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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. VI, 17/06/2010, Sentenza n. 23421
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Abuso d’ufficio - Il perseguimento di un fine pubblico non esclude la consumazione del reato - Art 323 c.p.. Il perseguimento di un fine pubblico da parte dell’agente non vale ad escludere il dolo dell’abuso d’ufficio, sotto il profilo dell’intenzionalità, allorché rappresenti un mero pretesto, col quale venga mascherato l’obiettivo reale della condotta (Cass. Sez. 6, 17/10/2007 n. 40891). (annulla con rinvio sentenza in data 30/09/2007 la Corte di Appello di Bari) Pres. Serpico, Rel Matera, Ric. N.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. VI, 17/06/2010, Sentenza n. 23421
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UDIENZA del
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.
xxx
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
1) N. Francesco nato il 00.00.0000
Fatto
Con sentenza in data 11-6-2007 il Tribunale di Trani dichiarava N. Francesco
colpevole del reato di cui agli artt. 81, 323 c.p. e, con le attenuanti
generiche, lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al
risarcimento dei danni in favore della parte civile C. Pompeo,
concedendo all’imputato il beneficio della sospensione condizionale.
Con sentenza in data 30-9-2007 la Corte di Appello di Bari, in riforma di tale
sentenza, assolveva il N. Francesco dal delitto ascrittogli, perché il
fatto non costituisce reato.
Il fatto addebitato all’imputato era di avere, in violazione delle norme di
legge e di regolamento, nella qualità di Sindaco del Comune di Risceglie, nello
svolgimento delle sue funzioni, procurato a xxx e a xxx, con l’emanazione degli
atti monocratici indicati nel capo d’imputazione, l’ingiusto vantaggio
patrimoniale conseguente al conferimento agli stessi dell’incarico di Dirigente
dell’Area Amministrativa e, del pari, a xxx, un danno ingiusto conseguente alla
illegittima destinazione del xxx ad altro incarico dirigenziale.
La Corte di Appello, andando di contrario avviso rispetto al Tribunale, ha
ritenuto non sussistere la prova della sussistenza, in capo all’imputato, del
dolo intenzionale proprio del reato contestato.
La parte civile xxx, per mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per
cassazione, lamentando l’erronea applicazione della legge penale e la manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza del dolo
intenzionale, nonché l’inosservanza di norme processuali e la manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della prova. Rileva, in
particolare, che l’affermazione della Corte di Appello, secondo cui il Tribunale
non avrebbe evidenziato l’esistenza del perseguimento, da parte del Sindaco, del
fine di danneggiare la costituita parte civile o di favorire il xxx e il xxx,
risulta contraddetta dall’ampia motivazione della sentenza di primo grado, con
la quale sono stati compiutamente indicati gli elementi di fatto e di diritto
dimostrativi della consapevolezza, da parte del prevenuto, di compiere atti
illegittimi, con l’intenzione di arrecare un danno e un ingiusto vantaggio. Nel
richiamare i passaggi più significativi della decisione di primo grado, deduce
che il Tribunale ha correttamente motivato in ordine alla sussistenza
dell’intenzionalità dell’abuso posto in essere dal prevenuto, argomentandola
dalla reiterazione di atti illegittimi - anche successivamente ai decreti di
annullamento emessi dal Capo dello Stato in conformità dei pareri del Consiglio
di Stato -, aventi la medesima finalità dell’attribuzione della qualifica
dirigenziale a soggetti privi dei requisiti e titoli richiesti dalla legge,
nonché dalle numerose e marchiane violazioni di legge e di regolamento,
dall’assenza di un fine pubblico meritevole di tutela e dal carattere meramente
pretestuoso delle motivazioni addotte negli atti monocratici in contestazione.
Ricorre anche il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di
Appello di Bari, deducendo l’erronea applicazione della legge penale e la
manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla ritenuta insussistenza
del dolo intenzionale. Rileva anch’esso che l’affermazione della Corte di
Appello, secondo cui il Tribunale non avrebbe evidenziato l’esistenza del
perseguimento, da parte dell’imputato, del fine di danneggiare, con la sua
azione, la costituita parte civile, o di favorire il xxx e il xxx, viene
smentita dalla esaustiva motivazione resa al riguardo dal giudice di prime cure.
Il Tribunale, infatti, ha correttamente motivato la ricorrenza
dell’intenzionalità dell’abuso posto in essere dal prevenuto, in ragione della
reiterata adozione -anche successivamente ai decreti di annullamento del Capo
dello Stato - di atti illegittimi, aventi la medesima finalità dell’attribuzione
della qualifica dirigenziale a soggetti privi dei requisiti e titoli di legge,
dell’assenza di un fine pubblico meritevole di tutela e del carattere meramente
pretestuoso delle motivazioni addotte negli atti monocratici in questione. A
fronte del congruo e coerente apparato motivazionale della sentenza di primo
grado, appare evidente il vizio di manifesta illogicità della decisione
impugnata, che ha escluso apoditticamente la sussistenza dell’elemento
psicologico del reato, assumendo che, nel caso di specie, manca la prova che
l’imputato, nella sua qualità di Sindaco del Comune di Risceglie, “non abbia
agito allo scopo di garantire l’attuazione del suo programma nel rispetto della
migliore efficienza della struttura amministrativa del Comune”.
Diritto
Entrambi i ricorsi sono fondati e meritevoli di accoglimento.
Deve premettersi che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il
giudice di appello che riformi totalmente la sentenza di primo grado, ha
l’obbligo non solo di delineare con chiarezza le ragioni del suo convincimento,
ma anche di confutare specificamente e adeguatamente le argomentazioni poste a
base della sentenza riformata, spiegando per quali motivi non le ritenga
condivisibili (Cass. Sez. Un., 12-7-2005 n. 33748; Sez. 2, 11-11-2005/11-1-2006
n. 746; Sez. 5, 5-5-2008 n. 35762). Il giudice del gravame, pertanto, non può
limitarsi ad esprimere in modo generico una differente valutazione, ma deve dar
conto, attraverso una rigorosa analisi critica, degli elementi che lo hanno
indotto ad un convincimento opposto rispetto a quello del giudice di primo
grado.
Nel caso di specie, la Corte di Appello non ha rispettato tale dovere di
motivazione rafforzato, in quanto ha ribaltato completamente la decisione di
primo grado limitandosi ad affermare, in modo apodittico, che, nella specie,
manca la prova che l’imputato, nella sua qualità, “non abbia agito allo scopo di
garantire l’attuazione del suo programma nel rispetto della migliore efficienza
della struttura amministrativa del Comune”, e che il Tribunale non ha
“evidenziato, neppure in maniera astratta o frammentaria, l’esistenza di
comprovati motivi personali ovvero il perseguimento, da parte del Sindaco, del
fine di danneggiare, con la sua azione, la costituita parte civile, o di
favorire il xxx ed il xxx”.
Così facendo, il giudice del gravame ha mostrato di non tenere in alcun conto le
ampie ed analitiche argomentazioni svolte dal Tribunale a dimostrazione della
intenzionalità dell’abuso commesso dal xxx, allo scopo di favorire il xxx e il
xxx e di danneggiare il xxx; argomentazioni basate sul pregnante rilievo della
reiterata adozione (anche successivamente ai decreti di annullamento emessi dal
Capo dello Stato su parere conforme del Consiglio di Stato) di atti illegittimi
con i quali è stata attribuita la qualifica dirigenziale a soggetti privi (a
differenza del xxx) dei titoli e requisiti richiesti dalla legge, nonché
dell’assenza di un fine pubblico meritevole di tutela e del carattere meramente
pretestuoso del riferimento al perseguimento dell’interesse al buon
funzionamento del Comune contenuto negli atti monocratici in contestazione.
Sotto tale ultimo profilo, in particolare, il giudice di primo grado ha
evidenziato che la scelta dei sostituti del xxx non è stata preceduta da alcun
serio tentativo di reperire persone maggiormente idonee all’espletamento
dell’incarico, che è stato al contrario affidato a persone prive dei requisiti;
e che non è stata dimostrata la necessità di una rotazione tra tutti i
dirigenti, avendo la rotazione riguardato solo il xxx.
Tutto ciò in piena coerenza col principio affermato dalla giurisprudenza,
secondo cui il perseguimento di un fine pubblico da parte dell’agente non vale
ad escludere il dolo dell’abuso d’ufficio, sotto il profilo dell’intenzionalità,
allorché rappresenti un mero pretesto, col quale venga mascherato l’obiettivo
reale della condotta (Cass. Sez. 6, 17-10-2007 n. 40891).
La Corte di Appello non ha proceduto, come sarebbe stato suo onere, ad una
approfondita e penetrante analisi critica di tali argomenti, per confutarne la
correttezza logica o giuridica e giustificare il proprio diverso convincimento;
ma si è limitata, in modo acritico, a prendere atto del formale riferimento al
perseguimento di un preminente interesse dell’Ente, contenuto in uno degli atti
monocratici in contestazione (n. 41 del 25-9-2002), per desumerne - senza
affrontare in alcun modo le tematiche prospettate dal Tribunale - la non
configurabilità del dolo intenzionale del reato contestato, nonostante
l’eventuale presenza di un concomitante favoritismo o danno per il privato.
S’impone, di conseguenza, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata,
per una rinnovata valutazione di merito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della
Corte di Appello di Bari.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 17 Giu. 2010
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