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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 15/04/2010, Sentenza C-511/08
DIRITTI DEI CONSUMATORI - Contratti conclusi a distanza - Diritto di
recesso - Addebito al consumatore delle spese di consegna dei beni - Tutela
dei consumatori - Direttiva 97/7/CE. L’art. 6, nn. 1, primo comma,
seconda frase, e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
20 maggio 1997, 97/7/CE, riguardante la protezione dei consumatori in
materia di contratti a distanza, deve essere interpretato nel senso che esso
osta ad una normativa nazionale che consente al fornitore, nell’ambito di un
contratto concluso a distanza, di addebitare le spese di consegna dei beni
al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso. Pres.
J.-C. Bonichot - Toader rel. - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bundesgerichtshof (Germania).
CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 15/04/2010, Sentenza C-511/08
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CORTE DI GIUSTIZIA
delle Comunità Europee,
SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
15 aprile 2010
«Direttiva 97/7/CE - Tutela dei consumatori - Contratti conclusi a
distanza - Diritto di recesso - Addebito al consumatore delle spese di
consegna dei beni»
Nel procedimento C-511/08,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bundesgerichtshof (Germania), con
decisione 1° ottobre 2008, pervenuta in cancelleria il 25 novembre 2008,
nella causa
Handelsgesellschaft Heinrich Heine GmbH
contro
Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen eV,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. J.-C. Bonichot, presidente di sezione, dalla sig.ra C.
Toader (relatore), dai sigg. C.W.A. Timmermans, P. Kuris e L. Bay Larsen,
giudici,
avvocato generale: sig. P. Mengozzi
cancelliere: sig.ra R. Seres, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29
ottobre 2009,
considerate le osservazioni presentate:
- per la Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen eV, dall’avv. K. Haase,
Rechtsanwalt;
- per il governo tedesco, dal sig. M. Lumma e dalla sig.ra S. Unzeitig,
in qualità di agenti;
- per il governo spagnolo, dal sig. J. Rodríguez Cárcamo, in qualità di
agente;
- per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di
agente;
- per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes e dalla sig.ra
H. Almeida, in qualità di agenti;
- per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. W. Wils e H.
Krämer, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 28 gennaio 2010,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione
dell’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 20 maggio 1997, 97/7/CE, riguardante
la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GU L
144, pag. 19).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la
Handelsgesellschaft Heinrich Heine GmbH (in prosieguo: la «Handelsgesellschaft
Heinrich Heine») e la Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen eV (in
prosieguo: la «Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen») in merito
all’addebito ai consumatori delle spese di consegna dei beni nei
contratti conclusi a distanza.
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
3 Il quarto ‘considerando’ della direttiva 97/7 enuncia quanto
segue:
«considerando che l’introduzione di nuove tecnologie comporta una
moltiplicazione dei mezzi messi a disposizione dei consumatori per
conoscere le offerte fatte dovunque nella Comunità e per fare le loro
ordinazioni; che taluni Stati membri hanno già adottato disposizioni
differenti o divergenti per la protezione dei consumatori nelle vendite
a distanza con effetti negativi sulla concorrenza tra le imprese nel
mercato unico; che è quindi necessario introdurre un minimo di regole
comuni a livello comunitario in questo settore».
4 Il quattordicesimo ‘considerando’ della citata direttiva è formulato
come segue:
«considerando che il consumatore non ha in concreto la possibilità di
visionare il bene o di prendere conoscenza della natura del servizio
prima della conclusione del contratto; che si dovrebbe prevedere un
diritto di recesso, a meno che la presente direttiva non disponga
diversamente; che è necessario limitare ai costi diretti di spedizione
dei beni al mittente gli oneri - qualora ve ne siano - derivanti al
consumatore dall’esercizio del diritto di recesso, che altrimenti
resterà formale; che questo diritto di recesso lascia impregiudicati i
diritti del consumatore previsti dalla legislazione nazionale, con
particolare riferimento alla ricezione di beni deteriorati o servizi
alterati o di servizi e beni non corrispondenti alla descrizione
contenuta nell’offerta di tali prodotti o servizi; che spetta agli Stati
membri determinare le altre condizioni e modalità relative all’esercizio
del diritto di recesso».
5 L’art. 4 di tale direttiva, intitolato «Informazioni preliminari»,
dispone, al suo n. 1, quanto segue:
«In tempo utile prima della conclusione di qualsiasi contratto a
distanza, il consumatore deve ricevere le seguenti informazioni:
(…)
c) prezzo del bene o del servizio, comprese tutte le tasse o imposte;
d) eventuali spese di consegna;
(…)».
6 I nn. 1 e 2 dell’art. 6 della medesima direttiva, che reca il titolo
«Diritto di recesso», sanciscono quanto segue:
«1. Per qualunque contratto negoziato a distanza il consumatore ha
diritto di recedere entro un termine di almeno sette giorni lavorativi
senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo. Le uniche spese
eventualmente a carico del consumatore dovute all’esercizio del suo
diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al
mittente.
(…)
2. Se il diritto di recesso è stato esercitato dal consumatore
conformemente al presente articolo, il fornitore è tenuto al rimborso
delle somme versate dal consumatore, che dovrà avvenire gratuitamente.
Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute
all’esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di
spedizione dei beni al mittente. Tale rimborso deve avvenire nel minor
tempo possibile e in ogni caso entro trenta giorni».
7 L’art. 14 della citata direttiva, intitolato «Clausola minima»,
dispone quanto segue:
«Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato
dalla presente direttiva, disposizioni più severe compatibili con il
Trattato [CE], per garantire al consumatore un livello di protezione più
elevato. Dette disposizioni comprendono, se del caso, il divieto, per
ragioni d’interesse generale, della commercializzazione nel loro
territorio di taluni beni o servizi, in particolare i medicinali,
mediante contratti a distanza, nel rispetto del Trattato».
La normativa nazionale
8 L’art. 2 della legge sulle azioni inibitorie in caso di violazione dei
diritti dei consumatori o di altre infrazioni (Gesetz über
Unterlassungsklagen bei Verbraucherrechts- und anderen Verstößen)
sancisce quanto segue:
«1. Chiunque violi disposizioni volte a tutelare i consumatori (legge
sulla tutela dei consumatori), con modalità diverse dall’applicazione o
dalla raccomandazione di condizioni generali di vendita, può essere
soggetto ad un’azione inibitoria nell’interesse della tutela dei
consumatori. Se le infrazioni commesse in un’impresa commerciale sono
causate da un dipendente o da una persona delegata, l’azione inibitoria
può essere diretta anche contro il proprietario dell’impresa.
2. Ai sensi della presente disposizione, per “legge sulla tutela dei
consumatori”, si intendono in particolare:
1) le disposizioni del codice civile [Bürgerliches Gesetzbuch; in
prosieguo: il “BGB”], le quali si applicano ai (…) contratti conclusi a
distanza tra un professionista e un consumatore (…).
(...)».
9 L’art. 312 d del BGB, sotto la rubrica «Diritto di recesso e di
restituzione nei contratti a distanza», al n. 1 così recita:
«Nei contratti a distanza spetta al consumatore un diritto di recesso ai
sensi dell’art. 355. In caso di contratti di fornitura di merci, in
luogo del diritto di recesso può essere riconosciuto al consumatore il
diritto di restituzione ai sensi dell’art. 356».
10 Ai sensi dell’art. 346 del BGB, intitolato «Effetti del recesso»:
«1.Qualora una delle parti si sia riservata contrattualmente un diritto
di recesso, o tale diritto le spetti in forza di una norma di legge,
l’esercizio del recesso implica la riconsegna delle prestazioni ricevute
e la restituzione degli utili ottenuti.
2. In luogo della riconsegna o della restituzione, il debitore è tenuto
a corrispondere un rimborso di valore equivalente:
1) qualora la riconsegna o la restituzione sia esclusa in base alla
natura di quanto ottenuto;
2) qualora egli abbia consumato, alienato, gravato, lavorato o
trasformato il bene ricevuto,
3) in caso di deterioramento o perimento del bene; resta però escluso il
deterioramento derivante dall’uso normale del bene.
Nel caso in cui il contratto preveda una controprestazione, essa dev’essere
posta alla base del calcolo del rimborso del valore; se deve essere
corrisposto il rimborso del valore per i vantaggi derivanti
dall’utilizzazione di un mutuo, è ammessa la prova diretta a dimostrare
che il valore di tali vantaggi era inferiore.
3. L’obbligo di rimborso del valore si estingue:
1) se il vizio legittimante il recesso si è manifestato solo durante la
lavorazione o la trasformazione del bene,
2) se ed in quanto il deterioramento o il perimento sia imputabile al
creditore, o se il danno sarebbe ugualmente sopravvenuto presso
quest’ultimo,
3) qualora, in caso di diritto legale di recesso, il deterioramento o il
perimento si sia verificato presso l’avente diritto sebbene questi abbia
agito con la diligenza che è solito prestare nei propri affari.
L’arricchimento residuo dev’essere reso».
11 L’art. 347 del BGB, intitolato «Utilizzo dopo il recesso», al n. 2
così dispone:
«Qualora il debitore restituisca il bene, qualora versi un rimborso o
qualora l’obbligo di versare un siffatto rimborso sia escluso ai sensi
dell’art. 346, n. 3, punti 1 e 2, le spese necessarie da esso sostenute
debbono essergli rimborsate. Ogni altra spesa deve essere rimborsata
qualora abbia contribuito ad un arricchimento del creditore».
12 L’art. 355 del BGB, sotto la rubrica «Diritto di recesso nei
contratti dei consumatori», al n. 1 dispone quanto segue:
«Nel caso in cui la legge attribuisca al consumatore un diritto di
recesso ai sensi della presente disposizione, quest’ultimo non è più
vincolato alla propria dichiarazione di volontà diretta alla conclusione
del contratto qualora abbia esercitato il proprio diritto di recesso
entro il termine. Il recesso non necessita una motivazione e deve essere
dichiarato nei confronti dell’imprenditore per iscritto o mediante
spedizione del bene al mittente entro due settimane; ai fini del
rispetto del termine si tiene conto del giorno dell’invio».
13 L’art. 356 del BGB, intitolato «Diritto di restituzione nei contratti
conclusi dai consumatori», al n. 1 prevede quanto segue:
«Nella misura in cui la legge espressamente lo autorizza, il diritto di
recesso previsto dall’art. 355 può essere sostituito nel contratto con
un diritto di restituzione illimitato qualora il contratto sia concluso
sulla base di un prospetto di vendita. A tal fine è preliminarmente
necessario:
1) che il prospetto di vendita contenga informazioni chiare sul diritto
di restituzione,
2) che il consumatore abbia potuto prendere conoscenza esauriente del
prospetto di vendita in assenza dell’operatore addetto e
3) che il diritto di restituzione venga concesso per iscritto al
consumatore».
14 L’art. 357 del BGB, sotto la rubrica «Effetti giuridici del recesso e
della restituzione», è formulato come segue:
«1. Se non diversamente stabilito, ai diritti di recesso e di
restituzione si applicano le norme sul diritto legale di recesso in
quanto compatibili. L’art. 286, n. 3, si applica in quanto compatibile
all’obbligo di rimborso dei pagamenti ivi previsti; il termine ivi
stabilito decorre dalla dichiarazione di recesso o di restituzione del
consumatore, e segnatamente, per quanto riguarda l’obbligo di rimborso
del consumatore, dall’invio di tale dichiarazione, mentre per quanto
riguarda l’obbligo di rimborso dell’imprenditore, dalla sua ricezione.
(…)
3. In deroga all’art. 346, n. 2, primo periodo, punto 3, il consumatore
è tenuto a corrispondere un rimborso per il deterioramento della cosa
derivante da un uso della stessa conforme alla sua destinazione, purché
sia stato informato per iscritto, al più tardi al momento della
conclusione del contratto, di tale conseguenza e della possibilità di
evitarla. Il rimborso non è dovuto se il deterioramento è esclusivamente
riconducibile all’esame del bene. L’art. 346, n. 3, primo periodo, punto
3, non si applica qualora il consumatore sia stato correttamente
informato del suo diritto di recesso o ne abbia avuto altrimenti
conoscenza.
4. Non sono riconosciuti ulteriori diritti».
15 L’art. 448 del BGB, intitolato «Costi di consegna e costi simili», al
n. 1 sancisce quanto segue:
«Il venditore sopporta i costi di consegna della cosa, l’acquirente i
costi della ricezione e della spedizione della cosa in un luogo diverso
dal luogo di esecuzione».
Causa principale e questione pregiudiziale
16 La Handelsgesellschaft Heinrich Heine è una società specializzata
nella vendita per corrispondenza. Le condizioni generali di vendita di
tale società prevedono che il consumatore paghi, a titolo di spese di
consegna, un forfait di EUR 4,95 e che tale somma resti acquisita al
fornitore in caso di recesso.
17 La Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen, un’associazione di
consumatori costituita conformemente al diritto tedesco, ha intrapreso
nei confronti della Handelsgesellschaft Heinrich Heine un’azione
inibitoria intesa a farle rinunciare ad addebitare ai consumatori, in
caso di recesso, le spese di consegna delle merci.
18 Il giudice di primo grado ha accolto la domanda della
Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen.
19 L’appello proposto avverso tale sentenza dalla Handelsgesellschaft
Heinrich Heine è stato respinto dall’Oberlandsgericht Karlsruhe.
20 Adito dalla Handelsgesellschaft Heinrich Heine con un ricorso per «Revision»,
il Bundesgerichtshof constata che il diritto tedesco non conferisce
esplicitamente al consumatore alcun diritto al rimborso delle spese di
consegna dei beni ordinati.
21 Tuttavia, secondo tale giudice, se la direttiva 97/7 dovesse essere
interpretata nel senso che essa osta a che le spese di consegna dei beni
vengano addebitate al consumatore in caso di recesso di quest’ultimo, le
pertinenti disposizioni del BGB dovrebbero essere interpretate in modo
conforme a tale direttiva, nel senso che il fornitore dovrebbe allora
rimborsare al consumatore siffatte spese.
22 Il giudice del rinvio ritiene, tuttavia, di non essere in grado di
stabilire con la dovuta certezza se tale direttiva, e in particolare il
suo art. 6, nn. 1 e 2, debba essere interpretata in tal senso.
23 Il Bundesgerichtshof espone, a tale proposito, diversi argomenti a
sostegno della soluzione secondo la quale la citata direttiva non osta
ad una normativa come quella oggetto della causa principale.
24 In primo luogo, dunque, l’espressione «dovute all’esercizio del suo
diritto di recesso» («infolge der Ausübung seines Widerrufsrechts»)
contenuta nella versione tedesca dell’art. 6, nn. 1, primo comma,
seconda frase, e 2, seconda frase, della direttiva 97/7 potrebbe
suggerire che tali disposizioni riguardano unicamente le spese
risultanti dall’esercizio del diritto di recesso con esclusione delle
spese di consegna dei beni, che erano già state sostenute al momento del
recesso. Le altre versioni linguistiche di tale direttiva, ed in
particolare la versione inglese e quella francese, potrebbero suffragare
una siffatta interpretazione.
25 In secondo luogo, l’art. 6, n. 2, prima frase, della citata direttiva
non escluderebbe che, in caso di recesso, il fornitore ottenga una
compensazione del valore delle prestazioni utilizzate dal consumatore
che, per loro natura, non possono essere restituite. Sarebbe pertanto
compatibile con il detto articolo ammettere che la consegna del bene è
una prestazione per la quale il consumatore dovrebbe restituire al
fornitore un valore di sostituzione pari alle spese di consegna e che
l’obbligo di rimborso del fornitore sarebbe di conseguenza ridotto per
l’ammontare di tali spese.
26 In terzo luogo, non sarebbe certo che l’obiettivo di tutela del
consumatore, sancito segnatamente nel quattordicesimo ‘considerando’
della direttiva 97/7, imponga il rimborso delle spese di consegna del
bene. Infatti, in occasione di un acquisto normale, il consumatore
sosterrebbe anche le spese che il suo spostamento verso il negozio
comporta, senza contare il tempo necessario allo spostamento.
27 Pertanto, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione
pregiudiziale:
«Se le disposizioni dell’art. 6, nn. 1, [primo comma], seconda frase, e
2, della direttiva [97/7] debbano essere interpretate nel senso che
ostano ad una normativa nazionale secondo la quale le spese di consegna
dei beni possono essere addebitate al consumatore anche quando questi ha
esercitato il suo diritto di recesso».
Sulla questione pregiudiziale
Osservazioni presentate alla Corte
28 La Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen, i governi spagnolo,
austriaco e portoghese, nonché la Commissione delle Comunità europee
considerano che le disposizioni dell’art. 6 della direttiva 97/7 ostano
ad una normativa nazionale che consente al fornitore di addebitare le
spese di consegna dei beni al consumatore qualora questi eserciti il suo
diritto di recesso.
29 Anzitutto, l’espressione «somme versate dal consumatore», indicata
nell’art. 6, n. 2, prima frase, della direttiva 97/7, dovrebbe essere
interpretata estensivamente per ricomprendere ogni prestazione
finanziaria adempiuta dal consumatore nei confronti del fornitore
nell’ambito dell’esecuzione del contratto, ivi comprese le spese di
consegna dei beni.
30 Inoltre, l’art. 6, nn. 1 e 2, della citata direttiva prevederebbe che
le uniche spese a carico del consumatore che esercita il suo diritto di
recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente. Di
conseguenza, le altre spese, in particolare quelle relative alla
consegna dei beni, non potrebbero essere poste a carico di quest’ultimo.
31 Infine, dovrebbero essere rimborsate al consumatore le spese che egli
ha sostenuto per una prestazione accessoria del fornitore, quale la
consegna dei beni, la quale non riveste alcun interesse, a seguito del
recesso del consumatore, ai fini della tutela di quest’ultimo dai rischi
dovuti all’impossibilità pratica di visionare i beni prima di concludere
un contratto di vendita a distanza.
32 Il governo tedesco sostiene, al contrario, che le disposizioni
dell’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, della direttiva
97/7 devono essere interpretate nel senso che esse non ostano ad una
siffatta normativa nazionale, secondo la quale le spese di consegna dei
beni possono essere addebitate al consumatore qualora questi abbia
esercitato il suo diritto di recesso.
33 Detto governo afferma, in sostanza, che la direttiva 97/7 non
disciplina l’addebito delle spese di consegna in caso di recesso del
consumatore. Pertanto, tale addebito risulterebbe dalle «altre
condizioni e modalità relative all’esercizio del diritto di recesso»,
che spetta agli Stati membri determinare, come previsto al
quattordicesimo ‘considerando’ della citata direttiva.
34 Questo stesso governo ritiene che il rimborso delle «somme versate»
dal consumatore ai sensi dell’art. 6, n. 2, prima frase, della citata
direttiva riguardi unicamente le prestazioni principali e, in
particolare, il prezzo pagato dal consumatore.
35 La direttiva 97/7 opererebbe una distinzione tra le spese «dovute
all’esercizio» del diritto di recesso, le quali conseguono
all’attuazione di tale diritto, e le altre spese derivanti dalla
conclusione o dall’esecuzione del contratto. A tale proposito, l’art. 6,
n. 2, seconda frase, di tale direttiva riguarderebbe unicamente le spese
conseguenti all’esercizio del diritto di recesso, mentre il regime
applicabile alle altre spese contrattuali non sarebbe armonizzato dalla
citata direttiva. Orbene, le spese di consegna avrebbero origine
antecedentemente e indipendentemente dall’esercizio del diritto di
recesso. Pertanto, il loro addebito sarebbe disciplinato dal diritto
interno di ogni Stato membro.
36 Relativamente agli obiettivi perseguiti dall’art. 6 della direttiva
97/7, il governo tedesco fa valere che tale articolo è volto,
certamente, a compensare lo svantaggio derivante dall’impossibilità per
il consumatore di esaminare i beni prima della conclusione del
contratto. Tuttavia, tali obiettivi non contengono alcuna indicazione
atta a consentire una riconfigurazione completa della relazione
contrattuale.
37 Peraltro, il fatto che il consumatore sopporti le spese di consegna
non può impedirgli di esercitare il suo diritto di recesso. Infatti, da
un lato, egli sarebbe informato prima della conclusione del contratto
dell’ammontare di tali spese. D’altro canto, la decisione di recedere
dal contratto sarebbe indipendente dall’esistenza di tali spese poiché
queste ultime sarebbero già state sostenute.
Risposta della Corte
Osservazioni preliminari
38 Occorre rammentare, in via preliminare, che emerge dal quarto
‘considerando’ della direttiva 97/7 che quest’ultima è volta a
introdurre un minimo di regole comuni a livello dell’Unione europea nel
settore dei contratti a distanza.
39 In particolare, l’art. 6, n. 1, primo comma, prima frase, della
citata direttiva riconosce al consumatore un diritto di recesso che egli
può esercitare, entro un termine determinato, senza alcuna penalità e
senza specificarne il motivo.
40 Relativamente alle conseguenze giuridiche del recesso, l’art. 6, n.
2, prima e seconda frase, della direttiva 97/7 prevede che «il fornitore
è tenuto al rimborso delle somme versate dal consumatore, che dovrà
avvenire gratuitamente. Le uniche spese eventualmente a carico del
consumatore dovute all’esercizio del suo diritto di recesso sono le
spese dirette di spedizione dei beni al mittente».
41 Tuttavia, emerge dal quattordicesimo ‘considerando’ di tale direttiva
che l’armonizzazione delle conseguenze giuridiche del recesso non è
completa e che spetta pertanto agli Stati membri «determinare le altre
condizioni e modalità relative all’esercizio del diritto di recesso».
Sull’interpretazione dell’espressione «somme versate dal consumatore»
42 Nella causa principale, si pone la questione se nella portata
dell’art. 6, nn. 1 e 2, della direttiva 97/7 rientri l’addebito al
consumatore delle spese di consegna dei beni in caso di recesso di
quest’ultimo, ovvero se, al contrario, spetti agli Stati membri
determinare tale addebito.
43 A tale proposito, occorre constatare che la lettera dell’art. 6, n.
2, prima frase, della citata direttiva impone al fornitore, in caso di
recesso del consumatore, un obbligo generale di rimborso riguardante
tutte le somme versate da quest’ultimo risultanti dal contratto,
qualunque sia la causa del pagamento di queste ultime.
44 Contrariamente a quanto rilevato dal governo tedesco, non emerge né
dalla lettera delle disposizioni dell’art. 6 della direttiva 97/7 né
dalla loro economia generale che i termini «somme versate» debbano
essere interpretati nel senso che essi fanno unicamente riferimento al
prezzo pagato dal consumatore, escluse le spese sopportate da
quest’ultimo.
45 Infatti, la direttiva 97/7, conformemente al suo art. 4, opera una
distinzione tra prezzo del bene e spese di consegna unicamente per
quanto riguarda le informazioni messe a disposizione del consumatore dal
fornitore prima della conclusione del contratto. Per contro, in merito
alle conseguenze giuridiche del recesso, tale direttiva non opera una
siffatta distinzione e si riferisce dunque a tutte le somme versate dal
consumatore al fornitore.
46 Tale interpretazione è anche confermata dalla formulazione stessa
dell’espressione «[l]e uniche spese eventualmente a carico del
consumatore», utilizzata nella seconda frase del citato n. 2, per
indicare le «spese dirette di spedizione dei beni al mittente». Come
rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 32 delle sue conclusioni,
l’espressione «uniche spese» rende necessaria un’interpretazione
restrittiva e conferisce pertanto un carattere esaustivo a tale
eccezione.
47 Di conseguenza, emerge da quanto suesposto che i termini «somme
versate», di cui all’art. 6, n. 2, prima frase, della direttiva 97/7 si
estendono a tutte le somme versate dal consumatore per pagare le spese
causate dal contratto, fatta salva l’interpretazione da fornire all’art.
6, n. 2, seconda frase, di tale direttiva.
Sull’interpretazione dell’espressione «dovute all’esercizio del suo
diritto di recesso»
48 Come rammentato al punto 35 della presente sentenza, il governo
tedesco sostiene anche che i termini «dovute all’esercizio del suo
diritto di recesso», di cui all’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda
frase, e 2, seconda frase, della direttiva 97/7, non riguardano tutte le
spese a carico del consumatore, bensì unicamente quelle che presentano
un nesso con l’esercizio del diritto di recesso. Pertanto, le citate
disposizioni disciplinerebbero solo l’addebito delle spese causate dal
recesso.
49 In via preliminare, occorre constatare che, in talune versioni
linguistiche, la lettera dell’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase,
e 2, seconda frase, della citata direttiva può essere interpretata nel
senso che essa ha ad oggetto le sole spese conseguenti all’esercizio del
diritto di recesso e causate da quest’ultimo, ovvero nel senso che essa
fa riferimento a tutte le spese risultanti dalla conclusione,
l’esecuzione o la cessazione del contratto, e che possono essere
addebitate al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di
recesso.
50 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 41 delle sue
conclusioni, anche se le versioni tedesca, inglese e francese della
direttiva 97/7 impiegano rispettivamente le espressioni «infolge», «because
of» e «en raison de», nelle altre versioni linguistiche di tale medesima
direttiva, in particolare quella spagnola e quella italiana, non si
impiegano espressioni simili, ma si fa riferimento semplicemente al
consumatore che esercita il suo diritto di recesso.
51 Secondo una giurisprudenza costante, la necessità che le direttive
dell’Unione vengano interpretate in modo uniforme esclude che, in caso
di dubbio, il testo di una disposizione sia considerato isolatamente, e
impone, invece, che esso venga interpretato e applicato alla luce dei
testi redatti nelle altre lingue ufficiali (v., in tal senso, sentenze 2
aprile 1998, causa C-296/95, EMU Tabac e a., Racc. pag. I-1605, punto
36; 17 giugno 1998, causa C-321/96, Mecklenburg, Racc. pag. I-3809,
punto 29; 20 novembre 2008, causa C-375/07, Heuschen & Schrouff Oriëntal
Foods Trading, Racc. pag. I-8691, punto 46, nonché 10 settembre 2009,
causa C-199/08, Eschig, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 54).
Inoltre, in caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche di
un testo dell’Unione, la disposizione di cui trattasi deve essere intesa
in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui fa parte
(v. sentenze 9 marzo 2000, causa C-437/97, EKW e Wein & Co., Racc. pag.
I-1157, punto 42; 4 ottobre 2007, causa C-457/05, Schutzverband der
Spirituosen-Industrie, Racc. pag. I-8075, punto 18, nonché 9 ottobre
2008, causa C-239/07, Sabatauskas e a., Racc. pag. I-7523, punto 39).
52 Occorre rilevare che l’interpretazione dell’art. 6, nn. 1, primo
comma, seconda frase, e 2, seconda frase, della direttiva 97/7, ai sensi
della quale tali disposizioni hanno ad oggetto tutte le spese risultanti
dalla conclusione, dall’esecuzione nonché dalla cessazione del
contratto, che possono essere addebitate al consumatore qualora questi
eserciti il suo diritto di recesso, corrisponde al sistema e alla
finalità di tale direttiva.
53 Infatti, da un lato, tale interpretazione è corroborata dal fatto
che, anche nelle versioni linguistiche della direttiva 97/7 le quali
utilizzano, nell’art. 6 di quest’ultima, l’espressione «en raison de» o
altre espressioni simili, il quattordicesimo ‘considerando’ di tale
direttiva fa riferimento agli oneri derivanti al consumatore
«dall’esercizio del diritto di recesso». Ne consegue che, contrariamente
a quanto sostenuto dal governo tedesco l’art. 6, nn. 1, primo comma,
seconda frase, e 2, seconda frase, di tale direttiva ha ad oggetto tutte
le spese risultanti dal contratto e non solo le spese conseguenti
all’esercizio del diritto di recesso e causate da quest’ultimo.
54 Relativamente, dall’altro lato, allo scopo dell’art. 6 della
direttiva 97/7, si deve sottolineare che il quattordicesimo
‘considerando’ della stessa enuncia che il divieto di addebitare al
consumatore, in caso di suo recesso, spese risultanti dal contratto è
finalizzato ad assicurare che il diritto di recesso garantito da tale
direttiva «[non] rest[i] formale» (v., a tale proposito, sentenza 3
settembre 2009, causa C-489/07, Messner, non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 19). Dal momento che il citato art. 6 persegue quindi
chiaramente lo scopo di evitare che il consumatore possa essere
scoraggiato dall’esercitare il suo diritto di recesso, sarebbe contrario
a detto scopo interpretare tale articolo nel senso che esso
autorizzerebbe gli Stati membri a consentire che le spese di consegna
siano addebitate al consumatore nel caso di un siffatto recesso.
55 A tale proposito, occorre rammentare che l’art. 6, nn. 1, primo
comma, seconda frase, e 2, seconda frase, della citata direttiva
autorizza il fornitore ad addebitare al consumatore, in caso di recesso
di quest’ultimo, unicamente le spese dirette di spedizione dei beni al
mittente.
56 Qualora le spese di spedizione dovessero parimenti essere addebitate
al consumatore, siffatto addebito, che sarebbe necessariamente tale da
scoraggiare quest’ultimo dall’esercizio del suo diritto di recesso,
sarebbe in contrasto con lo scopo stesso dell’art. 6 della direttiva,
come rammentato al punto 54 della presente sentenza.
57 Inoltre, un siffatto addebito sarebbe atto a rimettere in discussione
l’equilibrata ripartizione dei rischi tra le parti nei contratti
conclusi a distanza, accollando al consumatore tutte le spese connesse
al trasporto dei beni.
58 Peraltro, il fatto che il consumatore sia stato informato
dell’importo delle spese di consegna prima della conclusione del
contratto non può ridurre il carattere dissuasivo che avrebbe l’addebito
di tali spese al consumatore sull’esercizio da parte di quest’ultimo del
suo diritto di recesso.
59 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono occorre risolvere
la questione sottoposta dichiarando che l’art. 6, nn. 1, primo comma,
seconda frase, e 2, della direttiva 97/7 deve essere interpretato nel
senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente al
fornitore, nell’ambito di un contratto concluso a distanza, di
addebitare le spese di consegna dei beni al consumatore qualora questi
eserciti il suo diritto di recesso.
Sulle spese
60 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
L’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 20 maggio 1997, 97/7/CE, riguardante
la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, deve
essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale
che consente al fornitore, nell’ambito di un contratto concluso a
distanza, di addebitare le spese di consegna dei beni al consumatore
qualora questi eserciti il suo diritto di recesso.
Firme
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