AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 16/04/2010 (Ud. 11/02/2010), Sentenza n.14828
DANNO AMBIENTALE - Associazioni riconosciute e non - Legittimazione delle
associazioni ecologiche a costituirsi parte civile nel processo penale - Lesione
di un diritto soggettivo o di un interesse giuridicamente rilevante -
Giurisprudenza - Risarcimento del danno ambientale - Condizioni e limiti. Le
associazioni riconosciute o non, possono costituirsi parte civile qualora
abbiano subito la lesione di un diritto soggettivo (o di un interesse
giuridicamente rilevante secondo la Sentenza della Cass. Sezioni Unite civili
n°500 del 1999) da una azione criminosa è stato riconosciuto, dopo varie
oscillazioni giurisprudenziali, alle associazioni ecologiche in relazione ai
reati che hanno come ricaduta un danno ambientale. Tale nocumento ha dimensioni
diversificate: la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il danno in
esame presenta, oltre a quella pubblica, una dimensione personale e sociale
quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre di ogni uomo e delle
formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità: il danno ambientale
in quanto lesivo di un bene di rilevanza costituzionale, quanto meno indiretta,
reca una offesa alla persona umana nella sua sfera individuale e sociale. In
tale contesto, è riscontrabile in capo alle associazioni ecologiche un interesse
legittimo alla tutela del territorio ed è stata riconosciuta la loro possibilità
di costituirsi parti civili nel processo. Le ricordate associazioni non possono
costituirsi parte civile al fine di chiedere la liquidazione del danno
ambientale di natura pubblica (a sensi dell'art.18 L.348/1986 ed ora D. L.vo n.
152/2006), ma possono agire in giudizio - in virtù del principio fondamentale in
tema di nocumento ingiusto risarcibile enucleato dall'art.2043 cc - per il
risarcimento dei danni patiti dal sodalizio a causa del degrado ambientale.
Occorre, inoltre, rilevare che non possono costituirsi parte civili le
associazioni portatrici di interessi meramente diffusi - comuni a più persone e
non passibili di appropriazione individuale - che non sono suscettibili di
tutela giurisdizionale; al fine che rileva, necessità che le associazioni siano
esponenziali di interessi ambientali concretamente individualizzati, cioè, di
interessi collettivi legittimi (Cass. Sez. III, sentenza n.33887/2006).
Pertanto, non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le
associazioni quando l'interesse perseguito sia quello genericamente inteso
all'ambiente o, comunque, un interesse che, per essere caratterizzato da un mero
collegamento con quello pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del
sodalizio e non risarcibile. Perché una associazione possa essere considerata
esponenziale di un interesse della collettività, in cui si trova il bene oggetto
di protezione, necessita che abbia come fine essenziale statutario la tutela
dello ambiente, sia radicata nel territorio anche attraverso sedi sociali, sia
rappresentativa di un gruppo significativo di consociati, ed abbia dato prova di
continuità del suo contributo a difesa del territorio. A tali condizioni, le
associazioni ecologistiche sono legittimate in via autonoma e principale alla
azione di risarcimento per il danno ambientale con diritto al ristoro del
nocumento commisurato alla lesione degli interesse collettivi rappresentati.
Pres. Onorato, Est. Squassoni, Ric. De Flammineis ed altro. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 16/04/2010 (Ud. 11/02/2010), Sentenza n.14828
www.AmbienteDiritto.it©
UDIENZA dell' 11.02.2010
SENTENZA N. 302
REG. GENERALE N. 22378/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi
Sigg.ri Magistrati:
Dott. PIERLUIGI ONORATO
- Presidente
Dott. CLAUDIA SQUASSONI
- Rel. Consigliere
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI
- Consigliere
Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI - Consigliere
Dott. GIOVANNI AMOROSO - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) DE FLAMMINEIS ALBERTO N. IL VV/00/XXXX
2) S.P.A. ING. O. MAZZITELLI
- avverso la sentenza n. 1111/2007 CORTE APPELLO di BARI, del 03/06/2008
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/02/2010 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. CLAUDIA SQUASSONI
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco che ha
concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere i
reati estinti per prescrizione con conferma delle statuizioni civili.
-Udito, per la parte civile, l'Avv.,
Uditi i difensori Avv.ti Gargano Raffaele; D'Amato Pantaleo; De Gennaro Davide.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Confermando la decisione del
Tribunale, la Corte di Appello di Bari, con sentenza 3 giugno 2008, ha ritenuto
De Flammineis Alberto responsabile dei reati previsti dagli artt.81 cpv cp, 51
c.1,2,3 DLvo 22/1997, 24 c.4 DPR 203/1988,674 cp, 59 c.8 D.L.vo 152/1999 e l'ha
condannato alla pena di giustizia oltre al risarcimento dei danni nei confronti
delle costituite parte civili.
Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno disatteso la prospettazione
difensiva di nullità dello avviso di chiusura delle indagini e di
inammissibilità della costituzione delle parti civili (Circolo Legambiente e WWF
Italia) per difetto di legittimazione; sul punto, hanno rilevato come le
associazioni ambientalistiche si fossero costituite in base alla legge allora
vigente (art.18 xL.349/ 1986) per cui la costituzione mantiene efficacia
nonostante la novazione legislativa. Indi, i Giudici hanno ricordato il
procedimento amministrativo che si è concluso con la determina 50 del 2003, con
la quale la Provincia di Bari ha rilasciato alla impresa Orfeo Mazzitelli spa (di cui l'attuale imputato era l'amministratore) autorizzazione per l'esercizio
dell'attività di trattamento e smaltimento di rifiuti urbani e fanghi da
impianti di depurazione mediante compostaggio (il compost doveva servire per
ammendante in agricoltura).
Effettuato un sopralluogo in data 29 ottobre 2003, gli accertatori hanno
evidenziato che l'impianto era gestito in maniera non corretta e riscontravato
varie irregolarità che hanno originato il presente processo. Alla base della
illegale situazione, si poneva la circostanza che l'impianto era stato
progettato e realizzato per trattare 85
tonnellate di rifiuti al giorno, mentre l'autorizzazione consentiva la gestione
di 270 tonnellate per una dolosa prospettazione della capacità dell'impianto da
parte dell'imputato; costui, inoltre, per scelta imprenditoriale e senza adeguata
programmazione, aveva aperto la ricezione di rifiuti ad altri bacini anche
extra- regionali.
La Corte ha concluso per la sussistenza di tutti i reati per i quali De
Flammineis era stato condannato dal Tribunale (per i motivi che saranno in
prosieguo precisati) ed ha confermato le statuizioni civili. Per l'annullamento
della sentenza, l'imputato, anche nella sua qualità di responsabile civile, ha
proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di
legge, in particolare, rilevando:
= che è nullo il decreto di citazione a
giudizio avanti il Tribunale perché l'avviso di conclusione delle indagini, dopo
l'interrogatorio dello imputato, avrebbe dovuto essere reiterato;
= che non era ammissibile la costituzione di parte civile del Circolo
Legambiente, WWF Italia, ASM di Molfetta in quanto la richiesta risarcitoria
per danno ambientale è attribuita in via esclusiva al Ministro dell'Ambiente a
sensi dell'art.311 D.L.vo n.152/2006 e, comunque, mancavano i requisiti richiesti
dalla giurisprudenza per la loro costituzione: inoltre, i primi due enti non
avevano subito in concreto un danno e quello della ASM era stato oggetto di
transazione;
= che era legittimo il provvedimento autorizzatorio che permetteva la gestione
di 270 tonnellate al giorno (al posto delle precedenti 85) dal momento che
l'aumento non incideva sulle caratteristiche del ciclo produttivo; inoltre, era
legittima la ricezione dei rifiuti non pericolosi provenienti da siti
extraregionali;
= che sussistevano i requisiti temporali e quantitativi per ritenere non
l'abbandono di rifiuti per cui 6 stato condannato ( art.52 c.2 DLvo 22/1997) ,
ma il deposto temporaneo;
= che non è configurabile il reato di cui all' art.51 c.4 D. L.vo n. 22/1997 in
relazione alla qualità del compost prodotto perché le prescrizioni riguardavano
le modalità di lavorazione e non il raggiungimento di un risultato;
=
che la giacenza dei rifiuti era dovuta dalla illecita opposizione dei gerenti
delle discariche di altri bacini di accoglierli: comunque, l'accumulo non aveva
carattere di definitività e non costituiva una discarica con conseguente
inapplicabilità della previsione dell'art.51 c.3 DLvo 22/1997;
= che non vi è prova che le emissioni in atmosfera superassero i limiti indicati
in sede di collaudo per cui è insussistente la violazione all'art.24 c.4 DPR
203/1988;
= che il reato previsto dall'art.674 cp 6 provato solo dalle sensazioni
soggettive di alcuni testi;
= che nessuna analisi conferma che il liquido possa qualificarsi percolato e,
comunque, lo scarico era occasionale con conseguente inesistenza della
contravvenzione ex art.59 c.8 D.L.vo 152/1999;
= che la Corte non ha tenuto conto
che, per i fatti per cui è processo, l'imputato era già stato giudicato con
sentenza 117/2005 del Tribunale di Trani;
= che non è congrua la motivazione sul diniego delle attenuanti generiche, sulla
quantificazione della provvisionale alle parti civili sulla mancata rinnovazione
del dibattimento;
= che i reati sono prescritti.
L'ultima deduzione è meritevole di accoglimento.
Si deve rilevare che, per le contravvenzioni (accertate fino al 29 ottobre 2003)
si è maturato il termine previsto dagli artt.157, 160 cp anche tenuto conto dei
periodi di sospensione del corso della prescrizione.
Di conseguenza, la Corte deve annullare la impugnata sentenza senza rinvio per
essere i reati estinti per prescrizione; il contenuto dell'atto di ricorso-
poiché nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna al risarcimento
dei danni nei confronti delle parti civili- deve essere esaminato ai limitati
fini dell'art.578 cpp.
A sensi di tale articolo, la Corte deve compiere una duplice valutazione: da un
lato, stabilire se siano provati gli estremi dei reati dai quali le parti civili
fanno discendere il loro diritto al risarcimento e, dall'altro, accertare, sia
pure in modo sommario, la sussistenza di tale diritto.
Tanto premesso, si osserva come non sia evidenziabile la nullità del decreto di
citazione a giudizio prospettata dal ricorrente sotto il profilo della mancata
reiterazione dell'avviso di chiusura delle indagini in esito all'interrogatorio
dell'imputato; si è verificato che il Pubblico Ministero - dopo la emissione
dell'avviso previsto dall'art.415 bis cpp e la scadenza del termine per
espletare le indagini e prima dell'esercizio della azione penale- ha provveduto
alla audizione dell'imputato.
L'errore procedurale comportava, a sensi dell'art.407 uc cpp, solo la sanzione di inutilizzabilità dello interrogatorio, che non è stato neppure menzionato nelle sentenze dei Giudici di merito.
Non fondato è il motivo di ricorso concernente la inammissibilità della
costituzione delle partii civili Circolo Legambiente e WWF Italia in
relazione alle quali la conclusione dei Giudici di merito è condivisibile anche
se deve essere sorretta da diverso apparato argomentativo.
Il principio indiscusso che tutte le associazioni, riconosciute o non, possono
costituirsi parte civile qualora abbiano subito la lesione di un diritto
soggettivo (o di un interesse giuridicamente rilevante secondo la Sentenza
delle Sezioni Unite civili n°500 del 1999) da una azione criminosa è stato
riconosciuto, dopo varie oscillazioni giurisprudenziali, alle associazioni
ecologiche in relazione ai reati che hanno come ricaduta un danno ambientale.
Tale nocumento ha dimensioni diversificate: la giurisprudenza di legittimità ha
chiarito che il danno in esame presenta, oltre a quella pubblica, una dimensione
personale e sociale quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre
di ogni uomo e delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità:
il danno ambientale in quanto lesivo di un bene di rilevanza costituzionale,
quanto meno indiretta, reca una offesa alla persona umana nella sua sfera
individuale e sociale.
In tale contesto, è riscontrabile in capo alle associazioni ecologiche un
interesse legittimo alla tutela del territorio ed è stata riconosciuta la loro
possibilità di costituirsi parti civili nel processo alle seguenti condizioni.
Le ricordate associazioni non possono costituirsi parte civile al fine di
chiedere la liquidazione del danno ambientale di natura pubblica (a sensi
dell'art.18 L.348/1986 ed ora dell'art.DLVO 152/2006), ma possono agire in
giudizio - in virtù del principio fondamentale in tema di nocumento ingiusto
risarcibile enucleato dall'art.2043 cc - per il risarcimento dei danni patiti dal
sodalizio a causa del degrado ambientale.
Occorre, inoltre, rilevare che non possono costituirsi parte civili le
associazioni portatrici di interessi meramente diffusi - comuni a più persone e
non passibili di appropriazione individuale - che non sono suscettibili di
tutela giurisdizionale; al fine che rileva, necessità che le associazioni siano
esponenziali di interessi ambientali concretamente individualizzati, cioè, di
interessi collettivi legittimi (ex plurimis Sezione terza sentenza 33887/2006).
Pertanto, non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le
associazioni quando l'interesse perseguito sia quello genericamente inteso
all'ambiente o, comunque, un interesse che, per essere caratterizzato da un mero
collegamento con quello pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del
sodalizio e non risarcibile.
Quando, invece, l'interesse allo ambiente non rimane una categoria astratta, ma
si concretizza in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio
scopo, esso cessa di essere comune alla generalità dei consociati. In questo
caso, le associazioni sono centri di tutela e di imputazione dell'interesse
collettivo all'ambiente che, in tale modo, cessa di essere diffuso e diviene
soggettivizzato e personificato.
Poiché una associazione possa essere considerata esponenziale di un interesse
della collettività, in cui si trova il bene oggetto di protezione, necessita che
abbia come fine essenziale statutario la tutela dello ambiente, sia radicata
nel territorio anche attraverso sedi sociali, sia rappresentativa di un gruppo
significativo di consociali, abbia dato prova di continuità del suo contributo a
difesa del territorio.
A tali condizioni, le associazioni ecologistiche sono legittimate in via
autonoma e principale alla azione di risarcimento per il danno ambientale con
diritto al ristoro del nocumento commisurato alla lesione degli interesse
collettivi rappresentati.
Dal testo della sentenza di primo grado, emerge che il Circolo Legambiente e WWF
Italia avevano i requisiti su richiesti per cui la loro costituzione di parti
civile è legittima.
Questi Enti hanno subito, quanto meno, una potenziale lesione di natura non
patrimoniale attinente alla personalità del sodalizio per il discredito
derivante dal mancato raggiungimento dei fini istituzionali. In relazione alla
parte civile ASM (per la quale non sono di attualità le problematiche trattate)
si rileva come l'azienda abbia prospettato, ed in parte provato, l'esistenza di
danni materiali dovuti ai maggiori costi subiti per lo smaltimento dei rifiuti
in discariche alternative cui ha dovuto fare ricorso a causa delle inadempienze
della ditta del l'imputato.
Il ricorrente ha lamentato che i Giudici di merito, nella condanna generica al
risarcimento dei danni e nella quantificazione della provvisionale, non hanno
considerato la transazione intervenuta con la ASM. Ma la parte civile ha
sostenuto - senza essere smentita sul punto - che la transazione era subordinata
ad una condizione risolutiva che si è verificata. Il problema, peraltro, può
essere affrontato dal Giudice civile davanti al quale le parti sono state
rinviate per la liquidazione definitiva del danno.
In merito alla quantificazione della provvisionale, si osserva come il relativo
provvedimento non sia impugnabile in Cassazione in quanto, per la sua natura
insuscettibile di passare in giudicato, è destinato ad essere superato dalla
effettiva liquidazione dello integrale risarcimento.
Le censure sulla configurabilità dei reati non sono meritevoli di accoglimento.
La Corte di Appello, nella impugnata sentenza, ha dato atto delle indagini di
natura tecnica e delle fonti probatorie dalle quali ha tratto il suo
convincimento, ha sorretto la conclusione con motivazione congrua e completa e,
dopo avere preso in considerazione le deduzioni difensive, e le correttamente
confutate: la decisione non presenta vizi motivazionali deducibili in questa
sede.
In particolare, per la contravvenzione di abbandono dei rifiuti (art.52 c.2 DLvo 22/1997), la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fossero gli estremi
quantitativi e qualitativi e le altre condizioni richieste dalla legge per
considerare il deposito temporaneo con conseguente deroga alla disciplina dal DLvo 22/1997: la conclusione, correttamente motivata, ha come referente i dati
provenienti dallo stesso imputato. Relativamente al reato di violazione alle
prescrizioni della autorizzazione (art.51 c.4 DLvo 22/1997), i Giudici hanno
indicato le analisi (ritenute pienamente attendibili ed il cui esito non è
messo in discussione dal ricorrente) dalle quali risultava come il compost non
avesse le caratteristi richieste dalla legge e da uno specifico obbligo
contrattuale.
In riferimento al reato di discarica abusiva (art.51 c.3 DLvo 22/1997), la
Corte ha avuto cura di indicare gli elementi fattuali dai quali ha tratto la
conclusione che le aree adiacenti allo impianto fossero diventate ricettacolo di
rifiuti indifferenziati e di compost fuori specifica; i materiali, ammassati da
tempo e con caratteri di definitività, non erano destinati al trattamento ed al
recupero e, pertanto, la conclusione circa la sussistenza di una discarica
abusiva non merita censure.
Per superare questa conclusione, il ricorrente ha formulato motivi in fatto che
esulano dai limiti cognitivi di questa Corte.
Per quanto concerne la violazione alla disciplina sui rifiuti, la deduzione
della difesa, secondo la quale l'impianto poteva gestire 270 tonnellate al
giorno e ricevere rifiuti extraregionali, non ha influenza alcuna sulla
comprovata configurabilità dei reati.
I rifiuti generavano un percolato che invadeva il suolo e le acque sotterranee e
questa circostanza ha permesso ai Giudici di merito di affermare la
responsabilità dell'imputato per il reato previsto dall'art.59 c.8 DLvo 152/1999; la tesi del ricorrente circa la natura del liquido e l'occasionalità dello
scarico non trova conforto nel testo della sentenza impugnata.
Con riguardo alla contravvenzione prevista dall'art.24 c.4 DPR 203/1988, la
Corte ha rilevato come l'autorizzazione prevedesse che i processi (ad eccezione
della fermentazione) fossero effettuati al coperto e che le emissioni fossero
convogliate, prima dello scarico in atmosfera, in un impianto di abbattimento;
tali prescrizioni non erano rispettate per cui la gestione avveniva in modo
difforme da quanto previsto dal progetto approvato dalla Provincia.
Essendo stata contestata la fattispecie di inosservanza alle ricordate
prescrizioni e non il superamento dei limiti di emissione, la prospettazione
difensiva sul tema non è conferente.
Infine, la gestione dell'impianto in generale e dei rifiuti in particolare senza
il rispetto della normativa di settore ha avuto come ricaduta la diffusione di
odori che procuravano molestie ai vicini (con
conseguente configurabilità della fattispecie di reato prevista dall'art.674 cp); la circostanza è dimostrata non da soggettive percezioni, ma dagli
accertamenti tecnici e dalle analisi effettuate.
La residua deduzione, sulla violazione del ne bis in idem, è già stata
sottoposta al vaglio dei Giudici di merito e disattesa sotto il profilo
che la precedente sentenza n°117/2005 del Tribunale di Trani riguardava fatti
diversi (per l'epoca dei commessi reati) da quelli per cui si procede; nulla
ha rilevato il ricorrente per contrastare questa conclusione.
PQM
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti
per prescrizione; conferma le statuizioni civili; condanna i ricorrenti alla
rifusione delle spese delle parti civili di questo grado di giudizio liquidate
in complessivi euro duemilacinquecento per l'ASM di Molfetta, euro duemila per
WWF, euro 2000 per Legambiente, euro mille ciascuno per le restanti parti civili
oltre gli accessori di legge.
Roma 11 febbraio 2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 16 APR. 2010
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it
AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata
registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562