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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24/03/2010 (Ud. 11/02/2010), Sentenza n. 11260
RIFIUTI - Abbandono di rifiuti penalmente rilevante - Nozione di rifiuto -
Individuazione - C.d. definizione aperta di rifiuto - Qualificazione e
motivazione della sentenza - Artt. 256, 2°c., 192 c.1 e 183 D.Lgs. n.152/2006.
In materia di rifiuti, l'art. 183 d.lgs. n. 152 del 2006 (recante le
definizioni) non contiene una catalogazione chiusa, rinvia sì all'allegato A, ma
in ogni caso contiene una definizione aperta: rifiuto è "qualsiasi sostanza od
oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A alla parte quarta
del decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di
disfarsi". Nella specie, è adeguatamente motivata la sentenza che, pur non
indicando specificatamente in quale categoria di rifiuti “tabellati” rientrano,
evidenzia la volontà dell'imputato di disfarsi del materiale, stante l'abbandono
all'aperto senza protezione e cautela di sorta e la risalenza nel tempo di tale
abbandono comprovata dalla produzione del fascicolo fotografico. (conferma
sentenza del 2.7.2008 del Tribunale di Bologna, Sezione Distaccata di Porretta
Terme) Pres. Onorato, Est. Amoroso, Ric. Cerdini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE,
Sez. III, 24/03/2010 (Ud. 11/02/2010), Sentenza n. 11260
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Circostanze aggravanti ed attenuanti -
Graduazione della pena aumenti o diminuzioni - Discrezionalità del giudice di
merito - Nuova valutazione della congruità della pena - Inammissibilità della
censura in giudizio di cassazione - Artt. 132 e 133 c.p.. La graduazione
della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice
di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza
ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. (Cass., sez. VI, 5/12/1991,
Lazzari). Ne consegue l’inammissibilità della censura in giudizio di cassazione
che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena. (conferma sentenza
del 2.7.2008 del Tribunale di Bologna, Sezione Distaccata di Porretta Terme)
Pres. Onorato, Est. Amoroso, Ric. Cerdini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
III, 24/03/2010 (Ud. 11/02/2010), Sentenza n. 11260
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UDIENZA del 11.2.2010
SENTENZA N. 310
REG. GENERALE N. 29074/09
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi
signori Magistrati:
dott. Pier Luigi Onorato
Presidente
1. dott. Claudia Squassoni
Consigliere
2. dott. Alfredo Maria Lombardi
Consigliere
3. doti. Giovanni Amoroso
Consigliere - Rel.
4. dott. Guida Mulleri
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da Cerdini Corrado, n. a Bologna il xx.xx.xxxx;
- avverso la sentenza del 2.7.2008 del Tribunale di Bologna, Sezione Distaccata
di Porretta Terme;
- Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;
- Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Francesco Sarzano
che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Cerdini Donato era imputato a) del reato p. e p. dall'art. 192 comma 1 del
d.lvo n.152/06, sanzionato dall'art. 256 comma 2 del medesimo decreto, perché,
quale titolare dell'azienda agricola "Cerdini Corrado", in varie aree adiacenti
alla stalla, depositava in modo incontrollato vari rifiuti non pericolosi, quali
materiali ferrosi, carta, contenitori vuoti ed altri rifiuti provenienti
dall'attività (in Castel d'Aiano (BO) fraz. Villa d'Aiano il 19.05.2006).
Con decreto di giudizio immediato ritualmente notificato all'imputato Corrado
Cerdini veniva tratto a giudizio per rispondere del reato in rubrica
ascrittogli.
All'esito dell'udienza dibattimentale, il Tribunale di Bologna, Sezione
Distaccata di Porretta Terme, con sentenza del 2 luglio 2009 dichiarava Corrado
Cerdini colpevole del reato ascrittogli e per l'effetto lo condanna alla pena di
euro 6.000,00 (seimila) di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
2.Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con un
unico motivo illustrato anche da successiva memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso, articolato in un unico motivo, denuncia l'erronea applicazione
della legge penale e la mancanza di motivazione rilevabile dal corpo del testo
della decisione impugnata.
Sottolinea come la nozione di rifiuto sia contenuta nel comma 1, lettera a),
dell'art. 183 d.lgs. n. 152/2006 secondo la quale è da considerarsi tale
"qualsiasi sostanza od oggetto che attualmente rientri nelle categorie riportate
nell'allegato A alla parte quarta del decreto e di cui il detentore si disfi o
abbia l'obbligo di disfarsi".
Tale normativa, riproducente l'allegato I della direttiva n. 75/442/CEE e della direttiva n. 2006/12/CEE, che riporta l'elenco delle sedici categorie di rifiuti individuate in sede comunitaria, si pone come vera e propria linea di confine sull'appartenenza o meno di un particolare oggetto nella prefata categoria. Orbene - secondo il ricorrente - il giudice di merito non ha indicato a quale di quelle categorie dovrebbero ascriversi i materiali oggetto dell'imputazione.
3. Il ricorso è infondato, trattandosi di abbandono di rifiuti, penalmente
rilevante (art. 256, secondo comma, d.lgs. n. 152 del 2006) perché posto in
essere da imprenditore (agricolo).
E' vero che la sentenza impugnata non indica in quale categoria di rifiuti "tabellati"
rientrano quelli nella specie abbandonati. Ma la descrizione che ne fa la
sentenza (carta, materiale ferroso, contenitori vuoti) ha consentito al giudice,
motivatamente, di ritenere che tali oggetti, nel contesto in cui sono stati
rinvenuti, costituiscano rifiuti.
Infatti l'art. 183 d.lgs. n. 152 del 2006 (recante le definizioni) non contiene
una catalogazione chiusa; rinvia sì all'allegato A, ma comunque contiene una
definizione aperta: rifiuto è "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle
categorie riportate nell'allegato A alla parte quarta del presente decreto e di
cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi".
La natura del materiale rinvenuto e le circostanze di fatto che caratterizzavano
il deposito dello stesso hanno consentito al giudice di ritenere che si trattava
di materiale di cui il detentore aveva deciso di disfarsi.
La volontà dell'imputato di disfarsi di tale materiale è emersa dalle
circostanze di fatto della condotta contestata, stante l'abbandono all'aperto
senza protezione e cautela di sorta e la risalenza nel tempo di tale abbandono
comprovata dalla produzione del fascicolo fotografico.
3. Quanto poi al rilievo sull'entità della pena, si tratta di censura
inammissibile stante la discrezionalità del giudice di merito di apprezzare le
circostanze di cui all'art. 133 c.p..
Infatti la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella
discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per
fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133
c.p. (Cass., sez. VI, 5 dicembre 1991, Lazzari); ne consegue che è inammissibile
la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della
congruità della pena.
4. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma l'11 febbraio 2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 24 MAR. 2010
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