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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24/06/2010 (Ud. 24/03/2010), Sentenza n. 24242
DIRITTO URBANISTICO - Titolo abilitativo con clausole o condizioni derogatorie -
Art. 44, lett.b), D.P.R. n. 380/2001 - Configurabilità - Fattispecie:
Regolamento comunale contenente nozione illegittima di “opera precaria”. In
materia edilizia, il Comune non può, mediante l'inserimento nel titolo
abilitativo di clausole o condizioni, permettere la realizzazione di opere, in
contrasto con la pianificazione, che siano in grado di alterare in modo
permanente l'assetto urbanistico (Cass., sez. III, 16.4.2008, Rao e C. Stato,
sez. V, 20.3.2000, n, 1507). Sicché, l’Ente non può introdurre, neanche,
attraverso un Regolamento comunale, una nozione illegittima di "opera precaria”
(Cass., Sez. III, 20-3-2008, n. 12428, Fioretti). (conferma sentenza n.
3086/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 22/05/2009 che confermava sentenza del
13.3.2008 Tribunale monocratico di Grosseto) Pres. De Maio, Est. Fiale, Ric.
Verrengia ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24/06/2010 (Ud.
24/03/2010), Sentenza n. 24242
DIRITTO URBANISTICO - Natura precaria di una struttura - Nozione. La
natura precaria di una struttura, non può essere desunta dalla temporaneità
della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve
ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso
realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione [Cass.,
sez. III, 26.6.2009, n.26573, Morandin; Cass. 22.6.2009, n. 25965, Bisulca ed
altro]. (conferma sentenza n. 3086/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 22/05/2009
che confermava sentenza del 13.3.2008 Tribunale monocratico di Grosseto) Pres.
De Maio, Est. Fiale, Ric. Verrengia ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE,
Sez. III, 24/06/2010 (Ud. 24/03/2010), Sentenza n. 24242
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UDIENZA del 24.03.2010
SENTENZA N. 628
REG. GENERALE N. 41344/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. GUIDO DE MAIO
- Presidente
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI
- Consigliere
Dott. MARIO GENTILE
- Consigliere
Dott. ALDO FIALE
- Rel. Consigliere -
Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI
- Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) VERRENGIA FILIBERTO N. IL 00/00/0000
2) VERRENGIA MARCO N. IL 00/00/0000
- avverso la sentenza n. 3086/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 22/05/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2010 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. ALDO FIALE
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Guglielmo Passacantando che
ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 22.5.2009, confermava la
sentenza 13.3.2008 del Tribunale monocratico di Grosseto, che aveva affermato la
responsabilità penale di Verrengia Filiberto e Verrengia Marco in ordine al
reato di cui:
- all'art. 44, lett.b), D.P.R. n. 380/2001, per avere realizzato, in assenza del
prescritto permesso di costruire, a servizio di un esercizio di ristorazione da
loro gestito, le seguenti opere edilizie:
1. un locale ricavato sotto l'esistente porticato mediante tamponatura in
muratura ed installazione di porta e finestra;
2. un box in lamiera metallica, con pavimentazione in gettata di cemento, avente
dimensioni di mt. 5,10 x 2,55;
3. un manufatto interamente tamponato con pannelli a vetri, destinato a sala
ristorante, con piccolo manufatto di ingresso;
4. un locale tamponato in cartongesso, piastrellato e dotato di finestra, avente
le dimensioni di mt. 4,90 x 2,20;
5. la creazione di un nuovo volume mediante chiusura del porticato attraverso la
modifica dell'accesso al pubblico esercizio;
6. la pavimentazione della corte interna con materiale di monocottura
- in Grosseto, dal novembre 2003 al 28.12.2005
e confermava le pene, già determinate per ciascuno in giorni 15 di arresto ed
euro 7.000,00 di ammenda (interamente condonate), nonché l'ordine di demolizione
delle opere abusive e le statuizioni risarcitone in favore del Comune di
Grosseto, costituitosi parte civile.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dei due imputati, il
quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione -
ha eccepito:
- la insussistenza del reato, in quanto le singole opere realizzate erano state
ritualmente autorizzate, anche in conformità di un Regolamento per
l'installazione di manufatti precari a servizio delle attività commerciali di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande approvato dal Consiglio
comunale di Grosseto con deliberazione n. 19 dell'8.3.2002;
- la prescrizione dei reato, intervenuta già in epoca anteriore alla pronuncia
della sentenza medesima.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
1. I giudici del merito hanno accertato, in punto di fatto, che:
- in relazione alle opere descritte ai punti 1, 3 e 4 della contestazione, gli
imputati avevano presentato denuncia di inizio dell'attività, facendo
riferimento al Regolamento per l'installazione di manufatti precari a servizio
delle attività commerciali di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande
approvato dal Consiglio comunale di Grosseto con deliberazione n. 19 dell'
8.3.2002.
La D.I.A. presentata era però
riferita elusivamente alla "installazione di infissi in metallo verniciato e
vetro nel porticato" e gli imputati non avevano ottemperato alle correlate
richieste di integrazione documentale notificate dal Comune;
- per gli altri manufatti realizzati non esisteva alcun titolo abilitativo
edilizio.
2. Secondo le prescrizioni del citato Regolamento comunale del 2002:
- "Sono da ritenersi manufatti
precari le installazioni di tipo semifisso collegate, in via esclusiva, ad una
attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (bar, ristoranti,
pizzerie, birrerie e simili), con esclusione di quelle in muratura tradizionale,
che non abbiano alcun tipo di fondazione, ancorché fissate al suolo mediante
appositi sistemi di ancoraggio e, quindi, per tali caratteristiche, da
considerarsi strutture di scarsa rilevanza urbanistica";
- i manufatti anzidetti "possono essere installati in aree pubbliche o private,
all'interno dei centri abitati o in territorio aperto, di norma, in adiacenza
all'attività commerciale di somministrazione al pubblico di alimenti e di
bevande o, subordinatamente, previa valutazione da parte degli uffici
competenti, anche in aree prossime all'attività di somministrazione al pubblico
di alimenti e di bevande ritenute, per natura ed ubicazione, funzionali
all'attività medesima e compatibili con il pubblico interesse" (art. 2, 10
comma);
- i manufatti in oggetto sono soggetti a D.I.A. (art. 3);
- è consentita l'occupazione di carreggiata stradale (art. 4);
- i manufatti precari "possono essere autorizzati per un periodo massimo di anni
tre, eventualmente rinnovabili previa rinnovazione della domanda e
compatibilmente al rilascio dell'autorizzazione amministrativa per l'occupazione
del suolo pubblico.
L'Amministrazione comunale si riserva, comunque, anche durante il periodo di validità dell'utilizzo del manufatto, sia su area pubblica che privata, la facoltà di far rimuovere in via provvisoria o definitiva, con spese a totale carico dell'esercente, il manufatto per fatti, motivi e cause di interesse pubblico" (art. 6, commi 1 e 2);
- "i manufatti in questione, per
eventuale utilizzo nella stagione invernale, possono essere completamente chiusi
purché con pannelli trasparenti asportabili" (art, 5, 3° comma). L'utilizzo di
manufatti di tale tipo "non può superare la durata di mesi sei; per l'utilizzo
fino a mesi dodici dovrà essere asportato almeno un lato della struttura" (art.
6, comma 4);
- "l'Amministrazione comunale si riserva, su motivata richiesta dell'interessato
e/o per particolari esigenze, di concedere autorizzazione per periodi superiori"
(art. 6, comma 5).
3. Questa Corte ha già affermato che il Regolamento le cui disposizioni sono
state dianzi compendiate, introduce una illegittima nozione di "opera precaria"
(Cass., Sez. III, 20-3-2008, n. 12428, Fioretti).
Esso ricollega, infatti, la individuazione della natura precaria dei manufatti
esclusivamente alle caratteristiche dei materiali utilizzati per la loro
realizzazione ed alla facile amovibilità ed introduce un titolo abilitativo
edilizio "provvisorio" atipico e contrastante con quello che deve ritenersi un
principio generale fissato dalla legislazione statale in materia di governo del
territorio, secondo il quale è inammissibile la configurazione di provvedimento
abilitativo che consenta di realizzare opere edilizie in contrasto con la
normativa urbanistica, atteso che o viene in considerazione un'opera avente
natura oggettivamente precaria per le finalità alle quali è destinata, ed allora
non si rende conseguentemente necessario alcun titolo abilitativo, o viene in
rilievo un'opera avente carattere di stabilità, ed allora si impone in ogni caso
il rispetto della normativa urbanistica; pertanto, il Comune non può, mediante
l'inserimento nel titolo abilitativo di clausole o condizioni, permettere la
realizzazione, in contrasto con la pianificazione, di opere che siano in grado
di alterare in modo permanente l'assetto urbanistico (vedi pure, sull'argomento,
Cass., sez. III, 16.4.2008, Rao e C. Stato, sez. V, 20.3.2000, n, 1507),
Nella fattispecie in esame, inoltre, le opere descritte ai punti 1, 3 e 4 del
capo di imputazione neanche risultano assentite con il pure illegittimo
procedimento di D.I.A., poiché lo stesso non si è perfezionato in quanto non è
stata trasmessa al Comune l'integrazione documentale richiesta.
4. Anche per gli altri manufatti specificati nella contestazione deve escludersi
la natura precaria, poiché tale natura - secondo la giurisprudenza costante di
questa Corte Suprema - non può essere desunta dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve
ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso
realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione [vedi,
tra le decisioni più recenti, Cass., sez. III: 26.6.2009, n. 26573, Morandin;
22.6.2009, n. 25965, Bisulca ed altro; 9.5.2007, Quintiero; 12.1.2007,
Compagnucci; 28.9.2006, Grifoni; 21.3.2006, Cavallini].
Nella fattispecie in esame non sono rilevanti, dunque, le caratteristiche
costruttive ed i materiali impiegati, ma le esigenze alle quali le opere
realizzate assolvono e tali esigenze risultano palesemente non temporanee,
emergendo ad evidenza l'attitudine dei manufatti ad una utilizzazione non
contingente né limitata nel tempo, indicativa dell'impegno effettivo e durevole
del territorio.
5. Il reato non era prescritto al momento della pronuncia della sentenza
impugnata e non lo è tuttora.
Trattasi, infatti, di un unitario e complessivo intervento di ampliamento
dell'esercizio di ristorazione, protrattosi fino al 28 dicembre 2005, sicché il
termine ultimo di prescrizione deve ritenersi fissato al 28.6.2010.
6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle
spese del procedimento
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli ara. 607, 615 e 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
ROMA, 24.3.2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 24 Giu. 2010
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