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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 09/04/2010 (Ud. 18/02/2010), Sentenza n. 13493
RIFIUTI - Definizione di "rifiuto" - Interpretazione autentica - Fattispecie
derogatoria che esclude l'illecito penale - Art. 14 D.L. n.138/2002. L'art.
14 d.l. 8 luglio 2002 n. 138, conv. in legge 8 agosto 2002 n. 178, nel porre
l'interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" stabilisce, al
secondo comma, che non ricorre la decisione di disfarsi, di cui alla lett. h)
del primo comma della medesima disposizione, per beni o sostanze e materiali
residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:
a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente
riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo,
senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare
pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente
e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo
produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si
renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate
nell'allegato C del cit. digs. n. 22 del 1997. Pertanto, l'art. 14 D.L.
n.138/2002, che al primo comma precisa in positivo la nozione di rifiuto,
delinea poi al secondo comma una fattispecie derogatoria che esclude l'illecito
penale. (Cass. n. 20499/2005). (Conferma sentenza pronunciata dal Tribunale di
Como in Cantù in data 3.07.2008) Pres. De Maio, Est. Teresi, Ric. Furia.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 09/04/2010 (Ud.. 18/02/2010), Sentenza n.
13493
RIFIUTI - Nozione di "rifiuto" - Interpretazione estensiva - Normativa
comunitaria - Principi di precauzione e prevenzione - Distinzione tra residuo di
produzione e sottoprodotto - Art. 1 dir. 75/442 - Dir. 78/319. La
specificazione della nozione di "rifiuto", della quale è pur sempre necessaria
un'interpretazione estensiva in ragione dei principi di precauzione e
prevenzione espressi dalla normativa comunitaria in materia, è possibile solo
nei limiti in cui sia sottratta alla relativa disciplina ciò che risulti essere
un mero "sottoprodotto", del quale l'impresa non abbia intenzione di disfarsi.
Pertanto, occorre essenzialmente distinguere tra residuo di produzione, che è un
rifiuto, pur suscettibile di eventuale utilizzazione previa trasformazione, e
sottoprodotto, che invece non lo è, fermo restando che la nozione di rifiuto, ai
sensi degli art. 1 della direttiva 75/442, nella sua versione originale, e della
direttiva 78/319, non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e
gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. (Conferma sentenza
pronunciata dal Tribunale di Como in Cantù in data 3.07.2008) Pres. De Maio,
Est. Teresi, Ric. Furia. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 09/04/2010 (Ud..
18/02/2010), Sentenza n. 13493
RIFIUTI - Nozione di "sottoprodotto" - Disciplina applicabile. In tema di
rifiuti, è ravvisabile un "sottoprodotto" in quanto il riutilizzo di un bene, di
un materiale o di una materia prima sia non solo eventuale, ma "certo, senza
previa trasformazione, ed avvenga nel corso del processo di produzione". Sicché,
ciò che non nuoce all'ambiente e può essere inequivocabilmente e immediatamente
utilizzato come materia prima secondaria in un processo produttivo si sottrae
alla disciplina dei rifiuti, che non avrebbe ragion d'essere, la quale invece
trova piena applicazione in tutti i casi di materiale di risulta che possa
essere si utilizzabile, ma solo eventualmente ovvero "previa trasformazione",
ciò che, proprio in ragione del principio di precauzione e prevenzione
richiamato dalla Corte di giustizia, comporta l'applicazione della disciplina di
controllo dei rifiuti. (Conferma sentenza pronunciata dal Tribunale di Como in
Cantù in data 3.07.2008) Pres. De Maio, Est. Teresi, Ric. Furia. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 09/04/2010 (Ud.. 18/02/2010), Sentenza n. 13493
RIFIUTI - Nozione di rifiuto - Interpretazione estensiva - Giurisprudenza
comunitaria - L. n. 178/2002 - D. Lgs. n. 152/2006. In materia
di rifiuti, occorre interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per
limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, e quindi occorre
circoscrivere la fattispecie esclusa, relativa ai "sottoprodotti", alle
situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia
prima non sia "solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel
corso del processo di produzione". In conclusione, alla luce della
giurisprudenza comunitaria ed anche per la normativa nazionale deve accedersi,
quanto all'ipotesi dei residui di produzione ad un'interpretazione della
fattispecie derogatoria del secondo comma dell'art. 14 d.l. 8 luglio 2002 n.
138, conv. in legge 8 agosto 2002 n. 178, orientata dall'esigenza di conformità
alla normativa comunitaria. Inoltre, con la nuova normativa di cui al d. Lgs. n.
152/2006, che ha introdotto la nozione di sottoprodotto, la soluzione non muta
poiché la definizione di cui alla lettera n) dell'art. 183 del decreto è più
restrittiva. (Conferma sentenza pronunciata dal Tribunale di Como in Cantù in
data 3.07.2008) Pres. De Maio, Est. Teresi, Ric. Furia. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 09/04/2010 (Ud.. 18/02/2010), Sentenza n. 13493
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UDIENZA del 18.02.2010
SENTENZA N. 355
REG. GENERALE N. 16207/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi
Signori:
dott. Guido De Maio
Presidente
1. dott. Ciro Petti
Consigliere
2. dott. Alfredo Teresi
Consigliere rel.
3. dott. Silvio Amoresano
Consigliere
4. dott. Santi Gazzara
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sui ricorsi proposti da Furia Gabriele, nato a Milano il xx.xx.xxxx, e da Cappellini Costantino, nato a Carugo il xx.xx.xxxx,
- avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Como in Cantù in data 3.07.2008 che, con la concessione a entrambi delle circostanze attenuanti generiche, li ha condannati alla pena di €. 6.000 di ammenda [secondo la correzione eseguita nella motivazione], ciascuno, per il reato di cui agli art. 81 cpv. e 110 cod. pen.; 51, comma 1 lettera a), d. lgs. n. 22/1997;
- Visti gli atti, la sentenza denunciata e i ricorsi;
- Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
- Sentito il PM nella persona del PG dott. Francesco Mauro lacoviello, che ha
chiesto il rigetto dei ricorsi;
- Sentiti i difensori dei ricorrenti, avv. Arnaldo Borgonovo [per Furia] e
Benedetta Guzzoni [per Cappellini], che hanno chiesto l'accoglimento dei
ricorsi;
osserva
Con sentenza in data 3.07.2008 il Tribunale di Como in Cantù condannava Furia
Gabriele e Cappellini Costantino, con la concessione delle attenuanti generiche,
alla pena di €. 6.000 di ammenda, ciascuno, quali colpevoli del reato di cui
all'art. 51, comma 1 lettera a) d. lgs. n. 22/1997 per avere, il primo, quale
presidente del CdA della Furia cuscini s.p.a. e, il secondo, quale
amministratore unico dell'UME s.r.l., disposto e fatto eseguire il
trasporto di rifiuti speciali non pericolosi [poliuretano espanso CER 070299]
avvalendosi d'imprese trasportatrici non iscritte all'albo gestori rifiuti.
Il procedimento si era avviato dal sopralluogo effettuato dai CC di Genova
presso il magazzino di uno spedizioniere doganale in S. Stefano di Magra il 4
luglio 2005 nel corso del quale erano state rinvenute circa 50 balle di ritagli
di poliuretano espanso, materiale proveniente da diverse ditte sparse sul
territorio italiano.
Tale materiale era stato ceduto, anche dalle società rappresentate dai
ricorrenti, alla società Blu Hill Italia che aveva commissionato il
trasporto sino alla Liguria per la successiva esportazione.
La Furia cuscini e l' UME si erano avvalse, per il trasporto del
materiale, di ditte non iscritte all' albo gestori rifiuti.
Nel caso in esame, gli sfidi di poliuterano espanso [ottenuti dalla sagomatura
dei pezzi lavorati nell'industria dell'arredamento per ottenere imbottiture di
varie specie] costituivano rifiuti perché non inquadrabili nella figura della
"materia prima secondaria" non ricorrendo le condizioni previste dal secondo
comma dell'art. 14 della legge n. 178/2002 [interpretazione autentica della
definizione di rifiuto].
Proponevano ricorso per cassazione gli imputati denunciando Furia violazione di
legge; mancanza o illogicità della motivazione sulla qualifica di rifiuto degli
sfridi di poliuretano rientrando gli stessi nella categoria delle materie prime
secondarie e, dopo l'entrata in vigore del d, lgs. 152/2006, in quella di
sottoprodotto, trattandosi di "prodotti che scaturiscono in via continuativa
dal processo industriale d'impresa e che sono destinati a un ulteriore impiego o
al consumo".
La società Furia cuscini utilizzava gli sfridi, in parte, direttamente e,
in parte, li commercializzava cedendoli alla Blue Hill per la
riutilizzazione, certa e non eventuale, in un successivo processo produttivo
"senza trasformazioni preliminari" [in esse non rientrando il taglio degli
sfridi in pezzi più piccoli] e senza operazioni di recupero completo, di cui
parla la giurisprudenza comunitaria e senza alcun danno all' ambiente.
Cappellini denunciava violazione di legge sulla qualificazione del materiale
de quo come rifiuto che tale non era alla stregua dell'excursus
normativo riportato in ricorso.
Non era applicabile al caso in esame il concetto di tracciabilità assoluta
introdotto nell'ordinamento con la disposizione dell'art. 183 lett. n) del d.
lgs. n. 152/2006 [con la definizione del sottoprodotto] vigendo al momento del
fatto la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 14 della legge
n.178/2002 [interpretazione autentica della definizione di rifiuto] alla luce
della quale gli sfridi erano materia prima secondaria non necessitando, per il
reimpiego a fini commerciali, di alcun trattamento preventivo (e tale non era il
taglio in pezzi più minuti).
Entrambi i ricorrenti censuravano il riconoscimento dell'elemento psicologico
del reato soltanto per i produttori del materiale, "che non di per sé sempre ed
inevitabilmente qualificahile come rifiuto", elemento che, invece, era stato
escluso per i trasportatori, dovendosi prendere atto del quadro normativo
equivoco e della giurisprudenza oscillante.
Chiedevano l'annullamento della sentenza.
Il motivo sulla configurabilità del reato non è puntuale perché censura con
argomentazioni articolate in fatto la decisione che è esente da vizi
logico-giuridici, essendo stati indicati gli elementi probatori emersi a carico
degli imputati e confutata ogni obiezione difensiva.
La sentenza, infatti, ha correttamente ritenuto ricorrenti le condizioni che
integrano il concetto normativo di trasporto non autorizzato di rifiuti non
pericolosi, così correttamente qualificando i materiali consegnati dalle società
rappresentate dagli imputati a trasportatori, non iscritti all'albo per la
gestione di rifiuti, per essere depositati presso un magazzino di uno
spedizioniere doganale in vista della successiva esportazione.
E' stato accertato, in fatto, che i carichi riguardavano sfridi della
lavorazione del poliuretano espanso non impiegati direttamente nel ciclo
produttivo aziendale; imballati, previa miscelazione di apporti di diversa
provenienza aziendale; depositati presso un intermediario per il successivo
inoltro a ditte estere non identificate.
I ricorrenti richiamano l'interpretazione autentica dell'art. 6, comma 1, lett.
a), d. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, quale posta dall'art. 14 d.l. 8 luglio 2002
n. 138, conv. in legge 8 agosto 2002 n. 178 che, al secondo comma dell'art.
citato, ha dato la nuova nozione di rifiuto in base alla quale,
diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, non si tratterebbe
nella specie di rifiuti, ma di materiali atti al loro oggettivo reimpiego senza
aver subito nessun intervento preventivo di trattamento e senza aver recato
pregiudizio all'ambiente donde l'inesistenza del reato contestato in ragione
della sopravvenuta più favorevole normativa.
E' stato puntualizzato da questa Corte [nella sentenza n. 20499/2005 RV. 231528]
che l'art. 14 cit., nel porre l'interpretazione autentica della definizione di
"rifiuto" stabilisce, al secondo comma, che non ricorre la decisione di
disfarsi, di cui alla lett. h) del primo comma della medesima disposizione, per
beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista
una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono essere e sono
effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso
ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di
trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi possono
essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in
analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento
preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra
quelle individuate nell'allegato C del cit. digs. n. 22 del 1997.
L'art. 14 cit., che al primo comma precisa in positivo la nozione di rifiuto,
delinea poi al secondo comma una fattispecie derogatoria che esclude l'illecito
penale.
I rilievi dei ricorrenti riguardano la portata della fattispecie derogatoria del
secondo comma dell'art. 14, che andrebbe interpretato con un'ampiezza tale da
comprendere anche la condotta materiale loro ascritta.
La pronuncia della Corte di giustizia (sez. Il, 11 novembre 2004, C-457/02) ha
esaminato la questione di compatibilità del cit. art. 14 con la normativa
comunitaria di riferimento e ha chiarito che la specificazione della nozione di
"rifiuto", della quale è pur sempre necessaria comunque un'interpretazione
estensiva in ragione dei principi di precauzione e prevenzione espressi dalla
normativa comunitaria in materia, è possibile solo nei limiti in cui sia
sottratta alla relativa disciplina ciò che risulti essere un mero
"sottoprodotto", del quale l'impresa non abbia intenzione di disfarsi.
Quindi, occorre essenzialmente distinguere tra residuo di produzione, che è un
rifiuto, pur suscettibile di eventuale utilizzazione previa trasformazione, e
sottoprodotto, che invece non lo è, fermo restando che la nozione di rifiuto, ai
sensi degli art. 1 della direttiva 75/442, nella sua versione originale, e della
direttiva 78/319, non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e
gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica.
E a tal fine - afferma la Corte di giustizia nella citata decisione - in tanto è
ravvisabile un "sottoprodotto" in quanto il riutilizzo di un bene, di un
materiale o di una materia prima sia non solo eventuale, ma "certo, senza previa
trasformazione, ed avvenga nel corso del processo di produzione".
Ciò che non nuoce all'ambiente e può essere inequivocabilmente e immediatamente
utilizzato come materia prima secondaria in un processo produttivo si sottrae
alla disciplina dei rifiuti, che non avrebbe ragion d'essere; la quale invece
trova piena applicazione in tutti i casi di materiale di risulta che possa
essere si utilizzabile, ma solo eventualmente ovvero "previa trasformazione";
ciò che, proprio in ragione del principio di precauzione e prevenzione
richiamato dalla Corte di giustizia, comporta l'applicazione della disciplina di
controllo dei rifiuti.
Tuttavia - ha precisato la Corte - occorre interpretare in maniera estensiva la
nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro
natura, e quindi occorre circoscrivere la fattispecie esclusa, relativa ai
"sottoprodotti", alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un
materiale o di una materia prima non sia "solo eventuale, ma certo, senza
trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione".
Alla luce della giurisprudenza comunitaria sulla questione anche per la
normativa nazionale deve accedersi, quanto all'ipotesi dei residui di
produzione, a un'interpretazione della fattispecie derogatoria del secondo comma
dell'art. 14 cit., orientata dall'esigenza di conformità alla normativa
comunitaria.
Nella specie, esclusa un'interpretazione restrittiva della fattispecie
derogatoria di cui al secondo comma dell'art. 14 cit., corretta è la decisione
del Tribunale sull'insussistenza dei presupposti sopraindicati con riferimento
alla riutilizzazione effettiva e oggettiva in analogo o diverso ciclo produttivo
o di consumo.
L'impiego certo in un processo di produzione è risultato in concreto escluso sia
per l'incertezza sulla destinazione finale degli sfidi (sconoscevasi l'azienda
del reimpiego) essendo emerso solo che il materiale era oggetto di negoziazione
sia perché il materiale era stato ceduto non a un soggetto abilitato
all'utilizzo in proprio del materiale ma a un intermediario.
Ma anche alla luce della nuova normativa di cui al d. Lgs. n. 152/2006, che ha
introdotto la nozione di sottoprodotto, la soluzione non muta poiché la
definizione di cui alla lettera n) dell'art. 183 del decreto è più restrittiva.
Operando il criterio della tracciabilità assoluta la certezza dell'utilizzazione
deve, infatti, risultare da puntuali verifiche e da attestazioni dei soggetti
interessati alla cessione e al riutilizzo.
Correttamente, quindi, è stato ritenuto che tali decisivi elementi, minimizzati
nei motivi di ricorso, depongano inequivocabilmente per la configurabilità del
reato.
Anche il motivo sull'elemento psicologico del reato è infondato stante la
consistenza degli elementi di prova indicati dalla Corte di merito e le
argomentazioni sviluppate nella motivazione della sentenza con riferimento alla
posizione degli imputati quali operatori professionali e industriali tenuti alla
rigorosa conoscenza della normativa in materia di rifiuti e perciò gravati
dell'onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto potevano per osservare
la norma violata.
Grava sui ricorrenti l'onere delle spese del procedimento.
PQM
La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle
spese del procedimento.
Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 18.02.2010.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 9 APR. 2010
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