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CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. I, 03/06/2010, Sentenza C-484/08
DIRITTO DEI CONSUMATORI - Contratti stipulati con i consumatori -
Clausole che definiscono l’oggetto principale del contratto - Controllo
giurisdizionale del loro carattere abusivo - Esclusione - Disposizioni
nazionali più severe per garantire un più elevato livello di protezione per
il consumatore - Artt. 4, n. 2, e 8 Direttiva 93/13/CEE. Gli artt. 4, n.
2, e 8 della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente
le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, debbono
essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale,
come quella in questione nella causa principale, che autorizza un controllo
giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti
sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione
tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o beni che devono
essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate
in modo chiaro e comprensibile. Inoltre, gli artt. 2 CE, 3, n. 1, lett. g),
CE e 4, n. 1, CE non ostano ad un’interpetazione degli artt. 4, n. 2, e 8
della direttiva secondo la quale gli Stati membri possono adottare una
normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere
abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto
principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la
remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in
cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e
comprensibile. domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai
sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunal Supremo (Spagna) nella causa Caja de
Ahorros y Monte de Piedad de Madrid c. Asociación de Usuarios de Servicios
Bancarios (Ausbanc). CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. I, 03/06/2010, Sentenza
C-484/08
DIRITTO PROCESSUALE COMUNITARIO - Separazione di funzioni tra i giudici
nazionali e la Corte - Pronuncia pregiudiziale - Interpretazione del diritto
comunitario - Competenza - Procedimento ex art. 267 TFUE. Nell’ambito di
un procedimento ex art. 267 TFUE, basato sulla netta separazione di funzioni
tra i giudici nazionali e la Corte, il giudice del rinvio è l’unico
competente a conoscere dei fatti della controversia sottopostagli nonché ad
interpretare ed a applicare il diritto nazionale. Parimenti spetta
esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia
e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione
giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della
causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado
di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che
sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano
l’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è
tenuta a pronunciarsi (v. sentenze 12/04/2005, causa C-145/03, Keller, e
18/07/2007, causa C-119/05, Lucchini, nonché 11/09/2008, causa C-11/07,
Eckelkamp e a.). Così, benché la Corte abbia anche affermato che, in ipotesi
eccezionali, le spetta esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice
nazionale al fine di verificare la propria competenza (v., in questo senso,
sentenze 16/12/1981, causa 244/80, Foglia, e 19/11/2009, causa C-314/08,
Filipiak), la Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione
pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti
manifestamente che la disposizione del diritto dell’Unione sottoposta
all’interpretazione della Corte non può essere applicata (v. sentenze
5/12/1996, causa C-85/95, Reisdorf, e 1°/10/2009, causa C-567/07,
Woningstichting Sint Servatius). domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunal Supremo (Spagna) nella
causa Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid c. Asociación de Usuarios
de Servicios Bancarios (Ausbanc). CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. I,
03/06/2010, Sentenza C-484/08
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
3 giugno 2010 (*)
«Direttiva 93/13/CEE - Contratti stipulati con i consumatori - Clausole
che definiscono l’oggetto principale del contratto - Controllo
giurisdizionale del loro carattere abusivo - Esclusione - Disposizioni
nazionali più severe per garantire un più elevato livello di protezione
per il consumatore»
Nel procedimento C-484/08,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunal Supremo (Spagna), con
decisione 20 ottobre 2008, pervenuta in cancelleria il 10 novembre 2008,
nella causa
Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid
contro
Asociación de Usuarios de Servicios Bancarios (Ausbanc),
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dai sigg. A. Tizzano (relatore), presidente di sezione, facente
funzione di presidente della Prima Sezione, E. Levits, dalla sig.ra C.
Toader, dai sigg. M. Ilešic e J.-J. Kasel, giudici
avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10
settembre 2009,
considerate le osservazioni presentate:
- per la Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, dall’avv. M.
Merola, avvocato e dall’avv. J. Cadarso Palau, abogado;
- per l’Asociación de Usuarios de Servicios Bancarios (Ausbanc), dalla
sig.ra J. Rodríguez Teijeiro, procuradora, nonché dagli avv.ti L. Pineda
Salido e M. Mateos Ferres, abogados;
- per il governo spagnolo, dai sigg. J. López-Medel Bascones e M. Muñoz
Pérez, in qualità di agenti;
- per il governo tedesco, dal sig. M. Lumma e dalla sig.ra J. Kemper, in
qualità di agenti;
- per il governo austriaco, dal sig. E. Riedl, in qualità di agente;
- per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes, nonché dalle
sig.re H. Almeida e P. Contreiras, in qualità di agenti;
- per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. E. Gippini
Fournier e W. Wils, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 29 ottobre 2009,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli
artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993,
93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i
consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la
Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (in prosieguo: la «Caja de
Madrid») e l’Asociación de Usuarios de Servicios Bancarios (associazione
spagnola degli utenti dei servizi bancari; in prosieguo: l’«Ausbanc»)
riguardo alla legittimità di una clausola inserita dalla Caja de Madrid
nei contratti di mutuo a tasso di interesse variabile stipulati con i
suoi clienti e destinati all’acquisto di alloggi.
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
3 I ‘considerando’ dodicesimo e diciannovesimo della direttiva enunciano
quanto segue:
«considerando tuttavia che per le legislazioni nazionali nella loro
forma attuale è concepibile solo un’armonizzazione parziale; che, in
particolare, sono oggetto della (...) direttiva soltanto le clausole non
negoziate individualmente; che pertanto occorre lasciare agli Stati
membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato [CEE], un
più elevato livello di protezione per i consumatori mediante
disposizioni nazionali più severe di quelle della (...) direttiva;
(…)
considerando che, ai fini della (...) direttiva, la valutazione del
carattere abusivo non deve vertere su clausole che illustrano l’oggetto
principale del contratto o il rapporto qualità/prezzo della fornitura o
della prestazione; che, nella valutazione del carattere abusivo di altre
clausole, si può comunque tener conto dell’oggetto principale del
contratto e del rapporto qualità/prezzo (...)»
4 L’art. 3 della direttiva prevede:
«1. Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato
individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona
fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio
dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.
2. Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato
individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare
nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di
conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.
Il fatto che taluni elementi di una clausola o che una clausola isolata
siano stati oggetto di negoziato individuale non esclude l’applicazione
del presente articolo alla parte restante di un contratto, qualora una
valutazione globale porti alla conclusione che si tratta comunque di un
contratto di adesione.
Qualora il professionista affermi che una clausola standardizzata è
stata oggetto di negoziato individuale, gli incombe l’onere della prova.
3. L’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole
che possono essere dichiarate abusive».
5 L’art. 4 della direttiva è redatto nei seguenti termini:
«1. Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola
contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi
oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della
conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta
conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro
contratto da cui esso dipende.
2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né
sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla
perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o
i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali
clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».
6 L’art. 8 della direttiva dispone:
«Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato
dalla (...) direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il
trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il
consumatore».
La normativa nazionale
7 Nel diritto spagnolo la tutela dei consumatori contro le clausole
abusive è stata garantita dalla legge generale n. 26/1984, relativa alla
tutela dei consumatori e degli utenti (Ley General 26/1984 para la
Defensa de los Consumidores y Usuarios) del 19 luglio 1984 (BOE n. 176,
del 24 luglio 1984).
8 La legge n. 26/1984 è stata modificata dalla legge n. 7/1998, relativa
alle condizioni generali dei contratti (Ley 7/1998 sobre Condiciones
Generales de la Contratación) del 13 aprile 1998 (BOE n. 89, del 14
aprile 1998), che ha trasposto la direttiva nel diritto interno.
9 Tuttavia la legge n. 7/1998 non ha trasposto nel diritto interno
l’art. 4, n. 2, della direttiva.
Fatti all’origine della controversia e questioni pregiudiziali
10 Risulta dalla decisione di rinvio che i contratti di mutuo a tasso di
interesse variabile destinati all’acquisto di alloggi, stipulati tra la
Caja de Madrid ed i suoi clienti contengono una clausola scritta,
predisposta in un modello di contratto, a norma della quale il tasso di
interesse nominale previsto dal contratto, variabile periodicamente a
seconda dell’indice di riferimento pattuito, dev’essere arrotondato, a
partire dalla prima revisione, al quarto di punto superiore (in
prosieguo: la «clausola di arrotondamento»).
11 Il 28 luglio 2000 l’Ausbanc ha presentato un ricorso diretto, in
particolare, ad ottenere dalla Caja de Madrid l’eliminazione della
clausola di arrotondamento nei suddetti contratti di mutuo nonché la
cessazione del suo impiego per il futuro. Con sentenza 11 settembre
2001, lo Juzgado de Primera Instancia de Madrid ha accolto il ricorso,
ritenendo che la clausola di arrotondamento fosse abusiva e quindi
nulla, conformemente alla legislazione nazionale che ha trasposto la
direttiva.
12 La Caja de Madrid ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi
all’Audiencia Provincial de Madrid che, il 10 ottobre 2002, ha
pronunciato una sentenza di conferma della decisione di primo grado.
13 Il 27 novembre 2002 la Caja de Madrid ha proposto un ricorso per
cassazione avverso tale sentenza dinanzi al Tribunal Supremo.
14 Secondo il Tribunal Supremo, la clausola di arrotondamento può
costituire un elemento essenziale di un contratto di mutuo bancario,
come quello di cui di cui alla causa principale. Orbene, dato che l’art.
4, n. 2, della direttiva escluderebbe che la valutazione del carattere
abusivo verta su una clausola concernente, segnatamente, l’oggetto del
contratto, una clausola come quella di cui alla causa principale non
potrebbe, in linea di principio, costituire oggetto di una valutazione
del suo carattere abusivo.
15 Tuttavia, il Tribunal Supremo rileva anche che, poiché il Regno di
Spagna non ha trasposto nel suo ordinamento il suddetto art. 4, n. 2, in
forza della legislazione spagnola il contratto è integralmente soggetto
ad una valutazione siffatta.
16 In tale contesto il Tribunal Supremo ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
1) Se l’art. 8 della [direttiva] debba essere interpretato nel senso che
uno Stato membro possa prevedere nella propria legislazione, a tutela
dei consumatori, un controllo del carattere abusivo delle clausole
contrattuali che, ai sensi dell’art. 4, n. 2, della [direttiva], sono
escluse da tale controllo.
2) Se di conseguenza il combinato disposto degli artt. 4, n. 2, e 8
della [direttiva] osti a che uno Stato membro preveda, nel proprio
ordinamento giuridico e a tutela dei consumatori, un controllo del
carattere abusivo delle clausole vertenti «sulla definizione
dell’oggetto principale del contratto» o «sulla perequazione tra il
prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono
essere forniti in cambio, dall’altro», sebbene esse siano formulate in
modo chiaro e comprensibile.
3) Se sia compatibile con gli artt. 2, CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n.
1, CE, un’interpretazione degli artt. 8 e 4, n. 2, della [direttiva] che
consenta ad uno Stato membro un controllo giurisdizionale del carattere
abusivo delle clausole contenute nei contratti stipulati dai consumatori
e formulate in modo chiaro e comprensibile, che definiscono l’oggetto
principale del contratto o la perequazione tra il prezzo e la
remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere
forniti in cambio, dall’altro».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
17 L’Ausbanc, il governo spagnolo e la Commissione delle Comunità
europee contestano la ricevibilità della domanda di pronuncia
pregiudiziale per il motivo che non sarebbe utile ai fini della
soluzione della controversia con cui è adito il giudice del rinvio. Essi
fanno valere al riguardo che la clausola di arrotondamento in parola
nella causa a qua non verterebbe sull’oggetto principale del contratto
in questione, ma costituirebbe un elemento accessorio di quest’ultimo
cosicché l’art. 4, n. 2, della direttiva non sarebbe applicabile alla
controversia di cui trattasi.
18 A tale riguardo occorre ricordare anzitutto che, nell’ambito di un
procedimento ex art. 267 TFUE, basato sulla netta separazione di
funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il giudice del rinvio è
l’unico competente a conoscere dei fatti della controversia
sottopostagli nonché ad interpretare ed a applicare il diritto
nazionale. Parimenti spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è
stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità
dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle
particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia
pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia
la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza,
se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto
comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v.
sentenze 12 aprile 2005, causa C-145/03, Keller, Racc. pag. I-2529,
punto 33, e 18 luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini, Racc. pag. I-6199,
punto 43, nonché 11 settembre 2008, causa C-11/07, Eckelkamp e a., Racc.
pag. I-6845, punti 27 e 32).
19 Così, benché la Corte abbia anche affermato che, in ipotesi
eccezionali, le spetta esaminare le condizioni in cui è adita dal
giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (v., in
questo senso, sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia, Racc.
pag. 3045, punto 21, e 19 novembre 2009, causa C-314/08, Filipiak, non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 41), la Corte può rifiutare di
pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice
nazionale solo qualora risulti manifestamente che la disposizione del
diritto dell’Unione sottoposta all’interpretazione della Corte non può
essere applicata (v. sentenze 5 dicembre 1996, causa C-85/95, Reisdorf,
Racc. pag. I-6257, punto 16, e 1° ottobre 2009, causa C-567/07,
Woningstichting Sint Servatius, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 43).
20 Ciò non si verifica tuttavia nel caso di specie.
21 Infatti, nella sua decisione di rinvio, il Tribunal Supremo si
interroga sulla portata degli obblighi incombenti agli Stati membri ai
sensi della direttiva per quanto riguarda l’estensione del controllo
giurisdizionale in ordine al carattere abusivo di talune clausole
contrattuali che, a parere del medesimo Tribunal Supremo, rientrerebbero
nell’art. 4, n. 2, della direttiva.
22 Benché tale giudizio del Tribunal Supremo non sia condiviso da tutte
le parti, non appare, quanto meno manifestamente, che la suddetta
disposizione della direttiva non possa essere applicata nella causa
principale.
23 In tale contesto occorre constatare che la Corte è competente a
pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali sottopostele dal giudice del
rinvio e che, pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale dev’essere
dichiarata ricevibile.
Nel merito
Sulle questioni prima e seconda
24 Con le prime due questioni, da esaminare congiuntamente, il giudice
del rinvio chiede in sostanza se gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva
ostino a che uno Stato membro preveda nel suo ordinamento, a tutela dei
consumatori, un controllo del carattere abusivo delle clausole
contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del
contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un
lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio,
dall’altro, sebbene esse siano formulate in modo chiaro e comprensibile.
25 La Caja de Madrid sostiene che l’art. 8 della direttiva non permette
agli Stati membri di adottare, attraverso misure di trasposizione, o di
mantenere, nell’ipotesi di assenza di misure siffatte, una normativa
nazionale contraria all’art. 4, n. 2, della direttiva. Infatti
quest’ultima disposizione delimiterebbe in maniera vincolante l’ambito
di applicazione del sistema di tutela previsto dalla direttiva,
escludendo quindi qualsivoglia possibilità per gli Stati membri di
derogarvi, persino al fine di prevedere una normativa nazionale più
favorevole ai consumatori.
26 Viceversa, gli altri interessati che hanno presentato osservazioni
fanno valere che gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva non ostano ad
una siffatta possibilità. Essi ritengono, infatti, che l’adozione o il
mantenimento di una simile normativa nazionale rientrerebbe nella
facoltà per gli Stati membri di istituire, nel settore disciplinato
dalla direttiva, meccanismi più severi di tutela dei consumatori.
27 Al fine di rispondere alle questioni sollevate, si deve ricordare
che, secondo una costante giurisprudenza, il sistema di tutela istituito
dalla direttiva è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una
situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda
sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione
che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista
senza poter incidere sul contenuto delle stesse (sentenze 27 giugno
2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e
Salvat Editores, Racc. pag. I-4941, punto 25, nonché 26 ottobre 2006,
causa C-168/05, Mostaza Claro, Racc. pag. I-10421, punto 25).
28 Nondimeno, come espressamente indicato nel dodicesimo ‘considerando’
della direttiva, quest’ultima ha effettuato solo un’armonizzazione
parziale e minima delle legislazioni nazionali relativamente alle
clausole abusive, riconoscendo al contempo agli Stati membri la
possibilità di garantire un livello di protezione per i consumatori più
elevato di quello previsto dalla direttiva stessa.
29 Così l’art. 8 della direttiva prevede formalmente la possibilità per
gli Stati membri di «adottare o mantenere, nel settore disciplinato
dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il
trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il
consumatore».
30 Trattasi quindi di verificare se la portata dell’art. 8 della
direttiva si estenda all’insieme del settore disciplinato da
quest’ultima e, conseguentemente, all’art. 4, n. 2, della stessa, ovvero
se, come sostiene la Caja de Madrid, tale ultima disposizione sia
esclusa dall’ambito di applicazione del suddetto art. 8.
31 Orbene, si deve constatare in proposito che l’art. 4, n. 2, della
direttiva prevede unicamente che la «valutazione del carattere abusivo»
non verte sulle clausole contemplate in questa disposizione, purché tali
clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile.
32 Deriva pertanto dai termini stessi dell’art. 4, n. 2, della direttiva
che tale disposizione, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo
74 delle conclusioni, non può considerarsi quale disposizione che fissa
l’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva. Al contrario,
le clausole di cui al suddetto art. 4, n. 2, pur rientrando nel settore
disciplinato dalla direttiva, esulano dalla valutazione del loro
carattere abusivo soltanto qualora il giudice nazionale competente
dovesse considerare, in seguito ad un esame caso per caso, che esse sono
state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile.
33 Risulta inoltre dalla giurisprudenza della Corte che gli artt. 3, n.
1, e 4, n. 1, della direttiva definiscono, nel loro complesso, i criteri
generali che permettono di valutare la natura abusiva delle clausole
contrattuali soggette alle disposizioni della direttiva (v., in tal
senso, sentenze 7 maggio 2002, causa C-478/99, Commissione/Svezia, Racc.
pag. I-4147, punti 11 e 17, nonché 1° aprile 2004, causa C-237/02,
Freiburger Kommunalbauten, Racc. pag. I-3403, punti 18, 19 e 21).
34 In tale stessa prospettiva, l’art. 4, n. 2, della direttiva è
diretto, dal canto suo, come ha rilevato l’avvocato generale al
paragrafo 75 delle conclusioni, unicamente a stabilire le modalità e la
portata del controllo sostanziale delle clausole contrattuali, che non
siano state oggetto di trattativa individuale, le quali descrivono le
prestazioni essenziali dei contratti stipulati tra un professionista ed
un consumatore.
35 Ne consegue che le clausole di cui al medesimo art. 4, n. 2,
rientrano senz’altro nel settore disciplinato dalla direttiva e che
pertanto l’art. 8 di quest’ultima è applicabile anche al suddetto art.
4, n. 2.
36 Una conclusione siffatta non potrebbe essere rimessa in questione
dagli argomenti della Caja de Madrid secondo i quali, come risulterebbe
in particolare dalla sentenza 10 maggio 2001, Commissione/Paesi Bassi
(causa C-144/99, Racc. pag. I-3541), l’art. 4, n. 2, della direttiva
sarebbe di natura imperativa e vincolante per gli Stati membri, talché
questi ultimi non potrebbero invocare l’art. 8 della direttiva per
adottare o mantenere nei rispettivi ordinamenti nazionali disposizioni
idonee a modificarne la portata.
37 È sufficiente rilevare al riguardo che tali argomenti scaturiscono da
un’errata lettura della sentenza in parola. In tale sentenza la Corte ha
dichiarato che il Regno dei Paesi Bassi era venuto meno agli obblighi
incombentigli a norma della direttiva non già per non aver trasposto
l’art. 4, n. 2, di quest’ultima, ma unicamente per averne assicurato una
trasposizione incompleta, cosicché la normativa nazionale in parola non
poteva raggiungere i risultati voluti da tale disposizione.
38 Infatti la suddetta normativa escludeva qualsiasi possibilità di
controllo giurisdizionale delle clausole che descrivevano le prestazioni
essenziali nei contratti stipulati tra un professionista ed un
consumatore, anche quando la formulazione di tali clausole era oscura ed
ambigua, talché al consumatore era assolutamente impedita la possibilità
di far valere il carattere abusivo di una clausola vertente sulla
definizione dell’oggetto principale del contratto e sulla perequazione
tra il prezzo ed i servizi o i beni da fornire.
39 Di conseguenza non può affatto inferirsi dalla citata sentenza
Commissione/Paesi Bassi che la Corte avrebbe considerato che l’art. 4,
n. 2, della direttiva costituirebbe una disposizione imperativa e
vincolante da trasporre obbligatoriamente, in quanto tale, ad opera
degli Stati membri. Al contrario la Corte si è limitata a dichiarare
che, al fine di garantire concretamente gli obiettivi di tutela dei
consumatori perseguiti dalla direttiva, qualsiasi trasposizione del
suddetto art. 4, n. 2, doveva essere completa di modo che il divieto di
valutare il carattere abusivo delle clausole verta unicamente su quelle
formulate in modo chiaro e comprensibile.
40 Deriva da tutto quanto precede che agli Stati membri non può essere
impedito di mantenere o adottare, nel settore disciplinato dalla
direttiva nel suo complesso, incluso l’art. 4, n. 2, di quest’ultima,
regole più severe di quelle previste dalla direttiva medesima, purché
siano dirette a garantire un livello di protezione più elevato per i
consumatori.
41 Orbene, quanto alla normativa spagnola di cui alla causa principale,
si deve rilevare che, come risulta dal fascicolo presentato alla Corte,
la legge n. 7/1998 non ha trasposto nel diritto nazionale l’art. 4, n.
2, della direttiva.
42 Ne consegue che nell’ordinamento spagnolo, come rileva il Tribunal
Supremo, un giudice nazionale può in qualsiasi circostanza valutare,
nell’ambito di una controversia concernente un contratto stipulato tra
un professionista ed un consumatore, il carattere abusivo di una
clausola, non negoziata individualmente, vertente in particolare
sull’oggetto principale del suddetto contratto, anche nelle ipotesi in
cui tale clausola sia stata predisposta dal professionista in modo
chiaro e comprensibile.
43 In tale contesto si deve constatare che, autorizzando la possibilità
di un completo controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle
clausole, come quelle di cui all’art. 4, n. 2, della direttiva, previste
da un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, la
normativa spagnola in questione nella causa principale permette di
garantire al consumatore, conformemente all’art. 8 della direttiva, un
livello di tutela effettiva più elevato di quello stabilito da
quest’ultima.
44 Alla luce di tali considerazioni, occorre risolvere le questioni
prima e seconda dichiarando che gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva
debbono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa
nazionale, come quella in questione nella causa principale, che
autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle
clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale
del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione da
un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio,
dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e
comprensibile.
Sulla terza questione
45 Con la terza questione il giudice del rinvio chiede se gli artt. 2
CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n. 1, CE ostino ad un’intepretazione
degli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva secondo la quale gli Stati
membri possono adottare una normativa nazionale che autorizza un
controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole
contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del
contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remumerazione, da un
lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio,
dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e
comprensibile.
46 Orbene, quanto agli artt. 2 CE e 4, n. 1, CE, è sufficiente
constatare che, secondo una giurisprudenza costante, tali disposizioni
enunciano obiettivi e principi generali che sono necessariamente
applicati in combinato disposto con i rispettivi capitoli del Trattato
CE destinati ad attuare tali principi ed obiettivi. Esse non possono
quindi avere l’effetto di creare obblighi giuridici chiari ed
incondizionati a carico degli Stati membri (v., in tal senso, per quanto
concerne l’art. 2 CE, sentenza 24 gennaio 1991, causa C-339/89, Alsthom
Atlantique, Racc. pag. I-107, punto 9, e, quanto all’art. 4, n. 1, CE,
sentenza 3 ottobre 2000, causa C-9/99, Échirolles Distribution, Racc.
pag. I-8207, punto 25).
47 Parimenti nemmeno l’art. 3, n. 1, lett. g), CE può produrre, esso
solo, obblighi giuridici a carico degli Stati membri. Infatti tale
disposizione si limita ad indicare, come la Corte ha già avuto occasione
di chiarire, un obiettivo che deve però essere precisato in altre
disposizioni del Trattato, segnatamente quelle relative alle regole di
concorrenza (v., in tal senso, sentenze 9 novembre 1983, causa 322/81,
Nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461,
punto 29, e Alsthom Atlantique, cit., punto 10).
48 È necessario inoltre constatare che le indicazioni figuranti nella
decisione di rinvio non permettono alla Corte di delimitare chiaramente
le disposizioni del Trattato relative alle regole di concorrenza la cui
interpretazione sarebbe utile alla soluzione della controversia nella
causa principale.
49 Viste tali considerazioni nel loro complesso, la terza questione dev’essere
risolta nel senso che gli artt. 2 CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n. 1,
CE non ostano ad un’interpretazione degli artt. 4, n. 2, e 8 della
direttiva secondo la quale gli Stati membri possono adottare una
normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del
carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione
dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo
e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere
forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in
modo chiaro e comprensibile.
Sulle spese
50 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) Gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993,
93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i
consumatori, debbono essere interpretati nel senso che non ostano ad una
normativa nazionale, come quella in questione nella causa principale,
che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle
clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale
del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da
un lato, e i servizi o beni che devono essere forniti in cambio,
dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e
comprensibile.
2) Gli artt. 2 CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n. 1, CE non ostano ad un’interpetazione
degli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva secondo la quale gli Stati
membri possono adottare una normativa nazionale che autorizza un
controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole
contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del
contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un
lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio,
dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e
comprensibile.
Firme
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