AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 09/06/2010 (Ud. 13/04/2010), Sentenza n. 22012
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni in atmosfera di biogas proveniente da
discarica - Specifiche prescrizioni tecniche - Reato di cui all'art. 674 cod.
pen. - Configurabilità - Elementi - Reato di pericolo - Concorso con le norme a
tutela dell'ambiente - Art. 3 D.P.R. n. 203/1988. Le emissioni in atmosfera
di biogas di una discarica di rifiuti rientrano nello normativa sulla
prevenzione dell'inquinamento atmosferico di cui al D.P.R. n. 203/1988 e devono
formare oggetto di specifiche prescrizioni tecniche durante tutto l'esercizio
dell'attività e non solo quando la discarica si sia esaurita. L'obbligo di
provvedere alla captazione discende direttamente dalla legge, mentre la P.A. può
solo determinare le modalità tecniche con cui provvedere. Le discariche sono
stabilimenti di pubblica utilità idonei a dar luogo all'inquinamento
atmosferico, fenomeno che deve essere considerato nell'unitaria autorizzazione
integrata preventiva (Cass. Sez. III n. 24328/2004). Sicché, la fattispecie di
cui all'art. 674 cod. pen. non richiede per la sua configurabilità il
verificarsi di un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente il
semplice realizzarsi di una situazione di pericolo di offesa al bene che la
norma intende tutelare..., atteso che anche con ciò può determinarsi un rischio
per la salubrità dell'ambiente e conseguentemente della salute umana (Cassazione
Sezione III n. 46846/2005). Inoltre, tale ipotesi di reato può concorrere con
quelle relative alla tutela dell'ambiente stante la diversa struttura della
fattispecie e i differenti beni giuridici tutelati (Cassazione Sezione I n.
26109/2005). (annulla, sentenza della Corte d'Appello di Firenze del 9.03.2009)
Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Sanpaolesi ed altri. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 09/06/2010 (Ud. 13/04/2010), Sentenza n. 22012
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Definizione di inquinamento atmosferico - Art. 2,
punto 1, d.P.R. n. 203/1988. Ai sensi dell'art. 2, punto 1, d.P.R. n.
203/1988, si configura inquinamento atmosferico "....non necessariamente in caso
di un accertato pericolo di danno alla salute dell'uomo, per la presenza di
sostanze inquinanti o tossiche o nocive, ma anche solo per un'alterazione
dell'atmosfera che incida negativamente sui beni naturali o anche semplicemente
sull'uso di essi...." (Cassazione Sez. III, 3/3/1992, Forte; Cassazione Sezione
I, 7/6/1996). (annulla, sentenza della Corte d'Appello di Firenze del 9.03.2009)
Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Sanpaolesi ed altri. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 09/06/2010 (Ud. 13/04/2010), Sentenza n. 22012
www.AmbienteDiritto.it©
UDIENZA del 13.04.2010
SENTENZA N. 705
REG. GENERALE N. 31799/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Signori:
dott. Pierluigi Onorato
Presidente
1. dott. Alfredo Teresi
Consigliere rel.
2. dott. Claudia Squassoni
Consigliere
3. dott. Guicla I. Mulliri
Consigliere
4. dott. Giulio Sarno
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti agli effetti civili da
1. Sanpaolesi de Falena Luca
2. Sanpaolesi de Falena Francesca
3. Sanpaolesi de Falena Giovanni
4. Facibeni Paolo
5. Facibeni Lorenzo
6. Facibeni Cosimo
7. Nazzareno Giannadrea
8. Carpita Marisa
9. Carpineti Eraclio
10. Galletti Fabrizio
11. Mauceli Serena
12. Callegari Graziano
13. Mazzamuto Franco
14. Galletti Ivo
15. Neroni Edelways
16. D'Ignazio Luigi
17. D'Ignazio Giovanni
18. Bongi Marcello
19. Dacomo Franca Maria
20. Di Leila Leonardo
21. Mannucci Sabina
22. Giusti Gino
23. Carpineti Giancarlo
24. Zadrozna Anna Elzbieta
25. Pirilli Carmela
26. Cazzuola Monica
27. Piancatelli Maria Teresa
parti civili nel procedimento penale a carico di
1. Nenci Alessandro
2. Montanucci Pier Angelo
3. Lami Valerio
avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Firenze in data
9.03.2009 che, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto i predetti
- perché il fatto non è previsto dalla legge come reato dall'imputazione di cui
agli art. 113 e 674 cod. pen.;
- perché il fatto non sussiste (modificando la formula assolutoria di primo
grado) dall'imputazione di cui agli art. 113 cod. pen. 51, commi 3 e 4, d. lgs.
n. 22/1977;
- perché il fatto non sussiste dall'imputazione di cui agli art. 113 cod. pen. e
25 d.P.R. n.203/1988
e ha revocato le statuizioni civili della sentenza impugnata;
- Visti gli atti, la sentenza denunciata e i ricorsi;
- Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
- Sentito il PM nella persona del PG, dott. Alfredo Montagna, che ha chiesto
l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente;
- Sentiti i difensori delle parti civili, avv. Enrico Pappalardo e Nando
Bartolomei che hanno chiesto l'annullamento, con o senza rinvio, della sentenza
impugnata e la condanna degli imputati alla rifusione delle spese sostenute nel
grado;
- Sentito il difensore del ricorrente, avv. Alberto Uccelli, che ha chiesto il
rigetto dei ricorsi;
osserva
Con sentenza in data 9.03.2009 la Corte d'Appello di Firenze, in riforma della
sentenza di primo grado, assolveva Nenci Alessandro, Montanucci Pier Angelo e
Lami Valerio
- perché il fatto non è previsto dalla legge come reato dall'imputazione di cui
agli art. 113 e 674 cod. pen. [Nenci, quale presidente del CdA della REA
s.p.a; Montanucci, quale amministratore delegato della REA s.p.a.; Lami, quale
direttore tecnico della REA s.p.a., in cooperazione colposa tra loro,
nell'esercizio dell'attività della discarica di Scapigliato gestita dalla
predetta società,
- non realizzando barriere frangivento lungo il perimetro della discarica - come prescritto dalla Provincia di Livorno -;
-non procedendo a corretta captazione e convogliamento di notevoli quantitativi del biogas sviluppato dalla macerazione dei rifiuti;
- lasciando vari pozzi di biogas
incompleti e liberi di scaricare in aria il biogas accumulato e bruciato solo in
parte attraverso l'accensione di fiaccole, provocavano emissioni di biogas atte
a molestare persone viventi nelle aree circostanti];
- perché il fatto non sussiste (modificando la formula assolutoria di primo
grado) dall'imputazione di cui agli art. 113 cod. pen. 51, commi 3 e 4, d. lgs.
n. 22/1977 [i predetti nelle rispettive qualità e nell'esercizio
dell'attività sopraindicata, non realizzando barriere frangivento lungo il
perimetro della discarica, come prescritto dalla Provincia di Livorno, avevano
gestito la discarica senza rispettare la prescrizione prevista nella prima
autorizzazione all'esercizio dell'impianto];
- perché il fatto non sussiste dall'imputazione di cui agli art. 113 cod. pen. e
25 d.P.R. n.203/1988 [per non avere - Nenci e Montanucci - presentato alla
competente autorità richiesta di autorizzazione all'emissione diffuse in
atmosfera provenienti dalla scarica gestita dalla suddetta società]
e revocava le statuizioni civili della sentenza impugnata.
Premetteva la Corte che la discarica di Scapigliato, attivata nell'anno 1982,
dal gennaio 1997 era stata affidata dal Comune di Rosignano Marittimo,
proprietario dell'area e titolare delle concessioni amministrative, alla s.p.a.
REA.
Essendo stata la discarica inserita nel piano regionale di smaltimento dei
rifiuti con conseguente incremento del quantitativo di rifiuti accettati, si era
reso necessario l'ampliamento dei lotti.
L'impianto era sede definitiva dei rifiuti all'interno di scavi nei quali il
materiale, prima disposto in strati, era costipato e sottoposto a ricoprimento
giornaliero con versamenti di terreno.
Nel sito esistevano impianti di captazione e riciclo del biogas costituiti da
pozzi di raccolta terminanti con tubazioni di sfiato alla cui sommità erano
collocate fiaccole per la combustione del gas esalato e ciò per ridurre le
esalazioni maleodoranti del biogas.
Tanto premesso, la Corte, rilevato che la prescrizione di collocare barriere
arboree frangivento sui confini dell'area [disposta dalla Giunta provinciale di
Livorno il 6.05.1985] non era stata attuata dal Comune di Rosignano Marittimo,
all'epoca gestore dell'impianto, e che negli atti di approvazione degli
ampliamenti successivi la prescrizione non era stata riproposta, riteneva che
ostava alla configurazione del reato di cui all'art. 51, co. 3 e 4, d. lgs. n.
22/1997 la conformazione assunta nel corso del tempo dalla discarica, in
continuo ampliamento [da concava era divenuta convessa sicché la piantumazione
di alberi su confini labili non poteva svolgere alcuna azione frangivento],
donde la pronuncia d'insussistenza del fatto a modifica della formula "perché
il fatto non costituisce reato" (per carenza dell'elemento psicologico del
reato) adottata dal tribunale.
Quanto alla presenza in discarica di vari pozzi di biogas incompleti e di
fiaccole non accese in maniera permanente, la corte territoriale rilevava che,
con la delibera della giunta provinciale di Livorno n. 2507 del 29.05.1991 con
cui era stato approvato il progetto generale attuativo di completamento e di
estensione della discarica, era stato previsto il ripristino dei pozzi esistenti
e la realizzazione di altri settantacinque pozzi per la raccolta del biogas e
riteneva, recependo le considerazioni tecniche del perito Baccaro, che,
trattandosi di un impianto già operativo, la diffusione del biogas non poteva
essere efficacemente contenuto perché le opere sopraindicate avrebbero dovuto
essere innestate nel corso della messa a dimora dei rifiuti quando il biogas non
era giunto a maturazione, sicché non era possibile collegare i pozzetti di
aspirazione agli impianti di cogenerazione immediatamente dopo lo spandimento
dei rifiuti in quanto la quantità di metano, nelle prime fasi di degradazione
del materiale, è insufficiente ad alimentare la combustione in continuo del
biogas.
Inoltre, lo spegnimento delle fiaccole era dipeso dalla concentrazione bassa di
metano presente nel biogas che non garantiva un'accensione costante.
Per tali ragioni la corte territoriale riteneva non configurabile la fattispecie
criminosa prevista dalla seconda parte dell'art. 674 cod. pen. perché la
discarica, con i suoi successivi ampliamenti sempre più vicini agli insediamenti
abitativi, era stata gestita nel rispetto delle ottenute autorizzazioni, sicché
non potevano essere ascritti ai responsabili della gestione le emissioni diffuse
maleodoranti.
L'assoluzione di Nenci e Montanucci dal reato di cui all'art. 25 del d.P.R. n.
203/1988 era giustificata dal fatto che fino al 17.03.2006, data di entrata in
vigore del d. lgs. n. 152/2006, non erano tenuti a chiedere l'autorizzazione gli
impianti industriali di produzione di beni o servizi e gli impianti di pubblica
utilità che effettuavano emissioni in atmosfera diffuse, a differenza degli
impianti che davano luogo a emissioni convogliate o tecnicamente convogliabili.
Proponevano ricorsi per cassazione agli effetti civili le parti menzionate in
epigrafe denunciando violazione di legge; mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione:
- sulla disposta rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ex art. 603
c.p.p., per l'espletamento di una nuova perizia affidata al dr. Baccaro senza
un'adeguata motivazione sulla necessità dell'indagine;
- sul sindacato da parte della corte territoriale esteso a punti non dedotti nei
motivi d'appello degli imputati [costoro avevano fatto specifico riferimento a
una delle condotte indicate nell'imputazione ex art. 674 c.p.: la mancata
realizzazione delle barriere frangivento, senza sollevare censure sulla mancata
captazione e sul mancato convogliamento del biogas e sull'incompleta
realizzazione dei pozzi di raccolta e dei relativi sfiati], donde la violazione
del principio devolutivo;
- sulla ritenuta insussistenza del reato di cui all'art. 674 cod. pen. che,
invece, ricorre non solo quando le emissioni inquinanti violano i limiti di
legge, ma anche quando si superano i limiti della normale tollerabilità ex art
844 c.c. per l'omessa attuazione degli accorgimenti tecnici idonei a eliminare o
contenere le emissioni moleste, nella specie, accertate con dichiarazioni
testimoniali provenienti anche dai funzionari dell'ARPAT di Pisa;
- sull'acritica adesione da parte dei giudici d'appello alle conclusioni del
perito da essi nominato senza tenere conto delle consulenze esperite nel
giudizio di primo grado e degli elementi probatori offerti dalle difese,
specificamente riportati nei ricorsi;
- sull'esclusione del reato di cui all'art. 25 d.P.R. n. 203/1988 sia per
l'erroneità della premessa che solo per le emissioni convogliabili dovesse
essere richiesta, prima dell'entrata in vigore del decreto 152/2006, la relativa
autorizzazione sia perché la corte territoriale si era contraddetta nel dire che
nell'impianto vi era una rete di captazione del biogas e che le emissioni della
discarica erano diffuse.
Chiedevano i ricorrenti l'annullamento della sentenza.
Gli imputati Nenci e Montanucci depositavano memorie difensive.
I ricorsi agli effetti civili sono fondati e devono essere accolti.
Va, anzitutto, esaminato il motivo attinente alla violazione dell'art. 674 cod.
pen. alla luce dei più recenti approdi giurisprudenziali di questa Corte secondo
cui la clausola "nei casi non consentiti dalla legge", propriamente riservata
all'emissione di gas, vapori o fumi prevista nella seconda parte della norma, va
intesa nel senso che, quando la diffusione provenga da un'attività economica
socialmente utile e, come tale, legislativamente disciplinata, esula il reato se
la diffusione è consentita dalla legge, ovverosia non supera i limiti tabellari
previsti dalla legge speciale vigente nella soggetta materia [Cassazione Sezione
III, n. 36845/2008, PG. e P.C. in proc. Tucci e altri].
In tal caso non può intervenire condanna penale per un'emissione in atmosfera
che la legge speciale consente e valuta come tipicamente non pericolosa.
Tuttavia, la predetta clausola esclude il reato non per tutte le emissioni
provocate dall'attività industriale regolamentata e autorizzata, ma solo per
quelle emissioni che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari
o altre determinate disposizioni amministrative potendosi solo queste ultime
emissioni presumersi legittime [Sezione III n. 16286/2008, RV. 243456: "La
clausola "nei casi non consentiti dalla legge" contemplata nell'art. 674 cod.
pen., non i riferibile alla condotta di getto o versamento pericoloso di cose di
cui alla prima parte della norma citata, ma esclude il reato solo per le
emissioni di gas, vapori o fumo che sono specificamente consentite attraverso
limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative. (Fattispecie
nella quale i stata esclusa l'applicabilità di tale clausola in un caso di
diffusione di polveri nell'atmosfera provocate nel corso di un'attività
produttiva, emissioni vietate dal D.M. 12 luglio 1990, impositivo di misure di
cautela e prevenzione molto rigorose)."
Invece, non possono presumersi come legittime le altre emissioni, connesse più o
meno direttamente all'attività produttiva regolamentata, che il legislatore non
disciplina specificamente o che addirittura considera pericolose perché
superiori ai limiti tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misure di
prevenzione e di cautela imposte all'imprenditore [Cassazione Sezione III n.
40191/2007, Schembri, RV. 238054; Sezione III n. 2475/2007, Alghisi, RV.
238447].
Muovendo da tali premesse, è chiaramente erronea la valutazione giuridica della
corte territoriale che, discostandosi senza valide argomentazioni dalla tesi del
tribunale, aderente all'esegesi normativa dominante, si è attestata su una linea
interpretativa superata da questa Corte pervenendo a una decisione erronea.
Nel caso di specie, le emissioni in atmosfera di biogas provocate nella gestione
della discarica a causa, non tanto dalla mancata installazione di barriere
arboree sui confini dell'area della discarica [stante la labilità degli stessi,
per il continuo allargamento del sito, e la conformazione convessa della
stratificazione dei rifiuti, donde la trascurabile efficacia dell'accorgimento,
peraltro oggetto di una risalente prescrizione mai osservata e non impartita
direttamente ai legali responsabili della società REA], ma a causa della mancata
adozione di accorgimenti diretti ad assicurare la corretta captazione e il
razionale convogliamento dei notevoli quantitativi di biogas lasciando
incompleti e liberi di scaricare in aria vari pozzi di raccolta della
maleodorante miscela gassosa bruciata solo in parte attraverso l'accensione di
fiaccole, non erano certamente consentite dal d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, ma
erano, invece, vietate da regole generali o speciali che imponevano misure di
cautela e prevenzione molto rigorose, come quelle previste dal D.M. 12 luglio
1990, che in forza dello stesso D.P.R. n. 203 del 1988, art. 3 ha dettato le
linee guida per il contenimento delle emissioni, oltre che per la fissazione dei
valori limite (v. in particolare i paragrafi 6.1, 62, 6.3 e 6.4).
Nel caso di specie, la corrispondenza tra la gestione della discarica senza
l'osservanza di tali regole e le emissioni maleodoranti oggetto delle lamentele
delle parti civili ed emerse da numerose testimonianze, tra cui quelle degli
operatori dell'ARPAT, è stata esclusa dalla sentenza impugnata sulla base di una
motivazione assolutamente carente, inidonea a imporsi sulla correttezza logica e
giuridica con cui il tribunale monocratico aveva ravvisato profili di colpa a
carico degli imputati in ordine all'emissione del biogas e all'irrazionale
sistema del suo convogliamento.
La sentenza impugnata ha pure immotivatamente escluso il reato di cui all'art.
25 del d.P.R. n.203/1988 ritenendo non addebitabile agli odierni imputati la
mancata presentazione della domanda di autorizzazione per l'immissione in
atmosfera di biogas.
Questa Corte nella sentenza di questa Sezione III n. 24328/2004 RV. 230104 ha
affermato che "le emissioni di biogas di una discarica di rifiuti solidi urbani
rientrano nella normativa sulla prevenzione dell'inquinamento di cui al d.P.R.
203/1988 e devono, pertanto, formare oggetto da parte della P.A., di specifiche
prescrizioni durante tutto l'esercizio dell'attività, in quanto tali discariche
sono stabilimenti di pubblica utilità idonei a dare luogo all'inquinamento
atmosferico e tale fenomeno va considerato nella uniitaria autorizzazione
integrata preventiva" argomentando che il suddetto decreto sottopone a
preventivo controllo, nella forma di un'autorizzazione regionale espressa e
specifica, l'inizio della costruzione di un nuovo impianto e distingue tale
momento da quello dell'attivazione dell'esercizio, ugualmente soggetto a
controllo regionale.
L'art. 1 (dello stesso decreto) sottopone alla suddetta disciplina "tutti gli
impianti che possono dar luogo ad emissioni nell'atmosfera", mentre la
definizione di impianto di cui al punto 9 dell'art. 2 ha riguardo allo
"stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica
utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli
destinati alla difesa nazionale".
Le iniziali incertezze circa la portata della norma sono venute sostanzialmente
meno per effetto del DPCM 21/7/1989, che ha dettato norme d'indirizzo e
coordinamento per l'attuazione e l'interpretazione del d.P.R. n. 203/1988,
stabilendo la sua applicazione "agli impianti industriali di produzione di beni
o servizi ... escludendo gli impianti termici non inseriti in un ciclo di
produzione..., gli impianti di climatizzazione..., gli impianti termici
destinati esclusivamente a riscaldamento dei locali....".
L'assoggettabilità o meno dei singoli impianti alla suddetta normativa (d.P.R.
203/1988), inoltre, ha dato luogo a diverse pronunce della Suprema Corte che si
è soffermata sulla definizione d'inquinamento atmosferico di cui all'art. 2,
punto 1, riscontrandone la sussistenza "....non necessariamente in caso di un
accertato pericolo di danno alla salute dell'uomo, per la presenza di sostanze
inquinanti o tossiche o nocive, ma anche solo per un'alterazione dell'atmosfera
che incida negativamente sui beni naturali o anche semplicemente sull'uso di
essi...." [Cassazione Sezione III, 3/3/1992, Forte; Cassazione Sezione I,
7/6/1996].
Conseguentemente questa Corte ha affermato i seguenti principi di diritto nella
materia de qua:
- "Le emissioni di biogas di una discarica di rifiuti rientrano nello normativa
sulla prevenzione dell'inquinamento atmosferico di cui al D.P.R. 203/1988 e
devono formare oggetto di specifiche prescrizioni tecniche durante tutto
l'esercizio dell'attività e non solo quando la discarica si sia esaurita.
L'obbligo di provvedere alla captazione discende direttamente dalla legge,
mentre la P.A. può solo determinare le modalità tecniche con cui provvedere. Le
discariche sono stabilimenti di pubblica utilità idonei a dar luogo
all'inquinamento atmosferico, fenomeno che deve essere considerato nell'unitaria
autorizzazione integrata preventiva"
- "la fattispecie di cui all'art. 674 cod. pen. non richiede per la sua
configurabilità il verificarsi di un effettivo nocumento alle persone, essendo
sufficiente il semplice realizzarsi di una situazione di pericolo di offesa al
bene che la norma intende tutelare..., atteso che anche con ciò può determinarsi
un rischio per la salubrità dell'ambiente e conseguentemente della salute umana"
[Cassazione Sezione III n. 46846/2005, RV. 232652];
- "tale ipotesi di reato può concorrere con quelle relative alla tutela
dell'ambiente stante la diversa struttura della fattispecie e i differenti beni
giuridici tutelati" [cfr. Cassazione Sezione I n. 26109/2005, RV. 231882].
Alla luce delle suddette considerazioni, la discarica de qua, gestita
dalla REA S.p.A., rientra nell'ambito di applicazione del D.P.R. 203/1988,
trattandosi di un impianto di pubblica utilità.
Pertanto, assorbiti in quelli trattati i residui motivi di ricorso, la sentenza
impugnata deve essere annullata con rinvio al competente giudice civile in grado
di appello, mentre gli imputati vanno condannati alla rifusione delle spese
processuali sostenute dalle parti civili, liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte annulla la sentenza impugnata in ordine alle statuizioni civili
relative ai reati di cui agli art. 674 cod. pen. (capo A) e all'art. 25 d.P.R.
n. 203/1988 (capo D) con rinvio alla Corte di Appello civile di Firenze.
Condanna gli imputati alla rifusione delle spese processuali di questo grado
liquidate complessivamente in €. 25.000 (per le parti civili difese dall'avv.
Nando Bartolomei) e in E. 9.000 (per le parti civili difese dall'avv. Enrico
Pappalardo) oltre gli accessori di legge.
Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 13.04.2010.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 9 GIU. 2010
Vedi
altre:
SENTENZE PER ESTESO
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE
- Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it
AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata
registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562