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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 6/10/2010 (Ud. 2/07/2010), Sentenza n. 35774
RIFIUTI - Bonifiche ambientali - Piano di caratterizzazione - Progetto di
bonifica - Impedimento della formazione - Principio di ragionevolezza di cui
all'art. 3 Cost. - Fattispecie: sversamento del cromo esavalente nel corso del
procedimento produttivo - Artt. 242 e ss. e 257 D. L.vo n. 152/2006. In materia
di bonifiche ambientali, è configurabile il reato contenuto nell’art. 257 del D. L.vo 3 aprile 2006, n. 152, allorché il soggetto «non provvede alla bonifica in
conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del
procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti», anche qualora il soggetto,
come nel caso di specie, addirittura impedisce la stessa formazione del progetto
di bonifica, e quindi la sua realizzazione, attraverso la mancata attuazione del
piano di caratterizzazione, necessario per predispone il progetto di bonifica.
Non si tratta di non consentita interpretazione estensiva in malam partem o di
applicazione analogica della norma penale incriminatrice, ma dell'unica
interpretazione sistematica atta a rendere il sistema razionale e non in
contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Invero,
sarebbe manifestamente irrazionale una disciplina che prevedesse la punizione di
un soggetto che dà esecuzione al piano di caratterizzazione ma poi omette di
eseguire il conseguente progetto di bonifica ed invece esonerasse da pena il
soggetto che addirittura omette anche di adempiere al piano di caratterizzazione
così ostacolando ed impedendo la stessa formazione del progetto di bonifica.
(conferma sentenza emessa il 12/03/2009 dal giudice del tribunale di Udine),
Pres. Onorato, Est. Franco, Ric. Morgante. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
6/10/2010 (Ud. 2/07/2010), Sentenza n. 35774
RIFIUTI - INQUINAMENTO - Reato di omessa bonifica - Condotta commissiva
(cagionare il superamento dei limiti CSR o l'evento potenzialmente inquinante) -
Inottemperanza al piano di caratterizzazione - C.d. condizione di punibilità a
contenuto negativo - Continuità normativa - Art. 257 D. L.vo n.152/2006 (art. 51
bis D. L.vo n.22/1997). Si configura il reato contenuto nell’art. 257 del D. L.vo 3 aprile 2006, n. 152, allorché il responsabile dell’inquinamento impedisce
di predisporre e di realizzare la bonifica già attraverso la mancata attuazione
del piano di caratterizzazione. Tali comportamenti sono punibili sia ai sensi
del sopravvenuto art. 257 del D. L.vo 3 aprile 2006, n. 152 sia ai sensi ed in
vigenza dell'art. 51 bis d. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. (conferma sentenza
emessa il 12/03/2009 dal giudice del tribunale di Udine), Pres. Onorato, Est.
Franco, Ric. Morgante. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 6/10/2010 (Ud.
2/07/2010), Sentenza n. 35774
INQUINAMENTO - Inquinamento ambientale - Prescrizione - Decorrenza - Computo del
tempo - Data dell’ultimo superamento dei limiti. In tema d’inquinamento
ambientale, nei casi in cui lo stesso dovesse proseguire nel tempo la
prescrizione deve iniziare a decorrere dalla data in cui si è avuto l'ultimo
superamento dei limiti. (conferma sentenza emessa il 12/03/2009 dal giudice del
tribunale di Udine), Pres. Onorato, Est. Franco, Ric. Morgante. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 6/10/2010 (Ud. 2/07/2010), Sentenza n. 35774
INQUINAMENTO - Obbligo di bonifica - Adempimenti delle comunicazioni -
condizioni obiettive di punibilità. L'obbligo di bonifica e l'adempimento delle
comunicazioni costituiscono condizioni obiettive di punibilità. (conferma
sentenza emessa il 12/03/2009 dal giudice del tribunale di Udine), Pres.
Onorato, Est. Franco, Ric. Morgante. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
6/10/2010 (Ud. 2/07/2010), Sentenza n. 35774
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UDIENZA del 2.7.2010
SENTENZA N. 1299
REG. GENERALE N.2125/2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.:
1. Dott. Pierluigi Onorato
Presidente
2. Dott. Alfredo Teresi
Consigliere
3. Dott. Amedeo Franco
Rel. Consigliere
4. Dott. Giovanni Amoroso
Consigliere
5. Dott. Silvio Amoresano
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso - erroneamente qualificato come appello - proposto da Morgante
Carlo, nato a Udine il 15.11.1958;
- avverso la sentenza emessa il 12 marzo 2009 dal giudice del tribunale di
Udine;
udita nella pubblica udienza del 2 luglio 2010 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
- udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Alfredo Montagna, che ha concluso per la proposizione della questione di
legittimità costituzionale dell'art. 257 d. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in
relazione agli artt. 76 e 77 Cost., per violazione dei principi direttivi
contenuti nella legge di delegazione - ed in particolare nell'art. 1, comma 8,
lett. a), b), e), f), i), legge 308/2004 - ed in subordine per l'annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata;
- udito il difensore avv. Vincenzo Cinque;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Udine dichiarò Morgante
Carlo colpevole del reato di cui all'art. 257 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
perché, quale amministratore della società Cromo Friuli, avendo cagionato
l'inquinamento del suolo e del sottosuolo nonché delle acque sotterranee a causa
del rilascio di inquinanti di cromo, non aveva provveduto alla bonifica in
conformità al piano di caratterizzazione approvato il 28.7.2004, le cui
operazioni avrebbero dovuto terminare entro 90 giorni dalla notifica, e lo
condannò al pagamento dell'ammenda di € 12.000,00 condannando altresì in caso di
insolvibilità la Cromo Friuli srl al pagamento di una somma di pari entità quale
civilmente obbligata per la pena pecuniaria.
L'imputato propone ricorso per cassazione - erroneamente qualificato come
appello - deducendo:
1) violazione dell'art. 530 cod. proc. pen. per non avere assolto l'imputato per
non aver commesso il fatto. Osserva che responsabile era il sig. Boeri Bruno,
precedente amministratore della società, che aveva causato l'inquinamento e non
aveva ottemperato al piano di caratterizzazione, mentre esso imputato era stato
nominato amministratore solo il 14 giugno 2005, ossia dopo circa un anno dal
presunto reato.
2) violazione e falsa applicazione dell'art. 257 d. lgs. 3 aprile 2006, n.152,
per la insussistenza dello elemento materiale e di quello soggettivo del reato.
Osserva che l'art. 257 prevede due ipotesi di reato:
a) cagionare l'inquinamento con il superamento della concentrazione della soglia di rischio (CSR);
b) mancato adempimento alle prescritte comunicazioni di cui all'art. 242 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, da parte del responsabile dell'evento potenzialmente inquinante.
Entrambe le ipotesi sono connotate da una condotta commissiva (cagionare il superamento dei limiti CSR o l'evento potenzialmente inquinante). L'obbligo di bonifica e l'adempimento delle comunicazioni costituiscono condizioni obiettive di punibilità. Nella specie manca la prova del presupposto dell'avvenuto inquinamento, ed in particolare manca la prova del nesso di causalità tra l'inquinamento rilevato ed il ciclo produttivo della Cromo Friuli. In ogni caso soggetto attivo del reato rimane solo colui che ha causato l'inquinamento o l'evento potenzialmente inquinante. Nella specie quindi la condotta di cui si discute è eventualmente imputabile ad un soggetto diverso dall'imputato. Del resto il piano di caratterizzazione fu notificato appunto al sig. Boeri, l'unico responsabile dell'inquinamento. L'attuale imputato ha invece assunto la carica di amministratore solo il 14 giugno 2005, ossia dopo la avvenuta contaminazione e dopo l'emissione dell'ordinanza di attuazione del piano di caratterizzazione.
3) violazione e falsa applicazione dell'art. 242 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
per errata riferibilità della responsabilità penale in capo all'imputato sotto
il profilo della:
a) mancata riferibilità all'imputato del piano di caratterizzazione. Osserva in
particolare che il soggetto obbligato a provvedere alla bonifica del sito è
sempre il responsabile della contaminazione.
b) conseguente impossibilità della proposizione di un piano di bonifica e della
successiva ed eventuale esecuzione. Osserva che il procedimento è composto di
più fasi, non tutte sempre obbligatorie. Una prima fase, sempre necessaria, è
volta all'accertamento della contaminazione, ossia del superamento delle
concentrazioni delle soglie di contaminazione, CSC; le altre due, eventuali,
hanno luogo solo nel caso in cui sia accertato il superamento delle CSC; la
terza solo nel caso in cui mediante l'analisi del rischio sia accertato anche il
superamento delle concentrazioni soglie di rischio (CSR). E' in ogni caso quindi
indispensabile una preventiva accurata istruttoria. Perciò, in presenza di un
piano di caratterizzazione incompleto e non idoneo ad individuare la fonte della
contaminazione ed il suo responsabile, non possono sussistere gli estremi del
reato di cui all'art. 257. In ogni caso il ricorrente non è responsabile della
contaminazione, mentre il piano di caratterizzazione non ha mai avuto piena
attuazione. Detto piano, poi, non ha mai previsto la bonifica del sito, ma
soltanto un sistema di controllo. Inoltre, ai sensi degli artt. 244, comma 4, e
250 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, qualora non siano individuabili o non
provvedano i responsabili dell'inquinamento, le procedure e gli interventi di
cui all'art. 242 sono realizzati d'ufficio dal comune, che nella specie non ha
fatto ancora nulla.
4) violazione e falsa applicazione dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. nella
parte in cui l'imputato non è stato assolto per contraddittorietà ed
insufficienza di prove, con specifico riferimento alla assenza di prove sul
nesso di causalità tra produzione della Cromo Friuli ed inquinamento della
falda. Il ciclo produttivo della Cromo Friuli invero era una sorta di circuito
chiuso, incompatibile con la presenza di rilasci di sostanze inquinanti.
5) violazione e falsa applicazione dell'art. 531 cod. proc. pen. per la mancata
dichiarazione della prescrizione del reato. Emerge dalla sentenza impugnata che
non vi è certezza della fonte dell'inquinamento da cromo ma che è plausibile che
l'episodio ha trovato origine nell'occasionale dilavamento del cromo
accumulatosi nel sottosuolo nel corso degli anni, operato dalle acque a seguito
dell'innalzamento della falda acquifera. E' quindi quanto mai verosimile che
l'inquinamento da cromo possa risalire all'episodio dispersivo del 1997.
6) eccessività della pena.
In prossimità della udienza, in data 14 giugno 2010, il ricorrente ha depositato
memoria difensiva con motivi nuovi, aventi peraltro contenuto identico a quelli
del ricorso.
Motivi della decisione
Il Procuratore generale in udienza ha sollevato eccezione di legittimità
costituzionale dell'art. 257 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in relazione agli
artt. 76 e 77 Cost., per violazione dei principi e criteri direttivi contenuti
nell'art. 1, comma 8, lett. a), b), e), f), i), della legge di delegazione 15
dicembre 2004 n. 308. In sostanza rileva che, mentre i principi e criteri
direttivi cui il Governo avrebbe dovuto attenersi miravano a garantire la
salvaguardia, la tutela ed il miglioramento dell'ambiente, con più elevati
livelli di tutela e con riduzione di danni ambientali, l'art. 257 cit. avrebbe
introdotto una disciplina meno efficace e meno garantista per l'ambiente di
quella precedentemente dettata dall'art. 51 bis d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
E ciò:
a) perché l'art. 51 bis puniva non solo chi cagiona l'inquinamento ma anche «un pericolo concreto ed attuale di inquinamento», mentre l'art. 257 punisce solo chi cagiona l'inquinamento;
b) perché l'art. 257 richiede l'inquinamento con il superamento delle condizioni soglia di rischio, condizione questa non richiesta dall'art. 51 bis;
c) perché l'art. 51 bis richiede che il soggetto non provveda alla bonifica secondo il procedimento di cui all'art. 17, mentre l'art. 257 richiede che il soggetto non provveda alla bonifica in conformità del progetto approvato dalla autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli arti. 242 ss.
Rileva il Collegio che la proposta questione di legittimità costituzionale è nel
presente giudizio irrilevante. E difatti, quanto al profilo sub a), l'imputato è
accusato di avere provocato l'inquinamento del suolo, del sottosuolo e delle
acque sotterranee e non solo il pericolo di inquinamento, sicché risponde anche
ai sensi dell'art. 257. Quanto al profilo sub b), l'imputato è accusato di aver
cagionato diversi superamenti (l'ultimo nel febbraio 2008) delle concentrazioni
soglia di rischio per l'accumulo e l'immissione in falda di cromo esavalente.
Quanto al profilo sub c), il giudice del merito, con interpretazione che questa
Corte condivide, come si vedrà, ha ritenuto che anche ai sensi del sopravvenuto
art. 257 il reato è integrato allorché il responsabile dell'inquinamento
impedisce di predispone e di realizzare la bonifica già attraverso la mancata
attuazione del piano di caratterizzazione.
I comportamenti addebitati all'imputato, pertanto, sono punibili sia ai sensi
dell'art. 257 sia ai sensi dell'art. 51 bis. Del resto, parte della condotta
contestata si è verificata sotto la vigenza dell'art. 51 bis e nessuno ha mai
eccepito che tale condotta o parte di essa sia stata depenalizzata per effetto
della sostituzione dell'art. 51 bis con l'art. 257.
Ciò premesso, il Collegio ritiene che i motivi di ricorso siano infondati.
Quanto al primo motivo, va rilevato che appare incensurabile la motivazione con
la quale la sentenza impugnata ha ritenuto che anche l'imputato avesse commesso
il reato in questione, sia per avere provocato l'inquinamento sia per avere
omesso di ottemperare al piano di caratterizzazione. Il giudice invero, con un
apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non
censurabile in questa sede, ha accertato che l'inquinamento non si era esaurito
negli anni precedenti la nomina del Morgante come amministratore della società,
ma si era protratto nel tempo, fino al febbraio 2008, quando i periodici
monitoraggi avevano accertato recenti superamenti dei valori di soglia di
rischio. Il giudice di merito ha anche accertato che questi inquinamenti del
febbraio 2008 erano comunque riconducibili alla responsabilità dell'imputato,
quand'anche per ipotesi fosse stata esatta la tesi della difesa secondo cui non
si sarebbe trattato di un nuovo sversamento del cromo nel corso del procedimento
produttivo, ma di un dilavamento dello stesso accumulatosi nel sottosuolo negli
anni precedenti, operato dalle acque meteoriche o dall'innalzamento della falda
acquifera. E ciò perché, anche in tale ipotesi, l'attuale rilascio del cromo
esavalente derivava pur sempre dalla presenza di una sorgente attiva
contaminante situata all'interno dell'area dello stabilimento della Cromo Friuli
dovuta al pregresso accumulo di metallo nel sottosuolo e pertanto costituiva
comunque un inquinamento in atto ascrivibile allo amministratore della società.
In altre parole il giudice del merito ha ritenuto plausibilmente che
l'inquinamento proveniente dall'area all'interno dello stabilimento non era
cessato prima che il Morgante assumesse la carica di amministratore, ma si era
protratto nel tempo almeno fino all'ultimo superamento dei limiti di soglia
avvenuto nel febbraio 2008, sicché era riconducibile anche al diretto
comportamento colposo dell'attuale ricorrente, che aveva comunque colposamente
omesso di eliminare la sorgente attiva contaminante presente nel suo
stabilimento.
Il giudice del merito ha anche rilevato che l'imputato aveva persistito nel
comportamento omissivo consistente nel non dare attuazione al piano di
caratterizzazione approvato sin dal 24.8.2004 e la cui esecuzione era stata
imposta anche con ordinanza del comune del 31.12.2004, specificando inoltre che
l'attuazione del piano avrebbe comunque consentito proprio di verificare la tesi
della accumulazione del cromo nel sottosuolo e di approntare le relative
soluzioni. Di conseguenza, risulta provato sia che l'imputato ha cagionato
l'inquinamento, sia che si è verificata la condizione di punibilità a contenuto
negativo dell'omessa bonifica prevista dall'art. 257.
Quanto al secondo motivo, va rilevato che il giudice del merito ha appunto
ritenuto in fatto che l'imputato aveva cagionato l'inquinamento del sottosuolo e
delle acque del febbraio 2008, se non altro con un comportamento colposo
consistente nel non eliminare il deposito di cromo accumulatosi all'interno
dell'area dello stabilimento e suscettibile di ulteriori dilavamenti.
Esattamente, poi, il giudice ha ritenuto che il piano di caratterizzazione
continuava ad essere valido ed efficace e che quindi persisteva l'obbligo
dell'attuale amministratore della società di darvi attuazione, il che invece
nella specie non era avvenuto. E' appena il caso di osservare che è irrilevante
la circostanza che il piano di caratterizzazione sia stato notificato al
precedente amministratore, dal momento che esso doveva comunque essere adempiuto
da chiunque si trovasse ad essere amministratore della società, tanto più nel
caso in esame in cui sono stati accertati ulteriori inquinamenti avvenuti dopo
il 2005 e fino al 2008 mentre era amministratore il Morgante. Il giudice del
merito, poi, anche qui con apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente
motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha accertato la presenza di
un nesso di causalità tra l'inquinamento rilevato ed il ciclo produttivo della
Cromo Friuli, perché il superamento dei valori di soglia in falda era stato
accertato solo nei peziometri posti nell'area dello stabilimento o a valle di
esso e non in quelli a monte e perché le ispezioni avevano escluso inquinamenti
da cromo provenienti dall'unica altra industria di cromatura della zona entrata
in attività solo nel 1997.
Per le stesse ragioni è infondato anche il terzo motivo. L'imputato invero era
comunque tenuto a provvedere alla bonifica del sito, e quindi ancor prima
all'attuazione del piano di caratterizzazione, in quanto responsabile della
società all'interno del cui stabilimento si era verificato l'inquinamento ed
anzi era ancora presente la sorgente attiva contaminante. L'imputato in ogni
caso è stato ritenuto in fatto responsabile dell'inquinamento verificatosi nel
febbraio 2008. Non è poi censurabile la tesi del giudice del merito che ha
ritenuto configurabile il reato in questione allorché il soggetto «non provvede
alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente
nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti», anche qualora
il soggetto, come nel caso di specie, addirittura impedisce la stessa formazione
del progetto di bonifica, e quindi la sua realizzazione, attraverso la mancata
attuazione del piano di caratterizzazione, necessario per predispone il progetto
di bonifica. Non si tratta di non consentita interpretazione estensiva in
malam partem o di applicazione analogica della norma penale incriminatrice,
ma dell'unica interpretazione sistematica atta a rendere il sistema razionale e
non in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
Invero, come esattamente rilevato dal giudice del merito, sarebbe manifestamente
irrazionale una disciplina che prevedesse la punizione di un soggetto che dà
esecuzione al piano di caratterizzazione ma poi omette di eseguire il
conseguente progetto di bonifica ed invece esonerasse da pena il soggetto che
addirittura omette anche di adempiere al piano di caratterizzazione così
ostacolando ed impedendo la stessa formazione del progetto di bonifica.
Il quarto motivo propone una censura in fatto ed è comunque infondato perché,
come già rilevato, il giudice del merito, con un apprezzamento di fatto
adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede,
ha accertato la sussistenza di un nesso di causalità tra l'inquinamento della
falda (anche quello avvenuto nel 2008) e l'impianto produttivo della Cromo
Friuli.
Il quinto motivo è infondato perché il giudice del merito ha accertato in fatto
che l'inquinamento é proseguito fino al febbraio 2008, quando si è avuto
l'ultimo superamento dei limiti, sicché correttamente ha ritenuto che la
prescrizione dovesse iniziare a decorrere da questa data.
Il sesto motivo è inammissibile costituendo una censura in fatto.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara irrilevante la proposta eccezione di legittimità costituzionale;
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 2 luglio
2010.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 6 Ott. 2010
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