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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. Grande, 09/03/2010, Sentenza C-378/08
INQUINAMENTO AMBIENTALE - RIFIUTI - Danno ambientale - Responsabilità
ambientale - Direttiva 2004/35/CE applicabilità ratione temporis
- Inquinamento anteriore alla data prevista per il recepimento di detta
direttiva e proseguito dopo tale data - Disciplina applicabile - Attuazione
dir. 91/156/CEE che mod. la direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti - Art.
311, c. 2, d. lgs. n. 152/2006. Quando, in un’ipotesi d’inquinamento
ambientale, non sono soddisfatti i presupposti d’applicazione ratione
temporis e/o ratione materiae della direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/35/CE, sulla responsabilità
ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale,
un’ipotesi del genere dovrà essere allora disciplinata dal diritto
nazionale, nel rispetto delle norme del Trattato e fatti salvi altri
eventuali atti di diritto derivato. Pres. Skouris - Rel. Toader - Raffinerie
Mediterranee (ERG) SpA ed altri c. Ministero Ambiente e Tutela del
Territorio e del Mare ed altri. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. Grande,
09/03/2010, Sentenza C-378/08
INQUINAMENTO AMBIENTALE - RIFIUTI - Inquinamento a carattere diffuso -
Vicinanza degli impianti alla zona inquinata - Nesso di causalità -
Principio “chi inquina paga” - Normativa nazionale che imputa i costi di
riparazione dei danni connessi a detto inquinamento a una pluralità di
imprese - D. lgs. n. 152/2006 - Direttiva 2004/35. La direttiva 2004/35
non osta a una normativa nazionale che consente all’autorità competente, in
sede di esecuzione della citata direttiva, di presumere l’esistenza di un
nesso di causalità, anche nell’ipotesi di inquinamento a carattere diffuso,
tra determinati operatori e un inquinamento accertato, e ciò in base alla
vicinanza dei loro impianti alla zona inquinata. Tuttavia, conformemente al
principio «chi inquina paga», per poter presumere secondo tale modalità
l’esistenza di un siffatto nesso di causalità detta autorità deve disporre
di indizi plausibili in grado di dare fondamento alla sua presunzione, quali
la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la
corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati
da detto operatore nell’esercizio della sua attività. Pres. Skouris - Rel.
Toader - Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA ed altri c. Ministero Ambiente e
Tutela del Territorio e del Mare ed altri. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez.
Grande, 09/03/2010, Sentenza C-378/08
INQUINAMENTO AMBIENTALE - APPALTI pubblici di lavori - Danno ambientale -
Requisito del comportamento doloso o colposo - Risarcimento del danno -
Onere della prova - Requisito del nesso di causalità - Artt. 3, n. 1, 4, n.
5, e 11, n. 2, direttiva 2004/35. Gli artt. 3, n. 1, 4, n. 5, e 11, n.
2, della direttiva 2004/35 devono essere interpretati nel senso che, quando
decide di imporre misure di riparazione del danno ambientale ad operatori le
cui attività siano elencate nell’allegato III a detta direttiva, l’autorità
competente non è tenuta a dimostrare né un comportamento doloso o colposo,
né un intento doloso in capo agli operatori le cui attività siano
considerate all’origine del danno ambientale. Viceversa spetta a questa
autorità, da un lato, ricercare preventivamente l’origine dell’accertato
inquinamento, attività riguardo alla quale detta autorità dispone di un
potere discrezionale in merito alle procedure e ai mezzi da impiegare,
nonché alla durata di una ricerca siffatta. Dall’altro, questa autorità è
tenuta a dimostrare, in base alle norme nazionali in materia di prova,
l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono
dirette le misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi. Pres.
Skouris - Rel. Toader - Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA ed altri c.
Ministero Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare ed altri. CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. Grande, 09/03/2010, Sentenza C-378/08
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
9 marzo 2010
«Principio “chi inquina paga” - Direttiva 2004/35/CE - Responsabilità
ambientale - Applicabilità ratione temporis - Inquinamento
anteriore alla data prevista per il recepimento di detta direttiva e
proseguito dopo tale data - Normativa nazionale che imputa i costi di
riparazione dei danni connessi a detto inquinamento a una pluralità di
imprese - Requisito del comportamento doloso o colposo - Requisito del
nesso di causalità - Appalti pubblici di lavori»
Nel procedimento C-378/08,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale amministrativo regionale
della Sicilia, con decisione 5 giugno 2008, pervenuta in cancelleria il
21 agosto 2008, nelle cause
Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA,
Polimeri Europa SpA,
Syndial SpA
contro
Ministero dello Sviluppo economico,
Ministero della Salute,
Ministero Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare,
Ministero delle Infrastrutture,
Ministero dei Trasporti,
Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Ministero dell’Interno,
Regione siciliana,
Assessorato regionale Territorio ed Ambiente (Sicilia),
Assessorato regionale Industria (Sicilia),
Prefettura di Siracusa,
Istituto superiore di Sanità,
Commissario Delegato per Emergenza Rifiuti e Tutela Acque (Sicilia),
Vice Commissario Delegato per Emergenza Rifiuti e Tutela Acque
(Sicilia),
Agenzia Protezione Ambiente e Servizi tecnici (APAT),
Agenzia regionale Protezione Ambiente (ARPA Sicilia),
Istituto centrale Ricerca scientifica e tecnologica applicata al Mare,
Subcommissario per la Bonifica dei Siti contaminati,
Provincia regionale di Siracusa,
Consorzio ASI Sicilia orientale Zona Sud,
Comune di Siracusa,
Comune di Augusta,
Comune di Melilli,
Comune di Priolo Gargallo,
Azienda Unità sanitaria locale n. 8,
Sviluppo Italia Aree Produttive SpA,
Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo
sviluppo d’impresa) SpA, già Sviluppo Italia SpA,
con l’intervento di:
ENI Divisione Exploration and Production SpA,
ENI SpA,
Edison SpA,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues,
K. Lenaerts, J.-C. Bonichot, dalle sig.re R. Silva de Lapuerta, P. Lindh
e C. Toader (relatore), presidenti di sezione, dai sigg. C.W.A.
Timmermans, K. Schiemann, P. Kuris, E. Juhász, A. Arabadjiev e J.-J.
Kasel, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15
settembre 2009,
considerate le osservazioni presentate:
- per la Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA, dagli avv.ti D. De Luca, M.
Caldarera, L. Acquarone e G. Acquarone;
- per la Polimeri Europa SpA e la Syndial SpA, dagli avv.ti P. Amara, S.
Grassi, G.M. Roberti e I. Perego;
- per la Sviluppo Italia Aree Produttive SpA e la Invitalia (Agenzia
nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa)
SpA, già Sviluppo Italia SpA, dall’avv. F. Sciaudone;
- per la ENI SpA, dagli avv.ti G.M. Roberti, I. Perego, S. Grassi e C.
Giuliano;
- per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di
agente, assistita dal sig. D. Del Gaizo, avvocato dello Stato;
- per il governo ellenico, dalla sig.ra A. Samoni-Rantou e dal sig. G.
Karipsiadis, in qualità di agenti;
- per il governo olandese, dalle sig.re C. Wissels e B. Koopman nonché
dal sig. D.J.M. de Grave, in qualità di agenti;
- per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. C. Zadra e dalla
sig.ra D. Recchia, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 22 ottobre 2009,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del
principio «chi inquina paga» di cui alla direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/35/CE, sulla responsabilità
ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale
(GU L 143, pag. 56), nonché, segnatamente, alla direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici
di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114).
2 Questa domanda è stata presentata nell’ambito di alcune controversie
tra le società Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA, Polimeri Europa SpA e
Syndial SpA, da un lato, e diverse autorità nazionali, regionali e
comunali italiane, dall’altro, in merito a misure di riparazione di
danni ambientali adottate da dette autorità per quanto concerne la Rada
di Augusta, attorno alla quale si trovano gli impianti e/o i terreni
delle citate società.
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
3 I ‘considerando’ della direttiva 2004/35, rilevanti ai fini della
presente causa, sono del seguente tenore:
«(1) Nella Comunità esistono attualmente molti siti contaminati, che
comportano rischi significativi per la salute, e negli ultimi decenni vi
è stata una forte accelerazione della perdita di biodiversità. Il non
intervento potrebbe provocare in futuro ulteriori contaminazioni dei
siti e una perdita di biodiversità ancora maggiore. (…)
(2) (…) Il principio fondamentale della presente direttiva dovrebbe
essere quindi che l’operatore la cui attività ha causato un danno
ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato
finanziariamente responsabile (…).
(…)
(8) La presente direttiva dovrebbe applicarsi, con riferimento al danno
ambientale, alle attività professionali che presentano un rischio per la
salute umana o l’ambiente. In linea di principio, tali attività
dovrebbero essere individuate con riferimento alla normativa comunitaria
pertinente che prevede requisiti normativi in relazione a certe attività
o pratiche che si considera presentino un rischio potenziale o reale per
la salute umana o l’ambiente.
(9) La presente direttiva dovrebbe inoltre applicarsi, per quanto
riguarda il danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti,
alle attività professionali che non sono già direttamente o
indirettamente contemplate nella normativa comunitaria come comportanti
un rischio reale o potenziale per la salute umana o l’ambiente. In tali
casi l’operatore sarebbe responsabile ai sensi della presente direttiva,
soltanto quando vi sia il dolo o la colpa di detto operatore.
(…)
(13) A non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio
attraverso la responsabilità civile. Affinché quest’ultima sia efficace
è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno
dovrebbe essere concreto e quantificabile e si dovrebbero accertare
nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La
responsabilità civile non è quindi uno strumento adatto per trattare
l’inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia
impossibile collegare gli effetti ambientali negativi a atti o omissioni
di taluni singoli soggetti.
(…)
(24) È necessario assicurare la disponibilità di mezzi di applicazione
ed esecuzione efficaci, garantendo un’adeguata tutela dei legittimi
interessi degli operatori e delle altre parti interessate. Si dovrebbero
conferire alle autorità competenti compiti specifici che implicano
appropriata discrezionalità amministrativa, ossia il dovere di valutare
l’entità del danno e di determinare le misure di riparazione da
prendere.
(…)
(30) La presente direttiva non si dovrebbe applicare al danno cagionato
prima dello scadere del termine per la sua attuazione.
(…)».
4 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva 2004/35, intitolato
«Ambito di applicazione», quest’ultima si applica:
«(…)
a) al danno ambientale causato da una delle attività professionali
elencate nell’allegato III e a qualsiasi minaccia imminente di tale
danno a seguito di una di dette attività;
b) al danno alle specie e agli habitat naturali protetti causato da una
delle attività professionali non elencate nell’allegato III e a
qualsiasi minaccia imminente di tale danno a seguito di una di dette
attività, in caso di comportamento doloso o colposo dell’operatore».
5 L’art. 4, n. 5, di detta direttiva prevede che quest’ultima «si
applica al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno
causati da inquinamento di carattere diffuso unicamente quando sia
possibile accertare un nesso causale tra il danno e le attività di
singoli operatori».
6 L’art. 6 della medesima direttiva, intitolato «Azione di riparazione»,
dispone quanto segue:
«1. Quando si è verificato un danno ambientale, l’operatore comunica
senza indugio all’autorità competente tutti gli aspetti pertinenti della
situazione e adotta:
(…)
b) le necessarie misure di riparazione conformemente all’articolo 7.
2. L’autorità competente, in qualsiasi momento, ha facoltà di:
(…)
c) chiedere all’operatore di prendere le misure di riparazione
necessarie;
d) dare all’operatore le istruzioni da seguire riguardo alle misure di
riparazione necessarie da adottare; oppure
e) adottare essa stessa le misure di riparazione necessarie.
3. L’autorità competente richiede che l’operatore adotti le misure di
riparazione. Se l’operatore non si conforma agli obblighi previsti al
paragrafo 1 o al paragrafo 2, lettere (…) c) o d), se non può essere
individuato o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della presente
direttiva, l’autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa tali
misure, qualora non le rimangano altri mezzi».
7 Per quanto concerne i costi connessi alla prevenzione e alla
riparazione, l’art. 8 della direttiva 2004/35 enuncia quanto segue:
«1. L’operatore sostiene i costi delle azioni di prevenzione e di
riparazione adottate in conformità della presente direttiva.
2. Fatti salvi i paragrafi 3 e 4, l’autorità competente recupera, tra
l’altro attraverso garanzie reali o altre adeguate garanzie,
dall’operatore che ha causato il danno o l’imminente minaccia di danno i
costi da essa sostenuti in relazione alle azioni di prevenzione o di
riparazione adottate a norma della presente direttiva.
Tuttavia, l’autorità competente ha facoltà di decidere di non recuperare
la totalità dei costi qualora la spesa necessaria per farlo sia maggiore
dell’importo recuperabile o qualora l’operatore non possa essere
individuato.
3. Non sono a carico dell’operatore i costi delle azioni di prevenzione
o di riparazione adottate conformemente alla presente direttiva se egli
può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale
danno:
a) è stato causato da un terzo, e si è verificato nonostante l’esistenza
di opportune misure di sicurezza, (…)
(…)
In tali casi gli Stati membri adottano le misure appropriate per
consentire all’operatore di recuperare i costi sostenuti.
(…)».
8 L’art. 9 di detta direttiva, intitolato «Imputazione dei costi nel
caso di pluralità di autori del danno», è del seguente tenore:
«La presente direttiva lascia impregiudicata qualsiasi disposizione del
diritto nazionale riguardante l’imputazione dei costi nel caso di
pluralità di autori del danno, in particolare per quanto concerne la
ripartizione della responsabilità tra produttore e utente di un
prodotto».
9 L’art. 11 della medesima direttiva, intitolato «Autorità competente»,
prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri designano l’autorità competente o le autorità
competenti ai fini dell’esecuzione dei compiti previsti dalla presente
direttiva.
2. Spetta all’autorità competente individuare l’operatore che ha causato
il danno o la minaccia imminente di danno, valutare la gravità del danno
e determinare le misure di riparazione da prendere a norma dell’allegato
II. A tal fine, l’autorità competente è legittimata a chiedere
all’operatore interessato di effettuare la propria valutazione e di
fornire tutte le informazioni e i dati necessari.
(…)
4. Le decisioni adottate ai sensi della presente direttiva che impongono
misure di prevenzione o di riparazione sono motivate con precisione.
Tali decisioni sono notificate senza indugio all’operatore interessato,
il quale è contestualmente informato dei mezzi di ricorso di cui dispone
secondo la legge vigente dello Stato membro in questione, nonché dei
termini relativi a detti ricorsi».
10 L’art. 16 della direttiva 2004/35, intitolato «Relazione con il
diritto nazionale», enuncia, nel suo n. 1, che quest’ultima «non
preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più
severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale,
comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli
obblighi di prevenzione e di riparazione previsti dalla presente
direttiva e l’individuazione di altri soggetti responsabili».
11 L’art. 17 della stessa direttiva, intitolato «Applicazione nel
tempo», prevede che quest’ultima non si applica:
«(…)
- al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente
verificatosi prima della data di cui all’articolo 19, paragrafo 1;
- al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente
verificatosi dopo la data di cui all’articolo 19, paragrafo 1, se
derivante da una specifica attività posta in essere e terminata prima di
detta data;
- al danno in relazione al quale sono passati più di 30 anni
dall’emissione, evento o incidente che l’ha causato».
12 L’art. 19, n. 1, primo comma, di detta direttiva precisa che gli
Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla medesima
entro il 30 aprile 2007.
13 Il punto 1 dell’allegato III alla direttiva 2004/35 riguarda
specificamente il funzionamento di impianti soggetti ad autorizzazione,
conformemente alla direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE,
sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 257,
pag. 26).
14 Ai sensi dell’art. 1 della direttiva 96/61, quest’ultima ha per
oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento
proveniente dalle attività di cui all’allegato I alla medesima. I punti
2.1 e 2.4 del citato allegato riguardano, rispettivamente, le «attività
energetiche» e l’«industria chimica».
Il diritto nazionale
15 Il giudice del rinvio fa riferimento al decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE [del
Consiglio 18 marzo 1991, che modifica la direttiva 75/442/CEE relativa
ai rifiuti] (GU L 178, pag. 32), 91/689/CEE [del Consiglio 12 dicembre
1991,] sui rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20) e 94/62/CE [del
Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994], sugli imballaggi e
sui rifiuti di imballaggio (GU L 365, pag. 10) (Supplemento ordinario
alla GURI n. 38 del 15 febbraio 1997; in prosieguo: il «d. lgs. n.
22/1997»). Questo decreto è stato abrogato e sostituito con decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale
(Supplemento ordinario alla GURI n. 88 del 14 aprile 2006; in prosieguo:
il «d.lgs n. 152/2006»), il quale, negli artt. 299-318, recepisce
nell’ordinamento giuridico italiano la direttiva 2004/35.
16 L’art. 17 del d. lgs. n. 22/1997 prevedeva che «(…) chiunque cagiona,
anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma
1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di
superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese
agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino
ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il
pericolo di inquinamento (…)».
17 L’art. 9 del decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471, recante
criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e
il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17
del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche e
integrazioni (Supplemento ordinario alla GURI n. 293 del 15 dicembre
1999; in prosieguo: il «decreto 471/1999») ha il seguente disposto:
«Il proprietario di un sito o altro soggetto che (…) intenda attivare di
propria iniziativa le procedure per gli interventi di messa in sicurezza
d’emergenza, di bonifica e di ripristino ambientale, ai sensi
dell’articolo 17, comma 13 bis, del D. lgs. [n. 22/1997], è tenuto a
comunicare alla Regione, alla Provincia e al Comune la situazione di
inquinamento rilevata nonché gli eventuali interventi di messa in
sicurezza di emergenza necessari per assicurare la tutela della salute e
dell’ambiente adottati e in fase di esecuzione. La comunicazione deve
essere accompagnata da idonea documentazione tecnica dalla quale devono
risultare le caratteristiche dei suddetti interventi. (…) Il Comune o,
se l’inquinamento interessa il territorio di più comuni, la Regione
verifica l’efficacia degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza
adottati e può fissare prescrizioni ed interventi integrativi con
particolare riferimento alle misure di monitoraggio da attuare per
accertare le condizioni di inquinamento ed ai controlli da effettuare
per verificare l’efficacia degli interventi attuati a protezione della
salute pubblica e dell’ambiente circostante (…)».
18 L’art. 311, comma 2, del d. lgs. n. 152/2006 così dispone:
«Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o
comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di
provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o
violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo,
deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al
ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento
per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato».
Cause principali e questioni pregiudiziali
19 Le cause principali concernono il territorio di Priolo Gargallo
(Sicilia), dichiarato «sito di interesse nazionale ai fini della
bonifica», e, in particolare, la Rada di Augusta. Quest’ultima è
interessata da fenomeni ricorrenti di inquinamento ambientale la cui
origine risalirebbe già agli anni ‘60, quando è stato realizzato il polo
petrolchimico Augusta-Priolo-Melilli. Da tale periodo, numerose imprese,
operanti nel settore degli idrocarburi e della petrolchimica, si sono
installate e/o succedute in questo territorio.
20 La zona ha costituito oggetto di una «caratterizzazione» diretta a
valutare lo stato dei terreni, delle falde freatiche, delle acque
costiere e dei fondali marini. Conformemente all’art. 9 del decreto n.
471/1999, le imprese insediate nel polo petrolchimico, in qualità di
proprietarie delle aree industriali terrestri comprese nel sito di
interesse nazionale, hanno presentato progetti di messa in sicurezza di
emergenza e di bonifica della falda, approvati con decreto
interministeriale.
21 Mediante diverse misure consecutive e a causa del ritardo contestato
alle imprese nell’esecuzione dei progetti di intervento, la pubblica
autorità ha ordinato a dette imprese di procedere alla bonifica dei
fondali marini della Rada di Augusta, in particolare alla rimozione dei
sedimenti contaminati presenti in quest’ultima per una profondità pari a
m 2, con l’espressa sanzione che, in caso di inadempienza delle imprese,
tali lavori sarebbero stati effettuati d’ufficio, a carico e a spese di
queste ultime. In occasione della conferenza preparatoria dei servizi
svoltasi il 21 luglio 2006, è stato parimenti deciso di completare le
misure precedentemente approvate con la realizzazione di un confinamento
fisico della falda.
22 Sostenendo che un’opera del genere era irrealizzabile e le esponeva a
costi sproporzionati, le imprese interessate hanno proposto ricorso
avverso dette decisioni amministrative in questione dinanzi al giudice
del rinvio. Con sentenza 21 luglio 2007, n. 1254, quest’ultimo ha
accolto tali ricorsi, dichiarando che gli obblighi di bonifica
menzionati erano illeciti poiché non si era tenuto conto, all’atto della
loro adozione, né del principio «chi inquina paga», né delle norme
nazionali che disciplinano le procedure di bonifica, né del principio
del contraddittorio. Inoltre, non si era svolto nessun dibattito con le
imprese coinvolte in merito ai presupposti per la realizzazione di una
siffatta bonifica.
23 Questa pronuncia è stata impugnata dalle autorità amministrative
dinanzi al Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia
il quale, con ordinanza cautelare 2 aprile 2008, ha considerato
dimostrato il fumus boni iuris dell’appello e, in considerazione delle
conseguenze dannose connesse al ritardo indotto nell’esecuzione delle
misure ordinate dalla pubblica amministrazione, ha disposto la
sospensione dell’esecuzione della citata sentenza n. 1254/2007.
24 Successivamente, le autorità amministrative hanno constatato che le
misure precedentemente approvate erano inadeguate a porre rimedio
all’inquinamento esistente nella Rada di Augusta. A fronte, inoltre, del
rifiuto delle società ricorrenti ad ottemperare, il 20 dicembre 2007 la
conferenza dei servizi decisoria ha prescritto a queste ultime altre
misure, tra le quali figurava la realizzazione di un confinamento la cui
esecuzione sarebbe stata affidata alla società Sviluppo Italia Aree
Produttive SpA (in prosieguo: la «Sviluppo»). Queste misure sarebbero
state confermate in occasione della conferenza dei servizi decisoria
svoltasi il 6 marzo e il 16 aprile 2008. Infine, è stato adottato il
decreto 21 febbraio 2008, n. 4378, avente ad oggetto un «provvedimento
finale di adozione (…) delle determinazioni della conferenza di servizi
decisoria relativa al sito di interesse nazionale di Priolo del 20
dicembre 2007» (in prosieguo: il «decreto n. 4378/2008»).
25 Avverso questo decreto nonché contro altri atti amministrativi ad
esso correlati, le ricorrenti nelle cause principali hanno proposto
nuovamente ricorso dinanzi al giudice del rinvio. In tal sede esse
denunciano, in particolare, la circostanza che il progetto accolto, di
cui la società Sviluppo ha garantito l’elaborazione e che le è stato
attribuito in assenza di gara d’appalto, non avrebbe scopi di tutela
ambientale, bensì servirebbe piuttosto alla realizzazione di
un’infrastruttura pubblica, ossia la realizzazione di un’isola
artificiale all’interno della Rada di Augusta mediante sedimenti
contaminati.
26 Il giudice del rinvio sottolinea che, in pronunce precedenti
concernenti la medesima controversia, il Consiglio di Giustizia
amministrativa della Regione Sicilia, in qualità di giudice d’appello,
aveva dichiarato, in particolare, che «appare irrilevante (…) ogni
accertamento (…) volto a verificare il coinvolgimento, o meno, degli
attuali proprietari o concessionari di aree industriali (…) così come
(…) ogni accertamento volto a verificare la sussistenza di eventuali
responsabilità in capo ad organi della P.A. che abbiano in passato
autorizzato l’esercizio di attività inquinanti». Infatti, secondo questo
stesso giudice, «il punto di equilibrio fra i diversi interessi di
rilevanza costituzionale alla tutela della salute, dell’ambiente e
dell’iniziativa economica privata (…) va (…) ricercato (…) in un
criterio di oggettiva responsabilità imprenditoriale, in base al quale
gli operatori economici che producono e ritraggono profitti attraverso
l’esercizio di attività pericolose, in quanto ex se inquinanti, o in
quanto utilizzatori di strutture produttive contaminate e fonte di
perdurante contaminazione, sono perciò stesso tenuti a sostenere
integralmente gli oneri necessari a garantire la tutela dell’ambiente e
della salute della popolazione, in correlazione causale» con tutti i
fenomeni di inquinamento collegati all’attività industriale.
27 Il giudice del rinvio sottolinea che la prassi della competente
autorità pubblica, confermata dal giudice d’appello, consiste pertanto,
allo stato degli atti, nell’addossare alle imprese che operano nella
Rada di Augusta la responsabilità per l’inquinamento ambientale
esistente, senza distinzioni tra l’inquinamento precedente e quello
attuale e senza accertamento di dirette responsabilità nella genesi del
danno a carico di ciascuna delle imprese coinvolte.
28 Nel prospettare un eventuale sviluppo della propria giurisprudenza in
accordo con il suo giudice d’appello, il giudice del rinvio pone in
evidenza la situazione specifica dell’inquinamento proprio della Rada di
Augusta. Esso sottolinea in particolare che nella zona si sono succedute
una pluralità di imprese petrolchimiche, per cui sarebbe non solo
impossibile, ma parimenti inutile determinare il rispettivo grado di
responsabilità, qualora si tenga presente, in particolare, che la
circostanza di condurre nel sito contaminato attività di per se stesse
pericolose può bastare a far dichiarare accertata la loro
responsabilità.
29 È alla luce di questo complesso di circostanze che il Tribunale
amministrativo regionale della Sicilia ha deciso di sospendere il
procedimento e di proporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) Se il principio “chi inquina paga” (art.174 CE) (…) nonché le
disposizioni di cui alla [direttiva 2004/35] ostino ad una normativa
nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di imporre agli
imprenditori privati - per il solo fatto che essi si trovino attualmente
ad esercitare la propria attività in una zona da lungo tempo contaminata
o limitrofa a quella storicamente contaminata - l’esecuzione di misure
di riparazione a prescindere dallo svolgimento di qualsiasi istruttoria
in ordine all’individuazione del responsabile dell’inquinamento.
2) Se il principio “chi inquina paga” (art.174 CE) (…) nonché le
disposizioni di cui alla [direttiva 2004/35] ostino ad una normativa
nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di attribuire la
responsabilità del risarcimento del danno ambientale in forma specifica
al soggetto titolare di diritti reali e/o esercente un’attività
imprenditoriale nel sito contaminato, senza la necessità di accertare
previamente la sussistenza del nesso causale tra la condotta del
soggetto e l’evento di contaminazione, in virtù del solo rapporto di
“posizione” nel quale egli stesso si trova (cioè essendo egli un
operatore la cui attività sia svolta all’interno del sito).
3) Se la normativa comunitaria di cui all’art. 174 [CE ed alla direttiva
2004/35] osti ad una normativa nazionale che, superando il principio
“chi inquina paga”, consenta alla Pubblica Amministrazione di attribuire
la responsabilità del risarcimento del danno ambientale in forma
specifica al soggetto titolare di diritti reali e/o d’impresa nel sito
contaminato, senza la necessità di accertare previamente la sussistenza,
oltre che del nesso causale tra la condotta del soggetto e l’evento di
contaminazione, anche del requisito soggettivo del dolo o della colpa.
4) Se i principi comunitari in materia di tutela della concorrenza di
cui al Trattato che istituisce la Comunità europea e le (…) direttive
2004/18, [del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199,
pag. 54)] e [del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative
all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di lavori e di forniture (GU L 395, pag. 33)]
ostino ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica
Amministrazione di affidare a soggetti privati (società Sviluppo SpA. e
[Sviluppo]) attività di caratterizzazione, di progettazione ed
esecuzione di interventi di bonifica - rectius: di realizzazione di
opere pubbliche - su aree demaniali in via diretta, senza esperire
preliminarmente le necessarie procedure di evidenza pubblica».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
30 Il governo italiano asserisce che il rinvio pregiudiziale sarebbe
irricevibile in quanto, in particolare, da un lato, le questioni
proposte implicherebbero che la Corte esamini la normativa nazionale e,
dall’altro, lo scopo del giudice del rinvio sarebbe non di risolvere la
controversia di cui è investito, bensì piuttosto di rimettere in
discussione la giurisprudenza del suo giudice di appello.
31 A questo proposito basta ricordare che, nell’ambito di un rinvio
pregiudiziale, benché non spetti alla Corte pronunciarsi sulla
compatibilità di norme del diritto interno con il diritto dell’Unione,
essa è tuttavia competente a fornire al giudice a quo tutti gli elementi
di interpretazione concernenti tale diritto, atti a consentirgli di
valutare tale compatibilità per pronunciarsi nella causa di cui è
investito (sentenza 22 maggio 2008, causa C-439/06, citiworks, Racc.
pag. I-3913, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).
32 Peraltro, il giudice che non decide in ultima istanza dev’essere
libero, segnatamente se esso ritiene che la valutazione in diritto
formulata dall’istanza superiore possa condurlo ad emettere un giudizio
contrario al diritto dell’Unione, di sottoporre alla Corte le questioni
con cui deve confrontarsi (v., in tal senso, sentenza 16 gennaio 1974,
causa 166/73, Rheinmühlen-Düsseldorf, Racc. pag. 33, punto 4).
33 In considerazione delle precedenti osservazioni, il presente rinvio
pregiudiziale è ricevibile e, di conseguenza, occorre esaminare le varie
questioni proposte dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia.
Sulle prime tre questioni
34 Con le sue prime tre questioni, che occorre esaminare congiuntamente,
il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio «chi inquina
paga», quale sancito dall’art. 174, n. 2, primo comma, CE, e le
disposizioni della direttiva 2004/35, che mira a dare attuazione a
questo principio nell’ambito della responsabilità ambientale, ostino a
una normativa nazionale che consente all’autorità competente di imporre
ad alcuni operatori, a causa della vicinanza dei loro impianti ad una
zona inquinata, misure di riparazione dei danni ambientali, senza avere
preventivamente indagato sugli eventi all’origine dell’inquinamento, né
avere accertato il nesso di causalità tra detti danni e i citati
operatori né il dolo o la colpa di questi ultimi.
35 Alla luce delle circostanze delle cause principali, quali illustrate
dal giudice del rinvio, e dell’esame che ne hanno svolto i governi
italiano, ellenico ed olandese nonché la Commissione delle Comunità
europee, occorre determinare i presupposti di applicabilità ratione
temporis della direttiva 2004/35 in circostanze del genere, prima di
risolvere le questioni proposte.
Sull’applicabilità ratione temporis della direttiva
2004/35
- Osservazioni presentate alla Corte
36 I governi italiano e olandese nonché la Commissione dubitano che la
direttiva 2004/35 possa applicarsi ratione temporis ai fatti
delle cause principali, in quanto il danno ambientale sarebbe anteriore
al 30 aprile 2007 e/o esso deriverebbe comunque da attività precedenti,
che sarebbero state ultimate prima di tale data. La Commissione fa
capire, però, che questa direttiva potrebbe applicarsi limitatamente ai
danni successivi al 30 aprile 2007 derivanti dall’attività presente
degli operatori coinvolti. Tuttavia, essa non potrebbe applicarsi a un
inquinamento anteriore a questa stessa data, causato da operatori
diversi da quelli attualmente in attività nella Rada di Augusta, ai
quali si vorrebbe addossare detto inquinamento.
37 Il governo ellenico ritiene viceversa che la direttiva 2004/35 sia
applicabile ai fatti delle cause principali. Infatti, basandosi su una
lettura a contrario dell’art. 17, secondo trattino, di questa direttiva,
esso ritiene che quest’ultima si applichi anche qualora l’attività
all’origine del danno sia iniziata prima del 30 aprile 2007, purché la
stessa non sia terminata prima di tale data e prosegua dopo il 30 aprile
2007.
- Risposta della Corte
38 Come si evince dal trentesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/35,
il legislatore dell’Unione ha ritenuto che la normativa relativa al
regime di responsabilità ambientale istituito da questa direttiva «non
si dovrebbe applicare al danno cagionato prima dello scadere del termine
per la sua attuazione», ossia prima del 30 aprile 2007.
39 Detto legislatore ha indicato espressamente, nell’art. 17 della
direttiva 2004/35, le ipotesi in cui quest’ultima non si applica. Dal
momento che le ipotesi che non rientrano nella sfera di applicazione
ratione temporis di questa direttiva sono state così definite in
modo negativo, occorre dedurne che qualsiasi altra ipotesi è soggetta,
in linea di principio, dal punto di vista cronologico, al regime di
responsabilità ambientale istituito da detta direttiva.
40 Dall’art. 17, primo e secondo trattino, della direttiva 2004/35 si
ricava che quest’ultima non si applica ai danni causati da un’emissione,
un evento o un incidente verificatosi prima del 30 aprile 2007 né a
quelli causati dopo tale data, se derivanti da una specifica attività
posta in essere e terminata prima di detta data.
41 Occorre dedurne che questa direttiva si applica ai danni causati da
un’emissione, un evento o un incidente avvenuti dopo il 30 aprile 2007
quando questi danni derivano o da attività svolte successivamente a tale
data, o da attività svolte anteriormente a tale data, ma non ultimate
prima della scadenza della medesima.
42 In forza dell’art. 267 TFUE, basato sulla netta separazione di
funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, questa può pronunciarsi
unicamente sull’interpretazione o sulla validità di un testo normativo
dell’Unione sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale. Ne
consegue che non spetta alla Corte, nell’ambito di un procedimento ai
sensi dell’articolo citato, ma al giudice nazionale l’applicazione ad
atti o fatti di carattere nazionale delle norme del diritto dell’Unione
di cui la Corte abbia fornito l’interpretazione (v. sentenza 11
settembre 2008, causa C-279/06, CEPSA, Racc. pag. I-6681, punto 28).
43 Spetta pertanto al giudice del rinvio verificare, in base ai fatti
che esso solo è in grado di valutare, se, nelle cause principali, i
danni oggetto delle misure di riparazione ambientale decise dalle
autorità nazionali competenti rientrino in una delle ipotesi elencate
nel punto 41 della presente sentenza.
44 Qualora detto giudice dovesse giungere alla conclusione che la
direttiva 2004/35 non è applicabile nella causa di cui è investito,
un’ipotesi del genere dovrà essere allora disciplinata dall’ordinamento
nazionale, nel rispetto delle norme del Trattato e fatti salvi altri
eventuali atti di diritto derivato.
45 A questo proposito, l’art. 174 CE ricorda che la politica della
Comunità in materia ambientale mira a un livello elevato di protezione e
si basa, segnatamente, sul principio «chi inquina paga». Questa
disposizione si limita pertanto a definire gli obiettivi generali della
Comunità in materia ambientale, mentre l’art. 175 CE affida il compito
di decidere le azioni da avviare al Consiglio dell’Unione europea,
eventualmente applicando la procedura di codecisione con il Parlamento
europeo (v., in tal senso, sentenza 14 luglio 1994, causa C-379/92,
Peralta, Racc. pag. I-3453, punti 57 e 58).
46 Come giustamente sottolineato dal governo olandese, dal momento che
l’art. 174 CE, che contiene il principio «chi inquina paga», è rivolto
all’azione della Comunità, questa disposizione non può essere invocata
in quanto tale dai privati al fine di escludere l’applicazione di una
normativa nazionale, quale quella oggetto delle cause principali,
emanata in una materia rientrante nella politica ambientale, quando non
sia applicabile nessuna normativa comunitaria adottata in base all’art.
175 CE, che disciplini specificamente l’ipotesi di cui trattasi.
47 Se e in quanto il giudice del rinvio giunga alla conclusione che la
direttiva 2004/35 è applicabile ratione temporis nelle cause principali,
occorre affrontare le questioni pregiudiziali nel modo seguente.
Sul regime di responsabilità ambientale previsto dalla direttiva 2004/35
- Osservazioni presentate alla Corte
48 I governi italiano ed ellenico ritengono che, a norma dell’art. 3, n.
1, lett. a), della direttiva 2004/35, quando si tratta di attività di
cui all’allegato III di quest’ultima, sussista una presunzione che gli
operatori siano responsabili dell’inquinamento accertato, senza che
occorra dimostrare una loro responsabilità per fatto illecito o un nesso
di causalità tra le loro rispettive attività e i danni provocati
all’ambiente.
49 Secondo il governo ellenico, solo quando le attività degli operatori
non rientrino fra quelle di cui all’allegato III alla direttiva 2004/35
l’autorità competente, al fine di imporre a questi ultimi misure di
responsabilità ambientale ai sensi di questa direttiva, deve dimostrare,
conformemente all’art. 3, n. 1, lett. b), di quest’ultima, che detti
operatori siano responsabili per comportamento doloso o colposo. A
questa autorità non incomberebbe nemmeno l’onere di provare il grado di
coinvolgimento di questi ultimi, poiché l’art. 8, n. 3, di detta
direttiva enuncerebbe che l’onere della prova di un nesso di causalità
tra il danno e l’effettivo inquinatore graverebbe in realtà
sull’operatore, che non voglia essere obbligato a sostenere i costi
riguardanti danni dei quali egli sia in grado di dimostrare che siano
conseguenze dell’opera di un terzo. Pertanto, la facoltà per le imprese
interessate di promuovere, eventualmente tra di esse, azioni di regresso
basate sulle norme nazionali in materia di responsabilità potrebbe
fornire soluzioni pragmatiche.
50 Il governo italiano sottolinea che comunque, nelle cause principali,
il nesso di causalità sussisterebbe in re ipsa, senza che occorra
condurre un’indagine per accertarlo, in quanto le imprese interessate si
sarebbero autodenunciate e sussisterebbe una coincidenza evidente tra le
sostanze da loro prodotte e i materiali inquinanti ritrovati. Inoltre,
l’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/35 consentirebbe agli Stati membri
di emanare norme più rigorose di quelle contenute in questa direttiva.
51 La Commissione ritiene che la direttiva 2004/35 non si applichi
quando non sia possibile identificare con precisione l’operatore la cui
attività abbia provocato i danni ambientali. Tuttavia, basandosi
sull’art. 16, n. 1, di questa direttiva, essa è del parere che
quest’ultima non osti all’applicazione di un regime più rigoroso, quale
quello oggetto delle cause principali, per quanto concerne la facoltà
degli Stati membri di individuare sia altre attività da assoggettare
alle prescrizioni di detta direttiva, sia altri responsabili poiché,
comunque, un regime siffatto tenderebbe a rafforzare gli obblighi
stabiliti dalla citata direttiva.
- Risposta della Corte
52 Come afferma il tredicesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/35, a
non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio
attraverso la responsabilità civile e, affinché quest’ultima sia
efficace, è necessario in particolare accertare nessi causali tra uno o
più inquinatori individuabili e danni ambientali concreti e
quantificabili.
53 Come si evince dagli artt. 4, n. 5, e 11, n. 2, della direttiva
2004/35, così come l’accertamento di un siffatto nesso causale è
necessario da parte dell’autorità competente al fine di imporre misure
di riparazione ad eventuali operatori, a prescindere dal tipo di
inquinamento in questione, quest’obbligo è parimenti un presupposto per
l’applicabilità di detta direttiva per quanto concerne forme di
inquinamento a carattere diffuso ed esteso.
54 Un nesso di causalità del genere può essere agevolmente dimostrato
quando l’autorità competente si trovi in presenza di un inquinamento
circoscritto nello spazio e nel tempo, che sia opera di un numero
limitato di operatori. Viceversa, non è questo il caso nell’ipotesi di
fenomeni di inquinamento a carattere diffuso, per cui il legislatore
dell’Unione ha giudicato che, in presenza di un inquinamento del genere,
un regime di responsabilità civile non costituisce uno strumento idoneo
quando detto nesso di causalità non possa essere accertato. Di
conseguenza, ai sensi dell’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35,
quest’ultima si applica a questo tipo di inquinamento solo quando sia
possibile accertare un nesso di causalità tra i danni e le attività dei
diversi operatori.
55 A questo proposito, è giocoforza rilevare che la direttiva 2004/35
non definisce la modalità di accertamento di un siffatto nesso di
causalità. Ebbene, nella cornice della competenza condivisa tra l’Unione
e i suoi Stati membri in materia ambientale, quando un elemento
necessario all’attuazione di una direttiva adottata in base all’art. 175
CE non sia stato definito nell’ambito di quest’ultima, una siffatta
definizione rientra nella competenza di questi Stati e, a tale
proposito, essi dispongono di un ampio potere discrezionale, nel
rispetto delle norme del Trattato, al fine di prevedere discipline
nazionali che configurino o concretizzino il principio «chi inquina
paga» (v., in tal senso, sentenza 16 luglio 2009, causa C-254/08, Futura
Immobiliare e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 48, 52 e
55).
56 Da questo punto di vista, la normativa di uno Stato membro può
prevedere che l’autorità competente abbia facoltà di imporre misure di
riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di
causalità tra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei
diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi
ultimi con il menzionato inquinamento.
57 Tuttavia, dato che, conformemente al principio «chi inquina paga»,
l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura
corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al
rischio di inquinamento (v., per analogia, sentenza 24 giugno 2008,
causa C-188/07, Commune de Mesquer, Racc. pag. I-4501, punto 77), per
poter presumere secondo tali modalità l’esistenza di un siffatto nesso
di causalità l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in
grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza
dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la
corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti
impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività.
58 Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è
allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività
degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente
all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può
rientrare pertanto nella sfera d’applicazione di questa direttiva, a
meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale
presunzione.
59 Da ciò deriva che, qualora il giudice del rinvio ritenga che
l’inquinamento in questione nelle cause principali presenti un carattere
diffuso e che non possa essere dimostrato un nesso di causalità,
un’ipotesi del genere potrà rientrare non nella sfera d’applicazione
ratione materiae della direttiva 2004/35, bensì in quella
dell’ordinamento nazionale, alle condizioni precisate nel punto 44 della
presente sentenza.
60 Viceversa, per l’ipotesi in cui il giudice del rinvio giunga alla
conclusione che detta direttiva è applicabile al caso di cui è
investito, occorre ancora svolgere le seguenti considerazioni.
61 Dall’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 2004/35 si ricava che,
quando un danno è stato arrecato alle specie e agli habitat naturali
protetti da una attività professionale non elencata nell’allegato III a
questa direttiva, la medesima può applicarsi a condizione che sia
accertato il comportamento doloso o colposo in capo all’operatore.
Viceversa, una siffatta condizione non vale quando da un’attività
professionale elencata nel detto allegato sia stato causato un danno
ambientale ossia, ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. a)-c), di detta
direttiva, un danno arrecato alle specie e agli habitat naturali
protetti, nonché alle acque e al terreno.
62 Fatto salvo l’esito degli accertamenti in fatto che spetta al giudice
del rinvio compiere, quando un danno sia stato causato all’ambiente da
operatori attivi nei settori dell’energia e della chimica, ai sensi dei
punti 2.1 e 2.4 della direttiva 96/61, attività comprese a tale titolo
nell’allegato III alla direttiva 2004/35, a questi operatori possono
essere pertanto imposte misure preventive o di riparazione, senza che
l’autorità competente sia tenuta a dimostrare l’esistenza di un
comportamento doloso o colposo in capo a loro.
63 Infatti, nel caso di attività professionali comprese nell’allegato
III alla direttiva 2004/35, la responsabilità ambientale degli operatori
attivi in questi ambiti è loro imputata in via oggettiva.
64 Tuttavia, come giustamente sottolineato dai ricorrenti nelle cause
principali, dal combinato disposto dell’art. 11, n. 2, della direttiva
2004/35 e del tredicesimo ‘considerando’ di quest’ultima discende che,
al fine di imporre misure di riparazione, l’autorità competente è tenuta
ad accertare, in osservanza delle norme nazionali in materia di prova,
quale operatore abbia provocato il danno ambientale. Ne discende che, a
tal fine, detta autorità deve ricercare preventivamente l’origine
dell’inquinamento constatato e, come rilevato nel punto 53 della
presente sentenza, essa non può imporre misure di riparazione senza
previamente dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra i danni
rilevati e l’attività dell’operatore che ritiene responsabile dei
medesimi.
65 Occorre pertanto interpretare gli artt. 3, n. 1, 4, n. 5, e 11, n. 2,
della direttiva 2004/35 nel senso che, quando decide di imporre misure
di riparazione ad operatori le cui attività siano elencate nell’allegato
III a detta direttiva, l’autorità competente non è tenuta a dimostrare
né un comportamento doloso o colposo, né un intento doloso in capo agli
operatori le cui attività siano ritenute all’origine del danno
ambientale. Viceversa, spetta a questa autorità, da un lato, ricercare
preventivamente l’origine dell’accertato inquinamento, attività riguardo
alla quale detta autorità dispone di un potere discrezionale in merito
alle procedure e ai mezzi cui fare ricorso, nonché alla durata di una
ricerca siffatta. Dall’altro, questa autorità è tenuta a dimostrare, in
osservanza delle norme nazionali in materia di prova, l’esistenza di un
nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono dirette le
misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi.
66 I ricorrenti nelle cause principali asseriscono che l’inquinamento
della Rada di Augusta sarebbe opera della società Montedison SpA nonché
della marina civile e militare. Di conseguenza, a loro parere l’autorità
competente non potrebbe imputare loro misure di riparazione del tipo di
quelle previste nel decreto n. 4378/2008.
67 A questo proposito occorre ricordare, da un lato, che, conformemente
all’art. 11, n. 4, della direttiva 2004/35, gli operatori dispongono di
rimedi giurisdizionali per impugnare le misure di riparazione adottate
in base a questa direttiva, nonché per negare l’esistenza di un
qualsiasi nesso di causalità tra la loro attività e l’inquinamento
rilevato. Dall’altro, conformemente all’art. 8, n. 3, di questa
direttiva, i medesimi operatori non sono tenuti a sostenere i costi
delle misure di riparazione quando sono in grado di dimostrare che i
danni in questione sono opera di un terzo e si sono verificati
nonostante l’esistenza di idonee misure di sicurezza, poiché infatti il
principio «chi inquina paga» non implica che gli operatori debbano farsi
carico di oneri inerenti alla riparazione di un inquinamento al quale
non abbiano contribuito (v., per analogia, sentenza 29 aprile 1999,
causa C-293/97, Standley e a., Racc. pag. I-2603, punto 51).
68 Occorre aggiungere parimenti che l’art. 16, n. 1, della direttiva
2004/35, al pari dell’art. 176 CE, prevede espressamente che la
direttiva non osta al mantenimento o all’adozione da parte degli Stati
membri di misure più severe riguardanti la prevenzione e la riparazione
dei danni ambientali. Questa disposizione afferma parimenti che queste
misure possono consistere, segnatamente, nell’individuazione, da un
lato, di altre attività da assoggettare agli obblighi fissati dalla
direttiva e, dall’altro, di altri soggetti responsabili.
69 Ne consegue che uno Stato membro può decidere, in particolare, che
gli operatori esercenti attività diverse da quelle previste
nell’allegato III alla direttiva 2004/35 possono essere considerati
responsabili in via oggettiva di danni ambientali, ossia, ai sensi
dell’art. 2, n. 1, lett. a)-c), della citata direttiva, non solo di
danni provocati alle specie e agli habitat naturali protetti, ma anche
di quelli arrecati alle acque e ai terreni.
70 In considerazione di quanto sin qui esposto, occorre rispondere alle
prime tre questioni dichiarando che:
- quando, in un’ipotesi d’inquinamento ambientale, non sono soddisfatti
i presupposti d’applicazione ratione temporis e/o ratione materiae della
direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere dovrà essere allora
disciplinata dal diritto nazionale, nel rispetto delle norme del
Trattato e fatti salvi altri eventuali atti di diritto derivato;
- la direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale che consente
all’autorità competente, in sede di esecuzione della citata direttiva,
di presumere l’esistenza di un nesso di causalità, anche nell’ipotesi di
inquinamento a carattere diffuso, tra determinati operatori e un
inquinamento accertato, e ciò in base alla vicinanza dei loro impianti
alla zona inquinata. Tuttavia, conformemente al principio «chi inquina
paga», per poter presumere secondo tale modalità l’esistenza di un
siffatto nesso di causalità detta autorità deve disporre di indizi
plausibili in grado di dare fondamento alla sua presunzione, quali la
vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la
corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti
impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività;
- gli artt. 3, n. 1, 4, n. 5, e 11, n. 2, della direttiva 2004/35 devono
essere interpretati nel senso che, quando decide di imporre misure di
riparazione del danno ambientale ad operatori le cui attività siano
elencate nell’allegato III a detta direttiva, l’autorità competente non
è tenuta a dimostrare né un comportamento doloso o colposo, né un
intento doloso in capo agli operatori le cui attività siano considerate
all’origine del danno ambientale. Viceversa spetta a questa autorità, da
un lato, ricercare preventivamente l’origine dell’accertato
inquinamento, attività riguardo alla quale detta autorità dispone di un
potere discrezionale in merito alle procedure e ai mezzi da impiegare,
nonché alla durata di una ricerca siffatta. Dall’altro, questa autorità
è tenuta a dimostrare, in base alle norme nazionali in materia di prova,
l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui
sono dirette le misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi.
Sulla quarta questione
71 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte,
in sostanza, se le direttive in materia di appalti pubblici, in
particolare la direttiva 2004/18, ostino a una normativa nazionale che
consente all’autorità competente di affidare direttamente a un’impresa
di diritto privato la realizzazione e la concezione di opere pubbliche
nonché di lavori di bonifica e di recupero di un sito inquinato.
72 Secondo costante giurisprudenza, la procedura ex art. 267 TFUE
costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici
nazionali, per mezzo della quale la prima fornisce ai secondi gli
elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione necessari per
risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti (v., in particolare,
sentenze 16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke, Racc. pag. I-4871,
punto 22, e 16 ottobre 2008, causa C-313/07, Kirtruna e Vigano, Racc.
pag. I-7907, punto 25).
73 Nell’ambito di questa cooperazione, spetta esclusivamente al giudice
nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi
la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare,
alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la
necessità di una sentenza pregiudiziale ai fini della pronuncia della
propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone
alla Corte. Pertanto, una volta che le questioni poste riguardano
l’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione, la Corte, in via
di principio, è tenuta a statuire (sentenza 19 aprile 2007, causa
C-295/05, Asemfo, Racc. pag. I-2999, punto 30 e giurisprudenza ivi
citata).
74 Tuttavia, quando non dispone degli elementi in fatto e in diritto
necessari per rispondere utilmente alle questioni ad essa sottoposte, la
Corte si astiene dal decidere su una domanda proposta da un giudice
nazionale (v., in tal senso, sentenza Commune de Mesquer, cit., punto
30).
75 Ebbene, a questo proposito, per quanto concerne la presente
questione, risulta che il giudice del rinvio non ha precisato né il
soggetto di diritto pubblico che ha assegnato l’esecuzione dei lavori
oggetto di detta questione, né l’importo dei medesimi, né l’atto in
forza del quale detti lavori sono stati affidati alle due società
indicate nella medesima questione.
76 Infatti, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia fa
riferimento unicamente a operazioni «di rilevante impatto ambientale e
di elevatissimo valore economico» che sarebbero state affidate in tal
modo a dette società dall’autorità competente, senza che queste ultime
abbiano dovuto affrontare la concorrenza di altre società di diritto
privato.
77 Inoltre, malgrado un quesito rivolto per iscritto dalla Corte al
governo italiano nonché lo svolgimento dell’udienza dibattimentale, non
è stato possibile chiarire le condizioni in presenza delle quali i
lavori in questione sarebbero stati affidati a dette società. La società
Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo
sviluppo d’impresa) SpA ha sostenuto addirittura di essere stata
assegnataria di mere attività di concezione e che l’autorità competente
avrebbe rinunciato alla realizzazione delle infrastrutture di cui alla
quarta questione pregiudiziale.
78 Alla luce di ciò, la Corte non ritiene di essere sufficientemente
edotta in merito alle circostanze in fatto della quarta questione
formulata dal giudice del rinvio e, di conseguenza, deve dichiararla
irricevibile.
Sulle spese
79 Nei confronti delle parti nelle cause principali il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
Quando, in un’ipotesi d’inquinamento ambientale, non sono soddisfatti i
presupposti d’applicazione ratione temporis e/o ratione materiae della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004,
2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e
riparazione del danno ambientale, un’ipotesi del genere dovrà essere
allora disciplinata dal diritto nazionale, nel rispetto delle norme del
Trattato e fatti salvi altri eventuali atti di diritto derivato.
La direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale che consente
all’autorità competente, in sede di esecuzione della citata direttiva,
di presumere l’esistenza di un nesso di causalità, anche nell’ipotesi di
inquinamento a carattere diffuso, tra determinati operatori e un
inquinamento accertato, e ciò in base alla vicinanza dei loro impianti
alla zona inquinata. Tuttavia, conformemente al principio «chi inquina
paga», per poter presumere secondo tale modalità l’esistenza di un
siffatto nesso di causalità detta autorità deve disporre di indizi
plausibili in grado di dare fondamento alla sua presunzione, quali la
vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la
corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti
impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività.
Gli artt. 3, n. 1, 4, n. 5, e 11, n. 2, della direttiva 2004/35 devono
essere interpretati nel senso che, quando decide di imporre misure di
riparazione del danno ambientale ad operatori le cui attività siano
elencate nell’allegato III a detta direttiva, l’autorità competente non
è tenuta a dimostrare né un comportamento doloso o colposo, né un
intento doloso in capo agli operatori le cui attività siano considerate
all’origine del danno ambientale. Viceversa spetta a questa autorità, da
un lato, ricercare preventivamente l’origine dell’accertato
inquinamento, attività riguardo alla quale detta autorità dispone di un
potere discrezionale in merito alle procedure e ai mezzi da impiegare,
nonché alla durata di una ricerca siffatta. Dall’altro, questa autorità
è tenuta a dimostrare, in base alle norme nazionali in materia di prova,
l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui
sono dirette le misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi.
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