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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. I, 14/01/2010, Sentenza C-304/08
DIRITTO DEI CONSUMATORI - Pratiche commerciali sleali - Gioco a premi
all’acquisto di una merce o di un servizio - Partecipazione dei consumatori
subordinata all’acquisto - Normativa nazionale - Interpretazione e limiti -
Direttiva 2005/29/CE. La direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali
sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che
modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE,
98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il
regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio
(«direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), deve essere interpretata
nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, come quella di cui alla
causa principale, che prevede un divieto in via di principio, a prescindere
dalle circostanze della singola fattispecie, delle pratiche commerciali che
subordinano la partecipazione dei consumatori ad un concorso o gioco a premi
all’acquisto di una merce o di un servizio. Tizzano (Pres./rel.) - Zentrale
zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV c. Plus Warenhandelsgesellschaft
mbH. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. I, 14/01/2010, Sentenza C-304/08
DIRITTO DEI CONSUMATORI - Pratica commerciale in collegamento diretto con
la promozione la vendita o la fornitura di un prodotto ai consumatori -
Pratiche commerciali sleali - Stati membri - Disciplina in materia - Limiti
- Art. 4 Dir. 2005/29. La direttiva 2005/29 è caratterizzata da un
ambito di applicazione per materia particolarmente ampio che si estende a
qualsiasi pratica commerciale in collegamento diretto con la promozione, la
vendita o la fornitura di un prodotto ai consumatori. In tal modo, sono
escluse da detto ambito di applicazione soltanto le normative nazionali
relative alle pratiche commerciali sleali che ledono «unicamente» gli
interessi economici dei concorrenti o che sono connesse ad un’operazione tra
professionisti. Inoltre, la direttiva 2005/29 realizza un’armonizzazione
completa a livello comunitario delle norme relative alla pratiche
commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori. Pertanto,
come prevede espressamente l’art. 4 della medesima, gli Stati membri non
possono adottare misure più restrittive di quelle definite dalla direttiva
in parola, neppure al fine di assicurare un livello superiore di tutela dei
consumatori. Tizzano (Pres./rel.) - Zentrale zur Bekämpfung unlauteren
Wettbewerbs eV c. Plus Warenhandelsgesellschaft mbH. CORTE DI GIUSTIZIA
CE, Sez. I, 14/01/2010, Sentenza C-304/08
DIRITTO PROCESSUALE EUROPEO - Necessità di pronuncia pregiudiziale -
Cooperazione tra Giudice europeo e giudice nazionale - Presunzione di
rilevanza - Art. 234 CE. Nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i
giudici nazionali stabilita dall’art. 234 CE, spetta esclusivamente al
giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve
assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale,
valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la
necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare
la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla
Corte. Pertanto, dal momento che le questioni poste riguardano
l’interpretazione di una norma del diritto comunitario, la Corte è, in via
di principio, tenuta a statuire (v. sentenze 13/03/2001, causa C-379/98,
PreussenElektra; 22/05/2003, causa C-18/01, Korhonen e a.; nonché
19/04/2007, causa C-295/05, Asemfo). Ne consegue che la presunzione di
rilevanza inerente alle questioni proposte in via pregiudiziale dai giudici
nazionali può essere esclusa solo in casi eccezionali e, segnatamente,
qualora risulti manifestamente che la sollecitata interpretazione delle
disposizioni del diritto comunitario considerate in tali questioni non abbia
alcun rapporto con la realtà o con l’oggetto della causa principale (v.
sentenze 15/12/1995, causa C-415/93, Bosman; nonché 1°/04/2008, causa
C-212/06, Governo della Comunità francese e Governo vallone). Tizzano
(Pres./rel.) - Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV c. Plus
Warenhandelsgesellschaft mbH. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. I, 14/01/2010,
Sentenza C-304/08
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
14 gennaio 2010
«Direttiva 2005/29/CE - Pratiche commerciali sleali - Normativa
nazionale in forza della quale è in via di principio vietata una pratica
commerciale che subordina la partecipazione dei consumatori ad un gioco
a premi all’acquisto di una merce o di un servizio»
Nel procedimento C-304/08,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bundesgerichtshof (Germania), con
decisione 5 giugno 2008, pervenuta in cancelleria il 9 luglio 2008,
nella causa
Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV
contro
Plus Warenhandelsgesellschaft mbH,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. A. Tizzano (relatore), presidente di sezione, facente
funzione di presidente della Prima Sezione, dai sigg. E. Levits, A. Borg
Barthet, M. Ilešic e J.-J. Kasel, giudici,
avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11
giugno 2009,
considerate le osservazioni presentate:
- per la Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV, dall’avv. C.
von Gierke, Rechtsanwältin;
- per la Plus Warenhandelsgesellschaft mbH, dagli avv.ti D. Mäder e C.
Hunecke, Rechtsanwälte;
- per il governo tedesco, dal sig. M. Lumma e dalla sig.ra J. Kemper, in
qualità di agenti;
- per il governo belga, dal sig. T. Materne, in qualità di agente;
- per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente;
- per il governo spagnolo, dal sig. F. Díez Moreno, in qualità di
agente;
- per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di
agente, assistita dal sig. F. Arena, avvocato dello Stato;
- per il governo austriaco, dalla sig.ra A. Hable, in qualità di agente;
- per il governo polacco, dal sig. M. Dowgielewicz nonché dalle sig.re
K. Zawisza e M. Laszuk, in qualità di agenti;
- per il governo portoghese, dai sigg. L. Inez Fernandes e P. Mateus
Calado nonché dalla sig.ra A. Barros, in qualità di agenti;
- per il governo finlandese, dalla sig.ra A. Guimaraes-Purokoski, in
qualità di agente;
- per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. F. Erlbacher e W.
Wils, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 3 settembre 2009,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione
dell’art. 5, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali
sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e
che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive
97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e
il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio
(«direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149, pag. 22).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la
Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV (associazione tedesca
per la lotta contro la concorrenza sleale; in prosieguo: la «Wettbewerbszentrale»)
e la Plus Warenhandelsgesellschaft mbH, una società tedesca di vendita
al dettaglio (in prosieguo: la «Plus»), in merito ad una pratica
commerciale di quest’ultima considerata sleale dalla Wettbewerbszentrale.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 Il sesto, settimo e diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva
2005/29 prevedono quanto segue:
«(6) La presente direttiva ravvicina (…) le legislazioni degli Stati
membri sulle pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità sleale,
che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e,
quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti
legittimi. Secondo il principio di proporzionalità, la presente
direttiva tutela i consumatori dalle conseguenze di tali pratiche
commerciali sleali allorché queste sono rilevanti, ma riconosce che in
alcuni casi l’impatto sui consumatori può essere trascurabile. Essa non
riguarda e lascia impregiudicate le legislazioni nazionali sulle
pratiche commerciali sleali che ledono unicamente gli interessi
economici dei concorrenti o che sono connesse ad un’operazione tra
professionisti. Tenuto pienamente conto del principio di sussidiarietà,
gli Stati membri, ove lo desiderino, continueranno a poter disciplinare
tali pratiche, conformemente alla normativa comunitaria. (…)
(7) La presente direttiva riguarda le pratiche commerciali il cui
intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura
commerciale dei consumatori relative a prodotti. Non riguarda le
pratiche commerciali realizzate principalmente per altri scopi, comprese
ad esempio le comunicazioni commerciali rivolte agli investitori, come
le relazioni annuali e le pubblicazioni promozionali delle aziende. Non
riguarda i requisiti giuridici inerenti al buon gusto e alla decenza che
variano ampiamente tra gli Stati membri. Le pratiche commerciali quali
ad esempio le sollecitazioni commerciali per strada possono essere
indesiderabili negli Stati membri per motivi culturali. Gli Stati membri
dovrebbero di conseguenza poter continuare a vietare le pratiche
commerciali nei loro territori per ragioni di buon gusto e decenza
conformemente alle normative comunitarie, anche se tali pratiche non
limitano la libertà di scelta dei consumatori. In sede di applicazione
della direttiva, in particolare delle clausole generali, è opportuno
tenere ampiamente conto delle circostanze del singolo caso in questione.
(…)
(17) È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso
sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del
diritto. L’allegato I riporta pertanto l’elenco completo di tali
pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono
considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle
disposizioni degli articoli da 5 a 9. L’elenco può essere modificato
solo mediante revisione della presente direttiva».
4 L’art. 2 della direttiva 2005/29 prevede:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(…)
d) “pratiche commerciali tra imprese e consumatori” (in seguito
denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione,
condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la
pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista,
direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un
prodotto ai consumatori;
(…)».
5 L’art. 3, n. 1, di tale direttiva dispone quanto segue:
«La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali tra
imprese e consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere
prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto».
6 Ai sensi dell’art. 4 della summenzionata direttiva:
«Gli Stati membri non limitano la libertà di prestazione dei servizi né
la libera circolazione delle merci per ragioni afferenti al settore
armonizzato dalla presente direttiva».
7 L’art. 5 della direttiva 2005/29, intitolato «Divieto delle pratiche
commerciali sleali», è formulato nel modo seguente:
«1. Le pratiche commerciali sleali sono vietate.
2. Una pratica commerciale è sleale se:
a) è contraria alle norme di diligenza professionale,
e
b) falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento
economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge
o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica
commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
3. Le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il
comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente
individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto
cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica,
della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista può
ragionevolmente prevedere sono valutate nell’ottica del membro medio di
tale gruppo. Ciò lascia impregiudicata la pratica pubblicitaria comune e
legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che
non sono destinate ad essere prese alla lettera.
4. In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:
a) ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7,
o
b) aggressive di cui agli articoli 8 e 9.
5. L’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono
considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli
Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della
presente direttiva».
8 Infine, in conformità all’art. 19 della direttiva 2005/29:
«Gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente
direttiva entro il 12 giugno 2007. (…)
Essi applicano tali disposizioni entro il 12 dicembre 2007. (…)».
La normativa nazionale
9 La legge tedesca contro la concorrenza sleale (Gesetz gegen den
unlauteren Wettbewerb, BGBl. 2004 I, pag. 1414; in prosieguo: l’«UWG»),
è rivolta, ai sensi del suo art. 1, a tutelare i concorrenti, i
consumatori, nonché gli altri operatori del mercato dalla concorrenza
sleale. Essa tutela al tempo stesso l’interesse collettivo a una
concorrenza non falsata.
10 L’art. 3 dell’UWG è formulato nel modo seguente:
«Sono illecite le pratiche concorrenziali sleali che risultino idonee ad
alterare in misura non meramente irrilevante la concorrenza a danno dei
concorrenti, dei consumatori o degli altri operatori del mercato».
11 L’art. 4 dell’UWG dispone:
«In particolare, agisce slealmente ai sensi dell’art. 3 colui che:
(…)
6. subordina la partecipazione dei consumatori ad un concorso o gioco a
premi all’acquisto di una merce o di un servizio, a meno che il concorso
o il gioco a premi siano per natura collegati alla merce o al servizio;
(…)».
Causa principale e questione pregiudiziale
12 Risulta dalla decisione di rinvio che dal 16 settembre al 13 novembre
2004 la Plus ha lanciato la campagna promozionale «Ihre Millionenchance»
(«Diventa milionario!»), con cui il pubblico veniva invitato ad
acquistare prodotti venduti nei suoi negozi per accumulare punti. Al
raggiungimento di venti punti si poteva partecipare gratuitamente
all’estrazione del 6 novembre 2004 o a quella del 27 novembre 2004 del
Deutscher Lottoblock (associazione nazionale di 16 società che
organizzano lotterie).
13 Ritenendo tale pratica sleale ai sensi del combinato disposto degli
artt. 3 e 4, n. 6, dell’UWG, in quanto subordinava la partecipazione dei
consumatori ad un gioco a premi all’acquisto di merci, la
Wettbewerbszentrale chiedeva al Landgericht Duisburg di ordinare alla
Plus di cessare tale pratica.
14 Dopo essere stata condannta in primo e in secondo grado, la Plus
proponeva un ricorso per cassazione («Revision») dinanzi al
Bundesgerichtshof.
15 Nella sua decisione di rinvio, tale giudice si interroga circa la
compatibilità di dette disposizioni nazionali con la direttiva 2005/29,
dal momento che esse prevedono un divieto generale dei concorsi e dei
giochi a premi con obbligo di acquisto. Orbene, una pratica siffatta non
è compresa tra quelle elencate all’allegato I di tale direttiva, che
sono le uniche ad essere vietate in qualsiasi caso a prescindere da un
pericolo concreto per gli interessi dei consumatori. Inoltre, secondo il
giudice del rinvio non è escluso che in tal modo l’UWG riconosca ai
consumatori una tutela più estesa di quella voluta dal legislatore
comunitario, nonostante la direttiva in parola abbia realizzato
un’armonizzazione completa della materia.
16 Il Bundesgerichtshof formula altresì nella sua decisione di rinvio
talune osservazioni in merito alla ricevibilità del suo rinvio
pregiudiziale.
17 A tale riguardo, detto giudice precisa che, nonostante la direttiva
2005/29 non sia stata ancora trasposta in diritto tedesco e sebbene in
tal sede non sia prevista alcuna modifica o abrogazione delle
disposizioni dell’UWG di cui trattasi nella causa principale, egli è
cionondimeno tenuto, in forza della giurisprudenza risultante dalla
sentenza 4 luglio 2006, Adelener e a. (causa C-212/04, Racc. pag. 6057),
ad interpretare il diritto interno conformemente alla direttiva 2005/29
a partire dal 12 dicembre 2007, cioè dalla data ultima entro la quale,
in base all’art. 19 di tale direttiva, doveva essere assicurata
l’applicazione delle disposizioni nazionali di trasposizione.
18 Inoltre, se è indubbiamente vero che la pubblicità censurata risulta
addirittura essere anteriore all’entrata in vigore della direttiva
2005/29, cioè il 12 giugno 2005, il giudice del rinvio spiega che in
considerazione del fatto che l’inibitoria presentata dalla
Wettbewerbszentrale riguarda infrazioni future, il ricorso in «Revision»
potrà essere accolto esclusivamente nel caso in cui l’inibitoria possa
essere parimenti richiesta sulla base del diritto vigente alla data di
pronuncia della sua decisione.
19 Alla luce di quanto sopra considerato, il Bundesgerichtshof ha deciso
di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente
questione pregiudiziale:
«Se l’art. 5, n. 2, della direttiva 2005/29 (…) possa essere
interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale in forza
della quale una pratica commerciale, con la quale si subordina la
partecipazione dei consumatori ad un concorso o gioco promozionale
all’acquisto di una merce o di un servizio, è in via di principio
illecita a prescindere dal fatto che tale operazione pubblicitaria leda
concretamente gli interessi dei consumatori».
Sulla questione pregiudiziale
20 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se
la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che essa osta
ad una normativa nazionale, come l’UWG, che preveda un divieto di
principio, senza tener conto delle circostanze specifiche di ogni
singolo caso, delle pratiche commerciali che subordinano la
partecipazione dei consumatori ad un concorso o ad un gioco a premi
all’acquisto di una merce o di un servizio.
Sulla ricevibilità
21 Il governo spagnolo eccepisce l’irricevibilità della domanda di
pronuncia pregiudiziale in quanto la direttiva 2005/29 non è applicabile
ad una situazione come quella di cui alla causa principale.
22 Secondo tale governo, poiché la controversia vede opposte due società
di diritto tedesco, la situazione di cui alla causa principale è
caratterizzata dal fatto che tutti gli elementi si collocano all’interno
di un solo Stato membro per cui le disposizioni della direttiva 2005/29
non sono applicabili alla controversia di cui alla causa principale (v.
sentenza 21 ottobre 1999, causa C-97/98, Jägerskiöld, Racc. pag. I-7319,
pag. 45). In via subordinata, il governo spagnolo afferma, in sostanza,
che la direttiva 2005/29 non è applicabile alla causa principale poiché
i fatti che l’hanno fatta sorgere si sono verificati non solo prima
della scadenza del termine per la trasposizione della direttiva in
parola, ma addirittura prima della sua adozione. Di conseguenza, la
Corte non può valutare la conformità della normativa tedesca con la
direttiva 2005/29. Infine, il governo spagnolo rileva che tale direttiva
non è comunque diretta a disciplinare i concorsi o le lotterie collegati
alla commercializzazione di merci o di servizi destinati ai consumatori,
dal momento che tale disciplina è stata espressamente trattata in una
proposta di regolamento COM(2001) 546 def. relativo alle promozioni
delle vendite, successivamente ritirata dalla Commissione delle Comunità
europee nel corso del 2006.
23 Tali argomenti, tuttavia, non possono essere accolti.
24 Al riguardo, occorre innanzitutto ricordare che, secondo costante
giurisprudenza, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici
nazionali stabilita dall’art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice
nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi
la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare,
alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la
necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di
pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che
sottopone alla Corte. Pertanto, dal momento che le questioni poste
riguardano l’interpretazione di una norma del diritto comunitario, la
Corte è, in via di principio, tenuta a statuire (v., segnatamente,
sentenze 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra, Racc. pag.
I-2099, punto 38; 22 maggio 2003, causa C-18/01, Korhonen e a., Racc.
pag. I-5321, punto 19, nonché 19 aprile 2007, causa C-295/05, Asemfo,
Racc. pag. I-2999, punto 30).
25 Ne consegue che la presunzione di rilevanza inerente alle questioni
proposte in via pregiudiziale dai giudici nazionali può essere esclusa
solo in casi eccezionali e, segnatamente, qualora risulti manifestamente
che la sollecitata interpretazione delle disposizioni del diritto
comunitario considerate in tali questioni non abbia alcun rapporto con
la realtà o con l’oggetto della causa principale (v., segnatamente,
sentenze 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, Racc. pag. I-4921,
punto 61, nonché 1° aprile 2008, causa C-212/06, Governo della Comunità
francese e Governo vallone, Racc. pag. I-1683, punto 29).
26 Orbene, ciò non sembra avvenire nel caso di specie.
27 Anzitutto, per quanto riguarda il riferimento da parte del governo
spagnolo alla citata sentenza Jägerskiöld, per far valere l’assenza di
dimensione comunitaria della controversia all’origine della presente
domanda di pronuncia pregiudiziale, è sufficiente constatare che quella
sentenza riguardava l’interpretazione delle disposizioni del Trattato CE
relative alla libera prestazione di servizi che, come rammentato dalla
Corte al punto 42 della stessa sentenza, non sono applicabili ad
attività i cui elementi si collocano tutti all’interno di un solo Stato
membro.
28 Per contro, nella causa principale, contrariamente alle disposizioni
del Trattato di cui si trattava nella causa all’origine della citata
sentenza Jägerskiöld, l’applicazione della direttiva 2005/29 non è
subordinata alla presenza di un elemento di estraneità. Infatti, in
forza dell’art. 3, n. 1, di tale direttiva essa si applica a qualsiasi
pratica commerciale sleale attuata da un’impresa nei confronti dei
consumatori.
29 Per quanto riguarda poi l’argomento secondo cui la direttiva 2005/29
non si applicherebbe alla controversia principale in quanto i fatti che
l’hanno originata si sono verificati prima dell’adozione di tale
direttiva, occorre rilevare, da un canto, che, secondo la giurisprudenza
della Corte, dalla data in cui una direttiva è entrata in vigore i
giudici degli Stati membri devono astenersi per quanto possibile
dall’interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di
compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di attuazione, la
realizzazione del risultato perseguito da questa direttiva (v., in
particolare, sentenza 23 aprile 2009, cause riunite C-261/07 e C-299/07,
VTB-VAB e Galatea, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39 e
giurisprudenza ivi citata).
30 Nella fattispecie, un siffatto obbligo di astensione era applicabile,
per lo meno, al momento dell’adozione della decisione di rinvio, ossia
il 5 giugno 2008, data alla quale non solo la direttiva 2005/29 era
entrata in vigore, ma alla quale, per giunta, era scaduto il termine di
trasposizione di essa, fissato al 12 dicembre 2007.
31 D’altro canto, e in ogni caso, risulta espressamente dalla decisione
di rinvio che, poiché l’azione inibitoria riguarda anche infrazioni
future, l’esito del ricorso in «Revision» proposto dalla Plus dipende
dall’accertamento del fatto che l’azione inibitoria in esame possa
essere accolta sulla base del diritto applicabile al momento in cui, con
la pronuncia della presente sentenza, interverrà la decisione che
statuisce sulla controversia principale.
32 Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 49-57
delle sue conclusioni, l’interpretazione della direttiva 2005/29
richiesta dal giudice del rinvio va ritenuta utile al medesimo al fine
di consentirgli di pronunciarsi nella controversia di cui è adito.
33 Infine, per quanto riguarda l’argomento secondo cui le pratiche di
promozione delle vendite di cui alla causa principale non sarebbero
contemplate dalla direttiva 2005/29 in quanto esse sono state oggetto di
una proposta di regolamento della Commissione, è sufficiente rilevare
che tale circostanza non può, da sola, escludere - in particolare tenuto
conto del fatto che tale proposta è stata ritirata nel 2006 e non ha
quindi portato all’adozione di un regolamento - che tali pratiche
possano costituire, allo stato attuale del diritto comunitario, pratiche
commerciali sleali ai sensi di tale direttiva e rientrare nel campo di
applicazione della medesima.
34 Ciò premesso, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere
ritenuta ricevibile.
Nel merito
35 Per risolvere la questione proposta, occorre anzitutto stabilire se
le pratiche oggetto del divieto di cui alla causa principale, che
collegano l’acquisto di merci o di servizi alla partecipazione dei
consumatori ad un gioco o a un concorso, costituiscano pratiche
commerciali ai sensi dell’art. 2, lett. d), della direttiva 2005/29 e
siano, di conseguenza, assoggettate alle previsioni di quest’ultima.
36 A tale proposito, è opportuno rilevare che l’art. 2, lett. d), della
direttiva 2005/29 definisce, utilizzando una formulazione
particolarmente ampia, la nozione di pratica commerciale come «qualsiasi
azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale
ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un
professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o
fornitura di un prodotto ai consumatori».
37 Orbene, occorre constatare che campagne promozionali, come quelle in
esame nella causa principale, che subordinano la partecipazione gratuita
del consumatore ad una lotteria all’acquisto di una determinata quantità
di merci o servizi, si iscrivono chiaramente nel contesto della
strategia commerciale di un operatore e sono rivolte direttamente alla
promozione e allo smercio delle sue vendite. Ne deriva che esse
costituiscono pratiche commerciali ai sensi dell’art. 2, lett. d), della
direttiva 2005/29 e ricadono, conseguentemente, nella sua sfera di
applicazione (v., per analogia, in materia di offerte congiunte,
sentenza VTB-VAB e Galatea, cit., punto 50).
38 Tale conclusione non può essere rimessa in discussione tramite
l’argomentazione esposta dal governo ceco e austriaco, secondo cui le
disposizioni dell’UWG di cui trattasi nella causa principale,
contrariamente a quelle della direttiva 2005/29, sarebbero
principalmente dirette non alla tutela dei consumatori, ma a quella dei
concorrenti contro pratiche commerciali sleali attuate da taluni
operatori, cosicché tali disposizioni non ricadrebbero nell’ambito di
applicazione della direttiva.
39 Infatti, come è stato sottolineato al punto 36 della presente
sentenza, la direttiva 2005/29 è caratterizzata da un ambito di
applicazione per materia particolarmente ampio che si estende a
qualsiasi pratica commerciale in collegamento diretto con la promozione,
la vendita o la fornitura di un prodotto ai consumatori. In tal modo,
come risulta dal sesto ‘considerando’ di tale direttiva, sono escluse da
detto ambito di applicazione soltanto le normative nazionali relative
alle pratiche commerciali sleali che ledono «unicamente» gli interessi
economici dei concorrenti o che sono connesse ad un’operazione tra
professionisti.
40 Orbene, come ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 65 e 66
delle sue conclusioni, ciò evidentemente non accade nel caso delle
disposizioni nazionali in esame nella causa principale, poiché gli artt.
1, 3 e 4 dell’UWG sono espressamente diretti alla tutela dei consumatori
e non esclusivamente a quella dei concorrenti e degli altri attori sul
mercato.
41 Ciò detto, occorre rammentare poi che la direttiva 2005/29 realizza
un’armonizzazione completa a livello comunitario delle norme relative
alla pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei
consumatori. Pertanto, come prevede espressamento l’art. 4 della
medesima, gli Stati membri non possono adottare misure più restrittive
di quelle definite dalla direttiva in parola, neppure al fine di
assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori (sentenza
VTB-VAB e Galatea, cit., punto 52).
42 Si deve poi rilevare che l’art. 5 della direttiva 2005/29 prevede il
divieto delle pratiche commerciali sleali e indica i criteri che
consentono di determinare un siffatto carattere di slealtà.
43 Così, conformemente al n. 2 di tale disposizione, una pratica
commerciale è sleale se è contraria alle norme di diligenza
professionale e falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il
comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore
medio.
44 Quanto al n. 4 di detto articolo esso definisce due categorie precise
di pratiche commerciali sleali, e cioè le «pratiche ingannevoli» e le
«pratiche aggressive» che soddisfano i criteri specificati,
rispettivamente, dagli artt. 6 e 7 nonché 8 e 9 della direttiva 2005/29.
In forza di tali disposizioni, siffatte pratiche sono vietate in
particolare quando, tenuto conto delle caratteristiche e circostanze del
caso, inducano o siano idonee ad indurre il consumatore medio ad
assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti
preso.
45 Infine, la direttiva 2005/29 prevede anche, al suo allegato I, un
elenco esaustivo di 31 pratiche commerciali che, conformemente all’art.
5, n. 5, di tale direttiva, sono considerate sleali «in ogni caso». Di
conseguenza, come espressamente precisato dal diciassettesimo
‘considerando’ della direttiva, si tratta delle uniche pratiche
commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso
per caso ai sensi delle disposizioni degli articoli 5-9 della direttiva
2005/29.
46 Pertanto, è alla luce del contenuto e dell’economia generale delle
disposizioni della direttiva 2005/29 - ricordate ai punti che precedono
- che vanno esaminate le questioni sollevate dal giudice del rinvio.
47 Al riguardo è giocoforza rilevare che, nell’introdurre un divieto
assoluto delle pratiche che subordinano la partecipazione dei
consumatori ad un gioco o ad un concorso all’acquisto di merci o di
servizi, un normativa nazionale come quella oggetto della causa
principale non soddisfa i requisiti posti dalla direttiva 2005/29.
48 Infatti, da un lato, l’art. 4, n. 6, dell’UWG vieta qualsiasi
operazione commerciale che colleghi l’acquisto di merci o servizi alla
partecipazione dei consumatori ad un concorso o ad un gioco a premi, con
la sola eccezione di quelle riguardanti un gioco o un concorso per
natura collegati alla merce o al servizio di cui trattasi. In altri
termini, detto tipo di pratica è vietato in generale, senza che sia
necessario accertare, con riferimento al contesto di fatto di ogni
fattispecie, se l’operazione commerciale di cui trattasi presenti un
carattere «sleale» alla luce dei criteri enunciati agli artt. 5-9 della
direttiva 2005/29.
49 Orbene, è pacifico che siffatte pratiche, che collegano l’acquisto di
merci o servizi alla partecipazione dei consumatori ad un gioco o ad un
concorso, non sono contemplate dall’allegato I di tale direttiva che,
come ricordato al punto 45 della presente sentenza, elenca
tassativamente le sole pratiche che possono essere vietate senza essere
esaminate caso per caso.
50 D’altra parte una normativa del tipo di quella oggetto della causa
principale si pone in contrasto con il contenuto dell’art. 4 della
direttiva 2005/29 che vieta espressamente agli Stati membri di mantenere
o di adottare misure nazionali più restrittive, anche se tali misure
sono volte a garantire un livello più elevato di tutela dei consumatori.
51 Pertanto, occorre constatare che la direttiva 2005/29 osta ad un
divieto di offerte commerciali che collegano l’acquisto di merci o
servizi alla partecipazione dei consumatori ad un concorso o ad un
gioco, come quella prevista dalla normativa nazionale in esame nella
causa principale.
52 Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dalla
circostanza che l’art. 4, n. 6, dell’UWG preveda un’eccezione a favore
delle prassi riguardanti un gioco o un concorso per natura collegati
alla merce o al servizio di cui trattasi.
53 Infatti, anche se tali eccezioni possono limitare la portata del
divieto previsto da tale disposizione, cionondimeno esse non possono, in
ragione della loro natura limitata e predefinita, sostituirsi
all’analisi, che deve essere necessariamente effettuata in
considerazione del contesto di fatto di ogni caso di specie, del
carattere «sleale» di una pratica commerciale alla luce dei criteri
previsti dagli artt. 5-9 della direttiva 2005/29, qualora si tratti,
come nella causa principale, di una pratica non prevista dal suo
allegato I (v. sentenza VTB-VAB e Galatea, cit., punti 64 e 65).
54 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la
questione posta dichiarando che la direttiva 2005/29 deve essere
interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, come
quella di cui alla causa principale, che prevede un divieto in via di
principio, a prescindere dalle circostanze della singola fattispecie,
delle pratiche commerciali che subordinano la partecipazione dei
consumatori ad un concorso o gioco a premi all’acquisto di una merce o
di un servizio.
Sulle spese
55 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005,
2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei
confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la
direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e
2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE)
n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle
pratiche commerciali sleali»), deve essere interpretata nel senso che
essa osta ad una normativa nazionale, come quella di cui alla causa
principale, che prevede un divieto in via di principio, a prescindere
dalle circostanze della singola fattispecie, delle pratiche commerciali
che subordinano la partecipazione dei consumatori ad un concorso o gioco
a premi all’acquisto di una merce o di un servizio.
Firme
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