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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 22/03/2010 (Cc. 27/01/2010), Sentenza n.
10978
DIRITTO URBANISTICO - Provvedimento di fiscalizzazione dell’illecito edilizio -
Effetti - Revoca del sequestro e versamento della somma stabilita dal Comune -
Correlazione - Esclusione - Poteri del Giudice - Autonoma verifica in sede
giudiziaria - Fattispecie - Art. 12 L. n. 47/1985 - Artt. 34, 36 e 44 lett.b),
DPR n. 380/01.
Il provvedimento di fiscalizzazione dell'illecito edilizio, regolamentato
dall'art. 12 delle legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ed ora dall'art. 34 DPR n.
380/01) non equivale ad una sanatoria, atteso che non integra una
regolarizzazione dell'illecito, considerato che le opere realizzate vengono
tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione della conservazione
di quelle realizzate legittimamente (Cass. Sez. 3, n. 13978 del 25/02/2004).
Inoltre, la determinazione da parte del responsabile comunale della somma da
versare dall'interessato nell'ambito della procedura dell'art. 34 DPR n. 380/01
non vincola il giudice nell'accertamento del reato nel senso che non preclude la
possibilità di autonoma verifica in sede giudiziaria della entità e/o natura
della difformità realizzata al fine di verificare se la stessa possa essere
effettivamente definita parziale o debba invece essere ritenuta totale. Tale
verifica assume connotazione decisiva sulla sussistenza del reato di cui
all'art. 44 lett. b) - ravvisabile unicamente nell'ipotesi di difformità totale
e il giudice nell'esercizio della potestà penale tenuto in via autonoma ad
accertare la conformità dell'opera eseguita con le disposizioni in materia
urbanistico - edilizia. La compatibilità del manufatto con gli strumenti
urbanistici è infatti elemento costitutivo dei reati contemplati dalla normativa
urbanistica (Cass. Sez. 3, n. 41620 del 02/10/2007). E' da escludere, quindi,
che la revoca del sequestro debba automaticamente conseguire al versamento della
somma stabilita dal Comune nell'ambito della cennata procedura dell'art. 34 o
che al giudice penale sia inibita la possibilità di autonomi e/o ulteriori
accertamenti sull'entità dell'abuso. Nella specie, correttamente, il tribunale
del riesame ha ritenuto di dover procedere ad una autonoma verifica della
persistenza del fumus sull'istanza dell'interessato. Pres. Fiale, Est.
Sarno, Ric. Farruggio. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 22/03/2010 (Cc.
27/01/2010), Sentenza n. 10978
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UDIENZA Cc.. del 27.01.2010
SENTENZA N. 139
REG. GENERALE N. 27737/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi
Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALDO FIALE
Presidente
Dott. AGOSTINO CORDOVA
Consigliere
Dott. LUIGI MARINI
Consigliere
Dott. GIULIO SARNO
Rel. Consigliere
Dott. SANTI GAZZARA
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) FARRUGGIO ANGELO N. IL xx/xx/xxxx
- avverso l'ordinanza n. 553/2009 TRIB. LIBERTA' di ROMA, del 12/06/2009;
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO;
- lette/sentite le conclusioni del
PG Dott. Izzo Gioacchino che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale di Roma - sezione per il riesame -
rigettava l'appello proposto da Farruggio Angelo avverso l'ordinanza con la
quale il GIP di Velletri aveva rigettato la richiesta di dissequestro di tre
edifici residenziali in Artena per i quali si contestava la realizzazione di una
volumetria maggiore di mc 2290,16, rispetto a quella autorizzata pari a mc
5049,51.
Il tribunale, dopo avere premesso che l'istante - ingiunto a rimuovere le opere
abusive - aveva provveduto al pagamento della sanzione pecuniaria ex art. 34 DPR
380/01 assumendo l'impossibilità di procedere ad una demolizione limitata del
manufatto, respingeva l'appello sul rilievo che le questioni proposte non
riguardavano la legittimità del titolo ablativo generico ma la validità della
sanatoria conseguente al pagamento della sanzione pecuniaria e che quest'ultima
era stata legittimamente esclusa in ragione della notevole volumetria realizzata
in eccesso.
Propone in questa sede ricorso il Farruggio deducendo con motivo unico la
violazione dell'art. 34 DPR 380/01 sul rilievo che erroneamente il tribunale del
riesame avrebbe ritenuto la difformità totale e non parziale alla luce delle
norme tecniche del Piano Regolatore Generale vigente.
Dopo avere sintetizzato il contenuto dell'art. 9 delle predette disposizioni
recante la descrizione degli indici ed urbanistici, ed avere escluso la
rilevanza esterna all'amministrazione del contenuto delle circolari
dell'Assessorato all'Urbanistica Regionale recanti indirizzi e criteri generali
da seguire nella formazione dei Regolamenti Edilizi Comunali, il ricorrente
conclude rilevando che i vani scala aperti, non portavano ad avere cubatura
essendo volontà della società proprietaria di demolire la muratura per
sostituirla con elementi tubolari verticali; che per le coperture a tetto degli
edifici non vi erano altre disposizioni oltre a quelle contenute nelle circolari
di cui sopra sulle percentuali da rispettare; che l'analisi di superfici non
residenziali realizzate fuori dal PdC 39/05 consentiva l'accesso alla procedura
dell'art. 36 DPR 380/01 ma che era consentita anche la procedura dell'art. 34 in
quanto le variazioni avevano comportato incremento di superfici o volumi alle
unità immobiliari già in progetto senza aumento di numero o modifiche di
destinazione d'uso; che ai sensi dell'art. 31 DPR 380/01 i volumi realizzati
oltre i limiti del progetto approvato rilevano come totale difformità solo se
l'opera abusiva presenti il duplice requisito dell'autonoma utilizzabilità e
della specifica rilevanza.
Ed aggiunge anche il ricorrente che mentre il tribunale aveva omesso di valutare
suindicati elementi contenuti nella consulenza depositata in atti, il
responsabile comunale aveva invece ritenuto senz'altro legittima la procedura
dell'art. 34 provvedendo a quantificare gli oneri poi corrisposti dalla società
ricorrente, affermando infine che il giudice non ha potere di sindacare
l'operato della p.a..
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
Si deve anzitutto premettere che il provvedimento di fiscalizzazione
dell'illecito edilizio, regolamentato dall'art. 12 delle legge 28 febbraio 1985
n. 47 (ed ora dall'art. 34 DPR 380/01) non equivale ad una sanatoria, atteso che
non integra una regolarizzazione dell'illecito, considerato che le opere
realizzate vengono tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione
della conservazione di quelle realizzate legittimamente (Sez. 3, n. 13978 del
25/02/2004 Rv. 228451).
Inoltre si deve rilevare anche che la determinazione da parte del responsabile
comunale della somma da versare dall'interessato nell'ambito della procedura
dell'art. 34 DPR 380/01 non vincola il giudice nell'accertamento del reato nel
senso che non preclude la possibilità di autonoma verifica in sede giudiziaria
della entità e/o natura della difformità realizzata al fine di verificare se la
stessa possa essere effettivamente definita parziale o debba invece essere
ritenuta totale.
Tale verifica assume infatti connotazione decisiva sulla sussistenza del reato
di cui all'art. 44 lett. b) - ravvisabile unicamente nell'ipotesi di difformità
totale e, come più' volte affermato da questa Corte, il giudice nell'esercizio
della potestà penale tenuto in via autonoma ad accertare la conformità
dell'opera eseguita con le disposizioni in materia urbanistico - edilizia. La
compatibilità del manufatto con gli strumenti urbanistici è infatti elemento
costitutivo dei reati contemplati dalla normativa urbanistica (Sez. 3, n. 41620
del 02/10/2007 Rv. 237995 ).
E' da escludere, quindi, che la revoca del sequestro debba automaticamente
conseguire al versamento della somma stabilita dal Comune nell'ambito della
cennata procedura dell'art. 34 o che al giudice penale sia inibita la
possibilità di autonomi e/o ulteriori accertamenti sull'entità dell'abuso.
Correttamente, quindi, il tribunale del riesame ha ritenuto di dover procedere
ad una autonoma verifica della persistenza del fumus sull'istanza
dell'interessato.
Ed in questo senso appare incensurabile - in quanto correttamente e logicamente
motivata - la valutazione connessa alla ragguardevole entità complessiva
dell'abuso stesso che già aveva determinato il sequestro degli immobili.
Quanto ai rilievi del ricorrente, a prescindere dalla considerazione che, come
correttamente osservato dal tribunale, essi attengono in realtà alla legittimità
stessa del sequestro, se ne rende senz'altro necessaria la verifica
dibattimentale postulando accertamenti specifici incompatibili con la fase in
esame (peraltro per alcuni aspetti, si fa riferimento anche ad interventi di
modifica progettati e non ancora realizzati) che non consente - secondo
l'orientamento consolidato l'instaurazione di un processo nel processo.
A mente dell'art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue
l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in
favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei
motivi dedotti, nella misura di euro 1000.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende,
della somma di euro 1.000.
Cosi deciso, il giorno 27.1.2010
DEPOSTATA IN CANCELLERIA 22 MAR. 2010
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