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CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. Grande, 09/03/2010, Sentenze C-379/08 e C-380/08
DANNO AMBIENTALE - Prevenzione e riparazione del danno ambientale -
Responsabilità ambientale - Principio “chi inquina paga” - Misure di
riparazione - Obbligo di consultazione delle imprese interessate - C.d.
procedimento in contraddittorio - Punto 1.3.1 All. II, Dir. 2004/35 - Artt.
6, 7 e 11 Direttiva 2004/35 - D. lgs. n. 22/1997 - D. lgs. n. 152/2006.
Gli artt. 7 e 11, n. 4, della direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 21 aprile 2004, 2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in
materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, in combinato
disposto con l’allegato II alla medesima, devono essere interpretati nel
senso che l’autorità competente ha il potere di modificare sostanzialmente
misure di riparazione del danno ambientale decise in esito a un procedimento
in contraddittorio, condotto in collaborazione con gli operatori
interessati, che siano già state poste in esecuzione o la cui esecuzione sia
già stata avviata. Tuttavia, al fine di adottare una siffatta decisione
l’autorità è obbligata ad ascoltare gli operatori ai quali sono imposte
misure del genere, salvo quando l’urgenza della situazione ambientale
imponga un’azione immediata da parte dell’autorità competente. L’ autorità è
tenuta parimenti ad invitare, in particolare, le persone sui cui terreni
queste misure devono essere poste in esecuzione a presentare le loro
osservazioni, di cui essa deve tener conto, e deve tener conto dei criteri
di cui al punto 1.3.1 dell’allegato II alla direttiva 2004/35 e indicare,
nella sua decisione, le ragioni specifiche che motivino la sua scelta
nonché, eventualmente, quelle in grado di giustificare il fatto che non
fosse necessario o possibile effettuare un esame circostanziato alla luce
dei detti criteri a causa, ad esempio, dell’urgenza della situazione
ambientale. Pres. Skouris - Rel. Toader - Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA
(ed altri) c. Ministero dello Sviluppo economico ed altri. CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. Grande, 09/03/2010, Sentenze C-379/08 e C-380/08
DANNO AMBIENTALE - Misure di riparazione ambientale - Principio di
precauzione - Direttiva 2004/35 e normativa nazionale - Disciplina
Applicabile. La direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale la
quale consenta all’autorità competente di subordinare l’esercizio del
diritto degli operatori destinatari di misure di riparazione ambientale
all’utilizzo dei loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori
imposti da queste ultime, e ciò persino quando detti terreni non siano
interessati da tali misure perché sono già stati oggetto di precedenti
misure di bonifica o non sono mai stati inquinati. Tuttavia, una misura
siffatta dev’essere giustificata dallo scopo di impedire il peggioramento
della situazione ambientale dove dette misure sono poste in esecuzione
oppure, in applicazione del principio di precauzione, dallo scopo di
prevenire il verificarsi o il ripetersi di altri danni ambientali nei detti
terreni degli operatori, limitrofi all’intero litorale oggetto di dette
misure di riparazione. Pres. Skouris - Rel. Toader - Raffinerie Mediterranee
(ERG) SpA (ed altri) c. Ministero dello Sviluppo economico ed altri.
CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. Grande, 09/03/2010, Sentenze C-379/08 e C-380/08
DANNO AMBIENTALE - Misure di riparazione - Disciplina comunitaria - Artt.
6, 7 e 11 direttiva 2004/35. Nel sistema degli artt. 6 e 7 della
direttiva 2004/35, spetta in linea di principio all’operatore che sia
all’origine del danno ambientale di prendere l’iniziativa di proporre misure
di riparazione che esso reputi adeguate alla situazione. In considerazione
della conoscenza che si pensa che l’operatore abbia della natura del danno
provocato all’ambiente dalla sua attività, un sistema del genere può
consentire la definizione ed esecuzione rapide di misure di riparazione
ambientale opportune. Così, dall’art. 6, n. 1, della direttiva 2004/35 si
ricava che, quando si sia prodotto un danno ambientale, l’operatore informa
senz’indugio l’autorità competente e adotta, in particolare, le misure di
riparazione necessarie, conformemente all’art. 7 di questa direttiva.
Tuttavia, a norma del n. 2 del medesimo art. 6, questa autorità, in
particolare, può obbligare, in qualsiasi momento, l’operatore ad adottare le
misure di riparazione necessarie, dargli le istruzioni da seguire per
realizzare le medesime o addirittura, in mancanza di altre alternative,
adottare essa stessa queste misure. Inoltre, ai sensi dell’art. 7, n. 2,
della direttiva 2004/35, l’autorità competente decide le misure di
riparazione da attuare conformemente all’allegato II a questa direttiva e
ciò, se necessario, in cooperazione con l’operatore interessato. Secondo
l’art. 11 di detta direttiva, l’obbligo di determinare le misure di
riparazione da adottare a norma dell’allegato II alla citata direttiva
spetta, in ogni caso e in ultima istanza, all’autorità competente. Pres.
Skouris - Rel. Toader - Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA (ed altri) c.
Ministero dello Sviluppo economico ed altri. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez.
Grande, 09/03/2010, Sentenze C-379/08 e C-380/08
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
9 marzo 2010
«Principio “chi inquina paga” - Direttiva 2004/35/CE - Responsabilità
ambientale - Applicabilità ratione temporis - Inquinamento
anteriore alla data prevista per il recepimento di detta direttiva e
proseguito dopo tale data - Misure di riparazione - Obbligo di
consultazione delle imprese interessate - Allegato II»
Nei procedimenti riuniti C-379/08 e C-380/08,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla
Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale amministrativo regionale
della Sicilia, con decisioni, rispettivamente, 5 e 19 giugno 2008,
pervenute in cancelleria il 21 agosto 2008, nelle cause
Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA (causa C-379/08),
Polimeri Europa SpA,
Syndial SpA
contro
Ministero dello Sviluppo economico,
Ministero della Salute,
Ministero Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare,
Ministero delle Infrastrutture,
Ministero dei Trasporti,
Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Ministero dell’Interno,
Regione siciliana,
Assessorato regionale Territorio ed Ambiente (Sicilia),
Assessorato regionale Industria (Sicilia),
Prefettura di Siracusa,
Istituto superiore di Sanità,
Commissario Delegato per Emergenza Rifiuti e Tutela Acque (Sicilia),
Vice Commissario Delegato per Emergenza Rifiuti e Tutela Acque
(Sicilia),
Agenzia Protezione Ambiente e Servizi tecnici (APAT),
Agenzia regionale Protezione Ambiente (ARPA Sicilia),
Istituto centrale Ricerca scientifica e tecnologica applicata al Mare,
Subcommissario per la Bonifica dei Siti contaminati,
Provincia regionale di Siracusa,
Consorzio ASI Sicilia orientale Zona Sud,
Comune di Siracusa,
Comune di Augusta,
Comune di Melilli,
Comune di Priolo Gargallo,
Azienda Unità sanitaria locale n. 8,
Sviluppo Italia Aree Produttive SpA,
Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo
sviluppo d’impresa) SpA, già Sviluppo Italia SpA,
con l’intervento di:
ENI Divisione Exploration and Production SpA,
ENI SpA,
Edison SPA,
e
ENI SpA (causa C-380/08)
contro
Ministero Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare,
Ministero dello Sviluppo economico,
Ministero della Salute,
Regione siciliana,
Istituto superiore di Sanità,
Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi tecnici,
Commissario delegato per l’Emergenza rifiuti e la Tutela delle Acque,
con l’intervento di:
Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo
sviluppo d’impresa) SpA, già Sviluppo Italia SpA,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues,
K. Lenaerts, J.-C. Bonichot, dalle sig.re R. Silva de Lapuerta, P. Lindh
e C. Toader (relatore), presidenti di sezione, dai sigg. C.W.A.
Timmermans, K. Schiemann, P. Kuris, E. Juhász, A. Arabadjiev e J.-J.
Kasel, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15
settembre 2009,
considerate le osservazioni presentate:
- per la Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA, dagli avv.ti D. De Luca, M.
Caldarera, L. Acquarone e G. Acquarone;
- per la Polimeri Europa SpA e la Syndial SpA, dagli avv.ti G.M. Roberti,
I. Perego, S. Grassi e P. Amara;
- per l’ENI SpA, dagli avv.ti G.M. Roberti, I. Perego, S. Grassi e C.
Giuliano;
- per la Sviluppo Italia Aree Produttive SpA e la Invitalia (Agenzia
nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa)
SpA, già Sviluppo Italia SpA, dall’avv. F. Sciaudone;
- per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di
agente, assistita dal sig. D. Del Gaizo, avvocato dello Stato;
- per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. C. Zadra e dalla
sig.ra D. Recchia, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 22 ottobre 2009,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione del
principio «chi inquina paga» e della direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/35/CE, sulla responsabilità
ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale
(GU L 143, pag. 56).
2 Dette domande sono state proposte nell’ambito di controversie tra le
società Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA, Polimeri Europa SpA, Syndial
SpA ed ENI SpA, da una parte, e diverse autorità nazionali, regionali e
comunali italiane, dall’altra, in merito a talune misure di riparazione
di danni ambientali adottate da queste autorità per quanto concerne la
Rada di Augusta, attorno alla quale si trovano gli impianti e/o i
terreni di dette società.
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
3 I ‘considerando’ della direttiva 2004/35 rilevanti in questa sede sono
del seguente tenore:
«(1) (…) Occorre tener conto delle circostanze locali allorché si decide
come riparare il danno.
(2) La prevenzione e la riparazione del danno ambientale dovrebbero
essere attuate applicando il principio “chi inquina paga”, quale
stabilito nel trattato e coerentemente con il principio dello sviluppo
sostenibile. Il principio fondamentale della presente direttiva dovrebbe
essere quindi che l’operatore la cui attività ha causato un danno
ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato
finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori ad
adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i
rischi di danno ambientale.
(3) (…) [L]’obiettivo della presente direttiva, ossia istituire una
disciplina comune per la prevenzione e riparazione del danno ambientale
a costi ragionevoli per la società non può essere sufficientemente
raggiunto dagli Stati membri e (…) [può] dunque essere realizzat[o]
meglio a livello comunitario (…).
(…)
(7) Ai fini della valutazione del danno al terreno come definito dalla
presente direttiva, sarebbe opportuno utilizzare procedure di
valutazione del rischio per determinare quali possono essere gli effetti
nocivi per la salute umana.
(…)
(24) È necessario assicurare la disponibilità di mezzi di applicazione
ed esecuzione efficaci, garantendo un’adeguata tutela dei legittimi
interessi degli operatori e delle altre parti interessate. Si dovrebbero
conferire alle autorità competenti compiti specifici che implicano
appropriata discrezionalità amministrativa, ossia il dovere di valutare
l’entità del danno e di determinare le misure di riparazione da
prendere.
(...)
(30) La presente direttiva non si dovrebbe applicare al danno cagionato
prima dello scadere del termine per la sua attuazione.
(…)».
4 L’art. 2, punto 11, della direttiva 2004/35 definisce le «misure di
riparazione» come «qualsiasi azione o combinazione di azioni, tra cui
misure di attenuazione o provvisorie dirette a riparare, risanare o
sostituire risorse naturali e/o servizi naturali danneggiati, oppure a
fornire un’alternativa equivalente a tali risorse o servizi, come
previsto nell’allegato II».
5 L’art. 6 di detta direttiva, intitolato «Azione di riparazione»,
prevede quanto segue:
«1. Quando si è verificato un danno ambientale, l’operatore comunica
senza indugio all’autorità competente tutti gli aspetti pertinenti della
situazione e adotta:
a) tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere,
eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, gli inquinanti
in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo scopo di
limitare o prevenire ulteriori danni ambientali e effetti nocivi per la
salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi e
b) le necessarie misure di riparazione conformemente all’articolo 7.
2. L’autorità competente, in qualsiasi momento, ha facoltà di:
a) chiedere all’operatore di fornire informazioni supplementari su
qualsiasi danno verificatosi;
b) adottare, chiedere all’operatore di adottare o dare istruzioni
all’operatore circa tutte le iniziative praticabili per controllare,
circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato,
gli inquinanti in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo
scopo di limitare o prevenire ulteriori danni ambientali e effetti
nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi;
c) chiedere all’operatore di prendere le misure di riparazione
necessarie;
d) dare all’operatore le istruzioni da seguire riguardo alle misure di
riparazione necessarie da adottare; oppure
e) adottare essa stessa le misure di riparazione necessarie.
3. L’autorità competente richiede che l’operatore adotti le misure di
riparazione. Se l’operatore non si conforma agli obblighi previsti al
paragrafo 1 o al paragrafo 2, lettere b), c) o d), se non può essere
individuato o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della presente
direttiva, l’autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa tali
misure, qualora non le rimangano altri mezzi».
6 L’art. 7 della direttiva 2004/35, intitolato «Determinazione delle
misure di riparazione», così dispone:
«1. Conformemente all’allegato II, gli operatori individuano le
possibili misure di riparazione e le presentano per approvazione
all’autorità competente, a meno che questa non abbia intrapreso
un’azione a norma dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo
3.
2. L’autorità competente decide quali misure di riparazione attuare
conformemente all’allegato II e, se necessario, in cooperazione con
l’operatore interessato.
3. Se una pluralità di casi di danno ambientale si sono verificati in
modo tale che l’autorità competente non è in grado di assicurare
l’adozione simultanea delle misure di riparazione necessarie, essa può
decidere quale danno ambientale debba essere riparato a titolo
prioritario.
Ai fini di tale decisione, l’autorità competente tiene conto, fra
l’altro, della natura, entità e gravità dei diversi casi di danno
ambientale in questione, nonché della possibilità di un ripristino
naturale. Sono inoltre presi in considerazione i rischi per la salute
umana.
4. L’autorità competente invita le persone di cui all’articolo 12,
paragrafo 1 e, in ogni caso, le persone sul cui terreno si dovrebbero
effettuare le misure di riparazione a presentare le loro osservazioni e
le prende in considerazione».
7 L’art. 8, n. 2, primo comma, della citata direttiva enuncia quanto
segue:
«Fatti salvi i paragrafi 3 e 4, l’autorità competente recupera, tra
l’altro attraverso garanzie reali o altre adeguate garanzie,
dall’operatore che ha causato il danno o l’imminente minaccia di danno i
costi da essa sostenuti in relazione alle azioni di prevenzione o di
riparazione adottate a norma della presente direttiva».
8 L’art. 11 della medesima direttiva, intitolato «Autorità competente»,
prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri designano l’autorità competente o le autorità
competenti ai fini dell’esecuzione dei compiti previsti dalla presente
direttiva.
2. Spetta all’autorità competente individuare l’operatore che ha causato
il danno o la minaccia imminente di danno, valutare la gravità del danno
e determinare le misure di riparazione da prendere a norma dell’allegato
II. A tal fine, l’autorità competente è legittimata a chiedere
all’operatore interessato di effettuare la propria valutazione e di
fornire tutte le informazioni e i dati necessari.
3. Gli Stati membri provvedono affinché l’autorità competente possa
delegare o chiedere a terzi di attuare le misure di prevenzione o di
riparazione necessarie.
4. Le decisioni adottate ai sensi della presente direttiva che impongono
misure di prevenzione o di riparazione sono motivate con precisione.
Tali decisioni sono notificate senza indugio all’operatore interessato,
il quale è contestualmente informato dei mezzi di ricorso di cui dispone
secondo la legge vigente dello Stato membro in questione, nonché dei
termini relativi a detti ricorsi».
9 L’art. 12 della direttiva 2004/35, intitolato «Richiesta di azione»,
prevede quanto segue:
«1. Le persone fisiche o giuridiche:
a) che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale, o
b) che vantino un interesse sufficiente nel processo decisionale in
materia di ambiente concernente il danno o, in alternativa,
c) che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il
diritto processuale amministrativo di uno Stato membro esiga tale
presupposto,
sono legittimate a presentare all’autorità competente osservazioni
concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o minaccia imminente di
danno ambientale di cui siano a conoscenza e a chiedere all’autorità
competente di intervenire a norma della presente direttiva».
10 L’art. 16 della direttiva 2004/35, intitolato «Relazione con il
diritto nazionale», prevede, nel suo n. 1, che questa direttiva «non
preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più
severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale,
comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli
obblighi di prevenzione e di riparazione previsti dalla presente
direttiva e l’individuazione di altri soggetti responsabili».
11 L’art. 17 della medesima direttiva, intitolato «Applicazione nel
tempo», prevede che quest’ultima non si applica:
«(…)
- al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente
verificatosi prima della data di cui all’articolo 19, paragrafo 1;
- al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente
verificatosi dopo la data di cui all’articolo 19, paragrafo 1, se
derivante da una specifica attività posta in essere e terminata prima di
detta data;
- al danno in relazione al quale sono passati più di 30 anni
dall’emissione, evento o incidente che l’ha causato».
12 L’art. 19, n. 1, primo comma, di detta direttiva precisa che gli
Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla medesima
entro il 30 aprile 2007.
13 L’allegato II alla direttiva 2004/35, intitolato «Riparazione del
danno ambientale», contenente un punto 1.3 dedicato alla scelta delle
opzioni di riparazione, è del seguente tenore:
«(…)
1.3.1. Le opzioni ragionevoli di riparazione dovrebbero essere valutate,
usando le migliori tecnologie disponibili, qualora siano definite, in
base ai seguenti criteri:
- l’effetto di ciascuna opzione sulla salute e la sicurezza pubblica;
- il costo di attuazione dell’opzione;
- la probabilità di successo di ciascuna opzione;
- la misura in cui ciascuna opzione impedirà danni futuri ed eviterà
danni collaterali a seguito dell’attuazione dell’opzione stessa;
- la misura in cui ciascuna opzione giova a ogni componente della
risorsa naturale e/o del servizio;
- la misura in cui ciascuna opzione tiene conto dei pertinenti aspetti
sociali, economici e culturali e di altri fattori specifici della
località;
- il tempo necessario per l’efficace riparazione del danno ambientale;
- la misura in cui ciascuna opzione realizza la riparazione del sito
colpito dal danno ambientale;
- il collegamento geografico al sito danneggiato.
(…)».
Il diritto nazionale
14 Il giudice del rinvio fa riferimento al decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE [del
Consiglio 18 marzo 1991, che modifica la direttiva 75/442/CEE relativa
ai rifiuti] (GU L 178, pag. 32), 91/689/CEE [del Consiglio 12 dicembre
1991,] sui rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20) e 94/62/CE [del
Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994], sugli imballaggi e
sui rifiuti di imballaggio (GU L 365, pag. 10) (Supplemento ordinario
alla GURI n. 38 del 15 febbraio 1997; in prosieguo: il «d. lgs. n.
22/1997»). Questo decreto è stato abrogato e sostituito con decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale
(Supplemento ordinario alla GURI n. 88 del 14 aprile 2006; in prosieguo:
il «d. lgs n. 152/2006»), il quale, negli artt. 299-318, recepisce
nell’ordinamento giuridico italiano la direttiva 2004/35.
15 L’art. 17 del d. lgs. n. 22/1997 disponeva che «chiunque cagiona,
anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma
1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di
superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese
agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino
ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il
pericolo di inquinamento».
16 L’art. 9 del decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471, recante
criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e
il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17
del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche e
integrazioni (Supplemento ordinario alla GURI n. 293 del 15 dicembre
1999) ha il seguente disposto:
«Il proprietario di un sito o altro soggetto che (…) intenda attivare di
propria iniziativa le procedure per gli interventi di messa in sicurezza
d’emergenza, di bonifica e di ripristino ambientale, ai sensi
dell’articolo 17, comma 13 bis, del D. lgs. [n. 22/1997], è tenuto a
comunicare alla Regione, alla Provincia e al Comune la situazione di
inquinamento rilevata nonché gli eventuali interventi di messa in
sicurezza di emergenza necessari per assicurare la tutela della salute e
dell’ambiente adottati e in fase di esecuzione. La comunicazione deve
essere accompagnata da idonea documentazione tecnica dalla quale devono
risultare le caratteristiche dei suddetti interventi. (…) Il Comune o,
se l’inquinamento interessa il territorio di più comuni, la Regione
verifica l’efficacia degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza
adottati e può fissare prescrizioni ed interventi integrativi con
particolare riferimento alle misure di monitoraggio da attuare per
accertare le condizioni di inquinamento ed ai controlli da effettuare
per verificare l’efficacia degli interventi attuati a protezione della
salute pubblica e dell’ambiente circostante (…)».
17 L’art. 311, secondo comma, del d. lgs. n. 152/2006 così dispone:
«Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o
comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di
provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o
violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo,
deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al
ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento
per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato».
Cause principali e questioni pregiudiziali
18 Le presenti cause rientrano in una serie di ricorsi promossi dalle
società i cui stabilimenti costeggiano la Rada di Augusta avverso alcune
decisioni delle varie autorità amministrative italiane, mediante le
quali a dette società sono stati imposti obblighi di riparazione
dell’inquinamento accertato nel sito di interesse nazionale di Priolo.
19 Le ricorrenti nelle cause principali contestano essenzialmente a
dette autorità amministrative di aver agito unilateralmente nella
definizione delle misure di riparazione dei danni ambientali provocati
al sito citato. In particolare, esse le criticano per aver modificato,
in modo radicale e senza consultare gli interessati, alcuni progetti di
intervento approvati in precedenza dalle medesime autorità. Questi
progetti, che implicavano in particolare la realizzazione di un
confinamento di natura idraulica della falda, sarebbero già stati
avviati. Ebbene, quello che è attualmente il progetto in discussione, in
particolare la realizzazione di uno sbarramento fisico lungo tutto il
litorale marino adiacente ai siti industriali delle ricorrenti, sarebbe
radicalmente diverso e non sarebbe stato oggetto di nessuna valutazione
di impatto ambientale. Infine, è contestato all’amministrazione di aver
ingiustamente subordinato la possibilità per queste ricorrenti di
disporre dei loro siti industriali alla condizione che esse realizzino i
detti lavori, che riguarderebbero in realtà terreni o aree demaniali
diversi da quelli di cui esse sono proprietarie.
20 Adito già in precedenza dalle ricorrenti nelle cause principali, il
giudice del rinvio aveva annullato i provvedimenti adottati
dall’amministrazione, in particolare con sentenza 21 luglio 2007, n.
1254. Esso aveva rilevato infatti che, poiché i progetti definitivi
iniziali erano già stati approvati con decreto interministeriale,
circostanza che attribuiva loro carattere definitivo, ed erano in fase
di avanzata esecuzione, eventuali modifiche di detti progetti potevano
essere decise solo mediante un nuovo decreto interministeriale. Questo
giudice constatava parimenti che era illogico voler ottenere una
realizzazione più rapida dei lavori facendo appello ad una tecnologia
totalmente diversa da quella già approvata. Infine, detto tribunale
aveva giudicato che la decisione dell’amministrazione non era motivata e
non era corredata del benché minimo accertamento tecnico, e che non era
stata effettuata nessuna valutazione di impatto ambientale delle nuove
misure di riparazione imposte alle ricorrenti nelle cause principali.
21 Malgrado tale pronuncia, l’amministrazione italiana ha rinnovato
successivamente le sue richieste in merito alla realizzazione, in
particolare, di un confinamento fisico. È stato così adottato il decreto
16 aprile 2008, n. 4486, avente ad oggetto un «provvedimento finale di
adozione (…) delle determinazioni della conferenza dei servizi decisoria
relativa al sito di interesse nazionale di Priolo del 6 marzo 2008». Le
ricorrenti hanno allora adito di nuovo il giudice del rinvio, il quale
si chiede se una prassi amministrativa siffatta sia conforme al diritto
dell’Unione. Secondo questo tribunale, la situazione peculiare di
inquinamento ambientale del sito di interesse nazionale di Priolo, che
potrebbe rendere eventualmente inutile ed inconcludente un’analisi del
sito per quanto riguarda i rischi e le responsabilità, potrebbe però
giustificare il fatto che l’amministrazione, da un lato, agisca
d’ufficio, senza rispettare il principio del contraddittorio e della
motivazione degli atti, e che, dall’altro, essa imponga pertanto le
soluzioni che ritiene le più idonee a contenere gli effetti
sull’ambiente della produzione industriale.
22 È in tale contesto che il Tribunale amministrativo regionale della
Sicilia ha deciso di sospendere il procedimento e di proporre alla Corte
le seguenti questioni:
«1) Se la direttiva [2004/35], ed, in ispecie, l’articolo 7 e l’allegato
II ivi richiamato, osti ad una normativa nazionale che consenta alla
Pubblica Amministrazione di imporre, quali “ragionevoli opzioni di
riparazione del danno ambientale”, interventi sulle matrici ambientali
(costituiti, nella specie, dal “confinamento fisico” della falda lungo
tutto il fronte mare) diversi ed ulteriori rispetto a quelli prescelti
all’esito di un’apposita istruttoria in contraddittorio, già approvati,
realizzati e in corso di esecuzione.
2) Se la direttiva [2004/35], ed, in ispecie, l’articolo 7 e l’allegato
II ivi richiamato, osti ad una normativa nazionale che consenta alla
Pubblica Amministrazione di imporre, d’autorità, tali prescrizioni,
ossia senza aver valutato le condizioni [specifiche del sito], i costi
di attuazione in relazione ai benefici ragionevolmente prevedibili, i
possibili o probabili danni collaterali ed effetti avversi sulla salute
e la sicurezza pubblica, i tempi necessari alla realizzazione.
3) Se, data la specificità della situazione che esiste nel [sito di
interesse nazionale] di Priolo, la direttiva [2004/35], ed, in ispecie,
l’articolo 7 e l’allegato II ivi richiamato, osti ad una normativa
nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di imporre,
d’autorità, tali prescrizioni, quali condizioni per l’autorizzazione
all’uso legittimo di aree non direttamente interessate alla bonifica, in
quanto già bonificate o comunque non inquinate, comprese nel perimetro
del sito di interesse nazionale di Priolo».
23 Con ordinanza del presidente della Corte 21 ottobre 2008, i
procedimenti C-379/08 e C-380/08 sono stati riuniti ai fini della fase
scritta e orale del procedimento nonché ai fini della sentenza.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
24 Il governo italiano asserisce che il rinvio pregiudiziale sarebbe
irricevibile in quanto, in particolare, da un lato, le questioni
proposte implicherebbero che la Corte esamini la normativa nazionale e,
dall’altro, lo scopo del giudice del rinvio sarebbe non di risolvere la
controversia di cui è investito, bensì piuttosto di rimettere in
discussione la giurisprudenza del suo giudice di appello.
25 A questo proposito basta ricordare che, nell’ambito di un rinvio
pregiudiziale, benché non spetti alla Corte pronunciarsi sulla
compatibilità di norme del diritto interno con il diritto dell’Unione,
essa è tuttavia competente a fornire al giudice a quo tutti gli elementi
di interpretazione concernenti tale diritto, atti a consentirgli di
valutare tale compatibilità per pronunciarsi nella causa di cui è
investito (sentenza 22 maggio 2008, causa C-439/06, citiworks, Racc.
pag. I-3913, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).
26 Peraltro, il giudice che non decide in ultima istanza dev’essere
libero, segnatamente se esso ritiene che la valutazione in diritto
formulata dall’istanza superiore possa condurlo ad emettere un giudizio
contrario al diritto dell’Unione, di sottoporre alla Corte le questioni
con cui deve confrontarsi (v., in tal senso, sentenza 16 gennaio 1974,
causa 166/73, Rheinmühlen-Düsseldorf, Racc. pag. 33, punto 4).
27 In considerazione delle precedenti osservazioni, occorre esaminare le
questioni proposte dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia,
miranti a ottenere un’interpretazione delle disposizioni della direttiva
2004/35.
Sulle prime due questioni
28 Con le sue prime due questioni, che occorre esaminare congiuntamente,
il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 7 e 11, n. 4,
della direttiva 2004/35, in combinato disposto con l’allegato II alla
medesima, conferiscano all’autorità competente il potere di imporre
d’ufficio una modifica sostanziale delle misure di riparazione del danno
ambientale decise in esito a un procedimento in contraddittorio,
condotto in collaborazione con gli operatori interessati, che siano già
state eseguite o la cui esecuzione sia già stata avviata, e ciò senza
che l’imposizione di queste nuove misure sia stata preceduta da una
valutazione, da parte di detta autorità, dei costi e dei vantaggi delle
modifiche previste dal punto di vista economico, ambientale e sanitario.
29 In considerazione delle circostanze delle cause principali quali
illustrate dal giudice del rinvio e quali affrontate dal governo
italiano nonché dalla Commissione delle Comunità europee, occorre
determinare le condizioni di applicabilità ratione temporis di detta
direttiva nelle richiamate circostanze prima di risolvere le questioni
proposte.
Sull’applicabilità ratione temporis della direttiva 2004/35
30 Il governo italiano nonché la Commissione dubitano che la direttiva
2004/35 possa applicarsi ratione temporis ai fatti delle cause
principali, in quanto il danno ambientale sarebbe anteriore al 30 aprile
2007 e/o esso deriverebbe comunque da attività precedenti, che sarebbero
state ultimate prima di tale data. La Commissione fa capire, però, che
questa direttiva potrebbe applicarsi limitatamente ai danni successivi
al 30 aprile 2007 derivanti dall’attività presente degli operatori
coinvolti. Tuttavia, essa non potrebbe applicarsi a un inquinamento
anteriore a questa stessa data, causato da operatori diversi da quelli
attualmente in attività nella Rada di Augusta, ai quali si vorrebbe
addossare detto inquinamento.
31 A questo proposito, come si evince dal trentesimo ‘considerando’
della direttiva 2004/35, il legislatore dell’Unione ha ritenuto che la
normativa relativa al regime di responsabilità ambientale istituito da
questa direttiva «non si dovrebbe applicare al danno cagionato prima
dello scadere del termine per la sua attuazione», ossia prima del 30
aprile 2007.
32 Detto legislatore ha indicato espressamente, nell’art. 17 della
direttiva 2004/35, le ipotesi in cui quest’ultima non si applica. Dal
momento che le ipotesi che non rientrano nella sfera di applicazione
ratione temporis di questa direttiva sono state così definite in modo
negativo, occorre dedurne che qualsiasi altra ipotesi è soggetta, in
linea di principio, dal punto di vista cronologico, al regime di
responsabilità ambientale istituito da detta direttiva.
33 Dall’art. 17, primo e secondo trattino, della direttiva 2004/35 si
ricava che quest’ultima non si applica ai danni causati da un’emissione,
un evento o un incidente verificatosi prima del 30 aprile 2007 né a
quelli causati dopo tale data, se derivanti da una specifica attività
posta in essere e terminata prima di detta data.
34 Occorre dedurne che questa direttiva si applica ai danni causati da
un’emissione, un evento o un incidente avvenuti dopo il 30 aprile 2007
quando questi danni derivano o da attività svolte successivamente a tale
data, o da attività svolte anteriormente a tale data, ma non ultimate
prima della scadenza della medesima.
35 In forza dell’art. 267 TFUE, basato sulla netta separazione di
funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, questa può pronunciarsi
unicamente sull’interpretazione o sulla validità di un testo normativo
dell’Unione sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale. Ne
consegue che non spetta alla Corte, nell’ambito di un procedimento ai
sensi dell’articolo citato, ma al giudice nazionale l’applicazione ad
atti o fatti di carattere nazionale delle norme del diritto dell’Unione
di cui la Corte abbia fornito l’interpretazione (v. sentenza 11
settembre 2008, causa C-279/06, CEPSA, Racc. pag. I-6681, punto 28).
36 Spetta pertanto al giudice del rinvio verificare, in base ai fatti
che esso solo è in grado di valutare, se, nelle cause principali, i
danni oggetto delle misure di riparazione ambientale decise dalle
autorità nazionali competenti rientrino in una delle ipotesi elencate
nel punto 34 della presente sentenza.
37 Qualora detto giudice dovesse giungere alla conclusione che la
direttiva 2004/35 non è applicabile nella causa di cui è investito,
un’ipotesi del genere dovrà essere allora disciplinata dall’ordinamento
nazionale, nel rispetto delle norme del Trattato e fatti salvi altri
eventuali atti di diritto derivato.
38 A questo proposito, l’art. 174 CE ricorda che la politica della
Comunità europea in materia ambientale mira a un livello elevato di
protezione e si basa, segnatamente, sul principio «chi inquina paga».
Questa disposizione si limita pertanto a definire gli obiettivi generali
della Comunità in materia ambientale, mentre l’art. 175 CE affida il
compito di decidere le azioni da avviare al Consiglio dell’Unione
europea, eventualmente applicando la procedura di codecisione con il
Parlamento europeo (v., in tal senso, sentenza 14 luglio 1994, causa
C-379/92, Peralta, Racc. pag. I-3453, punti 57 e 58).
39 Dal momento che l’art. 174 CE, che contiene il principio «chi inquina
paga», è rivolto all’azione della Comunità, questa disposizione non può
essere invocata in quanto tale dai privati al fine di escludere
l’applicazione di una normativa nazionale, quale quella oggetto delle
cause principali, emanata in una materia rientrante nella politica
ambientale, quando non sia applicabile nessuna normativa comunitaria
adottata in base all’art. 175 CE, che disciplini specificamente
l’ipotesi di cui trattasi.
40 Se e in quanto il giudice del rinvio giunga alla conclusione che, da
un lato, la direttiva 2004/35 è applicabile ratione temporis nelle cause
principali e che, dall’altro, sono soddisfatte le condizioni di
applicazione ratione materiae della citata direttiva, in particolare
quelle precisate nei punti 53-59 della sentenza 9 marzo 2010, causa
C-378/08, ERG e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta), occorre
affrontare le questioni pregiudiziali nel modo seguente.
Sulle modalità di adozione di misure di riparazione ai sensi della
direttiva 2004/35
- Osservazioni presentate alla Corte
41 Le ricorrenti nelle cause principali affermano sostanzialmente che,
nel sistema della direttiva 2004/35, la definizione delle misure di
riparazione ambientale dovrebbe essere fatta su proposta degli operatori
interessati o, quanto meno, dopo una loro consultazione. Ne
conseguirebbe che l’autorità competente non potrebbe modificare,
unilateralmente e senza consultare detti operatori, misure di
riparazione del danno ambientale già approvate dalla stessa autorità, e
ciò tanto più quando le misure di riparazione iniziali siano state già
oggetto di un principio di esecuzione e consentirebbero di raggiungere
lo scopo di riparare l’ambiente ed eliminare qualsiasi grave rischio di
incidenza negativa sulla salute umana.
42 Inoltre, nella definizione delle misure di riparazione ambientale,
l’autorità competente sarebbe tenuta a procedere a un’analisi
costi-benefici delle misure ipotizzate nonché della loro fattibilità
tecnica, in quanto potrebbero essere validamente scelte solo «opzioni
ragionevoli di riparazione», ossia non sproporzionate e basate sulle
«migliori tecnologie disponibili». Infine, questa autorità dovrebbe
tener conto parimenti dei danni potenziali che le misure di riparazione
potrebbero provocare esse stesse sull’ambiente e sulla salute delle
persone.
43 Il governo italiano ritiene che la sua normativa sia conforme
all’art. 7 della direttiva 2004/35, poiché l’autorità competente
potrebbe prescrivere non solo misure di riparazione conformi a quelle di
cui all’allegato II a questa direttiva, ma anche misure più onerose,
eventualmente diverse da quelle adottate su proposta degli operatori
interessati in esito a un confronto in contraddittorio. Nelle cause
principali, la circostanza che non ci sia stato un confronto in
occasione delle misure successivamente adottate da detta autorità non
sarebbe assolutamente in contrasto con le prescrizioni della citata
direttiva.
44 La Commissione ritiene che, anche ammettendo che la direttiva 2004/35
sia applicabile alle cause principali, quest’ultima non osti a un
intervento unilaterale dell’autorità competente. Infatti, gli artt. 6,
n. 2, e 7, n. 2, di questa direttiva conferirebbero a una siffatta
autorità un ampio potere discrezionale in sede di definizione delle
misure di riparazione ambientale adeguate, poiché sarebbe previsto che
la determinazione di queste ultime avvenga solo «se necessario, in
cooperazione con l’operatore interessato». L’allegato II a detta
direttiva non prevederebbe forme specifiche e vincolanti di riparazione,
né specifiche modalità procedurali a tale riguardo. Quest’allegato si
limiterebbe soltanto a determinare i criteri e gli scopi da raggiungere
nella scelta delle misure più idonee.
45 Inoltre, l’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/35 consentirebbe agli
Stati membri di mantenere o adottare discipline nazionali più rigorose
in materia di responsabilità ambientale, e ciò alle condizioni previste
dall’art. 176 CE. Benché, ai sensi dell’art. 7, n. 4, della medesima
direttiva, l’autorità competente debba invitare «le persone sul cui
terreno si dovrebbero effettuare le misure di riparazione a presentare
le loro osservazioni e [debba prenderle] in considerazione», la
Commissione reputa che questa autorità non sia però vincolata da
siffatte osservazioni, a condizione però che le modalità prescelte, ai
sensi dell’allegato II a questa direttiva, consentano di raggiungere gli
scopi ambientali stabiliti dalla direttiva.
- Risposta della Corte
46 Nel sistema degli artt. 6 e 7 della direttiva 2004/35, spetta in
linea di principio all’operatore che sia all’origine del danno
ambientale di prendere l’iniziativa di proporre misure di riparazione
che esso reputi adeguate alla situazione. In considerazione della
conoscenza che si pensa che l’operatore abbia della natura del danno
provocato all’ambiente dalla sua attività, un sistema del genere può
consentire la definizione ed esecuzione rapide di misure di riparazione
ambientale opportune.
47 Così, dall’art. 6, n. 1, della direttiva 2004/35 si ricava che,
quando si sia prodotto un danno ambientale, l’operatore informa
senz’indugio l’autorità competente e adotta, in particolare, le misure
di riparazione necessarie, conformemente all’art. 7 di questa direttiva.
48 Tuttavia, a norma del n. 2 del medesimo art. 6, questa autorità, in
particolare, può obbligare, in qualsiasi momento, l’operatore ad
adottare le misure di riparazione necessarie, dargli le istruzioni da
seguire per realizzare le medesime o addirittura, in mancanza di altre
alternative, adottare essa stessa queste misure.
49 Inoltre, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 2004/35,
l’autorità competente decide le misure di riparazione da attuare
conformemente all’allegato II a questa direttiva e ciò, se necessario,
in cooperazione con l’operatore interessato.
50 Secondo l’art. 11 di detta direttiva, l’obbligo di determinare le
misure di riparazione da adottare a norma dell’allegato II alla citata
direttiva spetta, in ogni caso e in ultima istanza, all’autorità
competente.
51 Alla luce di tutto ciò, occorre considerare che, come rilevato
dall’avvocato generale nei paragrafi 141 e 142 delle sue conclusioni,
l’autorità competente è parimenti legittimata a modificare, anche
d’ufficio, ossia persino in mancanza di una proposta iniziale da parte
dell’operatore, misure di riparazione ambientale precedentemente
disposte. Infatti, quest’autorità può essere indotta a constatare in
pratica, segnatamente, la necessità di un’azione supplementare rispetto
a quella già decisa, ossia può giungere alla conclusione che le misure
inizialmente disposte si rivelino inefficaci e che ne siano necessarie
altre per porre rimedio a un determinato inquinamento ambientale.
52 A questo proposito, si evince tuttavia dal ventiquattresimo
‘considerando’ della direttiva 2004/35 che, in sede di applicazione ed
esecuzione di mezzi efficaci diretti ad applicare il regime di
responsabilità ambientale previsto da questa direttiva, occorre
garantire un’adeguata tutela dei legittimi interessi degli operatori e
delle altre parti interessate.
53 Mentre l’art. 7, n. 4, di detta direttiva obbliga l’autorità
competente, in qualunque caso, ad invitare in particolare le persone sui
cui terreni devono essere eseguite misure di riparazione a presentare le
loro osservazioni, di cui essa deve tener conto, lo stesso art. 7, in
particolare il n. 2 del medesimo, non contiene una formula analoga
riguardo all’operatore interessato dalle misure di riparazione che detta
autorità programmi di imporgli.
54 Tuttavia, il principio del contraddittorio, di cui la Corte
garantisce il rispetto, impone all’autorità pubblica di sentire gli
interessati prima dell’adozione di una decisione che li riguardi (v.
sentenza 13 settembre 2007, cause riunite C-439/05 P e C-454/05 P, Land
Oberösterreich e Austria/Commissione, Racc. pag. I-7141, punto 35 e
giurisprudenza ivi citata).
55 Alla luce di ciò, benché un diritto dell’operatore interessato ad
essere ascoltato in qualsiasi caso non sia stato espressamente citato
nell’art. 7, n. 2, della direttiva 2004/35, si deve riconoscere che
questa disposizione non può essere interpretata nel senso che, in sede
di definizione delle misure di riparazione, comprese quelle di cui
all’art. 6, n. 2, lett. c) e d), di questa direttiva, l’autorità
competente non sia tenuta ad ascoltare detto operatore.
56 Ne consegue che, al fine di modificare sostanzialmente misure di
riparazione ambientale che l’autorità competente abbia già approvato,
modificazioni che quest’ultima è autorizzata ad adottare in forza della
direttiva 2004/35, l’art. 7, n. 2, della medesima impone a detta
autorità di ascoltare gli operatori ai quali siano imposte misure del
genere, salvo quando l’urgenza della situazione ambientale imponga
un’azione immediata dell’autorità competente. Inoltre, conformemente al
n. 4 di questo stesso art. 7, questa autorità dovrà invitare, in
particolare, le persone sui cui terreni queste misure dovranno essere
applicate a presentare le loro osservazioni, di cui essa deve tener
conto.
57 Per quanto concerne i dati da prendere in considerazione in sede di
applicazione delle misure di riparazione necessarie, dagli artt. 7, n.
2, e 11, n. 2, della direttiva 2004/35 si evince che spetta all’autorità
competente valutare la rilevanza dei danni e decidere queste misure,
conformemente all’allegato II a questa direttiva.
58 L’allegato II alla direttiva 2004/35 stabilisce criteri comuni che
l’autorità competente deve applicare per scegliere le misure più idonee
ad assicurare la riparazione dei danni ambientali. Il punto 1.3.1 di
questo allegato afferma che le opzioni di riparazione «dovrebbero essere
valutate usando le migliori tecnologie disponibili», qualora siano
definite in base a una serie di criteri specificati nel medesimo punto.
59 Il legislatore dell’Unione non ha definito in modo preciso e
dettagliato la metodologia esatta che l’autorità competente deve seguire
in sede di decisione delle misure di riparazione, in particolare a causa
del fatto che, come si evince dal ventiquattresimo ‘considerando’ della
direttiva 2004/35, al fine di adempiere i compiti ad essa attribuiti nel
sistema di questa direttiva, detta autorità deve poter disporre di un
potere discrezionale adeguato al fine di valutare la rilevanza dei danni
e determinare le misure di riparazione da adottare. Tuttavia, l’allegato
II alla stessa direttiva elenca a tal fine alcuni elementi giudicati
rilevanti da detto legislatore che, di conseguenza, devono essere tenuti
in considerazione dall’autorità competente, senza però che siano
indicate le conseguenze che quest’autorità debba ricavarne in un’ipotesi
concreta di inquinamento.
60 A questo proposito, allorché l’autorità competente, nell’esercizio
delle sue attribuzioni, è chiamata a compiere valutazioni complesse, il
potere discrezionale di cui gode si applica parimenti, in una
determinata misura, all’accertamento degli elementi in fatto alla base
della sua azione [v., per analogia, sentenze 29 ottobre 1980, causa
138/79, Roquette Frères/Consiglio, Racc. pag. 3333, punto 25; 21 gennaio
1999, causa C-120/97, Upjohn, Racc. pag. I-223, punto 34, e 15 ottobre
2009, causa C-425/08, Enviro Tech (Europe), non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 62].
61 Inoltre, nell’esercizio di questo potere discrezionale, detta
autorità ha l’obbligo di esaminare in modo accurato e imparziale tutti
gli elementi rilevanti della fattispecie (v., per analogia, sentenze 21
novembre 1991, causa C-269/90, Technische Universität München, Racc.
pag. I-5469, punto 14, e 6 novembre 2008, causa C-405/07 P, Paesi
Bassi/Commissione, Racc. pag. I-8301, punto 56).
62 Alla luce di ciò, quando sorge il problema della scelta tra diverse
opzioni di riparazione, cosa che avviene quando l’autorità competente
pensa di modificare misure di riparazione da essa adottate
precedentemente, spetta all’autorità competente, conformemente all’art.
7, n. 2, della direttiva 2004/35, in combinato disposto con il punto
1.3.1 dell’allegato II a quest’ultima, valutare ogni singola opzione in
base, in particolare, ai criteri elencati in detto punto.
63 Pertanto, quando l’autorità competente pensa di modificare
sostanzialmente misure di riparazione del danno ambientale, decise in
esito ad un procedimento in contraddittorio svolto in collaborazione con
gli operatori interessati e già eseguite o la cui esecuzione sia già
stata avviata, ossia in caso di mutamento dell’opzione di riparazione,
quest’autorità è obbligata, in linea di principio, a prendere in
considerazione i criteri di cui al punto 1.3.1 dell’allegato II alla
direttiva 2004/35 e, inoltre, conformemente all’art. 11, n. 4, della
medesima, essa deve indicare, nella decisione che adotta a questo
proposito, le ragioni specifiche che motivino la sua scelta nonché,
eventualmente, quelle in grado di giustificare il fatto che non fosse
necessario o possibile effettuare un esame circostanziato alla luce dei
detti criteri a causa, ad esempio, dell’urgenza della situazione
ambientale.
64 In particolare, l’autorità competente deve vigilare affinché
l’opzione accolta alla fine consenta realmente di raggiungere risultati
migliori dal punto di vista ambientale, senza con ciò esporre gli
operatori interessati a costi manifestamente sproporzionati rispetto a
quelli che essi dovevano o avrebbero dovuto sostenere nel quadro della
prima opzione accolta da detta autorità. Considerazioni siffatte non
valgono però quando quest’ultima è in grado di dimostrare che l’opzione
inizialmente accolta si è rivelata comunque inadeguata a riparare,
risanare o sostituire le risorse naturali danneggiate o i servizi
deteriorati ai sensi dell’art. 2, punto 11, della direttiva 2004/35.
65 Infine, uno Stato membro non può validamente invocare l’art. 16, n.
1, della direttiva 2004/35, ossia il perseguimento del medesimo
obiettivo di tutela dell’ambiente fissato da questa direttiva (v.
sentenza 14 aprile 2005, causa C-6/03, Deponiezweckverband Eiterköpfe,
Racc. pag. I-2753, punto 41), in un’ipotesi in cui esso manterrebbe,
adotterebbe norme o autorizzerebbe una prassi che consenta all’autorità
competente di svincolarsi, da un lato, dal rispetto del diritto degli
operatori di essere ascoltati e dall’obbligo di invitare le persone sui
cui terreni debbano essere poste in esecuzione misure di riparazione a
presentare le loro osservazioni nonché, dall’altro, dall’obbligo di
procedere a un esame circostanziato delle opzioni possibili di
riparazione ambientale.
66 Infatti, da una parte, il diritto degli operatori di essere ascoltati
e quello delle persone i cui terreni siano interessati da misure di
riparazione di presentare osservazioni appaiono come una protezione
minima, garantita dalla direttiva 2004/35, che non può essere
ragionevolmente rimessa in discussione. Dall’altra, una decisione
riguardante la scelta di un’opzione di riparazione ambientale, adottata
dall’autorità competente senza svolgere un esame circostanziato della
situazione alla luce dei criteri indicati nel punto 1.3.1 dell’allegato
II alla direttiva 2004/35 potrebbe condurre, in violazione degli
obiettivi di quest’ultima, a una valutazione inadeguata della rilevanza
dei danni e/o delle misure di riparazione da adottare.
67 Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre risolvere le prime due
questioni dichiarando che gli artt. 7 e 11, n. 4, della direttiva
2004/35, in combinato disposto con l’allegato II alla medesima, devono
essere interpretati nel senso che l’autorità competente ha il potere di
modificare sostanzialmente misure di riparazione del danno ambientale
decise in esito a un procedimento in contraddittorio, condotto in
collaborazione con gli operatori interessati, che siano già state poste
in esecuzione o la cui esecuzione sia già stata avviata. Tuttavia, al
fine di adottare una siffatta decisione:
- questa autorità è obbligata ad ascoltare gli operatori ai quali sono
imposte misure del genere, salvo quando l’urgenza della situazione
ambientale imponga un’azione immediata da parte dell’autorità
competente;
- detta autorità è tenuta parimenti ad invitare, in particolare, le
persone sui cui terreni queste misure devono essere poste in esecuzione
a presentare le loro osservazioni, di cui essa deve tener conto, e
- questa autorità deve tener conto dei criteri di cui al punto 1.3.1
dell’allegato II alla direttiva 2004/35 e indicare, nella sua decisione,
le ragioni specifiche che motivino la sua scelta nonché, eventualmente,
quelle in grado di giustificare il fatto che non fosse necessario o
possibile effettuare un esame circostanziato alla luce dei detti criteri
a causa, ad esempio, dell’urgenza della situazione ambientale.
Sulla terza questione
68 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio desidera sapere se
la direttiva 2004/35 debba essere interpretata nel senso che essa osta a
una normativa nazionale, la quale consenta all’autorità competente di
subordinare l’esercizio del diritto degli operatori destinatari di
misure di riparazione ambientale all’utilizzo dei loro terreni alla
condizione che essi realizzino i lavori imposti da queste ultime, e ciò
persino quando detti terreni non siano interessati da tali misure perché
sono già stati oggetto di precedenti misure di bonifica o non sono mai
stati inquinati.
Osservazioni presentate alla Corte
69 Le ricorrenti nelle cause principali sostengono che, quando un
terreno sia stato oggetto di una bonifica o non sia mai stato inquinato,
l’autorità competente non disporrebbe assolutamente del potere di
subordinare l’uso di questo terreno alla realizzazione di misure di
riparazione ambientale riguardanti un sito diverso, nel caso di specie
il litorale marino e il suo sottosuolo. Una prassi siffatta limiterebbe
eccessivamente il loro diritto di proprietà e sarebbe pertanto contraria
al principio di proporzionalità. L’interesse stesso di un operatore
all’esecuzione di una misura di riparazione ambientale consisterebbe
proprio nella prospettiva di una ripresa dell’attività produttiva sul
suo terreno. Inoltre, i terreni delle ricorrenti nelle cause principali
sarebbero già stati risanati, o addirittura non sarebbero nemmeno mai
stati inquinati. Infine, queste restrizioni verrebbero imposte malgrado
esse avessero effettuato spontaneamente i lavori di risanamento sui loro
terreni e non siano responsabili dell’inquinamento in questione.
70 Il governo italiano ritiene che la prassi dell’autorità competente,
consistente nel subordinare l’uso dei terreni delle ricorrenti nelle
cause principali alla condizione che esse eseguano le misure di
riparazione ambientale, sia pienamente legittima e compatibile con la
normativa dell’Unione. Una prassi siffatta risponderebbe parimenti al
principio di precauzione poiché, se gli operatori interessati potessero
utilizzare le zone bonificate senza restrizioni, essi potrebbero allora
realizzare altre infrastrutture industriali, circostanza che
costituirebbe un ostacolo insormontabile alla realizzazione delle misure
di riparazione decise da quest’autorità.
71 Secondo la Commissione, la direttiva 2004/35 non osta a che
l’autorità competente imponga a un operatore misure di bonifica
ambientale e subordini l’autorizzazione per quest’ultimo di utilizzare i
suoi terreni non direttamente interessati dal risanamento alla
realizzazione di queste misure. Essa sostiene che misure siffatte
potrebbero persino essere escluse dalla sfera d’applicazione del diritto
dell’Unione.
Risposta della Corte
72 Anzitutto occorre rilevare, in primo luogo, che, come si ricava dalle
indicazioni del giudice del rinvio, l’inquinamento in questione nelle
cause principali riveste un carattere del tutto eccezionale, sia per le
sue dimensioni sia per la gravità dei danni arrecati all’ambiente.
73 In secondo luogo, occorre ricordare che, anche se, come sostengono le
ricorrenti nelle cause principali, i loro terreni non sono interessati
dalle misure di riparazione in questione poiché essi sono già stati
oggetto di precedenti misure di bonifica o non sono mai stati inquinati,
ciò nondimeno questi terreni sono adiacenti a tutto il litorale che
costituisce oggetto di dette misure di riparazione e che nuove attività
avviate sui detti terreni potrebbero rendere più difficile il
risanamento della zona nel suo complesso.
74 Come già chiarito nei punti 37 e 40 della presente sentenza, qualora
il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che la direttiva
2004/35 non è applicabile ratione temporis e/o ratione materiae
nell’ambito delle cause di cui è investito, una situazione del genere
dovrà essere allora disciplinata dal diritto nazionale, nel rispetto
delle norme del Trattato e fatti salvi altri eventuali atti di diritto
derivato.
75 Se viceversa detta direttiva dovesse essere applicabile, occorre
sottolineare che, nel sistema della medesima, gli operatori sono
soggetti ad obblighi sia di prevenzione sia di riparazione. Pertanto,
proprio in forza del principio di precauzione e come si ricava dal
secondo ‘considerando’ della stessa direttiva, questi operatori, da un
lato, devono adottare le misure preventive necessarie per evitare il
verificarsi di un danno ambientale.
76 Dall’altro, quando si sono verificati danni ambientali, come nelle
cause principali, l’art. 6, n. 1, della direttiva 2004/35 prevede che
gli operatori devono adottare, in particolare, le misure di riparazione
necessarie conformemente all’art. 7 di questa direttiva. Se del caso,
l’autorità competente dispone di prerogative per costringerli a ciò o
adottare essa stessa misure di tal genere.
77 Nelle cause principali, le ricorrenti si oppongono alle misure decise
dalle autorità italiane, invocando la circostanza che queste ultime non
riguardano i terreni da esse occupati, che sono già stati oggetto
peraltro di bonifica. Tuttavia, secondo queste stesse autorità,
l’inquinamento che colpisce la Rada di Augusta proverrebbe dai detti
terreni, poiché esso si sarebbe propagato in mare.
78 In circostanze eccezionali del tipo di quelle descritte nei punti 72
e 73 della presente sentenza, la direttiva 2004/35 dev’essere
interpretata nel senso che essa consente all’autorità competente di
chiedere agli operatori dei terreni adiacenti a tutto il litorale
oggetto delle misure di riparazione di realizzare essi stessi dette
misure.
79 La direttiva 2004/35 non precisa le modalità secondo le quali
l’autorità competente può costringere gli operatori interessati ad
adottare le misure di riparazione da essa decise. Alla luce di ciò,
spetta a ciascuno Stato membro determinare modalità del genere che
devono, da un lato, tendere alla realizzazione dello scopo di questa
direttiva quale definito dal suo art. 1, ossia prevenire e riparare i
danni ambientali, e, dall’altro, rispettare il diritto dell’Unione,
segnatamente i principi generali del medesimo.
80 Quanto alla lesione del loro diritto di proprietà, lamentato dalle
ricorrenti nelle cause principali, si deve ricordare che, secondo una
giurisprudenza costante, il diritto di proprietà fa parte dei principi
generali del diritto dell’Unione. Esso tuttavia non costituisce una
prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione
sociale. Ne consegue che possono essere apportate restrizioni
all’esercizio del diritto di proprietà, purché tali restrizioni
rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti
dall’Unione e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un
intervento sproporzionato e inaccettabile che leda la sostanza stessa
del diritto così garantito (sentenze 13 dicembre 1979, causa 44/79,
Hauer, Racc. pag. 3727, punto 23; 11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder
HS Kraftfutter, Racc. pag. 2237, punto 15; 29 aprile 1999, causa
C-293/97, Standley e a., Racc. pag. I-2603, punto 54, nonché 3 settembre
2008, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, Kadi e Al Barakaat
International Foundation/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-6351,
punto 355).
81 Per quanto concerne gli obiettivi di interesse generale
precedentemente menzionati, risulta parimenti da una giurisprudenza
costante che la tutela dell’ambiente compare tra tali obiettivi (v.
sentenze 7 febbraio 1985, causa 240/83, ADBHU, Racc. pag. 531, punto 13;
20 settembre 1988, causa 302/86, Commissione/Danimarca, Racc. pag. 4607,
punto 8, e 2 aprile 1998, causa C-213/96, Outokumpu, Racc. pag. I-1777,
punto 32).
82 Alla luce di ciò, subordinare il diritto degli operatori interessati
all’uso dei loro terreni alla condizione che essi eseguano le misure
necessarie di riparazione dell’ambiente può apparire giustificato al
fine di obbligarli ad adottare effettivamente tali misure.
83 A questo proposito, come giustamente sostenuto dal governo italiano,
è legittimo per l’autorità competente, in attesa che siano realizzate le
misure di riparazione ambientale da essa decise, di adottare ogni misura
idonea ad impedire il peggioramento della situazione ambientale dove
dette misure sono poste in esecuzione o, meglio, in applicazione del
principio di precauzione, a prevenire il verificarsi o il ripetersi di
altri danni ambientali nei siti limitrofi a quelli oggetto di dette
misure.
84 Infatti, subordinare l’uso dei terreni degli operatori interessati
alla realizzazione, da parte di questi ultimi, di misure di riparazione
aventi ad oggetto siti limitrofi a tali terreni può apparire necessario
al fine di evitare che altre attività industriali, che potrebbero
aggravare i danni in questione o intralciare la riparazione dei
medesimi, vengano avviate attorno a detti siti il cui risanamento si
riveli necessario.
85 Ne consegue che spetta al giudice del rinvio verificare a questo
riguardo se, nelle cause principali, la sospensione di talune
prerogative attinenti al diritto di proprietà degli operatori sui loro
terreni sia giustificata dallo scopo di impedire il peggioramento della
situazione ambientale dove le misure di riparazione ambientale sono
poste in esecuzione, ossia nella rada, o, in applicazione del principio
di precauzione, dallo scopo di prevenire il verificarsi o il ripetersi
di altri danni ambientali nei detti terreni, limitrofi all’intero
litorale oggetto di queste misure di riparazione.
86 Occorre però esaminare se misure di tal genere, consentite dalla
normativa nazionale, non eccedano i limiti di ciò che è idoneo e
necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla
normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una
scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno
restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere
sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., in tal senso,
sentenze 5 giugno 2008, causa C-534/06, Industria Lavorazione Carni
Ovine, Racc. pag. I-4129, punto 25, e 11 giugno 2009, causa C-170/08,
Nijemeisland, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 41).
87 A questo proposito, è giocoforza constatare che, conformemente alla
direttiva 2004/35, gli operatori interessati sono tenuti ad eseguire le
misure di riparazione decise dall’autorità competente e che quest’ultima
deve poterli obbligare a farlo.
88 Indubbiamente, in conformità agli artt. 6, n. 2, lett. e), e 8, n. 2,
primo comma, di detta direttiva, l’autorità competente ha facoltà di
adottare essa stessa le misure di riparazione necessarie e di recuperare
i costi di misure siffatte mediante cauzione o altre garanzie idonee.
89 Tuttavia, occorre sottolineare che si tratta in questo caso di una
facoltà concessa all’autorità competente, la quale può preferire di
obbligare gli operatori interessati a porre in esecuzione le misure di
riparazione necessarie piuttosto che farlo essa stessa.
90 Inoltre, la lesione arrecata al diritto di proprietà di detti
operatori è limitata al loro diritto di uso dei loro terreni e rimane
temporanea nel senso che, una volta eseguite le misure di riparazione
loro imposte dalle autorità competenti, essi potranno recuperare il
pieno godimento delle prerogative attinenti ai loro diritti di
proprietà.
91 Alla luce di ciò, siffatte misure dell’autorità competente non
sembrano eccedere quanto necessario al raggiungimento dello scopo
fondamentale della direttiva 2004/35, di prevenire e riparare i danni
ambientali, che implica, nel caso di specie, che gli operatori
interessati pongano in esecuzione le misure di riparazione decise da
detta autorità.
92 Pertanto, occorre risolvere la terza questione dichiarando che, in
circostanze quali quelle di cui alle cause principali, la direttiva
2004/35 non osta a una normativa nazionale la quale consenta
all’autorità competente di subordinare l’esercizio del diritto degli
operatori destinatari di misure di riparazione ambientale all’utilizzo
dei loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori imposti da
queste ultime, e ciò persino quando detti terreni non siano interessati
da tali misure perché sono già stati oggetto di precedenti misure di
bonifica o non sono mai stati inquinati. Tuttavia, una misura siffatta
dev’essere giustificata dallo scopo di impedire il peggioramento della
situazione ambientale dove dette misure sono poste in esecuzione oppure,
in applicazione del principio di precauzione, dallo scopo di prevenire
il verificarsi o il ripetersi di altri danni ambientali nei detti
terreni degli operatori, limitrofi all’intero litorale oggetto di dette
misure di riparazione.
Sulle spese
93 Nei confronti delle parti nelle cause principali il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Gli artt. 7 e 11, n. 4, della direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 21 aprile 2004, 2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in
materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, in combinato
disposto con l’allegato II alla medesima, devono essere interpretati nel
senso che l’autorità competente ha il potere di modificare
sostanzialmente misure di riparazione del danno ambientale decise in
esito a un procedimento in contraddittorio, condotto in collaborazione
con gli operatori interessati, che siano già state poste in esecuzione o
la cui esecuzione sia già stata avviata. Tuttavia, al fine di adottare
una siffatta decisione:
- questa autorità è obbligata ad ascoltare gli operatori ai quali sono
imposte misure del genere, salvo quando l’urgenza della situazione
ambientale imponga un’azione immediata da parte dell’autorità
competente;
- detta autorità è tenuta parimenti ad invitare, in particolare, le
persone sui cui terreni queste misure devono essere poste in esecuzione
a presentare le loro osservazioni, di cui essa deve tener conto, e
- questa autorità deve tener conto dei criteri di cui al punto 1.3.1
dell’allegato II alla direttiva 2004/35 e indicare, nella sua decisione,
le ragioni specifiche che motivino la sua scelta nonché, eventualmente,
quelle in grado di giustificare il fatto che non fosse necessario o
possibile effettuare un esame circostanziato alla luce dei detti criteri
a causa, ad esempio, dell’urgenza della situazione ambientale.
2) In circostanze quali quelle di cui alle cause principali, la
direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale la quale consenta
all’autorità competente di subordinare l’esercizio del diritto degli
operatori destinatari di misure di riparazione ambientale all’utilizzo
dei loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori imposti da
queste ultime, e ciò persino quando detti terreni non siano interessati
da tali misure perché sono già stati oggetto di precedenti misure di
bonifica o non sono mai stati inquinati. Tuttavia, una misura siffatta
dev’essere giustificata dallo scopo di impedire il peggioramento della
situazione ambientale dove dette misure sono poste in esecuzione oppure,
in applicazione del principio di precauzione, dallo scopo di prevenire
il verificarsi o il ripetersi di altri danni ambientali nei detti
terreni degli operatori, limitrofi all’intero litorale oggetto di dette
misure di riparazione.
Firme
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