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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/09/2010 (Ud. 22.4.2010), Sentenza n. 34866
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Violazioni paesaggistiche - Natura di reato di
pericolo - Principio di offensività - Qualificazione del reato da
contravvenzione a delitto - Art. 181, D.Lgs. n.42/2004 - ASSOCIAZIONE E COMITATI
- Risarcimento del danno. Il reato di cui all'art. 181 del D.Lgs. 22.1.2004,
n. 42 è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non
è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal
novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano
inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto
esteriore degli edifici. Sicché, i caratteri distintivi, in senso di maggiore
gravità, della nuova previsione penale dell'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n.
42/2004 (introdotta dalla legge 15.12.2004, n. 308) hanno inciso così
pesantemente sulla struttura della fattispecie originaria dell'art. 181, 1°
comma, da determinare un aggravamento quantitativo e qualitativo della pena, che
è sfociato nella diversa qualificazione del reato da contravvenzione a delitto.
Inoltre, la fattispecie di cui all'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 è
punita a titolo di dolo generico. Quanto al risarcimento del danno riconosciuto
alla parte civile, costituendo l'ambiente naturale un bene pubblico di rango
costituzionale, la lesione di esso fa sorgere in capo alle pubbliche
amministrazioni preposte alla sua tutela il diritto al risarcimento anche del
danno non patrimoniale derivatone (vedi Cass. civ., sez. III: 10.10.2008, nn.
25010 e 25011). Tale diritto deve ritenersi configurabile anche per le
associazioni di protezione ambientale riconosciute ai sensi della legge
8.6.1986, n. 349, sia come titolari di un diritto della personalità connesso al
perseguimento delle loro finalità statutarie, sia come enti esponenziali del
diritto assoluto dell'ambiente (Cass. pen., sez. III, 16.9.2008, n. 35393).
Inoltre, il danno non patrimoniale costituisce "danno-conseguenza" e non già
"danno-evento" (Cass., Sez. Unite civ., 11.11.2008, n. 26972), sicché esso non
si connette, come una specie di pena privata, al mero accertamento della
compressione formale del bene ambiente. (conferma sentenza n. 320/2008 CORTE
APPELLO di TRENTO, del 24/06/2009), Pres. De Maio, Est. Fiale, Ric. Vascellari
ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/09/2010 (Ud. 22.4.2010),
Sentenza n. 34866
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Zone paesisticamente vincolate - Modificazione
dell'assetto del territorio - Autorizzazione - Effetti - Art. 146 D.Lgs. n.
42/2004 - L. n. 431/1985 - L. n. 1497/1939. Nelle zone paesisticamente
vincolate è inibita - in assenza dell'autorizzazione già prevista dall'art. 7
della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di rilascio sono state innovate
dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall'art. 146 del D.Lgs.
n. 42/2004 - ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso
qualsiasi opera non soltanto edilizia ma "di qualunque genere" (ad eccezione
degli interventi consistenti: nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel
consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei
luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; nell'esercizio dell'attività
agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei
luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di
attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico; nel taglio
colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di
conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed
autorizzati in base alle norme vigenti in materia). (conferma sentenza n.
320/2008 CORTE APPELLO di TRENTO, del 24/06/2009), Pres. De Maio, Est. Fiale,
Ric. Vascellari ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/09/2010 (Ud.
22.4.2010), Sentenza n. 34866
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UDIENZA del 22.4.2010
SENTENZA N. 804
REG. GENERALE N. 43611/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. GUIDO DE MAIO
Presidente
Dott. AGOSTINO CORDOVA
Consigliere
Dott. CIRO PETTI
Consigliere
Dott. ALDO FIALE
Rel. Consigliere
Dott. SILVIO AMORESANO
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) VASCELLARI MARIO N. IL xx/xx/xxxxx
2) SORARU' LUCIANO N. IL ad/xx/xxxx
- avverso la sentenza n. 320/2008 CORTE APPELLO di TRENTO, del 24/06/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/04/2010 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. ALDO FIALE;
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Salzano che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
- Udito, per la parte civile ”Mountain Wilderness Italia”, l’avv.to Giuseppe
Campanelli quale sostituto processuale dell’avv.to Sandro Canestrini, che ha
chiesto la conferma delle statuizioni civili.
- Uditi difensori Avv.ti Alessandro Melchionda e Sandro De Vecchi, i quali hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Trento, con sentenza dei 24.6.2009, in parziale riforma
della sentenza 4.2.2008 del Tribunale di Trento - Sezione distaccata di Cavalese:
a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di Vascellari Mario e
Sorarù Luciano in ordine al reato di cui:
- all'art. 181, comma 1 bis - lett. a), D.Lgs. n. 42/2004 [per avere - il
Vascellari nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della
s.p.a. "Funivie Tofana e Marmolada" ed il Sorarù quale capo servizio della
stessa s.p.a. - nel compiere lavori di ammodernamento del III tronco della
funivia fra Punta Serrata e Punta Rocca sul ghiacciaio della Marmolada,
realizzato in zona dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 9.9.1956 e
riconosciuta quale sito di importanza comunitaria, in assenza
dell'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, una pista da
cantiere per il trasporto degli operai in quota, sviluppantesi in nove tornanti
- in Canazei, fino al 4.8.2005];
b) con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, concedendo altresì
l'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen., determinava per ciascuno la
pena (interamente condonata) in mesi sei di reclusione, sostituita con quella
pecuniaria corrispondente di euro 6.840,00 di multa;
c) confermava la concessione del beneficio della non-menzione della condanna;
d) liquidava alla costituita parte civile "Mountain Wilderness Italia" i danni
patiti iure proprio nella somma di euro 25.000,00 e quelli patiti dalla
sostituita Provincia autonoma di Trento nella somma di euro 50.000,00.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, i quali
- sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - hanno
eccepito:
- la insussistenza del reato, in quanto non sarebbero stati eseguiti lavori che
"hanno modificato lo stato dei luoghi" in termini rilevanti per la disciplina di
tutela del paesaggio dettata dal D.Lgs. n. 42/2004;
- la conformità dei lavori eseguiti a quelli previsti nell'atto di concessione
della gestione della funivia e soprattutto la loro inclusione fra quelli per i
quali la società "Funivie Tofana e Marmolada" era stata autorizzata dalla
Provincia di Belluno;
- la incongruità del mancato riconoscimento della "buona fede" degli imputati,
implicante la insussistenza del dolo richiesto per il contestato delitto;
- la erronea qualificazione della fattispecie di cui all'art. 181, comma 1bis -
lett. a), D.Lgs. n. 42/2004 quale delitto autonomo, con conseguente erronea
mancata applicazione dell'art. 69 cod. pen. nella valutazione di bilanciamento
delle riconosciute circostanze attenuanti;
- la insussistenza della prova del danno non patrimoniale liquidato iure
proprio alla parte civile "Mountain Wilderness Italia", sia di quello
liquidato a favore della Provincia autonoma di Trento.
Il difensore della parte civile ha trasmesso memoria in data 7.4.2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
1. Quanto al primo motivo di gravame, va ribadito l'orientamento costante di
questa Corte Suprema [vedi, tra le pronunzie meno remote, Cass., Sez. III:
29.11.2001, Zecca ed altro; 15.4.2002, P.G. in proc. Negri; 14.5.2002, Migliore_
4.10.2002. Debertol; 7/32003, Spinosa; 6/5/2003, Cassisa; 23.5.2003, P.M. in
proc. Invernici; 26.5.2003, Sargentini; 5.8.2003, Mori; 7.10.2003, Fierro;
3.6.2004, Coletta; 24.5.2005, Garofalo; 17.11.2005, Villa; 3.7.2007, Carusotto]
secondo il quale il reato di cui all'art. 181 del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 è
reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è
necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal
novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano
inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto
esteriore degli edifici.
Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell'autorizzazione
già prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di
rilascio sono state innovate dalla legge n, 431/1985 e sono attualmente
disciplinate dall'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 - ogni modificazione
dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto
edilizia ma "di qualunque genere" (ad eccezione degli interventi consistenti:
nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o
restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto
esteriore degli edifici; nell'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, che
non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni
edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che
non alterino l'assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione,
riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi
nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme
vigenti in materia).
Il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di
concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell'attitudine della
condotta a porre in pericolo il bene protetto.
2. Nella situazione di fatto in concreto accertata dai giudici del merito ed a
fronte delle disposizioni normative vigenti, appare infondata la prospettazione
difensiva che vorrebbe escludere qualsiasi rilevante alterazione dello stato dei
luoghi; sussiste, al contrario, un'effettiva messa in pericolo del paesaggio,
oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex
ante.
Sono state realizzate, infatti, opere che ad evidenza avrebbero (ed in concreto
hanno) irreversibilmente modificato l'assetto ambientale e quello del
territorio.
E' stata scavata nella neve una pista a nove tornanti, asportando sia la neve
caduta nell'ultima stagione invernale sia quella caduta negli anni precedenti
(c.d. "nevato" o "firn") e determinando in alcuni punti l'affioramento del
ghiacciaio sottostante, tanto da modificare sensibilmente l'assetto naturale dei
luoghi attraverso una frattura profonda del profilo della superficie innevata.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della
ricostruzione dei fatti e dell'attribuzione degli stessi alla persona
dell'imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la
struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e
coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal
processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura
del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza
impugnata.
3. I giudici del merito, con argomentazioni coerenti, hanno affermato la netta
distinzione tra la concessione amministrativa avente per oggetto l'utilizzazione
del ghiacciaio a fini di sfruttamento turistico e l'autorizzazione da rilasciare
ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, che ha per oggetto la valutazione
di sostenibilità paesaggistica delle opere necessarie per l'esercizio della
concessione.
La concessione rilasciata alla s.p.a. "Funivie Tofana e Marmolada" per l'uso del
bene demaniale non legittimava anche la realizzazione di nuove opere su detto
bene senza una specifica autorizzazione e - come esattamente rilevato dalla
Corte territoriale - opinare in senso contrario "significa in ultima analisi
invocare l’ignoranza della legge penale”; ignoranza non giustificabile sia per
il livello culturale e professionale degli imputati, sia per le prescrizioni
esplicitamente inserite nell'atto concessorio.
4. La fattispecie di cui all'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 è punita a
titolo di dolo generico.
Quanto alla coscienza dell'antigiuridicità dell'azione, va rilevato che
presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del
soggetto agente, dell'effettivo contenuto precettivo della norma e, secondo la
sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale (In relazione alla previsione
dell'art. 5 cod. pen.), va considerata quale limite alla responsabilità
personale soltanto l'oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto (c.d.
ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale).
Nella vicenda in esame gli imputati, se pure fosse stata ipotizzabile una
situazione di incertezza, avevano il dovere di informarsi preventivamente presso
gli organi competenti.
Né si configura un errore su norma extrapenale, che abbia cagionato un errore
sul fatto costituente il reato (ex art. 47, comma 3, cod. pen.), poiché gli
imputati - i quali ben potevano avere una esatta conoscenza del D.Lgs. n.
42/2004 e che tale corretta conoscenza erano comunque obbligati ad acquisire -
non hanno erroneamente creduto di realizzare un fatto diverso da quello vietato.
Deve concludersi, pertanto, che non vi sono dubbi circa la diretta volizione del
comportamento illecito e non si rinvengono elementi idonei a configurare
l'errore sul precetto di cui all'art. 5 cod. pen. ovvero l'errore su norma
extrapenale ex art. 47, comma 3, dello stesso codice.
5. I caratteri distintivi, in senso di maggiore gravità, della nuova previsione
penale dell'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 (introdotta dalla legge
15.12.2004, n. 308) hanno inciso così pesantemente sulla struttura della
fattispecie originaria dell'art. 181, 1° comma, da determinare un aggravamento
quantitativo e qualitativo della pena, che è sfociato nella diversa
qualificazione del reato da contravvenzione a delitto.
Questo dato recide ogni collegamento con un reato-base di diversa natura ed è
quindi da escludere la possibilità di qualificare come reato circostanziato la
nuova fattispecie di citi all' art. 181, comma 1 bis.
6. Quanto al risarcimento del danno riconosciuto alla parte civile, questa Corte
ribadisce che, costituendo l'ambiente naturale un bene pubblico di rango
costituzionale, la lesione di esso fa sorgere in capo alle pubbliche
amministrazioni preposte alla sua tutela il diritto al risarcimento anche del
danno non patrimoniale derivatone (vedi Cass. civ., sez. III: 10.10.2008, nn.
25010 e 25011).
Tale diritto deve ritenersi configurabile anche per le associazioni di
protezione ambientale riconosciute ai sensi della legge 8.6.1986, n. 349, sia
come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle
loro finalità statutarie, sia come enti esponenziali del diritto assoluto
dell'ambiente (vedi Cass. pen., sez. III, 16.9.2008, n. 35393).
Il Collegio condivide, inoltre, l'orientamento giurisprudenziale secondo il
quale il danno non patrimoniale costituisce "danno-conseguenza" e non già
"danno-evento" (Cass., Sez. Unite civ., 11.11.2008, n. 26972), sicché esso non
si connette, come una specie di pena privata, al mero accertamento della
compressione formale del bene ambiente.
Nella vicenda che ci occupa, però, la Corte territoriale non ha affermato che la
compromissione del bene ambiente costituisce di per sé danno non patrimoniale.
Ha tenuto in conto, invece, facendo legittimo ricorso alla c.d. "prova
presuntiva" (integrata da presunzioni logiche e fatti notori), l'effettivo
pregiudizio arrecato all'immagine dell'ente territoriale e dell'associazione
ambientalista.
7. Al rigetto dei ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle
spese del procedimento.
I ricorrenti vanno altresì condannati, in solido, alla rifusione delle spese del
grado sostenute dalla parte civile, che vengono liquidate in complessivi
3.000,00 euro, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna altresì i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese del grado
sostenute dalla parte civile e liquidate in complessivi 3.000,00 euro, oltre
accessori di legge.
ROMA, 22.4.20 10
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 27 set. 2010
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