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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/06/2010 (Ud. 13/04/2010), Sentenza n. 22743
RIFIUTI - Nozione di sottoprodotto - Riutilizzo senza trattamenti nel corso del
processo di produzione - Produttore e detentore - Differenza - Art. 183, c. 1,
lett. p), D. Lgs. n.152/2006 come mod. dal D. Lgs. n. 4/2008. E’ ravvisabile
un sottoprodotto in quanto il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una
materia prima sia non solo eventuale, ma "certo, senza previa trasformazione, ed
avvenga nel corso del processo di produzione" [Corte di giustizia sez. Il,
11/11/2004, C-457/02]. Sicché, per escludere la disciplina sui rifiuti è
necessario che a destinare il sottoprodotto al riutilizzo senza trattamenti di
tipo recuperatorio sia lo stesso produttore e non un semplice detentore cui la
sostanza sia stata conferita a qualche titolo. (annulla con rinvio sentenza
pronunciata dal Tribunale di Montepulciano del 13.01.2009) Pres. Onorato, Est.
Teresi, Ric. PM in proc. Guidetti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
15/06/2010 (Ud. 13/04/2010), Sentenza n. 22743
RIFIUTI - Gestione dei rifiuti - Sottoprodotto - Qualificazione - Disciplina
sui rifiuti - Regime derogatorio - Art. 183, c. 1, lett. p), D. Lgs. n.152/2006
come mod. dal d. lgs. n. 4/2008. In tema di gestione dei rifiuti, ai fini
dell'applicabilità del regime derogatorio contemplato per i sottoprodotti, si
richiede che le sostanze o i materiali non siano sottoposti a operazioni di
trasformazione preliminare [d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1,
lett. p), come modificato dal d. lgs. 16 gennaio 2008, n. 4], perché tali
operazioni fanno perdere al sottoprodotto la sua identità [Cass. Sez. III n.
14323/2008; Cass. n.37303/2006; Cass. n. 14557/2007]. (annulla con rinvio
sentenza pronunciata dal Tribunale di Montepulciano del 13.01.2009) Pres.
Onorato, Est. Teresi, Ric. PM in proc. Guidetti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE,
Sez. III, 15/06/2010 (Ud. 13/04/2010), Sentenza n. 22743
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Declaratoria d'illegittimità costituzionale
dell'art. 1 L. n. 46/2006 - Sentenze di proscioglimento relative a
contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa -
Appellabilità del pubblico ministero - Art. 593 c.p.p.. A seguito della
declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 1 legge n. 46/2006 (Corte
costituzionale n. 26/2007), sono appellabili dal pubblico ministero, ai sensi
dell'art. 593 c.p.p. quale risultante all'esito della pronuncia di
incostituzionalità, le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni
punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa [Cassazione sezione
III, ordinanza n. 19037/2007 RV. 238084]. (annulla con rinvio sentenza
pronunciata dal Tribunale di Montepulciano del 13.01.2009) Pres. Onorato, Est.
Teresi, Ric. PM in proc. Guidetti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
15/06/2010 (Ud. 13/04/2010), Sentenza n. 22743
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UDIENZA del 13.04.2010
SENTENZA N. 709
REG. GENERALE N. 35441/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Signori:
dott. Pierluigi Onorato
Presidente
1. dott. Alfredo Teresi
Consigliere rel.
2. dott. Claudia Squassoni
Consigliere
3. dott. Guida I. Mulliri
Consigliere
4. dott. Giulio Sarno
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sull'appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Montepulciano avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Montepulciano del
13.01.2009 che ha assolto perché il fatto non sussiste Guidetti Corrado, nato
Castelnuovo né Monti il 00.00.0000, e Vitolo Bruno, nato a Torrita di Siena il
00.00.0000, dai reati di cui all'art.256, comma 1 lett. a) d. Igs. n. 152/2006
loro rispettivamente ascritti;
- Visti gli atti, la sentenza denunciata, l'atto d'impugnazione e la memoria
difensiva dell'imputato Guidetti;
- Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
- Sentito il PM nella persona del PG dott. Alfredo Montagna, che ha chiesto la
trasmissione degli atti alla Corte d'Appello di Firenze;
- Sentiti i difensori dei ricorrenti, aw.ti Giacomo Gonzi e Luigi Lanucara, che
hanno chiesto il rigetto del gravame;
osserva
Con sentenza in data 13.01,2009 il Tribunale di Montepulciano assolveva perché
il fatto non sussiste Guidetti Corrado e Vitolo Bruno dai reati previsti
dall'art. 256 d. lgs. n. 152/2006 essendo imputato, il primo, quale legale
rappresentante della Keratrans Depo s.n.c., di avere effettuato attività
di recupero di rifiuti consistiti in cocci di tavelloni prodotti dalla ditta
rappresentata dal Vitolo senza la prescritta comunicazione di cui all'art. 216
del citato decreto e il secondo, quale legale rappresentante dell'Industrie
laterizi riuniti s.p.a., di avere effettuato attività di recupero di rifiuti
consistiti in residui di lavorazione di laterizi [circa 6.500 mc di tavelloni e
tegolame vario] senza la comunicazione di cui sopra e senza essere iscritto
all'Albo nazionale dei gestori ambientali, nonché di avere depositato in modo
incontrollato nel proprio stabilimento la parte dei rifiuti non utilizzati per
il consolidamento di strade interne.
Proponeva appello il PM contestando la qualificazione giuridica dei fatti non
ricorrendo, nella specie, la nozione giuridica del sottoprodotto per la mancanza
dell'autocertificazione che doveva garantire il reimpiego richiesta dall'art.
183, comma 1 lett. p) del decreto n. 152/2006, e per la necessità di sottoporre
i materiali a trattamento preliminare (separazione degli scarti dal materiale
d'imballaggio, frantumazione).
Inoltre, per il materiale trattenuto dalle I.l.r. non c'era alcuna
certezza di reimpiego perché solo una minima parte veniva destinata alla
sistemazione delle strade interne dello stabilimento, mentre la maggior parte,
di migliaia di metri cubi, veniva accumulata, anche fuori dell'area
dell'impianto produttivo, frammista ai materiali d'imballaggio con pregiudizio
per l'ambiente.
Chiedeva l'annullamento della sentenza.
Con provvedimento 1.10.2008 il presidente della Corte d'appello di Firenze,
qualificata l'impugnazione come ricorso per cassazione ex art. 593, comma 2
c.p.p., trasmetteva gli atti a questa Corte.
L'imputato Guidetti depositava memoria difensiva.
Va, anzitutto, rilevato che, a seguito della declaratoria d'illegittimità
costituzionale dell'art. 1 legge n. 46/2006 (Corte costituzionale n. 26/2007),
sono appellabili dal pubblico ministero, ai sensi dell'art. 593 c.p.p. quale
risultante all'esito della pronuncia di incostituzionalità, le sentenze di
proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda
o con pena alternativa [Cassazione sezione III, ordinanza n. 19037/2007 RV.
238084].
Nella specie, l'appello del PM, che unicamente prospetta una violazione di legge
sull'interpretazione della nozione di sottoprodotto, è stato trasmesso a questa
Corte che può deciderlo quale ricorso immediato per cassazione.
Il ricorso, che verte sulla configurabilità dei reati, è fondato perché censura
con puntuali argomentazioni giuridiche la decisione che, pur avendo
correttamente ricostruito la situazione fattuale, è inficiata dai vizi
logico-giuridici segnalati dal ricorrente.
La sentenza, infatti, ha disatteso il consolidato orientamento di questa Corte
che ha evidenziato le condizioni che integrano il concetto normativo di
sottoprodotto.
E' stato accertato, in fatto, che gli scarti della lavorazione delle I.l.r.
(tavelloni e tegole rotte o con difetti), previa separazione degli imballaggi di
legno e plastica, venivano, in parte, consegnati alla ditta Keratrans Depo
che, tramite un suo dipendente, li frantumava all'interno dell'impianto
I.l.r. prima del trasporto presso ditte varie che utilizzavano il materiale
nel processo di produzione delle ceramiche.
Gli scarti di tegole frantumate non utilizzati dalla Keratrans venivano
accumulati all'interno dello stabilimento e in una cava e parzialmente impiegati
dalle I.l.r. per il consolidamento delle strade interne dello
stabilimento.
Tanto premesso, il Tribunale riteneva che il suddetto materiale non costituisse
rifiuto, ma sottoprodotto poiché il residuo di lavorazione veniva reimpiegato
senza alcun trattamento preliminare.
E' stato puntualizzato da questa Corte [nella sentenza n. 20499/2005 RV. 231528]
che l'art. 14, comma 2, del di. 8 luglio 2002 n. 138, conv. in legge 8 agosto
2002 n. 178, nel porre l'interpretazione autentica della definizione di rifiuto
stabiliva che non ricorre la decisione di disfarsi, di cui alla lett. b) del
primo comma della medesima disposizione, per beni o sostanze e materiali
residuali di produzione o di consumo in presenza di una delle seguenti
condizioni: a) se gli stessi potevano essere effettivamente e oggettivamente
riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo,
senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare
pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi potevano essere effettivamente e
oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo
o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si rendesse
necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C
del citato digs. n. 22 del 1997.
L'art. 14 cit., che al primo comma precisava in positivo la nozione di rifiuto,
delineava poi al secondo comma una fattispecie derogatoria che escludeva
l'illecito penale.
La pronuncia della Corte di giustizia [sez. Il, 11 novembre 2004, C-457/02] ha
esaminato la questione di compatibilità del cit. art. 14 con la normativa
comunitaria di riferimento e ha chiarito che la specificazione della nozione di
rifiuto, della quale é pur sempre necessaria comunque un'interpretazione
estensiva in ragione dei principi di precauzione e prevenzione espressi dalla
normativa comunitaria in materia, è possibile solo nei limiti in cui sia
sottratta alla relativa disciplina ciò che risulti essere un mero
"sottoprodotto", del quale l'impresa non abbia intenzione di disfarsi.
Occorre, quindi, essenzialmente distinguere tra residuo di produzione, che è un
rifiuto, pur suscettibile di eventuale utilizzazione previa trasformazione, e
sottoprodotto, che invece non lo è, fermo restando che la nozione di rifiuto, ai
sensi degli art. l della direttiva 75/442, nella sua versione originale, e della
direttiva 78/319, non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e
gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica.
E a tal fine - afferma la Corte di giustizia nella citata decisione - in tanto è
ravvisabile un sottoprodotto in quanto il riutilizzo di un bene, di un materiale
o di una materia prima sia non solo eventuale, ma "certo, senza previa
trasformazione, ed avvenga nel corso del processo di produzione".
Ciò che non nuoce all'ambiente e può essere inequivocabilmente e immediatamente
utilizzato come materia prima secondaria in un processo produttivo si sottrae
alla disciplina dei rifiuti, che non avrebbe ragion d'essere; la quale invece
trova piena applicazione in tutti i casi di materiale di risulta che possa
essere si utilizzabile, ma solo eventualmente ovvero "previa trasformazione";
ciò che, proprio in ragione del principio di precauzione e prevenzione
richiamato dalla Corte di giustizia, comporta l'applicazione della disciplina di
controllo dei rifiuti.
Tuttavia - ha precisato la Corte - occorre interpretare in maniera estensiva la
nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro
natura, e quindi occorre circoscrivere la fattispecie esclusa, relativa ai
sottoprodotti, alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale
o di una materia prima non sia "solo eventuale, ma certo, senza trasformazione
preliminare, e nel corso del processo di produzione".
Anche alla luce dell'intervenuto decreto n. 152/2006, che ha introdotto la
nozione di sottoprodotto, il suddetto orientamento è stato mantenuto quanto al
reimpiego certo del residuo di lavorazione.
Con la successiva definizione di sottoprodotto introdotta dal d. lgs. n. 4/2008,
fermo restando il divieto di trattamento preventivo, è però stato affievolito,
criterio della tracciabilità assoluta prima ancorato alla certezza
dell'utilizzazione risultante da puntuali verifiche e da attestazioni dei
soggetti interessati alla cessione e al riutilizzo [l'autocertificazione,
richiesta dall'art. 183, comma 1 lett. n) del decreto n. 152/2006, doveva
garantire il reimpiego].
Per escludere la disciplina sui rifiuti è necessario, quindi, che a destinare il
sottoprodotto al riutilizzo senza trattamenti di tipo recuperatorio sia lo
stesso produttore e non un semplice detentore cui la sostanza sia stata
conferita a qualche titolo.
Pertanto, il Tribunale, venuto meno - a seguito della suddetta modifica
normativa - il requisito dell'auto, certificazione, era tenuto a verificare che
l'utilizzazione del sottoprodotto fosse certa, e non eventuale, e avvenisse
senza trasformazioni preliminari, cioè senza quei trattamenti che mutano
l'identità merceologica della sostanza.
Infatti, secondo l'orientamento di questa corte [Sezione III n. 14323/2008, RV.
239657], in tema di gestione dei rifiuti, ai fini dell'applicabilità del regime
derogatorio contemplato per i sottoprodotti, si richiede che le sostanze o i
materiali non siano sottoposti a operazioni di trasformazione preliminare [d.
lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. p), come modificato dal d.
lgs. 16 gennaio 2008, n. 4], perché tali operazioni fanno perdere al
sottoprodotto la sua identità [cfr. n.37303/2006, RV. 235076; n, 14557/2007, RV.
236375].
Nella fattispecie, nello stesso ricorso si riconosce che i residui di
produzione, oltre alla frantumazione, eseguita sul terreno mediante
schiacciamento sul terreno con un mezzo cingolato [che è un'operazione di
trasformazione preliminare, come ritenuto nella sentenza RV. 239657], erano
sottoposti a operazioni di cernita con l'eliminazione del materiale
d'imballaggio ad opera non già del produttore, ma di un dipendente della società
cessionaria, neppure destinataria finale perché il riutilizzo, quale correttivo
nell'impasto delle piastrelle di ceramica, sarebbe stato effettuato da altre
industrie, e ancora che l'ingente quantitativo di "scarti di tegole frantumate"
era stato accumulato dalle I.l.r. non solo nello stabilimento di
produzione, ma anche all'interno di una cava di proprietà della stessa società,
donde la mancata verifica della sussistenza dei presupposti sopraindicati sia
con riferimento all'esecuzione di operazioni di trasformazione preliminare sia
con riferimento alla riutilizzazione effettiva e oggettiva dei residui di
produzione in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo [l'impiego certo
in un processo di produzione non è stato indicato essendo incerta la
destinazione finale degli scarti accumulati in aree aziendali senza cessione a
un soggetto abilitato all'utilizzo in proprio del materiale stesso].
In conclusione, alla luce delle suddette considerazioni, risulta chiaramente che
la qualificazione giuridica di sottoprodotto attribuita dall'impugnata sentenza
al materiale probatorio è assolutamente erronea e comunque non supportata da
argomentazioni giustificative, sicché la sentenza deve essere annullata, con
rinvio per nuovo esame alla luce dei principi sopraindicati, per violazione di
legge atteso che la motivazione si pone in diretto contrasto con un preciso
precetto normativo.
E', infatti, esplicito il riconoscimento della mancanza di requisiti essenziali
per la qualificazione del materiale come sottoprodotto, essendo stato dato atto
che lo stesso era stato sottoposto a procedimento di frantumazione, sebbene in
tanto si può parlare di sottoprodotto in quanto prima del riutilizzo il
materiale non debba essere sottoposto a trattamenti di sorta, e che gli scarti
di produzioni venivano, per la maggior parte, accumulati senza alcun prospettiva
di reimpiego.
PQM
La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Montepulciano.
Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 13.04.2010.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 15 Giu. 2010
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