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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 28/05/2010 (Ud. 16/03/2010), Sentenza n. 20350



DIRITTO URBANISTICO - Ristrutturazione edilizia - Nozione - Manutenzione straordinaria - Restauro e risanamento conservativo - Differenza - Fattispecie: suddivisione di un fabbricato in due unità immobiliari - Art. 3, 1° c. - lett. d), T.U.E. n. 380/2001 - come mod. dal D.Lgs n. 301/2002 - Art. 44, D.P.R. n. 380/2001. Ai sensi dell’art. 3, 1° comma - lett. d), del T.U. n. 380/2001 - come modificato dal D.Lgs 27.12.2002, n. 301 la ristrutturazione edilizia non è vincolata, al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio esistente e differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, né modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso) sia dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l'assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d'uso "compatibili" con l'edificio conservato). Nella fattispecie, é emerso al dibattimento, che i lavori ancora in corso al momento del sopralluogo erano destinati complessivamente a suddividere un fabbricato in due unità immobiliari, mediante opere di diversa distribuzione interna e modifiche di porte e finestre esterne. Lavori siffatti, per la loro evidente incidenza sul carico urbanistico, non potevano essere realizzati previa "DIA semplice" ma solo con "DIA alternativa al permesso di costruire" e tale procedura non risultava esperita in concreto. Si verte, pertanto, in ipotesi di opere sostanzialmente prive di titolo abilitativo e ciò comporta (art. 22, 4° comma, T.U. n. 380/2001) l'applicazione delle sanzioni penali di cui al successivo art. 44. Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Magistrati. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 28/05/2010 (Ud. 16/03/2010), Sentenza n. 20350

DIRITTO URBANISTICO - Attività di ristrutturazione edilizia - Serie di interventi - Connessione finalistica delle opere eseguite - Denunzia di inizio attività (DIA) in alternativa al permesso di costruire - Presupposti - Ristrutturazioni edilizie cd. di portata minore - Disciplina - Artt. 22, 3°c., lett. a) e 10, 1° c. - lett. c), del T.U.E. n. 380/2001, come mod. dal D.Lgs. n. 301/2002.
L’attività di ristrutturazione, può attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi ad altri tipi di interventi (es. manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo). L'elemento caratterizzante, però, è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate analiticamente ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo (Cass., Sez. III, 19.9.2008, n. 35897, Altarozzi ed altri). Di conseguenza, l'art. 10, 1° comma - lett. c), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, assoggetta a permesso di costruire quegli interventi di ristrutturazione edilizia "che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici" ovvero si connettano a mutamenti di destinazione d'uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A). L'art. 22, 3°comma - lett.a), dello stesso T.U., come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, prevede, però, che - a scelta dell'interessato - tali interventi possono essere realizzati anche in base a denunzia di inizio attività (alternativa al permesso di costruire). E' stato rilevato inoltre, in giurisprudenza, che devono ritenersi realizzabili, previa mera denunzia di attività (non alternativa al permesso di costruire) le ristrutturazioni edilizie di portata minore: quelle, cioè, che determinano una semplice modifica dell'ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza urbanistica [diverse da quelle descritte dall'art. 10, 1° comma - lett. c), del T.U. n. 380/2001, che possono incidere, invece, sul carico urbanistico]. Pres. Petti, Est. Fiale, Ric. Magistrati. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 28/05/2010 (Ud. 16/03/2010), Sentenza n. 20350


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UDIENZA del 16.03.2010

SENTENZA N. 561

REG. GENERALE N. 37047/2009


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. CIRO PETTI
Dott. ALDO FIALE
Dott. AMEDEO FRANCO
Dott. SILVIO AMORESANO
Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI


ha pronunciato la seguente

 
SENTENZA


sul ricorso proposto da:
I) MAGISTRATI MARIA LUISA N. IL 00/00/0000
- avverso la sentenza n. 2014/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 17/07/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/03/2010 la relazione fatta dai Consigliere Dott. ALDO FIALE
- Udito il. Procuratore Generale in persona del Dott. Alfredo Mntagna che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
- Udito il difensore Avv.to Pietro Nocita, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 17.7.2009, in parziale riforma della sentenza 13.3.2008 del Tribunale di Grosseto - Sezione distaccata di Orbetello, ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di Magistrati Maria Luisa in ordine al reato di cui:
- all'art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 [per avere realizzato, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza del prescritto permesso di costruire, lavori edilizi comportanti anche modifiche prospettiche di due lati di una villa - acc. in Orbetello, via delle Mimose, con lavori in corso al 16.3.2005];
e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, determinava la pena in giorni 15 di arresto ed euro 21.000,00 di ammenda (dichiarando condonata interamente la pena detentiva e fino ad euro 10.000,00 quella pecuniaria).


Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore della Magistrati, il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito l'incongrua riconduzione delle opere realizzate al regime della "ristrutturazione edilizia".


MOTIVI DELLA DECISIONE


Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.


1. L'art. 3, 1° comma - lett. d), del T.U. n. 380/2001 - come modificato dal D.Lgs 27.12.2002, n. 301 - definisce interventi di ristrutturazione edilizia quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti".


La ristrutturazione edilizia non è vincolata, pertanto, al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio esistente e differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, né modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso) sia dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l'assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d'uso "compatibili" con l'edificio conservato).


La stessa attività di ristrutturazione, del resto, può attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi agli altri tipi dianzi enunciati. L'elemento caratterizzante, però, è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate analiticamente ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo (vedi Cass., Sez. III, 19.9.2008, n. 35897, Altarozzi ed altri).


L'art. 10, 1° comma - lett. c), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, assoggetta a permesso di costruire quegli interventi di ristrutturazione edilizia "che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici" ovvero si connettano a mutamenti di destinazione d'uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A).


L'art. 22, 3°comma - lett.a), dello stesso T.U., come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, prevede, però, che - a scelta dell'interessato - tali interventi possono essere realizzati anche in base a denunzia di inizio attività (alternativa al permesso di costruire).


E' stato rilevato inoltre, in giurisprudenza, che devono ritenersi realizzabili, previa mera denunzia di attività (non alternativa al permesso di costruire) le ristrutturazioni edilizie di portata minore: quelle, cioè, che determinano una semplice modifica dell'ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza urbanistica [diverse da quelle descritte dall'art. 10, 1° comma - lett. c), del T.U. n. 380/2001, che possono incidere, invece, sul carico urbanistico].


Nella fattispecie in esame é emerso, al dibattimento, che i lavori ancora in corso al momento del sopralluogo erano destinati complessivamente a suddividere il fabbricato in due unità immobiliari, mediante opere di diversa distribuzione interna e modifiche di porte e finestre esterne.


Lavori siffatti, per la loro evidente incidenza sul carico urbanistico, non potevano essere realizzati previa "DIA semplice" ma solo con "DIA alternativa al permesso di costruire" e tale procedura non risulta esperita in concreto.


Si verte, pertanto, in ipotesi di opere sostanzialmente prive di titolo abilitativo e ciò comporta (art. 22, 4° comma, T.U. n. 380/2001) l'applicazione delle sanzioni penali di cui al successivo art. 44 [vedi Cass., Sez. III: 15 marzo 2007, Aratari; 19 novembre 2003, Landolina].


2. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000/00.


P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.


ROMA, 16.3.2010


DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  28 MAG. 2010



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