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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 20/07/2010 (Cc. 22/04/2010), Sentenza n. 28239
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Beni d’interesse artistico, storico, archeologico
e etnoantropologico - Provvedimento formale - Necessità - Esclusione -
Impossessamento - Artt.90 e 175 c. 1 lett.b) D.L.vo n.42/2004. In materia di
beni culturali, non occorre alcun provvedimento formale che dichiari l’interesse
artistico, storico, archeologico e etnoantropologico delle cose di cui il
privato sia Stato trovato in possesso, essendo sufficiente un interesse
culturale oggettivo, derivante da tipologia, localizzazione, rarità o altri
analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi
della P.A. o da una perizia disposta dall’autorità giudiziario. (conferma
ordinanza del 21.7.2009 del Tribunale di Napoli, sez. dist. di Portici) Pres. De
Maio, Est. Amoresano, Ric. Testa. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
20/07/2010 (Cc. 22/04/2010), Sentenza n. 28239
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Possesso di oggetti di interesse artistico,
storico o archeologico - Legittima detenzione - Onere della prova -
Artt. 43, 44, 46 L.1.6.1939 n.1089 - L. n.364/1909 - D.L.vo n.42/2004. Il
possesso di oggetti di interesse artistico, storico o archeologico (appartenenti
al patrimonio indisponibile dello Stato fin dal momento della loro scoperta)
deve ritenersi illegittimo, il detentore ha l'onere di dimostrare di averli
legittimamente acquistati ai sensi degli artt. 43, 44, 46 L.1.6.1939 n.1089
(Cass. pen. sez.2 n.12087 del 27.6.1995 - Dal Lago). Nel caso di declaratoria di
estinzione del reato per amnistia o prescrizione, al fine di ottenere la
restituzione delle cose sequestrate, è possibile fornire la prova della
legittimità del possesso davanti al giudice dell'esecuzione. A partire, infatti,
dalla L. 20 giugno 1909 n.364 le cose di interesse archeologico scoperte,
appartengono allo Stato, per cui è onere del privato dimostrare la legittimità
della provenienza dei reperti detenuti (Cass. sez. 3 n.49439 del 4.11.2009; conf.
Cass. sez.3 n.24654 del 3.2.2009; Cass. sez.2 n.12716 del 21.11.1997; Cass.
sez.4 n.12618 dell' 1.2.2005). (conferma ordinanza del 21.7.2009 del Tribunale
di Napoli, sez. dist. di Portici) Pres. De Maio, Est. Amoresano, Ric. Testa.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 20/07/2010 (Cc. 22/04/2010), Sentenza n.
28239
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - C.d. "culturalità" dei beni - Desumibilità
della natura culturale - Restituzione dei beni in sequestro al Ministero dei
beni culturali ed ambientali - Istanza di restituzione - Necessità - Esclusione
- D.L.vo n.42/2004 - D.L.vo n.490/1999. In materia di beni culturali, per
l'impossessamento illecito di beni appartenenti allo Stato, (secondo l'indirizzo
interpretativo, già formatosi sotto la vigenza dell'abrogato D.L.vo 29.10.1999
n.490 - Cass. sez.3 200347922, Petroni; Cass. sez,.3, 200145814, Cricelli; Cass.
sez.3 200142291, Licciardello - ed anche successivamente con riferimento al
D.L.vo 42/04 Cass. sez.3 n.39109 del 2006, ric. Palombo), non è necessario che i
beni siano qualificati come tali da un formale provvedimento della pubblica
amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della sua natura culturale
dalle stesse caratteristiche dell'oggetto, non essendo richiesto neppure un
particolare pregio. Sicché, non occorre alcun provvedimento formale che dichiari
l'interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico delle cose di
cui il privato sia stato trovato in possesso. Ed è quindi sufficiente "un
interesse culturale oggettivo, derivante da tipologia, localizzazione, rarità o
altri analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di
organi della P.A.. o da una perizia disposta dall'autorità giudiziaria" (Cass.pen.sez.3
n.35226del 28.6.2007 Signorella). Inoltre, il giudice deve disporre la
restituzione dei beni in sequestro al Ministero dei beni culturali ed
ambientali, tutte le volte che emerga il requisito della "culturalità" di tali
reperti e non sussistano le prove circa la legittima provenienza degli stessi al
patrimonio del soggetto privato al quale detti beni furono sequestrati, non
essendo necessario che l'organo statale avanzi apposita istanza di restituzione"
(Cass. pen. sez.3 n.23295 del 28.4.2004). (conferma ordinanza del 21.7.2009 del
Tribunale di Napoli, sez. dist. di Portici) Pres. De Maio, Est. Amoresano, Ric.
Testa. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 20/07/2010 (Cc. 22/04/2010),
Sentenza n. 28239
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UDIENZA del 22.04.2010
SENTENZA N. 651
REG. GENERALE N. 41663/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.
Dott. Guido De Maio
Presidente
Dott. Agostino Cordova
Consigliere
Dott. Ciro Petti
Consigliere
Dott. Aldo Fiale
Consigliere
Dott. Silvio Amoresano
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
1) Testa Mario nato il 00.00.0000
- avverso l'ordinanza del 21.7.2009 del Tribunale di Napoli, sez. dist. di
Portici
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano
- lette le conclusioni del P. G., dr. Antonio Gialanella, che ha chiesto il
rigetto del ricorso
OSSERVA
1) Con sentenza in data 25.11.2008 il Tribunale di Napoli, sez. dist. di
Portici, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Testa Mario in ordine
al reato di cui agli artt.90 e 175 comma 1 lett.b) D.L.vo n.42/2004 perché
estinto per prescrizione. Con ordinanza in data 10.2.2009 il G. E. del Tribunale
di Napoli, sez. di Portici, rigettava la richiesta proposta in data 6.2.2009
nell'interesse del Testa di restituzione dei reperti ed ordinava il dissequestro
dei reperti medesimi e la restituzione degli stessi in favore del Ministero dei
Beni Culturali ed Ambientali.
Con ulteriore istanza in data 13.2.2009 il difensore di Testa Mario proponeva
incidente di esecuzione per la restituzione di quanto in sequestro.
Assumeva che, a seguito della sentenza di NDP per intervenuta prescrizione, gli
oggetti sequestrati andavano restituiti al legittimo possessore, non emergendo
la situazione di particolare valore archeologico dei beni e nemmeno se gli
stessi fossero originali o meno, e comunque la prova (a carico dell'accusa)
della illegittima provenienza.
Con ordinanza in data 21.7.2009, all'esito dell'udienza camerale, il G.E.
rigettava la richiesta difensiva, confermando il proprio provvedimento reso in
data 10.2.2009. Assumeva che la culturalità dei beni in sequestro era stata
accertata dalla competente autorità amministrativa e che dagli atti non
emergevano prove certe in ordine alla legittima appartenenza dei reperti al
Testa.
2) Propone ricorso per cassazione Testa Mario, a mezzo del difensore,
denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli
artt.90, 175 , 10,11,12, 13 D.L.vo 42/2004, 262 e 263 c.p.p..
Il giudice della cognizione prima e quello della esecuzione poi hanno
completamente omesso di considerare le acquisizioni probatorie. Dal verbale di
sequestro risulta infatti che l'esperta, dopo aver visionato il materiale, lo
considerava "verosimilmente autentico" e dal dibattimento era emerso che tale
materiale era stato rinvenuto, in cantina, abbandonato (test. M.llo Calabrese).
Non ricorrevano palesemente "la culturalità dei beni in sequestro", non essendo
sufficiente la semplice "antiquitas".
Nel giudizio di merito, pur essendo stata dichiarata la prescrizione, era stato
accertato che i reperti archeologici (supposti tali) erano stati acquistati dal
ricorrente per successione dal fratello Alessandro Testa e che i residui beni
sequestrati erano stati ricevuti da tale ingegnere Ravona. Non era quindi esatto
che dagli atti non emergessero prove certe della legittima provenienza dei
reperti in sequestro (del resto, se così non fosse stato, il giudizio di
cognizione si sarebbe concluso con una sentenza di condanna).
Chiede pertanto l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
3.1) Il ricorrente era imputato della contravvenzione di cui agli artt.90 e 175
comma 1 lett.b) D.L.vo 22.1.2004 n.42 "perchè , avendo scoperto fortuitamente 17
reperti archeologici ed altre cose - frammenti marmorei, 5 mensole,
acquasantiera, pozzo in tiberno secolo XIX, colonna in granito con capitello in
piperno secolo XIX - indicate
nell'art.10 del medesimo decreto legislativo, ometteva di farne denuncia entro
ventiquattrore al soprintendente o al sindaco e se ne impossessava".
Nella sentenza del Tribunale di Napoli sez. di Portici, in composizione
monocratica, si dava semplicemente atto che il possesso dei reperti archeologici risaliva a
molti anni prima (come emergeva dalle testimonianze Del Gaudio e Borriello), per
cui veniva emessa declaratoria di prescrizione del reato.
Non è esatto, quindi, che nel giudizio di cognizione sia stata accertata la
legittima provenienza dei reperti in sequestro. E, comunque, il Tribunale non ha
ritenuto accertata tale legittima provenienza, altrimenti avrebbe dovuto
pronunciare una sentenza di assoluzione ex art.129 cpv. c.p.p..
3.1.1) Secondo la giurisprudenza consolidata (salvo qualche decisione isolata) di
questa Corte, dal momento che il possesso di oggetti di interesse artistico,
storico o archeologico (appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato fin
dal momento della loro scoperta) deve ritenersi illegittimo, il detentore ha
l'onere di dimostrare di averli legittimamente acquistati ai sensi degli artt.
43, 44, 46 L.1.6.1939 n.1089 (cfr. Cass. pen. sez.2 n.12087 del 27.6.1995 - Dal
Lago); e, nel caso di declaratoria di estinzione del reato per amnistia o
prescrizione, al fine di ottenere la restituzione delle cose sequestrate, è
possibile fornire la prova della legittimità del possesso davanti al giudice
dell'esecuzione. A partire infatti dalla L. 20 giugno 1909 n.364 le cose di
interesse archeologico scoperte, appartengono allo Stato, per cui è onere del
privato dimostrare la legittimità della provenienza dei reperti detenuti (cfr.
sez. 3 n.49439 del 4.11.2009; conf. Cass.sez.3 n.24654 del 3.2.2009; Cass. sez.2
n.12716 del 21.11.1997; Cass. sez.4 n.12618 dell' 1.2.2005).
3.1.2) Neppure in sede di incidente di esecuzione il ricorrente ha fornito la
prova della legittima provenienza dei reperti sequestrati.
Nell'istanza con cui si proponeva l'incidente, dopo aver sostenuto che "manca
peraltro una prova della legittimità della attribuzione al Ministero dei Beni
Ambientali e, in mancanza di una prova data dalla pubblica accusa (v.
giurisprudenza della Corte di Cassazione: Cass. pen. sez. III, 2.7.2004 n.28929)
della illegittimità della provenienza, si affermava apoditticamente che nel
giudizio di cognizione vi era, comunque, già la prova della legittima
appartenenza.
Né può pretendere il ricorrente di fornire siffatta prova, per la prima volta,
nel giudizio di legittimità.
3.2) Quanto alla "culturalità" dei beni sequestrati, secondo l'indirizzo
interpretativo, già formatosi sotto la vigenza dell'abrogato D.L.vo 29.10.1999
n.490 (Cass. sez.3 200347922, Petroni, RV226870; sez,.3, 200145814, Cricelli, RV
220742; Cass. sez.3 200142291, Licciardello, RV 220626) ed anche successivamente
con riferimento al D.L.vo 42/04 (Cass. sez.3 n.39109 del 2006, ric. Palombo), per
l'impossessamento illecito di beni appartenenti allo Stato, non è necessario che
i beni siano qualificati come tali da un formale provvedimento della pubblica
amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della sua natura culturale
dalle stesse caratteristiche dell'oggetto, non essendo richiesto neppure un
particolare pregio.
Non occorre quindi alcun provvedimento formale che dichiari l'interesse
artistico, storico, archeologico e etnoantropologico delle cose di cui il
privato sia stato trovato in possesso. Ed è quindi sufficiente "un interesse
culturale oggettivo, derivante da tipologia, localizzazione, rarità o altri
analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi
della P.A.. O da una perizia disposta dall'autorità giudiziaria" (Cass.pen.sez.3
n.35226del 28.6.2007 Signorella).
Il G.E. ha accertato, con motivazione adeguata ed immune da vizi, come tale non
sindacabile in questa sede, che la "culturalità " dei beni sequestrati è stata
acclarata in modo certo. La dr.ssa Guidabaldi Maria Paola, direttrice degli
scavi di Ercolano, dichiarava, infatti, autentici i 17 reperti archeologici,
inquadrabili nel periodo compreso tra il il IV ed il II secolo avanti Cristo , e
la dr.ssa Ascione Gina, direttrice presso la Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di
Napoli, a sua volta, dichiarava autentico il materiale visionato, inquadrabile
nelle produzione marmorea del XIX secolo.
3.3) Correttamente, pertanto, il G.E. ha ritenuto che i reperti in sequestro
andassero restituiti al Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. Né era
necessaria apposita istanza di restituzione da parte di quest'ultimo. Infatti
"...il giudice deve disporre la restituzione dei beni in sequestro al Ministero
dei beni culturali ed ambientali, tutte le volte che emerga il requisito della
"culturalità" di tali reperti e non sussistano le prove circa la legittima
provenienza degli stessi al patrimonio del soggetto privato al quale detti beni
furono sequestrati, non essendo necessario che l'organo statale avanzi apposita
istanza di restituzione" (Cass.pen.sez.3 n.23295 del 28.4.2004 ).
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 22 aprile 2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 20 Lug. 2010
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