l’intervento delle forze armate.
45 Orbene, tutte queste circostanze sarebbero tali da rappresentare
cause di forza maggiore ai sensi della giurisprudenza.
46 Conseguentemente, la Repubblica italiana ritiene che la violazione
dell’art. 5 della direttiva 2006/12 non possa essere imputata alla sua
inerzia e sottolinea, peraltro, che gli sversamenti illeciti di rifiuti
nel territorio della regione Campania sarebbero oggetto di una costante
attività di bonifica e non avrebbero mai rappresentato un’alternativa
proposta, suggerita od avallata dalle autorità nazionali, che avrebbero
fatto tutto il possibile per assicurarne la rimozione, anche attraverso
l’intervento dell’esercito.
47 Riguardo alla possibilità di riconoscere una causa di forza maggiore,
la Commissione rammenta, nella propria replica, che tale nozione
esigerebbe che l’evento in questione (o la sua mancata realizzazione)
«sia imputabile a circostanze indipendenti da chi le fa valere,
straordinarie ed imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto
essere evitate malgrado tutta la diligenza impiegata» (sentenza 8 marzo
1988, causa 296/86, McNicholl e a., Racc. pag. 1491, punto 11 e
giurisprudenza ivi citata).
48 Inoltre, qualora un evento abbia costituito causa di forza maggiore,
i suoi effetti potrebbero durare soltanto per un limitato periodo di
tempo, e cioè per il tempo materialmente necessario, ad
un’amministrazione che metta in opera la normale diligenza, per
risolvere la situazione di emergenza indipendente dalla sua volontà
(sentenza 11 luglio 1985, causa 101/84, Commissione/Italia, Racc. pag.
2629, punto 16).
49 Orbene, la Commissione rammenta che l’inadeguatezza del sistema di
smaltimento dei rifiuti in Campania perdurerebbe dall’anno 1994.
Riguardo alle proteste e alle turbative dell’ordine pubblico provocate
dalle popolazioni locali, tali fenomeni sarebbero stati prevedibili e
non rivestirebbero carattere eccezionale, dato che la situazione di
crisi e le proteste che ne sono conseguite deriverebbero proprio dal
persistente inadempimento delle autorità nazionali agli obblighi
previsti dalla direttiva 2006/12.
50 Quanto alla presenza di associazioni criminali, la Commissione fa
presente che tale circostanza, anche supponendo che fosse provata, non
potrebbe giustificare la violazione da parte dello Stato membro degli
obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva 2006/12 (v.
sentenza 18 dicembre 2007, causa C-263/05, Commissione/Italia, Racc.
pag. I-11745, punto 51).
51 Riguardo, infine, alla circostanza del mancato rispetto da parte
delle imprese aggiudicatarie dei loro impegni contrattuali di realizzare
gli impianti di trattamento dei rifiuti, la Commissione ritiene che essa
non possa rappresentare una circostanza anormale e imprevedibile, in
particolare poiché, contrariamente a quanto affermato dalla Repubblica
italiana, le autorità avrebbero potuto prevedere clausole specifiche per
scongiurarne gli effetti.
52 Per quanto riguarda i procedimenti penali avviati dalla Procura della
Repubblica a carico di alcuni responsabili di tali imprese e alla
difficoltà per le autorità di reperire altri appaltatori per riprendere
le attività in questione, la Commissione deduce che, secondo
giurisprudenza costante, uno Stato membro non potrebbe eccepire
disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico
interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini
imposti da una direttiva (v. sentenza 18 dicembre 2007,
Commissione/Italia, cit., punto 51).
53 Il Regno Unito limita le proprie osservazioni all’interpretazione
dell’art. 5 della direttiva 2006/12. Secondo questo Stato membro, al
contrario di quanto suggerisce la Commissione tramite la presentazione
del presente ricorso, gli obblighi incombenti agli Stati membri in forza
di tale disposizione sarebbero applicabili a livello nazionale e non a
livello regionale. In tal senso, i principi di autosufficienza e di
prossimità, secondo i quali la rete integrata ed adeguata di impianti di
smaltimento «deve consentire alla Comunità nel suo insieme di
raggiungere l’autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti e ai
singoli Stati membri di mirare al conseguimento di tale obiettivo», e
ciò «in uno degli impianti appropriati più vicini», dovrebbero
intendersi su una base territoriale comunitaria o nazionale, e non
regionale.
54 Conseguentemente, detto Stato membro non condivide la tesi della
Commissione secondo cui l’art. 5 della direttiva 2006/12 risulterebbe
violato qualora, all’interno di una determinata regione di uno Stato
membro, gli impianti di smaltimento dei rifiuti non siano sufficienti
per soddisfare le esigenze della regione stessa in materia di
smaltimento. Infatti, al pari del Regno Unito, che si è così organizzato
in materia di rifiuti pericolosi, gli Stati membri potrebbero adottare
la soluzione di trasportare alcuni tipi di rifiuti, provenienti da una
regione, perché siano trattati e smaltiti in impianti situati in altre
regioni, purché la domanda nazionale complessiva sia soddisfatta dalla
rete nazionale di impianti di smaltimento dei rifiuti.
55 Anche la giurisprudenza della Corte avvalorerebbe l’interpretazione
nazionale del principio di autosufficienza e, inoltre, il tenore
letterale dell’art. 16, n. 4, della direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio 19 novembre 2008, 2008/98/CE, relativa ai rifiuti e che
abroga alcune direttive (GU L 312, pag. 3), la confermerebbe, atteso che
tale articolo della nuova direttiva sui rifiuti dispone che «[i]
principi di prossimità e autosufficienza non significano che ciascuno
Stato membro debba possedere l’intera gamma di impianti di recupero
finale al suo interno».
56 La Repubblica italiana condivide l’opinione del Regno Unito e rileva
che l’incidenza della regione Campania sulla sua produzione nazionale di
rifiuti è limitata.
57 La Commissione, pur ritenendo che le questioni interpretative
sollevate dal Regno Unito non siano rilevanti nell’ambito del presente
ricorso, riconosce che gli Stati membri sarebbero liberi di determinare
il livello amministrativo adeguato per la gestione dei rifiuti. Dunque,
per rispettare l’art. 5 della direttiva 2006/12, uno Stato membro
potrebbe disporre di un solo impianto nazionale, qualora questo copra il
trattamento dei rifiuti prodotti, oppure soltanto di alcuni impianti
specializzati, ad esempio quelli di trattamento dei rifiuti pericolosi
situati nel Regno Unito.
58 La Commissione osserva tuttavia che, per determinare come i principi
di autosufficienza e di prossimità debbano essere interpretati e
applicati, occorrerebbe altresì prendere in considerazione la natura dei
rifiuti ed i quantitativi prodotti. Orbene, i rifiuti domestici
sarebbero di produzione locale e giornaliera, rendendo in via di
principio necessaria una raccolta e un trattamento pressoché immediati e
in luoghi vicini.
59 La Repubblica italiana avrebbe optato per una gestione che individua
gli «ambiti territoriali ottimali» quale parametro geografico di
autosufficienza e di prossimità. La Commissione rileva, in proposito,
che essa non contesta a tale Stato membro la scelta del livello
amministrativo ritenuto adatto alla creazione di un sistema integrato di
gestione e di smaltimento dei rifiuti. Per contro, essa censura il fatto
che la Repubblica italiana non avrebbe istituito un siffatto sistema in
Campania dove, in concreto, i rifiuti non verrebbero smaltiti in
impianti prossimi ai luoghi di produzione e dove le spedizioni di
rifiuti verso altre regioni o altri Stati membri non avrebbero
rappresentato altro che rimedi straordinari ad hoc all’emergenza
sanitaria ed ambientale senza collocarsi, di conseguenza, nel contesto
di un sistema integrato di impianti di smaltimento.
Giudizio della Corte
60 Come risulta dagli argomenti esposti dalla Commissione nel corso
della fase precontenziosa, nonché dalle memorie depositate nell’ambito
del procedimento dinanzi alla Corte, occorre constatare che il ricorso
della Commissione riguarda, in generale, la questione dello smaltimento
dei rifiuti nella regione Campania e, in particolare, come risulta dalla
sua risposta alla memoria di intervento del Regno Unito, lo smaltimento
dei rifiuti urbani. Di conseguenza, nonostante la risposta fornita da
tale istituzione ad un quesito posto in udienza, essa non chiede alla
Corte di dichiarare l’inadempimento della Repubblica italiana per quanto
riguarda la categoria specifica dei rifiuti pericolosi, che rientrano
parzialmente nella direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE,
relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20).
61 In conformità all’art. 5, n. 1, della direttiva 2006/12, gli Stati
membri devono adottare le misure appropriate per la creazione di una
rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti che
consenta, da un lato, alla Comunità nel suo insieme di raggiungere
l’autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti e, dall’altro,
ai singoli Stati membri di mirare al conseguimento di tale obiettivo. A
tal fine, gli Stati membri devono tener conto del contesto geografico o
della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di
rifiuti.
62 Per istituire detta rete, gli Stati membri dispongono di un margine
di discrezionalità nella scelta della base territoriale che ritengono
adeguata per conseguire un’autosufficienza nazionale in termini di
capacità di smaltimento dei rifiuti, e così permettere alla Comunità di
assicurare essa stessa lo smaltimento dei rifiuti.
63 Come ha giustamente rilevato il Regno Unito, taluni tipi di rifiuti
possono presentare un tale grado di specificità, come ad esempio i
rifiuti pericolosi, che il loro trattamento ai fini dello smaltimento
può essere utilmente raggruppato all’interno di una o più strutture a
livello nazionale, o persino, come prevedono espressamente gli artt. 5,
n. 1, e 7, n. 3, della direttiva 2006/12, nell’ambito di una
cooperazione con altri Stati membri.
64 Tuttavia, la Corte ha già avuto occasione di sottolineare che una
delle più importanti misure che devono essere adottate dagli Stati
membri nell’ambito del loro obbligo, in forza della direttiva 2006/12,
di elaborare piani di gestione che contemplino, in particolare, misure
atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita
e del trattamento dei rifiuti, è quella, prevista all’art. 5, n. 2, di
tale direttiva, consistente nel cercare di trattare i rifiuti
nell’impianto più vicino possibile (v., sentenza 9 giugno 2009, causa
C-480/06, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 37).
65 La Corte ha quindi dichiarato che i criteri di localizzazione dei
siti di smaltimento dei rifiuti devono essere individuati in
considerazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2006/12, tra
cui figurano, in particolare, la protezione della salute e
dell’ambiente, nonché la creazione di una rete integrata ed adeguata di
impianti di smaltimento che consenta in particolare lo smaltimento dei
rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini. Quindi, detti
criteri di localizzazione dovrebbero riguardare, in particolare, la
distanza di tali siti rispetto agli insediamenti in cui sono prodotti i
rifiuti, il divieto di realizzare gli impianti in prossimità di zone
vulnerabili e l’esistenza di infrastrutture adeguate per il trasporto
dei rifiuti, quali il collegamento alle reti di trasporto (v. sentenza
1° aprile 2004, cause riunite C-53/02 e C-217/02, Commune de
Braine-le-Château e a., Racc. pag. I-3251, punto 34).
66 Per quanto riguarda i rifiuti urbani non pericolosi, per i quali non
sono necessari, in linea di principio, impianti specializzati come
quelli richiesti per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, gli Stati
membri devono quindi adoperarsi per disporre di una rete che consenta
loro di soddisfare l’esigenza di impianti di smaltimento quanto più
vicini possibile ai luoghi di produzione, ferma restando la possibilità
di organizzare una rete siffatta nell’ambito di cooperazioni
interregionali, o addirittura transfrontaliere, che rispondano al
principio di prossimità.
67 Ne consegue che, come ha sottolineato la Commissione, allorché uno
Stato membro ha singolarmente scelto nell’ambito del suo piano o dei
suoi «piani di gestione dei rifiuti» ai sensi dell’art. 7, n. 1, della
direttiva 2006/12, di organizzare la copertura del suo territorio su
base regionale, occorre dedurne che ogni regione dotata di un piano
regionale debba garantire, in linea di principio, il trattamento e lo
smaltimento dei suoi rifiuti il più vicino possibile al luogo in cui
vengono prodotti. Infatti, il principio di correzione, anzitutto alla
fonte, dei danni causati all’ambiente, principio stabilito per l’azione
della Comunità in materia ambientale dall’art. 191 TFUE, comporta che
spetta a ciascuna regione, comune o altro ente locale adottare le misure
adeguate per garantire la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei
propri rifiuti e che questi vanno quindi smaltiti il più vicino
possibile al luogo in cui vengono prodotti, per limitarne al massimo il
trasporto (v. sentenza 17 marzo 1993, causa C-155/91,
Commissione/Consiglio, Racc. pag. I-939, punto 13 e giurisprudenza ivi
citata).
68 Di conseguenza, in una tale rete nazionale definita dallo Stato
membro, se una regione non è dotata, in misura e per un periodo
rilevanti, di infrastrutture sufficienti a soddisfare le sue esigenze
per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, si può dedurre che dette
gravi carenze a livello regionale possono compromettere la rete
nazionale di impianti di eliminazione dei rifiuti, privandola delle
caratteristiche di integrazione ed adeguatezza richieste dalla direttiva
2006/12, che consenta allo Stato membro interessato di perseguire
individualmente l’obiettivo di autosufficienza definito all’art. 5, n.
1, della direttiva in parola.
69 Nella fattispecie, occorre rilevare, come ha sottolineato la
Commissione, che la Repubblica italiana ha essa stessa operato la scelta
di una gestione dei rifiuti a livello della regione Campania in quanto
«ambito territoriale ottimale». Infatti, come risulta dalla legge
regionale del 1993 e dal piano regionale di gestione dei rifiuti del
1997, come modificato da quello del 2007, è stato deciso, per conseguire
l’autosufficienza regionale, di costringere i comuni della regione
Campania a consegnare i rifiuti raccolti sul loro territorio al servizio
regionale; tale obbligo poteva giustificarsi, in definitiva, con la
necessità di garantire un livello di attività indispensabile alla
redditività dei suddetti impianti di smaltimento, al fine di preservare
l’esistenza di capacità di smaltimento tali da concorrere all’attuazione
del principio di autosufficienza a livello nazionale (v. sentenza 13
dicembre 2001, causa C-324/99, DaimlerChrysler, Racc. pag. I-9897, punto
62).
70 Inoltre, poiché, secondo le affermazioni della Repubblica italiana,
da un lato, la produzione di rifiuti urbani della regione Campania
rappresenta il 7% della produzione nazionale, cioè una quota non
trascurabile di tale produzione, e, dall’altro, la popolazione di detta
regione rappresenta circa il 9% della popolazione nazionale, una carenza
importante nella capacità di tale regione di eliminare i suoi rifiuti è
tale da compromettere seriamente la capacità di detto Stato membro di
perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza nazionale.
71 Pertanto, occorre esaminare se, all’interno della rete nazionale
italiana di impianti di smaltimento dei rifiuti, tale regione disponga
di impianti sufficienti per garantire uno smaltimento dei rifiuti urbani
nelle vicinanze del luogo di produzione.
72 A tale proposito, la Repubblica italiana ha riconosciuto che gli
impianti in servizio, fossero essi discariche, inceneritori o
termovalorizzatori, non erano in numero sufficiente a consentire di
soddisfare le esigenze di smaltimento dei rifiuti della regione
Campania.
73 Infatti, la Repubblica italiana ha ammesso che, alla scadenza del
termine fissato nel parere motivato, un’unica discarica era in servizio
per tutta la regione Campania, che gli impianti di produzione di CDR di
detta regione non permettevano di assicurare lo smaltimento definitivo
dei rifiuti e che gli inceneritori previsti ad Acerra e a Santa Maria La
Fossa continuavano a non essere in funzione.
74 Come risulta dal piano regionale di gestione dei rifiuti approvato
nel 1997 e dai piani successivi adottati dalle autorità italiane per
rimediare alla crisi dei rifiuti, tali autorità hanno in particolare
ritenuto che, per riuscire a soddisfare le esigenze di smaltimento dei
rifiuti urbani nella regione Campania, dovessero entrare in servizio
altre discariche, come quelle di Savignano Irpino e di Sant’Arcangelo
Trimonte, dovessero aggiungersi altri due inceneritori a quelli previsti
ad Acerra e a Santa Maria La Fossa, e dovessero essere resi
effettivamente operativi gli impianti di produzione di CDR.
75 Benché l’art. 5 della direttiva 2006/12 consenta una cooperazione
interregionale nella gestione e smaltimento dei rifiuti, e persino una
cooperazione tra Stati membri, cionondimeno, nel caso di specie, anche
con l’assistenza di altre regioni italiane e delle autorità tedesche,
non è stato possibile rimediare al deficit strutturale in termini di
impianti necessari allo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nella
regione Campania. Ciò è attestato dai quantitativi ingenti di rifiuti
ammassati per le strade di questa regione.
76 Inoltre, il basso tasso di raccolta differenziata dei rifiuti nella
regione Campania, rispetto alla media nazionale e comunitaria, ha
ulteriormente aggravato la situazione.
77 La Repubblica italiana ha sostenuto dinanzi alla Corte di adoperarsi
per rimediare alla situazione in Campania e l’ha informata dell’entrata
in funzione effettiva, successiva al 2 maggio 2008, delle discariche di
Savignano Irpino e di Sant’Arcangelo Trimonte, nonché delle misure
previste dal nuovo piano in data 23 maggio 2008, che comprendono la
costruzione di altri due inceneritori e la realizzazione dei
termovalorizzatori di Acerra e di Salerno. Inoltre, il tasso di raccolta
differenziata nella regione sarebbe nettamente migliorato e le capacità
di smaltimento giornaliero dei rifiuti nella regione sarebbero superiori
alla produzione, per cui la situazione di crisi dei rifiuti potrebbe
dirsi superata.
78 Benché siffatte misure provino che talune iniziative sono state
intraprese per superare le difficoltà della regione Campania,
cionondimeno in tal modo la Repubblica italiana riconosce chiaramente
che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, gli impianti
esistenti e in funzione nella regione Campania erano ben lontani dal
soddisfare le esigenze reali di tale regione in termini di smaltimento
dei rifiuti.
79 D’altra parte e in ogni caso, occorre ricordare che la Corte ha
ripetutamente dichiarato che l’esistenza di un inadempimento dev’essere
valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si
presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, e
che non possono essere prese in considerazione dalla Corte modifiche
successivamente intervenute (v., in particolare, sentenze 14 settembre
2004, causa C-168/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-8227, punto 24, e
27 ottobre 2005, causa C-23/05, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag.
I-9535, punto 9).
80 La Repubblica italiana afferma altresì che l’inadempimento
addebitatole non le sarebbe imputabile e che, al contrario, sarebbe
riconducibile a taluni eventi che costituirebbero casi di forza
maggiore, come l’opposizione della popolazione all’installazione di
discariche sul territorio dei loro comuni, l’esistenza di attività
criminali nella regione nonché la mancata esecuzione da parte delle
controparti contrattuali dell’amministrazione degli obblighi ad esse
incombenti, riguardanti la realizzazione di taluni impianti necessari
alla regione.
81 In proposito, occorre rilevare che il procedimento di cui all’art.
258 TFUE si fonda sull’oggettiva constatazione del mancato rispetto, da
parte di uno Stato membro, degli obblighi che ad esso impone il Trattato
o un atto di diritto derivato (v. sentenze 1° marzo 1983, causa 301/81,
Commissione/Belgio, Racc. pag. 467, punto 8, e 4 maggio 2006, causa
C-508/03, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-3969, punto 67).
82 Una volta giunti, come nella fattispecie, a un siffatto accertamento,
è irrilevante che l’inadempimento risulti dalla volontà dello Stato
membro al quale è addebitabile, dalla sua negligenza, oppure dalle
difficoltà tecniche cui quest’ultimo abbia dovuto far fronte (sentenza
1° ottobre 1998, causa C-71/97, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-5991,
punto 15).
83 Per quanto riguarda l’opposizione manifestata dalla popolazione
locale all’installazione di taluni impianti di smaltimento, risulta da
giurisprudenza costante che uno Stato membro non può eccepire situazioni
interne, come difficoltà di attuazione emerse nella fase di esecuzione
di un atto comunitario, comprese quelle dovute alla resistenza di
privati, per giustificare l’inosservanza degli obblighi e termini
imposti dal diritto comunitario (v. sentenze 7 aprile 1992, causa
C-45/91, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-2509, punti 20 e 21, nonché 9
dicembre 2008, causa C-121/07, Commissione/Francia, Racc. pag. I-9159,
punto 72).
84 In merito alla presenza di organizzazioni criminali o di persone
connotate come operanti «al limite della legalità» che sarebbero attive
nel settore della gestione dei rifiuti, è sufficiente rilevare che tale
circostanza, anche supponendola provata, non può giustificare la
violazione, da parte di tale Stato membro, degli obblighi ad esso
incombenti in forza della direttiva 2006/12 (sentenza 18 dicembre 2007,
Commissione/Italia, cit., punto 51).
85 Per quanto attiene agli inadempimenti contrattuali da parte delle
imprese incaricate della realizzazione di taluni impianti di smaltimento
dei rifiuti, è sufficiente altresì ricordare che la nozione di forza
maggiore, pur non postulando un’impossibilità assoluta, esige
cionondimeno che il mancato verificarsi dell’evento in causa sia
imputabile a circostanze indipendenti da chi le fa valere, straordinarie
ed imprevedibili, le cui conseguenze sarebbe stato impossibile evitare
malgrado tutta la diligenza posta (sentenza McNicholl e a., cit., punto
11).
86 Orbene, un’amministrazione diligente avrebbe dovuto adottare le
misure necessarie a tutelarsi contro inadempimenti contrattuali come
quelli avvenuti in Campania o a garantire che, nonostante tali mancanze,
fosse assicurata la realizzazione effettiva e nei tempi previsti delle
infrastrutture necessarie allo smaltimento dei rifiuti della regione.
87 Quanto alla censura mossa dalla Repubblica italiana alla Commissione,
con cui si critica il fatto che il presente ricorso sia stato presentato
anni dopo che la crisi dei rifiuti era esplosa e proprio quando tale
Stato membro aveva adottato le misure che consentivano di uscire dalla
crisi, occorre ricordare che, per costante giurisprudenza della Corte,
le norme di cui all’art. 258 TFUE devono essere applicate senza che la
Commissione sia tenuta ad osservare un termine prestabilito (v., in
particolare, sentenze 16 maggio 1991, causa C-96/89, Commissione/Paesi
Bassi, Racc. pag. I-2461, punto 15, e 24 aprile 2007, causa C-523/04,
Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-3267, punto 38). Essa dispone così
del potere di decidere quando si debba eventualmente proporre un ricorso
e non spetta alla Corte, in linea di principio, sindacare tale decisione
(sentenza 10 maggio 1995, causa C-422/92, Commissione/Germania, Racc.
pag. I-1097, punto 18).
88 Alla luce di quanto precede, occorre dichiarare che la Repubblica
italiana, non essendosi assicurata che, nell’ambito della gestione
regionale dei rifiuti nella regione Campania, detta regione disponesse
di un numero di impianti sufficiente a consentirle di smaltire i suoi
rifiuti urbani nelle vicinanze del luogo di produzione, è venuta meno
all’obbligo ad essa incombente di creare una rete adeguata ed integrata
di impianti di smaltimento che le consentissero di perseguire
l’obiettivo di assicurare lo smaltimento dei suoi rifiuti e, di
conseguenza, ha violato gli obblighi ad essa incombenti in forza
dell’art. 5 della direttiva 2006/12.
Sulla violazione dell’art. 4 della direttiva 2006/12
Argomenti delle parti
89 La Commissione sottolinea che la Repubblica italiana non avrebbe mai
negato l’esistenza di una situazione estremamente grave per l’ambiente e
per la salute umana, derivante dalla mancanza di una rete integrata e
adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti. Al contrario, tale
Stato membro l’avrebbe espressamente riconosciuta.
90 Alla luce, in particolare, delle sentenze 26 aprile 2007, causa
C-135/05, Commissione/Italia (Racc. pag. I-3475), e 24 maggio 2007,
causa C-361/05, Commissione/Spagna, la Commissione ritiene
incontestabile che i rifiuti giacenti nelle strade, nonché quelli in
attesa di trattamento presso i siti di stoccaggio, costituiscano un
degrado significativo dell’ambiente e del paesaggio e una reale minaccia
tanto per l’ambiente quanto per la salute umana. Infatti, tali accumuli
potrebbero determinare una contaminazione del suolo e delle falde
acquifere, il rilascio di sostanze inquinanti nell’atmosfera a seguito
dell’autocombustione dei rifiuti o degli incendi provocati dalla
popolazione, con conseguente inquinamento dei prodotti agricoli e
dell’acqua potabile, o, ancora, emanazioni maleodoranti.
91 La Repubblica italiana afferma, sulla base di uno studio dei servizi
del commissario delegato, che la situazione in Campania, per quanto
concerne la gestione dei rifiuti, non avrebbe avuto conseguenze
pregiudizievoli per la pubblica incolumità e per la salute umana. Essa
sostiene altresì che l’addebito della Commissione sarebbe eccessivamente
generico, in quanto non specificherebbe a quale delle tre ipotesi
previste dalle lett. a), b) e c) dell’art. 4 della direttiva 2006/12 si
riferisca il presente ricorso.
92 Peraltro, la Repubblica italiana ritiene che la Commissione non
fornisca alcuna prova a sostegno delle proprie deduzioni. Essa si
limiterebbe a richiamare quanto affermato dalla Corte, nella citata
sentenza 26 aprile 2007, Commissione/Italia, circa l’esistenza di
discariche abusive sul territorio italiano. Inoltre, essa cercherebbe di
far derivare automaticamente dalla violazione dell’art. 5 della
direttiva 2006/12 un inadempimento all’art. 4 della medesima.
93 Infine, le autorità italiane avrebbero monitorato da vicino l’impatto
sulla salute delle persone dei rifiuti abbandonati sulle strade, senza
che sia stato peraltro osservato alcun aumento, correlato alla presenza
di discariche abusive, né del numero di malattie infettive, né della
mortalità per tumori, né delle malformazioni congenite. Quanto
all’inquinamento delle falde, ad eccezione di due superamenti sporadici
in aree limitate, le falde e le acque freatiche non avrebbero presentato
anomalie chimiche o biologiche. Lo stesso varrebbe riguardo
all’esposizione della popolazione ai fumi degli incendi derivanti dai
cumuli di rifiuti poiché, eccettuato un caso, non si sarebbe rilevato
alcun rischio.
94 Riguardo allo studio su cui si basa la Repubblica italiana e secondo
il quale «anche nel momento più acuto della crisi nella regione Campania
non vi sono state conseguenze pregiudizievoli per la pubblica incolumità
ed in particolare per la salute umana», la Commissione sottolinea che i
risultati di tale studio, cofirmato dall’Organizzazione mondiale della
sanità, «corroborano la nozione di un’anomalia nello stato di salute
della popolazione residente nei comuni dell’area Nord Est della
provincia di Napoli e Sud Ovest della provincia di Caserta; questa zona
è anche quella maggiormente interessata da pratiche illegali di
smaltimento e incenerimento di rifiuti solidi urbani e pericolosi». Lo
studio in questione avrebbe anche confermato «l’ipotesi che eccessi di
mortalità e di malformazioni tendano a concentrarsi nelle zone dove è
più intensa la presenza di siti conosciuti di smaltimento dei rifiuti»
e, comunque, indicherebbe che «(…) [la] bassa risoluzione di dati
sanitari e [la] natura incompleta dei dati ambientali (…) producono
verosimilmente una sottostima del rischio».
95 L’affermazione della Repubblica italiana sull’assenza di conseguenze
pregiudizievoli per la salute non soltanto non sarebbe avvalorata dalle
prove scientifiche prodotte dallo Stato membro medesimo, ma sembrerebbe
subordinare la violazione dell’art. 4 della direttiva 2006/12
all’esistenza di problemi di salute direttamente riconducibili
all’emergenza rifiuti. Tuttavia, la Commissione ritiene, al contrario,
che gli obblighi derivanti dall’art. 4 siano di natura precauzionale.
Dunque, gli Stati membri dovrebbero adottare le misure adeguate atte ad
evitare situazioni di pericolo. Orbene, nella fattispecie, le situazioni
di pericolo per l’ambiente e la sanità pubblica sarebbero più che
accertate, persisterebbero da lungo tempo e costituirebbero il risultato
del comportamento o, piuttosto, dell’inerzia delle autorità italiane
competenti.
Giudizio della Corte
96 Si deve ricordare, in limine, che, sebbene l’art. 4, n. 1, della
direttiva 2006/12 non precisi il contenuto concreto delle misure che
debbono essere adottate per assicurare che i rifiuti siano smaltiti
senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio
all’ambiente, ciò non toglie che la direttiva vincola gli Stati membri
circa l’obiettivo da raggiungere, pur lasciando agli stessi un potere
discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure (sentenze
9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione/Italia, Racc. pag. I-7773,
punto 67, e 18 novembre 2004, causa C-420/02, Commissione/Grecia, Racc.
pag. I-11175, punto 21).
97 Non è quindi in via di principio possibile dedurre direttamente dalla
mancata conformità di una situazione di fatto agli obiettivi fissati
all’art. 4, n. 1, della direttiva 2006/12 che lo Stato membro
interessato sia necessariamente venuto meno agli obblighi imposti da
questa disposizione, cioè adottare le misure necessarie per assicurare
che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e
senza recare pregiudizio all’ambiente. Tuttavia, la persistenza di una
tale situazione di fatto, in particolare quando comporta un degrado
rilevante dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle
autorità competenti, può rivelare che gli Stati membri hanno
oltrepassato il potere discrezionale che questa disposizione conferisce
loro (sentenze citate 9 novembre 1999, Commissione/Italia, punto 68, e
18 novembre 2004, Commissione/Grecia, punto 22).
98 Per quanto riguarda l’estensione territoriale dell’asserito
inadempimento, il fatto che il ricorso della Commissione miri a far
constatare che la Repubblica italiana è venuta meno all’obbligo di
adottare le misure necessarie nella sola regione Campania non può
incidere sull’eventuale accertamento di un inadempimento (v. sentenza 9
novembre 1999, Commissione/Italia, cit., punto 69).
99 Infatti, le conseguenze del mancato rispetto dell’obbligo derivante
dall’art. 4, n. 1, della direttiva 2006/12 rischiano, per la natura
stessa di tale obbligo, di mettere in pericolo la salute dell’uomo e di
recare pregiudizio all’ambiente anche in una parte ridotta del
territorio di uno Stato membro (sentenza 9 novembre 1999,
Commissione/Italia, cit., punto 70), come era avvenuto nella causa che
ha dato luogo alla citata sentenza 7 aprile 1992, Commissione/Grecia.
100 Occorre quindi verificare se la Commissione abbia sufficientemente
dimostrato che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato,
la Repubblica italiana aveva omesso, per un periodo prolungato, di
adottare le misure necessarie ad assicurarsi che i rifiuti prodotti
nella regione Campania fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per
la salute umana e senza ricorrere a procedure o metodi atti a recare
pregiudizio all’ambiente.
101 Se è vero che, nel caso di una procedura per inadempimento ai sensi
dell’art. 258 TFUE, spetta alla Commissione valutare l’esistenza
dell’inadempimento contestato fornendo alla Corte gli elementi necessari
alla verifica dell’esistenza di tale inadempimento, senza che sia
ammessa una qualsiasi presunzione (sentenza 22 gennaio 2009, causa
C-150/07, Commissione/Portogallo, punto 65 e giurisprudenza ivi citata),
si deve tener conto del fatto che, nel verificare la corretta
applicazione pratica delle disposizioni nazionali destinate a garantire
l’effettiva attuazione della direttiva 2006/12, la Commissione, che non
dispone di propri poteri di indagine in materia, dipende in ampia misura
dagli elementi forniti da eventuali denuncianti, da enti privati o
pubblici, dalla stampa, nonché dallo stesso Stato membro interessato
(v., in tal senso, sentenze 26 aprile 2005, causa C-494/01,
Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-3331, punto 43, e 26 aprile 2007,
Commissione/Italia, cit., punto 28).
102 Pertanto, allorché la Commissione ha fornito sufficienti elementi
che fanno emergere fatti verificatisi nel territorio dello Stato membro
convenuto, spetta a quest’ultimo contestare in maniera sostanziale e
dettagliata i dati così presentati e le conseguenze che ne derivano (v.,
in tal senso, sentenze 9 novembre 1999, Commissione/Italia, cit., punti
84 e 86, nonché 22 dicembre 2008, causa C-189/07, Commissione/Spagna,
punto 82).
103 A tale proposito, occorre anzitutto rilevare che la Repubblica
italiana non contesta la circostanza che, alla data di scadenza del
termine fissato nel parere motivato, i rifiuti giacenti nelle strade
ammontavano a 55 000 tonnellate, che si aggiungevano alla cifra compresa
tra 110 000 e 120 000 tonnellate di rifiuti in attesa di trattamento nei
siti comunali di stoccaggio. In ogni modo, tali dati risultano dalla
nota del commissario delegato in data 2 marzo 2008, allegata alla
risposta dello Stato membro interessato al parere motivato. Inoltre,
secondo gli elementi forniti da detto Stato, le popolazioni esasperate
da tali ammassi hanno provocato incendi nei cumuli di immondizie, a
danno dell’ambiente e della propria salute.
104 Da quanto precede risulta quindi in modo lampante che nella regione
Campania tale Stato membro non è stato in grado di adempiere l’obbligo
ad esso incombente, in forza dell’art. 4, n. 2, della direttiva 2006/12,
di adottare le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e
lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.
105 Infine, occorre ricordare che i rifiuti sono oggetti di natura
particolare, cosicché il loro accumulo, ancor prima di diventare
pericoloso per la salute, costituisce, tenuto conto in particolare della
capacità limitata di ciascuna regione o località di riceverli, un
pericolo per l’ambiente (sentenza 9 luglio 1992, causa C-2/90,
Commissione/Belgio, Racc. pag. I-4431, punto 30).
106 Un accumulo nelle strade e nelle aree di stoccaggio temporanee di
quantitativi così ingenti di rifiuti, come è avvenuto nella regione
Campania alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, ha
dunque indubbiamente creato un rischio «per l’acqua, l’aria, il suolo e
per la fauna e la flora» ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), della
direttiva 2006/12. Inoltre, tali quantitativi di rifiuti provocano
inevitabilmente «inconvenienti da odori», ai sensi del n. 1, lett. b),
di tale articolo, in particolare se i rifiuti rimangono per un lungo
periodo abbandonati a cielo aperto nelle strade o nelle vie.
107 D’altra parte, tenuto conto della mancanza di disponibilità di
discariche sufficienti, la presenza di tali quantitativi di rifiuti
fuori dai luoghi di stoccaggio adeguati ed autorizzati, può «danneggiare
il paesaggio e i siti di particolare interesse» ai sensi dell’art. 4, n.
1, lett. c), della direttiva 2006/12.
108 In considerazione del carattere circostanziato degli elementi
prodotti dalla Commissione, segnatamente i diversi rapporti redatti
dalle stesse autorità italiane e comunicati alle istituzioni europee
nonché gli articoli di giornale allegati al suo ricorso, e tenuto conto
della giurisprudenza citata ai punti 80 e 81 della presente sentenza, la
Repubblica italiana non può limitarsi ad affermare che i fatti
addebitatile non sono provati o che gli sversamenti di rifiuti nelle
strade, in particolare di Napoli, sono indipendenti dalla sua volontà.
109 Inoltre, come giustamente sostiene la Commissione, l’art. 4, n. 1,
della direttiva 2006/12 ha una funzione preventiva nel senso che gli
Stati membri non devono esporre la salute umana ad un pericolo nel corso
di operazioni di recupero e smaltimento dei rifiuti.
110 Orbene, la Repubblica italiana stessa ha ammesso la pericolosità
della situazione in Campania per la salute umana, in particolare nei
rapporti e nelle note trasmessi alle istituzioni europee. A tale
riguardo, i ‘considerando’ del decreto legge n. 90/2008, notificato
dalla Repubblica italiana alla Presidenza del Consiglio dell’Unione
europea, si riferiscono esplicitamente alla «gravità del contesto
socio-economico-ambientale derivante dalla situazione di emergenza
[concernente la gestione dei rifiuti], suscettibile di compromettere
gravemente i diritti fondamentali della popolazione della regione
Campania, (…) esposta a rischi di natura igienico-sanitaria ed
ambientale».
111 Da ciò risulta che gli elementi addotti dalla Repubblica italiana
nell’ambito del presente ricorso, per provare che tale situazione non ha
avuto in pratica alcuna conseguenza o, per lo meno, ha avuto solo minime
ripercussioni sulla salute delle persone, non sono tali da confutare la
constatazione secondo cui la situazione preoccupante di accumulo di
rifiuti nelle strade ha esposto la salute della popolazione ad un
rischio certo, in violazione dell’art. 4, n. 1, della direttiva 2006/12.
112 Di conseguenza, la censura sollevata dalla Commissione vertente
sulla violazione dell’art. 4 della direttiva 2006/12 deve essere
dichiarata fondata.
113 In considerazione di tutto quanto precede, occorre dichiarare che la
Repubblica italiana, non avendo adottato, per la regione Campania, tutte
le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o
smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare
pregiudizio all’ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete
adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, è venuta meno agli
obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva
2006/12.
Sulle spese
114 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché
la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta
soccombente, dev’essere condannata alle spese. Ai sensi dell’art. 69, n.
4, del regolamento di procedura, il Regno Unito sopporta le proprie
spese.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, non avendo adottato, per la regione Campania,
tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati
o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare
pregiudizio all’ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete
adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, è venuta meno agli
obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE,
relativa ai rifiuti.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
3) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporta le
proprie spese.
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