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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24/06/2010 (Ud. 24/03/2010), Sentenza n. 24241
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Reato di cui all’art 181 c. 1 bis, D.Lgs. n.
42/2004 - Configurabilità - Dolo generico. La fattispecie di cui all'art.
181, comma 1 bis, D.Lgs. a 42/2004 è punita a titolo di dolo generico. Quanto
alla coscienza dell'antigiuridicità dell'azione, va rilevato che presupposto
della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del soggetto agente,
dell'effettivo contenuto precettivo della norma. Secondo la sentenza n. 364/1988
della Corte Costituzionale (in relazione alla previsione dell'art. 5 cod. pen.),
va considerata quale limite alla responsabilità personale soltanto l'oggettiva
impossibilità di conoscenza del precetto (c.d. ignoranza inevitabile, e quindi
scusabile, della legge penale). (conferma sentenza n. 3863/2008 CORTE APPELLO di
FIRENZE, del 16/04/2009) Pres. De Maio, Est. Fiale, Ric. Mieli ed altro.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24/06/2010 (Ud. 24/03/2010), Sentenza n.
24241
DIRITTO URBANISTICO - Opere edilizie - Responsabilità autonoma del
committente e responsabilità dell’imprenditore incaricato a munirsi dei
necessari titoli. Il committente di opere edilizie ha l'obbligo personale di
munirsi dei necessari titoli abilitativi e delle connesse autorizzazioni, sicché
l'averne affidato l'esecuzione ad un imprenditore o ad un artigiano
specializzato non esclude la responsabilità autonoma del committente. (conferma
sentenza n. 3863/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 16/04/2009) Pres. De Maio,
Est. Fiale, Ric. Mieli ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
24/06/2010 (Ud. 24/03/2010), Sentenza n. 24241
DIRITTO URBANISTICO - Nozione di "pertinenza urbanistica" - Oggettiva
esigenza "di servizio" all'edificio principale - Precarietà dell'opera -
Giurisprudenza. La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue
proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di
un'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria
conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro
fabbricato - preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale,
funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di
un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque
dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. La relazione con la
costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di
servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di
strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame
l'ampliamento di un edificio mediante la edificazione di una tettoia-portico,
che, per la relazione di connessione fisica, costituisce parte di esso quale
elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa affinché soddisfi
ai bisogni cui è destinato. Inoltre, una trasformazione urbanistica e/o edilizia
- per essere assoggettata all'intervento autorizzatorio in senso ampio
dell'autorità amministrativa non deve essere "precaria": un'opera oggettivamente
finalizzata a soddisfare esigenze improvvise o transeunti non è destinata a
produrre, infatti, quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica è
rivolta a regolare. Restano esclusi, pertanto, dal regime del permesso di
costruire i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, destinati cioè a
soddisfare esigenze di carattere contingente e ad essere presto eliminati.
(conferma sentenza n. 3863/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 16/04/2009) Pres.
De Maio, Est. Fiale, Ric. Mieli ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
III, 24/06/2010 (Ud. 24/03/2010), Sentenza n. 24241
DIRITTO URBANISTICO - Opere precarie - Nozione - Giurisprudenza. Al fine
di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la
realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non
può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data
all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione
materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini
specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di
successiva e sollecita eliminazione. Sicché, ai fini del riscontro del connotato
della precarietà dell'opera e della relativa esclusione della modifica
dell'assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive,
i materiali impiegati e l'agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle
quali l'opera eventualmente assolva. La natura precaria di una costruzione non
dipende dalla natura dei materiali adottati e quindi dalla facilità della
rimozione, ma dalle esigenze che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè
dalla stabilità dell'insediamento indicativa dell'impegno effettivo e durevole
del territorio; a tale fine, inoltre, l'opera deve essere considerata
unitariamente e non nelle sue singole componenti. Pertanto, la stabilità non va
confusa con l'irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione
ad essa assegnata, ma si estrinseca nell'oggettiva destinazione dell'opera a
soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell'attitudine ad una utilizzazione
che non sia temporanea e contingente. Inoltre, la precarietà non va confusa con
la stagionalità, vale a dire con l'utilizzo annualmente ricorrente della
struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto
al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel
tempo. Infine, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, la precarietà
di un manufatto non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di
ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto stesso è destinato;
pertanto, essa va esclusa quando trattasi di struttura destinata a dare
un'utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla facilità della sua
rimozione, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all'opera
dei proprietario, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della sua
obiettiva e intrinseca destinazione naturale (C. Stato, sez. V: 15.6.2000, n,
3321; 23.1.1995, n. 97). (conferma sentenza n. 3863/2008 CORTE APPELLO di
FIRENZE, del 16/04/2009) Pres. De Maio, Est. Fiale, Ric. Mieli ed altro.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24/06/2010 (Ud. 24/03/2010), Sentenza n.
24241
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UDIENZA del 24.03.2010
SENTENZA N. 625
REG. GENERALE N. 40860/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. GUIDO DE MAIO
- Presidente
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI
- Consigliere
Dott. MARIO GENTILE
- Consigliere
Dott. ALDO FIALE
- Rel. Consigliere
Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI
- Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) MIELI GIUDITTA N. IL 00/00/0000
2) PENNACCHIETTI FABRIZIO N. IL 00/00/0000
- avverso la sentenza n. 3863/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 16/04/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2010 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. ALDO FIALE
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Guglielmo Passacantando che
ha concluso per il rigetto dei ricorsi
- Uditi i difensori Avv.ti Stefano Maccioni e Alfredo Seganti, quale sostituto
processuale dell'avv. Massimo Bevere, i quali hanno concluso chiedendo
l'accoglimento dei ricorsi
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 16.4.2009, confermava la
sentenza 18.6.2008 del Tribunale di Grosseto - Sezione distaccata di Orbetello,
che aveva affermato la responsabilità penale di Mieli Giuditta e Pennacchietti
Fabrizio in ordine ai reati di cui:
- all'art. 44, lett. e), D.P.R. n. 380/2001 (per avere realizzato - la prima
quale committente ed il secondo in qualità di esecutore dei lavori - senza il
necessario permesso di costruire, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico,
una tettoia- veranda in legno, avente dimensioni di circa mt. 7,40 x 2,40
- acc. in Orbetello, il 5.7.2005,
con lavori in corso al momento dell'accertamento);
- all'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 (per avere realizzato il
manufatto anzidetto, in zona dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M.
4.12.1964, senza l'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del
vincolo)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione
della contravvenzione edilizia con il più grave delitto ambientale, aveva
condannato ciascuno alla pena di mesi nove di reclusione (interamente
condonata), ordinando la rimessione in pristino dello stato dei luoghi e
concedendo ad entrambi il beneficio della sospensione condizionale subordinata
all'effettivo ripristino entro tre mesi dalla formazione del giudicato.
Avverso tale sentenza hanno proposto separati ricorsi gli imputati.
La Mieli - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione
- ha eccepito:
- la insussistenza dell'elemento psicologico del delitto, tenuto conto che ella
non aveva avuto consapevolezza dell'esistenza del vincolo paesaggistico imposto
con decreto ministeriale e difficilmente avrebbe potuto averne conoscenza.
Il Pennacchietti, a sua volta, ha lamentato:
- la insussistenza della contravvenzione edilizia, a cagione della precarietà e
del carattere pertinenziale del manufatto: caratteristiche entrambe che lo
sottrarrebbero al regime del permesso di costruire;
- la nullità della sentenza per violazione dell'art. 552, 2° comma, c.p.p.,
avendo il P.M. integrato al dibattimento l'imputazione, contestando il delitto
di cui all'art. 181, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 42/2004, senza specificare gli
estremi identificativi del decreto ministeriale che costituiva la fonte di tale
contestazione;
- la insussistenza dell'elemento psicologico del delitto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere rigettati, perché infondati.
1. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, la nozione di
"pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da
quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera - che abbia comunque una
propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia
parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un'oggettiva
esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile
in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non
consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui
accede.
La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di
integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale
l'uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla
nozione in esame l'ampliamento di un edificio mediante la edificazione di una
tettoia-portico, che, per la relazione di connessione fisica, costituisce parte
di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa
affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato [Vedi, tra le decisioni recenti,
Cass., Sez. III: 29.5.2007, Rossi; 11.5,2005, Cincia; 17.1.2003, Chiappalone.
Nello stesso senso vedi pure C. Stato, Sez. V, 22.10.2007, n. 5515].
2. Dottrina e giurisprudenza sono altresì costanti nell'affermare che una
trasformazione urbanistica e/o edilizia - per essere assoggettata all'intervento
autorizzatorio in senso ampio dell'autorità amministrativa non deve essere
"precaria": un'opera oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze improvvise
o transeunti non è destinata a produrre, infatti, quegli effetti sul territorio
che la normativa urbanistica è rivolta a regolare. Restano esclusi, pertanto,
dal regime del permesso di costruire i manufatti di assoluta ed evidente
precarietà, destinati cioè a soddisfare esigenze di carattere contingente e ad
essere presto eliminati.
Questa Corte Suprema ha affermato e ribadito, in proposito, che:
- al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire
la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa
non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente
data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca
destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per
fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di
successiva e sollecita eliminazione (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass.,
sez. III; 26.6.2009, n. 26573, Morandin; 22.6.2009, n. 25965, Bisulca ed altro;
25.2.2009, n. 22054, Frank; 9.5.2007, Quintiero; 12.1.2007, Compagnucci;
28.9.2006, Grifoni; 21.3.2006, Cavallini);
- ai fini del riscontro del connotato della precarietà dell'opera e della
relativa esclusione della modifica dell'assetto del territorio, non sono
rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l'agevole
rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l'opera eventualmente
assolva. La natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura dei
materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle esigenze
che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità
dell'insediamento indicativa dell'impegno effettivo e durevole del territorio; a
tale fine, inoltre, l'opera deve essere considerata unitariamente e non nelle
sue singole componenti (Cass., sez. III: 27.5.2004, Polito; 13.11.2002, Soc.
Onmitel Pronto Italia; 12.7.1999, Piparo);
- la stabilità non va confusa con l'irremovibilità della struttura o con la
perpetuità della funzione ad essa assegnata, ma si estrinseca nell'oggettiva
destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia
nell'attitudine ad una utilizzazione che non sia temporanea e contingente
(Cass., sez. III, 7.6.2006, Giardina);
- la precarietà non va confusa con la stagionalità, vale a dire con l'utilizzo
annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude
la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e
contingenti, ma permanenti nel tempo (Cass., sez. III: 21.2.2006, Mulas;
19.2.2004, Pieri; 21.10.1998, Colao).
In senso assolutamente conforme, secondo la giurisprudenza del Consiglio di
Stato, la precarietà di un manufatto non dipende dai materiali utilizzati o dal
suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto stesso
è destinato; pertanto, essa va esclusa quando trattasi di struttura destinata a
dare un'utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla facilità della sua
rimozione, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all'opera
dei proprietario, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della sua
obiettiva e intrinseca destinazione naturale (vedi C. Stato, sez. V: 15.6.2000,
n, 3321; 23.1.1995, n. 97).
Nella fattispecie in esame non sono rilevanti, dunque, le caratteristiche
costruttive ed i materiali impiegati, ma le esigenze alle quali l'opera
realizzata assolve e tali esigenze risultano palesemente non temporanee,
emergendo ad evidenza - ed essendo stata illustrata con motivazione adeguata,
coerente ed immune da vizi logico-giuridici - l'attitudine del manufatto ad una
utilizzazione non contingente né limitata nel tempo, indicativa dell'impegno
effettivo e durevole del territorio.
3. La fattispecie di cui all'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. a 42/2004 è punita a
titolo di dolo generico.
Quanto alla coscienza dell'antigiuridicità dell'azione, va rilevato che
presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del
soggetto agente, dell'effettivo contenuto precettivo della norma e, secondo la
sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale (in relazione alla previsione
dell'art. 5 cod. pen.), va considerata quale limite alla responsabilità
personale soltanto l'oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto (c.d.
ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale).
Nella fattispecie in esame gli imputati avevano il dovere di informarsi
preventivamente circa l'eventuale assoggettamento a vincoli dell'area sulla
quale andavano a costruire e non hanno dimostrato, invece, di avere assunto
alcuna informazione al riguardo presso gli organi competenti.
Ne si configura un errore su norma extrapenale, che abbia cagionato un errore
sul fatto costituente il reato (ex art. 47, comma 3, cod. pen.), poiché gli
imputati - i quali ben potevano avere una esatta conoscenza del D.Lgs. n.
42/2004 e che tale corretta conoscenza erano obbligati ad acquisire - non hanno
prospettato di avere commesso alcun errore sull'interpretazione delle
disposizioni di detto testo normativo, né hanno addotto di avere erroneamente
creduto di realizzare un fatto diverso da quello vietato.
Essi semplicemente hanno posto in essere un'attività edilizia senza richiedere
l'autorizzazione all'autorità amministrativa preposta alla tutela del vincolo
(autorizzazione che avrebbero dovuto richiedere anche qualora detta attività
edificatoria avesse riguardato un bene sottoposto a tutela paesaggistica ex
lege e non con provvedimento puntuale dell' amministrazione).
Deve concludersi, pertanto, che non vi sono dubbi circa la diretta volizione del
comportamento illecito e non si rinvengono elementi idonei a configurare
l'errore sul precetto di cui all'art. 5 cod. pen. ovvero l'errore su norma
extrapenale ex art. 47, comma 3, dello stesso codice.
Con specifico riferimento, poi, alla prospettazione della Mieli - secondo la
quale ella, "ben sapendo di non avere le competenze e le capacità per effettuare
l'opera da sola", aveva "commissionato la costruzione della tettoia non già ad
una persona qualsiasi, bensì alla ditta specializzata del Pennacchietti,
affidandosi al medesimo per tutte le eventuali questioni burocratiche ed i
controlli necessari" - può osservarsi che il committente di opere edilizie ha
l'obbligo personale di munirsi dei necessari titoli abilitativi e delle connesse
autorizzazioni, sicché l'averne affidato l'esecuzione ad un imprenditore o ad un
artigiano non esclude la responsabilità autonoma del committente.
4. Quanto, infine, alla denunziata violazione dell'art. 522 c.p.p., va rilevato
che la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso che non si ha
insufficiente indicazione dell'enunciazione del fatto, ex art. 552, 10 comma -
lett. c), e 2° comma c.p.p., qualora si abbia l'individuazione dei tratti
essenziali del fatto di reato attribuito, dotati della specificità necessaria
affinché I'imputato possa apprestare la sua difesa.
Nella specie, la fattispecie delittuosa di cui al comma 1 bis, lett. a), del
D.Lgs. n. 42/2004 non era stata contesta nella formulazione dell'imputazione
originaria (riferita all'ipotesi contravvenzionale di cui al comma 1), ma la
modifica di tale imputazione venne ritualmente formulata dal P.M. all'udienza
dell' 11 luglio 2007 e la mancata indicazione espressa del provvedimento
puntuale di imposizione del vincolo (il D.M. 4.12.1964, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 180 del 20.7.1965, riguardante l'area del Tombolo della
Giannella, ove é stato edificato il manufatto abusivo) non impediva all'imputato
di conoscere i tratti essenziali della fattispecie delittuosa attribuitagli
dall'accusa, stante anche la possibilità di facile individuazione dell'elemento
non indicato.
5. Al rigetto dei ricorsi segue, a norma dell'art. 616 c.p,p., l'onere delle
spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli aru. 607, 615 e 616 c.p.p.,
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
ROMA, 24.3.2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 24 Giu. 2010
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