AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/03/2010 (Ud. 15/12/2009), Sentenza n. 10779
DIRITTO URBANISTICO - Costruzione abusiva - Proprietario dell’area -
Responsabilità penale - Limiti e condizioni - Principio del "cui prodest"
- Onere della prova. In linea di principio, non può essere attribuito ad un
soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un'area, un dovere di
controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione
abusiva. Di conseguenza, occorre considerare, la situazione concreta in cui si è
svolta l'attività incriminata, tenendo conto della disponibilità, giuridica e di
fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la
nuova costruzione (principio del "cui prodest"), nonché di tutte quelle
situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi
elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche
morale, all'esecuzione delle opere [vedi Cass., Sez. III: 27.9.2000, n. 10284,
Cutaia ed altro; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130,
Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso ed altro; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso ed
altro; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto ed altro; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo;
15.72005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone]. Comunque, grava
sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi
che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza
la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537, Vitale ed altro).
Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Todisco ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE,
Sez. III, 19/03/2010 (Ud. 15/12/2009), Sentenza n. 10779
DIRITTO URBANISTICO - Costruzione abusiva - Acquisizione al patrimonio
comunale e ordine demolitorio del giudice penale - Funzione. L'acquisizione
gratuita, in via amministrativa, è finalizzata essenzialmente alla demolizione,
per cui non si pone in contrasto con l'ordine demolitorio impartito dal giudice
penale, che persegue Io stesso obiettivo: il destinatario di tale ordine,
allorquando sia intervenuta l'acquisizione amministrativa a suo danno, non potrà
ottemperarvi soltanto se il Consiglio comunale abbia già ravvisato (ovvero sia
sul punto di deliberare) l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al
mantenimento delle opere abusive. Ove il Consiglio comunale non abbia
deliberato, invece, il mantenimento dell'opera, il procedimento sanzionatorio
amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in
totale difformità o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato
la demolizione a spese del responsabile dell'abuso. Non si comprende, dunque,
perché il condannato non possa chiedere al Comune (divenuto frattanto
proprietario) l'autorizzazione a procedere ad una ineludibile demolizione a
proprie cura e spese. Qualora si argomentasse in senso contrario si perverrebbe
all’illogica conclusione che il giudice penale non potrebbe ordinare, in caso di
condanna, la demolizione delle opere abusive tutte le volte in cui
l’amministrazione comunale abbia ingiunto la demolizione e questa non sia stata
eseguita dal responsabile dell’abuso nel termine di 90 giorni dalla notifica,
tenuto conto che l’acquisizione avviene a titolo originario ed “ope legis”, per
il solo decorso del tempo, con il conseguente carattere meramente dichiarativo
del successivo provvedimento amministrativo, che è atto dovuto, privo di
qualsiasi contenuto discrezionale. Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Todisco ed
altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/03/2010 (Ud. 15/12/2009),
Sentenza n. 10779
DIRITTO URBANISTICO - Opera abusiva - Acquisizione al patrimonio comunale -
Incompatibilità con l'ordine di demolizione emesso dal giudice penale -
Esclusione - Art. 31, 3° e 5° c., D.P.R. n. 380/2001. L'acquisizione
gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, ai sensi
dell'art. 31, 3° comma, del D.P.R. n. 380/2001, non è incompatibile con l'ordine
di demolizione emesso dal giudice penale. Infatti, nella prima parte del comma 5
dello stesso articolo, si stabilisce che l'opera acquisita al patrimonio
comunale deve essere demolita con ordinanza del dirigente o responsabile
dell'ufficio tecnico comunale, a spese del responsabile dell' abuso. Si avrebbe
incompatibilità soltanto se, con deliberazione consiliare, a norma della seconda
parte dello stesso comma 5, si fosse statuito di non dovere demolire l'opera
acquisita [vedi Cass., Sez. III: 31.1.2008, n. 4962, P.G. in proc. Mancini e
altri; 23.1.2007, n. 1904, Turianelli; 29.11.2005, n. 43294, Gambino ed altro;
13.10.2005, n. 37120, Morelli; 20.5.2004, n. 23647, Moscato ed altro, 30.9.2003,
n. 37120, Botumarito ed altro; 20.1.2003, n. 2406, Gugliandolo; 7.11.2002, n.
37222, Clemente; 17.12.2001, Musumeci ed altra; 29.12.2000, n. 3489, P.M. in
proc. Mosca]. Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Todisco ed altro. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/03/2010 (Ud. 15/12/2009), Sentenza n. 10779
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Unicità del disegno criminoso - Nozione. La
unicità del disegno criminoso, necessaria per la configurabilità del reato
continuato, non può identificarsi con la generale tendenza a porre in essere
determinati reati o, comunque, con una scelta di vita che implica la
reiterazione di determinate condotte criminose, ma occorre che le singole
violazioni siano tutte previste e deliberate sin dall'origine nelle loro linee
essenziali e riconducibili ad un unico momento volitivo, che non può essere
presunto per la sola circostanza dell'identità dei beni aggrediti con le
condotte criminose o per la reiterazione di queste ultime in tempi ravvicinati.
Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Todisco ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE,
Sez. III, 19/03/2010 (Ud. 15/12/2009), Sentenza n. 10779
www.AmbienteDiritto.it©
UDIENZA del 15/12/2009
SENTENZA N.2263
REG. GENERALE N. 28559/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRO PETTI
- Presidente -
Dott. ALFREDO TERESI
- Consigliere -
Dott. ALDO FIALE
- Rel. Consigliere -
Dott. MARGHERITA MARMO
- Consigliere -
Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI
- Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) TODISCO GENNARO N. IL xx/xx/xxxx
2) SORRENTINO ANNA N. IL zz/zz/zzzz
-
avverso la sentenza n. 1627/2008 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 16/03/2009
-
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
-
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/12/2009 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. ALDO FIALE
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Salzano
che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 16.3.2009, confermava la
sentenza 17.4.2007 del Tribunale di Torre Annunziata - Sezione distaccata di
Gragnano, che aveva affermato la responsabilità penale di Todisco Gennaro e
Sorrentino Anna in ordine ai reati di cui:
- all'art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 (per avere realizzato in assenza
del prescritto permesso di costruire - in zona assoggettata a vincolo
paesaggistico - la tompagnatura della sopraelevazione già abusiva di un
fabbricato, nonché due manufatti con struttura in ferro, rispettivamente di mt.
7,80 x 5,50 e di mt. 4,75 x 6,20 - acc. in S. Antonio Abate, fino all'
1.3.2004);
- agli artt. 93, 94 e 95 D.P.R. n. 380/2001;
- all'art. 163 D. L.gs. n. 490/1999 (per avere eseguito i lavori anzidetti senza
l'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico)
e, riconosciute ad entrambi circostanze attenuanti generiche equivalenti alla
contestata recidiva, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex
art. 81 cpv. cod. pen., aveva condannato ciascuno alla pena di mesi cinque di
arresto ed euro 21.000,00 di ammenda, con ordine di demolizione delle opere
abusive e di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi,
concedendo il beneficio della sospensione condizionale subordinato alla
effettiva demolizione delle opere nel termine di giorni 60 dalla formazione del
giudicato.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i due imputati, i quali hanno
eccepito:
- la carenza assoluta di prove circa I'affermazione delle rispettive
responsabilità penali, in quanto essi sarebbero stati condannati solo perché
proprietari dei manufatti;
- Ia prescrizione delle contravvenzioni di cui agli artt. 93, 94 e 95 D.P.R. n.
380/2001, che sarebbe maturata in epoca antecedente alla pronuncia della
sentenza medesima;
- la incongrua esclusione del vincolo della continuazione con i fatti giudicati
dal Tribunale di Gragnano con sentenza dei 28.12.2000, riguardanti "la medesima
costruzione";
- la carenza di valutazione in ordine alle richieste rivolte ad ottenere la
dichiarazione di prevalenza delle attenuanti generiche sulle recidive
rispettivamente contestate e, comunque, una riduzione della pena;
- la illegittimità della disposta subordinazione del beneficio della
sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive, poiché
dette opere dovrebbero considerarsi acquisite al patrimonio del Comune.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo, il quarto e l'ultimo motivo di ricorso sono infondati.
1. In ordine alla ritenuta responsabilità per l'esecuzione della costruzione
abusiva, la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte Suprema è orientata
nel senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo fatto di
essere proprietario di un'area, un dovere di controllo dalla cui violazione
derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva.
Occorre considerare, invece, la situazione concreta in cui si è svolta
l'attività incriminata, tenendo conto della disponibilità, giuridica e di fatto,
della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova
costruzione (principio del "cui prodest"), nonché di tutte quelle situazioni e
quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi
integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale,
all'esecuzione delle opere [vedi Cass., Sez. III: 27.9.2000, n. 10284, Cutaia ed
altro; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi;
18.4.2003, n. 18756, Capasso ed
altro; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso ed altro; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto ed
altro; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.72005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n.
32856, Farzone].
Grava, comunque, sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a
convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a
sua insaputa e senza la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n.
35537, Vitale ed altro).
Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici del merito
hanno fondato correttamente la responsabilità degli imputati sulla disponibilità
giuridica e di fatto sia del suolo sia dell'immobile abusivamente sopraelevato,
dei quali risultano comproprietari, non avendo essi mai prospettato che altri,
contro il loro volere, ne avesse potuto disporre ed avesse intrapresa l'attività
edilizia in contestazione.
2. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 3.2.1997, n. 714,
ric. Luongo - hanno affermato la legittimità della subordinazione della
sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva.
L'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune,
ai sensi dell'art. 31, 3° comma, del D.P.R. n. 380/2001, non è incompatibile con
l'ordine di demolizione emesso dal giudice penale; infatti, nella prima parte
del comma 5 dello stesso articolo, si stabilisce che l'opera acquisita al
patrimonio comunale deve essere demolita con ordinanza del dirigente o
responsabile dell'ufficio tecnico comunale, a spese del responsabile dell'
abuso.
Si avrebbe incompatibilità soltanto se, con deliberazione consiliare, a norma
della seconda parte dello stesso comma 5, si fosse statuito di non dovere
demolire l'opera acquisita [vedi Cass., Sez. III: 31.1.2008, n. 4962, P.G. in
proc. Mancini e altri; 23.1.2007, n. 1904, Turianelli; 29.11.2005, n. 43294,
Gambino ed altro; 13.10.2005, n. 37120, Morelli; 20.5.2004, n. 23647, Moscato ed
altro, 30.9.2003, n. 37120, Botumarito ed altro; 20.1.2003, n. 2406, Gugliandolo;
7.11.2002, n. 37222, Clemente; 17.12.2001, Musumeci ed altra; 29.12.2000, n.
3489, P.M. in proc. Mosca].
L'acquisizione gratuita, in via amministrativa, è finalizzata essenzialmente
alla demolizione, per cui non si pone in contrasto con l'ordine demolitorio
impartito dal giudice penale, che persegue Io stesso obiettivo: il destinatario
di tale ordine, allorquando sia intervenuta l'acquisizione amministrativa a suo
danno, non potrà ottemperarvi soltanto se il Consiglio comunale abbia già
ravvisato (ovvero sia sul punto di deliberare) l'esistenza di prevalenti
interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive.
Ove il Consiglio comunale non abbia deliberato, invece, il mantenimento
dell'opera, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere
realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con
variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese
del responsabile dell'abuso. Non si comprende, dunque, perché il condannato non
possa chiedere al Comune (divenuto frattanto proprietario) l'autorizzazione a
procedere ad una ineludibile demolizione a proprie cura e spese.
Qualora si argomentasse in senso contrario si perverrebbe all'illogica
conclusione che il giudice penale non potrebbe ordinare, in caso di condanna, la
demolizione delle opere abusive tutte le volte in cui l'amministrazione comunale
abbia ingiunto la demolizione e questa non sia stata eseguita dal responsabile
dell'abuso nel termine di 90 giorni dalla notifica, tenuto conto che
l'acquisizione avviene a titolo originario ed "ope legis", per il solo decorso
del tempo, con il conseguente carattere meramente dichiarativo del successivo
provvedimento amministrativo, che è atto dovuto, privo di qualsiasi contenuto
discrezionale.
È ben difficile, del resto, ipotizzare si possa pervenire alla conclusione anche
del primo grado di un procedimento penale in un periodo più breve o pari a
quello la cui decorrenza comporta l'acquisizione automatica del bene.
Nella fattispecie in esame, non risulta che il Consiglio comunale di S. Antonio
Abate abbia escluso (ex art. 31, 5 comma, dei TU. n. 380/2001) la necessità di
procedere alla demolizione dei manufatti abusivi in oggetto, ovvero abbia
ravvisato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al loro mantenimento,
previo accertamento di una situazione di inesistente contrasto con rilevanti
interessi urbanistici ed ambientali.
3. Con corretta motivazione, riferita alla gravità oggettiva dei fatti, la Corte
di merito ha escluso l'invocato giudizio di prevalenza delle riconosciute
attenuanti generiche.
Gli altri motivi di ricorso, invece, sono fondati e meritano accoglimento.
4. Deve dichiararsi la intervenuta prescrizione delle contravvenzioni agli arti.
93, 94 e 95 del D.P.R. n. 380/2001, contestate al capo b) della rubrica.
Trattasi, invero, di fatti accertati "fino all'1.3.2004", per cui la scadenza
del termine massimo di prescrizione (di anni tre, ex arti. 157 e 160, ult.
comma, cod. pen.) coinciderebbe con 1'1.3.2007. Nessun effetto concreto si
riconnette al computo (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la
sentenza 11.1.2002, n. 1021, tic. Cremonese) di una sospensione del corso della
prescrizione per complessivi anni 1, mesi 4 e giorni 10, in seguito a rinvii
disposti per dichiarata astensione del difensore dalle udienze [dal 7.12.2005
all' 11.10.2006 ed al 17.4.20071.
Il termine ultimo di prescrizione, infatti, viene soltanto spostato all'
11.7.2008 (epoca comunque anteriore alla pronunzia della sentenza impugnata).
In seguito alla declaratoria di intervenuta prescrizione, copia della presente
sentenza deve essere trasmessa all'ufficio tecnico della Regione Campania, a
norma degli arti. 100 e 101 del D.P.R. n. 380/2001, per quanto di competenza.
5. Gli imputati avevano chiesto il riconoscimento del vincolo della
continuazione, ex art. 81 cpv. cod. pen. con i fatti già giudicati dal Tribunale
di Gragnano con sentenza in data 28.12.2000, assumendo che essi riguarderebbero
la medesima attività di costruzione abusiva.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la unicità del disegno
criminoso, necessaria per la configurabilità del reato continuato, non può
identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o,
comunque, con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate
condotte criminose, ma occorre che le singole violazioni siano tutte previste e
deliberate sin dall'origine nelle loro linee essenziali e riconducibili ad un
unico momento volitivo, che non può essere presunto per la sola circostanza
dell'identità dei beni aggrediti con le condotte criminose o per la reiterazione
di queste ultime in tempi ravvicinati.
Il solo dato costituito dall'identità od omogeneità dei reati da taluno commessi
in tempi diversi, infatti, se è certamente indicativo di una particolare
attitudine del soggetto a commettere azioni criminose della medesima indole, e
quindi, rivelatore di una accentuata pericolosità sociale, non vale però a far
ritenere, in mancanza di altri e più sostanziali elementi, che i detti reati
siano frutto di determinazioni volitive risalenti ad un'unica deliberazione di
fondo.
A carico dell'interessato si pone, in proposito un onere di allegazione, che non
viene assolto con la mera indicazione o produzione di sentenze di condanna,
occorrendo anche la specificazione di elementi concreti dai quali possa
desumersi - attraverso un ragionamento condotto alla stregua di rigorosi criteri
di ordine logico - la sussistenza delle condizioni alle quali l'art. 81 cod. pen.
subordina l'applicazione della disciplina della continuazione.
Tali principi, nella fattispecie in esame, non risultano correttamente applicati
dalla Corte di merito, la quale non ha escluso la sussistenza di un'unica
deliberazione originaria ma
si è limitata ad evidenziare che i lavori sono ancora in corso e diversi da
quelli già. giudicati dal Tribunale di Gragnano.
Sul punto, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata con
rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, per un nuovo esame
della questione alla stregua dei principi di diritto dianzi enunciati.
6. In seguito alla declaratoria parziale di prescrizione ed all'esito della
demandata nuova delibazione della questione riferita al riconoscimento della
continuazione, il giudice del rinvio procederà, infine, a nuova determinazione
delle pene.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615, 620 e 623 c.p.p.,
annulla la sentenza impugnata, senza rinvio limitatamente alle contravvenzioni
di cui al capo b) della rubrica, perché estinte per prescrizione e, con rinvio
ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, relativamente alla richiesta
di riconoscimento della continuazione e per la conseguente determinazione della
pena.
Rigetta il ricorso nel resto.
Dispone la trasmissione di copia della presente sentenza all'ufficio tecnico
della Regione Campania.
ROMA, 15.12.2009
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 19 MAR. 2010
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it
AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata
registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562