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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/06/2010 (Ud. 29/04/2010), Sentenza n. 22765



RIFIUTI - Smaltimento di rifiuti - Legale rappresentante di persona giuridica - Responsabilità penale - Configurabilità - Eventuale esimente - Onere della prova.
In materia di smaltimento di rifiuti, l'amministratore di una società che gestisce un impianto produttivo é destinatario degli obblighi previsti dalle norme di settore, in qualità di legale rappresentante. Pertanto, si configura la responsabilità penale, quanto meno per colpa, se il legale rappresentante di una persona giuridica non adotti tutte le misure idonee ad assicurare il corretto smaltimento dei rifiuti e se non assolva l'onere di provare che il servizio di prevenzione sia funzionante e che ad esso sia preposto un dirigente responsabile. (dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza della Corte d'Appello di Roma del 19.06.2009) Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Mancini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/06/2010 (Ud. 29/04/2010), Sentenza n. 22765

RIFIUTI - Impresa produttrice di rifiuti - Disciplina sullo smaltimento dei rifiuti - Legale rappresentante di una società - Responsabilità - Norme ambientalistiche - Osservanza ope legis. L'osservanza delle norme, in materia di smaltimento di rifiuti, consegue, ope legis e chi è destinatario di esse, anche il legale rappresentante di una società, é tenuto a osservarle. Sicché, la formazione di un deposito incontrollato in assenza delle prescritte autorizzazioni configura, la responsabilità del legale rappresentante dell'impresa produttrice di rifiuti, tenuto a vigilare che propri dipendenti o altri sottoposti o delegati osservassero le norme ambientalistiche. (dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza della Corte d'Appello di Roma del 19.06.2009) Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Mancini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/06/2010 (Ud. 29/04/2010), Sentenza n. 22765

RIFIUTI - Smaltimento di rifiuti - Attività di gestione non autorizzata - Responsabilità - Posizione di garanzia nei confronti del produttore dei rifiuti - Dipendenti o altri sottoposti o delegati - Vigilanza - Obbligo - Art. 183, c. 1, lett. b), d. lgs. n. 152/2006. In materia di smaltimento di rifiuti, è configurabile una posizione di garanzia nei confronti del produttore dei rifiuti il quale é tenuto a vigilare che propri dipendenti o altri sottoposti o delegati osservino le norme ambientalistiche, dovendosi intendere produttore di rifiuti, ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. b), del d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione. Inoltre, la responsabilità per l'attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell'azienda [Cassazione Sezione III n. 47432/2003]. (dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza della Corte d'Appello di Roma del 19.06.2009) Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Mancini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/06/2010 (Ud. 29/04/2010), Sentenza n. 22765

RIFIUTI - Reato di deposito incontrollato di rifiuto - Configurabilità. Il reato di deposito incontrollato di rifiuto si configura, quando si accerti attività di stoccaggio e smaltimento di rifiuti, dovendosi considerare tali i materiali ammassati, senza autorizzazione alcuna, sull'area. (dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza della Corte d'Appello di Roma del 19.06.2009) Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Mancini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/06/2010 (Ud. 29/04/2010), Sentenza n. 22765

INQUINAMENTO ATMOSFERICO - RIFIUTI - Impianti per il trattamento dei rifiuti che comportano emissioni nell'atmosfera - Limiti di emissione ed obbligo di comunicazione - Continuità normativa tra le disposizioni di cui all'art. 24 e segg. del d.P.R. n.203/1988 e quelle di cui all'art. 279 d. lgs. n. 152/2006. In tema di inquinamento atmosferico, sussiste continuità normativa tra le disposizioni di cui all'art. 24 e segg. del d.P.R. n.203/1988 e quelle di cui all'art. 279 d. lgs. n. 152/2006, atteso che in entrambe le disposizioni è previsto il rispetto dei limiti di emissione, l'obbligo di comunicare la messa in esercizio dell'impianto, l'obbligo di comunicare all'autorità competente i dati relativi alle emissioni. Sicché, in tema di gestione dei rifiuti, gli impianti per il trattamento degli stessi che comportano emissioni nell'atmosfera sono soggetti sia alla disposizioni di cui al d. Igs. 5 febbraio 1997 n. 22 in materia di rifiuti, sia a quelle di cui al d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, entrambi sostituiti dal d. Igs 3 aprile 2006 n. 152" [Cassazione 08051/2007]. (dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza della Corte d'Appello di Roma del 19.06.2009) Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Mancini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/06/2010 (Ud. 29/04/2010), Sentenza n. 22765

DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza - Criteri di verifica - Manifesta infondatezza del ricorso - Effetti. Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenire a un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l'indagine volta ad accertare le violazioni del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale tra contestazione e sentenza perché, valendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter dei processo, sia pervenuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione [Cassazione S.U. n. 16/1996, Di Francesco]. Il suddetto principio può ritenersi violato solo in caso d'assoluta incompatibilità di dati, quando cioè la sentenza riguardi un fatto del tutto nuovo rispetto all'ipotesi d'accusa, mentre non ricorre violazione se i fatti siano omogenei e in rapporto di specificazione. Anche in questa ipotesi, la manifesta infondatezza del ricorso preclude l'applicazione di eventuali sopravvenute cause di estinzione del reato [Cassazione SU n. 32/2000, De Luca], sicché grava sul ricorrente l'onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata. (dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza della Corte d'Appello di Roma del 19.06.2009) Pres. Onorato, Est. Teresi, Ric. Mancini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 15/06/2010 (Ud. 29/04/2010), Sentenza n. 22765


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UDIENZA del 29.04.2010

SENTENZA N. 865

REG. GENERALE N. 01478/2010


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli ill.mi Signori:


dott. Pierluigi Onorato                                            Presidente
1. dott. Alfredo Teresi                                            Consigliere rel.
2. dott. Alfredo Maria Lombardi                               Consigliere
3. dott. Luigi Marini                                                Consigliere
4. dott. Santi Gazzara                                            Consigliere


ha pronunciato la seguente 


SENTENZA


- sul ricorso proposto da Mancini Claudio, nato a Rieti il 00.00.0000, avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma in data 19.06.2009 che ha confermato la condanna alla pena di mesi 4 d'arresto inflittagli nel giudizio di primo grado per i reati di cui agli art. 25, comma 1, d.P.R. n.203/1988; 51 d. lgs. n. 22/1997; 51 comma 2 d. lgs. n. 22/1997;
- Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
- Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
- Sentito il PM nella persona del PG, dott. Giuseppe Volpe, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e di quella di primo grado relativamente al reato di cui al capo a) con trasmissione degli atti al PM competente e dichiararsi inammissibile il ricorso nel resto;


Osserva


Con sentenza 19.06.2009 la Corte d'Appello di Roma confermava la condanna alla pena dell'arresto inflitta nel giudizio di primo grado a Mancini Claudio Matteo:

- per avere, quale amministratore unico della s.r.l. Industria e commercio legnami Castagno, omesso di presentare domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera per l'esercizio dell'impianto di falegnameria;

- per avere illegalmente smaltito rifiuti dell'impianto incenerendoli senza la prescritta autorizzazione;

- per avere abbandonato o depositato in modo incontrollato in aree aziendali rifiuti pericolosi e non [batterie esauste, contenitori di plastica, pneumatici].


Proponeva ricorso per cassazione l'imputato denunciando violazione di legge; mancanza o manifesta illogicità della motivazione sulla configurabilità del reato perché, svolgendo la società attività di segheria [lavorazioni meccaniche su legno vergine per la produzione di travi, listelli e tavole] e non di falegnameria, non occorreva presentare domanda per le emissioni in atmosfera non rientrando tale attività tra quelle a ridotto inquinamento atmosferico.


Sussisteva, poi, mancanza di correlazione tra accusa e sentenza poiché, essendogli stata contestata l'omessa domanda per l'autorizzazione di un impianto di falegnameria, era stato condannato per un fatto diverso perché nell'imputazione non vi era traccia di emissioni in atmosfera, nella specie. neppure rilevanti in presenza di emissioni diffuse e non di emissioni convogliabili, come richiesto dalla norma.


Rilevava anche il ricorrente che, in alternativa alla domanda d'autorizzazione, egli avrebbe potuto presentare domanda di adesione all'autorizzazione generale prevista per le attività a ridotto inquinamento atmosferico, sicché anche per tale profilo l'imputazione era carente.


Aggiungeva che la società, commerciando all'ingrosso legnami, svolgeva occasionalmente lavori sui legnami commerciati, donde l'occasionalità delle emissioni.


Per gli altri reati, assumeva che contraddittoriamente erano state impiegate, nell'imputazione, le nozioni di smaltimento e di abbandono rilevando che non sussisteva il contestato smaltimento di rifiuti, tramite l'incenerimento perché, nella specie, era stata bruciata un'irrilevante quantità di trucioli di legno vergine prodotti nell'azienda, fatto del quale egli non era a conoscenza, donde l'insussistenza dell'elemento psicologico dei reato.


Escludeva, infine, la configurabilità del contestato abbandono di rifiuti non essendo tale il momentaneo e selezionato accumulo nel sito aziendale di materiale di sgombero riutilizzabile, peraltro subito rimosso, necessitato dalla ristrutturazione di un capannone e non potendosi, comunque, attribuirgli alcun addebito essendo egli inconsapevole dell'illiceità del fatto.


Chiedeva l'annullamento della sentenza.


Il ricorso é manifestamente infondato e deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

 

Vanno, anzitutto, esaminate le questioni che interessano tutti i motivi proposti.


Il ricorrente non ha contestato la qualità di legale rappresentante della società, che, in materia di smaltimento di rifiuti, è l'amministratore della società che gestisce un impianto produttivo ed é destinatario degli obblighi previsti dalle norme di settore.


E', infatti, configurabile una posizione di garanzia nei confronti del produttore dei rifiuti il quale é tenuto a vigilare che propri dipendenti o altri sottoposti o delegati osservino le norme ambientalistiche, dovendosi intendere produttore di rifiuti, ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. b), del d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione.


L'osservanza delle norme in questione consegue, quindi, ope legis e chi è destinatario di esse, legale rappresentante di una società, é tenuto a osservarle.


Peraltro, in tema di rifiuti, la responsabilità per l'attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell'azienda [cfr. Cassazione Sezione III n. 47432/2003 RV. 2268681.


Pertanto, in applicazione di tali principi correttamente è stata ritenuta la responsabilità del legale rappresentante dell'impresa produttrice di rifiuti, tenuto a vigilare che propri dipendenti o altri sottoposti o delegati osservassero le norme ambientalistiche in tema di formazione di un deposito incontrollato in assenza delle prescritte autorizzazioni.


Hanno affermato le SU di questa Corte che, "Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali. della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenire a un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare le violazioni del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale tra contestazione e sentenza perché, valendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter dei processo, sia pervenuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" [Cassazione S.U. n. 16/1996, Di Francesco, RV 205619].


Il suddetto principio può ritenersi violato solo in caso d'assoluta incompatibilità di dati, quando cioè la sentenza riguardi un fatto del tutto nuovo rispetto all'ipotesi d'accusa, mentre non ricorre violazione se i fatti siano omogenei e in rapporto di specificazione.


Nella specie, nella contestazione, considerata nella sua interezza, sono contenuti gli elementi del fatto costitutivo [l'omessa presentazione alla Provincia di Rieti della domanda di autorizzazione per l'esercizio dell'impianto di falegnameria con riferimento all'art. 25, comma 1, del d.P.R. n. 203/1988 che attiene all'inquinamento atmosferico] del reato ritenuto in sentenza, che ha legittimamente utilizzato i dati, acquisiti in contraddittorio nel dibattimento, di specificazione del fatto.


Avendo il fatto mantenuto la sua originaria fisionomia, va, quindi, escluso che abbia subito modifica negli elementi essenziali e fondamentali e che sia stato leso il diritto di difesa.


Va poi osservato che sussiste continuità normativa tra le disposizioni di cui all'art. 24 e segg. del d.P.R. n.203/1988 e quelle di cui all'art. 279 d. lgs. n. 152/2006, atteso che in entrambe le disposizioni è previsto il rispetto dei limiti di emissione, l'obbligo di comunicare la messa in esercizio dell'impianto, l'obbligo di comunicare all'autorità competente i dati relativi alle emissioni.


Pertanto "in tema di gestione dei rifiuti, gli impianti per il trattamento degli stessi che comportano emissioni nell'atmosfera sono soggetti sia alla disposizioni di cui al d. Igs. 5 febbraio 1997 n. 22 in materia di rifiuti, sia a quelle di cui al d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, entrambi sostituiti dal d. Igs 3 aprile 2006 n. 152" [Cassazione 08051/2007 RV. 236079].


Tanto premesso, va osservato che il ricorso censura con argomentazioni giuridiche palesemente erronee e in punto di fatto la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico dell'imputato e confutata ogni obiezione difensiva.


I giudici di merito hanno, infatti, accertato che nell'impianto produttivo de quo venivano eseguiti il taglio e la lavorazione del legno con emissioni in atmosfera sicché, rientrando tale attività in quelle a ridotto inquinamento atmosferico indicate nell'allegato 2 del d.P.R. 25.07.1991, occorreva presentare la prescritta domanda di autorizzazione o la domanda di adesione all'autorizzazione generale, adempimenti non osservati dall'imputato.


Sullo smaltimento dei trucioli mediante incenerimento, è pacifico, alla stregua delle costatazioni degli accertatori, che dipendenti dell'imputato, in assenza di alcuna autorizzazione allo smaltimento, hanno bruciato fuori dallo stabilimento rifiuti, costituiti da segatura (30/35 pacchi), provenienti dall'impianto produttivo e, inoltre, che nel sito aziendale erano depositati una batteria esausta, quindici bidoni, residui di legno combusto, onduline di vetrocemento, pneumatici, il tutto ricoperto da vegetazione.


Da ciò consegue che i trucioli non erano riutilizzati con corrette modalità di recupero, e che, quali rifiuti, venivano smaltiti violando la normativa ambientale.


La sentenza, quindi, ha correttamente ritenuto ricorrenti le condizioni che integrano il concetto normativo di smaltimento di rifiuti, nella specie costituiti da eterogenei materiali, accumulati alla rinfusa sull'area aziendale.


L'area dell'accumulo era stata adibita, di fatto, a deposito, mediante una condotta consistente nell'abbandono - per un tempo apprezzabile anche se non determinato - di una apprezzabile quantità di rifiuti.


Il reato di deposito incontrollato di rifiuto si configura, infatti, quando si accerti attività di stoccaggio e smaltimento di rifiuti, dovendosi considerare tali i materiali ammassati, senza autorizzazione alcuna, sull'area di cui l'imputato aveva la disponibilità.


Il deposito incontrollato degli altri rifiuti, dianzi specificati, correttamente è stato ravvisato alla stregua delle dichiarazioni testimoniali del funzionario dell'ARPA che ha precisato che gli stessi erano in stato di abbandono, sparsi sul terreno alla rinfusa, coperti di ruggine, sommersi dalla vegetazione, mischiati a bottiglie di vetro e [i fusti di latta e i contenitori di plastica] lasciati all'esterno dello stabilimento.


Alla stregua di quanto sopra è manifestamente infondato l'assunto che i materiali costituissero sottoprodotto trattandosi, invece, di rifiuti sparsi alla rinfusa e insuscettibili di riutilizzazione.


La tesi difensiva dell'occasionalità e imprevedibilità del versamento, attribuito all'ingiustificata e autonoma scelta dei dipendenti, è stata ritenuta inidonea a scagionare l'imputato essendo il fatto indicativo della mancanza di adeguata informazione e formazione del personale e dell'assenza di vigilanza e controllo da parte del legale rappresentante tenuto a rendere nota agli operai la normativa sullo smaltimento dei rifiuti e a farla rispettare.


Sussiste, quindi, responsabilità penale, quanto meno, per colpa se il legale rappresentante non adotti le misure atte ad assicurare il corretto smaltimento dei rifiuti e se non assolva l'onere di provare che il servizio di prevenzione sia funzionante e che ad esso sia preposto un dirigente responsabile.


Non è quindi riscontrabile alcuna violazione del diritto di difesa essendo stato il ricorrente condannato per un fatto ritualmente contestatogli [donde la riscontrata piena corrispondenza tra accusa e sentenza] ed essendo stata correttamente esclusa la buona fede perché nemmeno in virtù del criterio della ignoranza inevitabile teorizzato nella sentenza Corte Costituzionale marzo 1988 n. 364 è possibile scusare il destinatario di norme in materia di smaltimento di rifiuti senza informarsi delle leggi penali che disciplinano la materia.


Nella specie, infatti, non può ritenersi che l'ignoranza della legge penale sia stata incolpevole a cagione della sua inevitabilità, poiché non è emerso un comportamento positivo degli organi amministrativi o un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale da cui l'agente abbia tratto il convincimento della liceità del comportamento tenuto.


La manifesta infondatezza del ricorso preclude l'applicazione di eventuali sopravvenute cause di estinzione del reato [Cassazione SU n. 32/2000, De Luca], sicché grava sul ricorrente l'onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in €. 1.000.


PQM


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di €. 1.000 in favore della cassa delle ammende.


Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 29.04.2010.


DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  15 Giu. 2010



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