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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010, Sentenza n. 37194



RIFIUTI - Rifiuti speciali non pericolosi - Smaltimento tranfrontaliero - Ipotesi omissiva in concorso con altri - Dirigente dell'U.O. della Regione Lombardia, competente all’esportazione dei rifiuti - Soggetti non autorizzati e non in regola - Gestione abusiva - Reato di cui all’art. 51, c. 1, lett. a) D. L.vo n. 22/1997, (ora art. 256, D. L.vo n. 152/2006) - Art. 521 cod. proc. pen. - Art. 40 c.p. - Fattispecie. In tema di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, qualora la contestazione comprenda tanto l'ipotesi omissiva quanto quella commissiva nessuna violazione del principio di cui all'articolo 521 cod. proc. pen. ha luogo quando le ricostruzioni si mantengano nei limiti della contestazione, atteso peraltro il criterio sostanzialistico, improntato alla verifica concreta della sussistenza del pregiudizio dei diritti della difesa, con il quale va valutato il principio di correlazione (Cass. pen. sez. 4 n. 24058 del 6.4.2004; Cass. pen. sez. 3 n. 16286 del 18.12.2008). Nella specie, configurato il reato di gestione abusiva di rifiuti, che con argomentazioni corrette in fatto ed in diritto è stato ritenuto che, la contestazione facesse riferimento a contributi causali sia di natura commissiva che omissiva e che il riferimento all'articolo 40 cpv. c.p. riguardasse, soltanto le condotte omissive. Pur con una non felice formulazione è indubitabile, che all'imputato è stato contesto di aver con le sue condotte omissive e commissive (... omettendo ... utilizzando ...) contribuito all'abusiva gestione (... operatore di fatto nelle gestione ...) e contribuendo ad essa evidentemente non l'ha impedita (... non impediva la predetta gestione abusiva di ingenti quantità di rifiuti ...) ed anzi l'ha agevolata. Inoltre, l’imputazione descrive in modo preciso i profili soggettivi (persone fisiche e giuridiche coinvolte), oggettivi (quantitativi di rifiuti trattati), temporali (dal, al) e spaziali (in ….) e che quanto alle condotte omissive e commissive non rileva la omessa elencazione (essendo stata descritta la struttura del fatto e la natura del contributo). (riforma sentenza del 16.10.2009 della Corte di Appello di Milano) Pres. Onorato, Rel. Amoresano, Ric. V. A.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010, Sentenza n. 37194

DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata - Violazione e verifica - Salvaguardia del diritto di difesa. Si configura la violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito. La verifica dell'osservanza del principio di correlazione va, infatti, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell'imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta - che realizza l'ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione - venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell'originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l'imputato non ha avuto modo di difendersi (Cass. pen. sez. 6, 8.6.1998 n. 67539). Per cui "non sussiste violazione del principio di correlazione" della sentenza all'accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d'effettiva difesa" (Cass. sez. 6 del 13.6.2003, n. 35120). In conclusione, si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa (Cass. sez. 6 del 5.3.2009, n. 12156). (riforma sentenza del 16.10.2009 della Corte di Appello di Milano) Pres. Onorato, Rel. Amoresano, Ric. V. A.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010, Sentenza n. 37194

DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Riforma del provvedimento - Obbligo di motivazione - Completezza o coerenza - Necessità. La sentenza di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Cass. sez. 2 n. 746 dell'11.11.2005; n. 6221 del 2006; Cass. del 12.7.2005 n. 33748). Pertanto, la sentenza di appello, che riformi integralmente la sentenza assolutoria di primo grado, deve confutare specificamente, per non incorrere nel vizio di motivazione, le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli elementi più rilevanti ivi contenuti anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati. (Cass. sez. 5 del 17.10.2008 n. 42033). (riforma sentenza del 16.10.2009 della Corte di Appello di Milano) Pres. Onorato, Rel. Amoresano, Ric. V. A.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010, Sentenza n. 37194

DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Giudizio di appello o di cassazione - Causa estintiva del reato - Accertamento delle condizioni sulla base degli atti - Obbligo di declaratoria della causa estintiva - Giurisprudenza. Il giudizio di appello o di cassazione, in presenza di una causa estintiva del reato, è un "giudizio pieno", ma l'accertamento delle condizioni per un proscioglimento nel merito va fatto sulla base degli atti. Sicché, in presenza di una (già avvenuta) causa di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato è precluso alla Corte di cassazione un riesame del fatto finalizzato ad una eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la prospettata mancata applicazione dell'articolo 129 c.p.p., comma 2 deve essere invece circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule ivi prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Pertanto, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'articolo 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, deve prevalere l'esigenza della definizione del processo (Cass. sez. 5, 22.6.2005, Borda; Cass. sez. 4 n. 16466 del 6.3.2008). Ne deriva come corollario che, in presenza di una causa estintiva del reato, l'accertamento della evidenza della insussistenza del fatto o della mancata commissione dello stesso da parte dell'imputato o infine che il fatto non è previsto dalla legge come reato, deve avvenire sulla base degli atti "dai quali la Corte di Cassazione sia in grado di desumere le suddette evidenze" e cioè unicamente " dalle sentenza impugnata e - se trattasi di sentenza di appello - dalla sentenza di primo grado" (Cass. pen. sez. 6 n. 6593/2008). Ne discende ulteriormente che non è possibile disporre l'annullamento della sentenza per vizi di motivazione relativi al mancato proscioglimento nel merito. Invero "all'applicazione di causa estintiva del reato è sottinteso il giudizio relativo all'inesistenza di prova evidente circa la non ricorrenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito. In tal caso, pertanto, la decisione è insindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, posto che un eventuale annullamento con rinvio imporrebbe la prosecuzione del giudizio, resa impossibile dall'obbligo di declaratoria della causa estintiva (Cass. sez. 3 n. 13110/2008; Cass. sez. 4, 4.12.2002, Rocca; Cass. sez. 1, 22.10.1994, Boiani; Cass. sez. Un. n. 1653/21.10.1992 - Marino ed altri). (riforma sentenza del 16.10.2009 della Corte di Appello di Milano) Pres. Onorato, Rel. Amoresano, Ric. V. A.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010, Sentenza n. 37194


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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ONORATO Pierluigi                             - Presidente
Dott. TERESI Alfredo                                   - Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo                               - Consigliere
Dott. AMOROSO Giovanni                           - Consigliere  Rel.
Dott. AMORESANO Silvio                            - Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


sul ricorso proposto da:
1) Vi. Ad. nato il xx/ad/xxxx;
- avverso la sentenza del 16.10.2009 della Corte di Appello di Milano;
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Silvio Amoresano;
- sentite le conclusioni del P.G., dr. Alfredo Montagna, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio in ordine al reato di cui al capo b) perché estinto per prescrizione; rigetto nel resto;
- sentito il difensore, avv. Ricci Luca, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


OSSERVA


1) Con sentenza del 16.10.2007 il GUP del Tribunale di Milano assolveva per non aver commesso il fatto Vi. Ad. dal reato di cui all'articolo 110 c.p., articolo 112 c.p., n. 1 e articolo 40 c.p., comma 2 e Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 53 bis (ora Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260), perchè, in concorso con altri, nella sua qualità di Vice Presidente della Commissione regionale Lombarda deputata al rilascio del parere all'iscrizione delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, vice presidente dell'Osservatorio nazionale rifiuti presso il Ministero dell'Ambiente, ex dirigente dell'unità organizzativa gestione rifiuti della Regione Lombardia, nonché operatore di fatto nella gestione dei rifiuti per conto della S. srl e della V.M.P. s.c.a.r.l., gestiva abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi, violando il proprio obbligo giuridico ed in particolare omettendo di controllare e/o far controllare dagli Enti pubblici preposti al controllo e/o all'adozione di provvedimenti oblatori utilizzando la propria qualifica ed il proprio ruolo presso la Regione Lombardia, non impediva la predetta gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti non pericolosi (capo a), nonché dal reato di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, comma 1, lettera a) (ora Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256) per aver, nella qualità di cui in precedenza, in concorso con altri, gestito illecitamente senza autorizzazione ingenti quantità di rifiuti non pericolosi (capo b).

La Corte di Appello di Milano, in data 16.10.2009, in riforma della sentenza del GUP, dichiarava il Vi. colpevole dei reati ascritti e, riconosciute le circostanze attenuanti generi che e applicata la diminuente per la scelta del rito, lo condannava alla pena del mesi otto di reclusione, con il beneficio della sospensione e della non menzione; condannava inoltre il Vi. al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, Comune di Milano e di Segrate.

Ricordava la Corte che le contestazioni a carico del Vi. si inserivano nell'ambito di un più vasto procedimento nei confronti di numerosi altri soggetti, che aveva tratto origine da una complessa attività investigativa, svolta dal Corpo forestale dello Stato e dalla Polizia della Provincia di Milano, che aveva accertato un'attività continuativa ed organizzata completamente abusiva di gestione di rifiuti posta in essere dalla Se. srl e dalla V.M.P. s.c.a.r.l..

Dopo aver ripercorso la motivazione della pronuncia assolutoria del GUP ed esposto i motivi di appello della Procura della Repubblica e le memorie della difesa del Vi. con le produzioni documentali, riteneva la Corte che la sentenza di primo grado andasse riformata.

Precisato che la contestazione di cui al capo a), pur nella infelice formulazione della imputazione, comprendeva sia una condotta omissiva che commissiva, riteneva la Corte che l'ipotesi accusatoria avesse trovato conferma nell'istruttoria svolta.

2) Ricorre per Cassazione il difensore di Vi. Ad., denunciando, con il primo motivo la inosservanza di norme processuali e sostanziali in relazione agli articoli 40 e 41 c.p., Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 53 bis nonchè la mancanza o manifesta illogicità della sentenza con riferimento al reato di cui al capo a).

L'imputazione descrive una condotta di carattere omissivo ed il Vi. deve infatti rispondere di Omissis impedimento dell'altrui condotta di gestione abusiva di rifiuti. La sentenza, invece, ritiene che vi sia contemporaneamente una condotta omissiva ed una attiva, facendo riferimento la imputazione anche al preteso ruolo di operatore di fatto nella gestione dei rifiuti per conto della Se. e della VM. . La ritenuta struttura bicefala della imputazione è, però, logicamente e giuridicamente inaccettabile. La lesione di un bene giuridico (nella specie l'ambiente) può essere determinata alternativamente o da una condotta omissiva o da una attiva. Se il Vi. avesse posto in essere una condotta commissiva la sua responsabilità sarebbe derivata direttamente dall'articolo 110 c.p. e non dall'articolo 40 c.p., comma 2, come risulta chiaramente dalla imputazione. è evidente quindi il clamoroso errore concettuale in cui incorre la sentenza impugnata nel dare una lettura dell'imputazione illogica ed arbitraria. Nella contestazione si fa, semplicemente e chiaramente, riferimento all'Omissis esercizio dei propri poteri in ordine all'attività di gestione illecita dei rifiuti, posta in essere dai coimputati. E del resto l'impugnazione del P.M. lamentava unicamente il mancato riconoscimento di una condotta omissiva.

Partendo dalle sopraindicate erronee premesse, la Corte ha Omissis di motivare in ordine ai rilievi contenuti nella memoria della difesa del 10.10.2009 in cui si evidenziava l'insostenibilità dell'ipotesi accusatoria ex articolo 40 cpv. c.p. in relazione ad una fattispecie (Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 53 bis) di mera condotta ed a forma vincolata, in ragione di una interpretazione costituzionalmente orientata.

Peraltro risultano sussistenti i presupposti di una vera e propria posizione di garanzia in capo al VI. è sufficiente, invero, l'esistenza di un generico dovere di attivazione o di vigilanza (non risulta in alcun modo specificata la fonte normativa dell'obbligo di impedire l'evento). Il richiamo contenuto nell'imputazione dei ruoli rivestiti risulta assolutamente insufficiente. A parte il fatto che, quanto al ruolo di ex dirigente dell'Unità organizzativa gestione rifiuti della Regione Lombardia, a partire dall' 1.1.2004 (e quindi in epoca antecedente ai fatti) la competenza relativa all'attuazione ed al controllo della normativa sui rifiuti era stata trasferita alla Provincia. In ogni caso l'ufficio dell'imputato in data 18.4.2005 aveva inviato una nota in cui si segnalavano sospetti circa la regolarità dell'attività svolta dalle imprese del Fi.. Del tutto irrilevante è poi il riferimento contenuto in sentenza della sottoordinazione della Provincia alla Regione, avendo un'apposita legge trasferito i poteri in materia alla Provincia medesima.

Irrilevante è anche il ruolo di vice presidente dell'Osservatorio Nazionale Rifiuti (ruolo di studio e raccolta dati).

Assolutamente paradossale è, infine, il riferimento al ruolo ricoperto nella Commissione per il rilascio dei pareri necessari all'iscrizione nell'apposito registro delle imprese autorizzate alla gestione dei rifiuti (avrebbe potuto avere un senso tale ruolo in una ipotesi di concorso commissivo). Peraltro non solo il Vi. non ha mai rilasciato autorizzazioni, ma ha espresso parere negativo al rinnovo delle autorizzazioni al Fi..

La sentenza, inoltre, non motiva in ordine alla sussistenza di un nesso causale tra le supposte omissioni del Vi. e l'evento reato; anzi la stessa sentenza da atto che le imprese erano state oggetto, a partire dal (Omissis), di penetrante attività di monitoraggio; sicchè l'ipotetica violazione dell'obbligo di segnalazione alla provincia delle irregolarità non avrebbe avuto alcuna incidenza causale.

Con il secondo motivo denuncia la inosservanza di norme sostanziali e processuali in relazione agli articoli 24 e 111 Cost., articoli 40 e 41 c.p., Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 53 bis, articolo 521 c.p.p., comma 23 e articolo 522 c.p.p., nonchè la mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato di cui al capo a). Il Vi. non è stato condannato tanto in ragione della sua condotta omissiva contestata, quanto piuttosto per una pretesa condotta attiva. Non si avvede, però, la Corte che la condanna riguarda un fatto diverso in palese e grave violazione dei diritti di difesa.

Con il terzo motivo denuncia la inosservanza di norme sostanziali e processuali in relazione agli articoli 24 e 111 Cost., articoli 40 e 41 c.p., Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 53 bis, articolo 597 c.p.p., nonchè la mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato di cui al capo a). L'appello del P.M. riguardava soltanto il mancato riconoscimento in capo al Vi. di una posizione di garanzia (impugnazione, del resto coerente, con l'imputazione e la motivazione della pronuncia assolutoria del GUP). La Corte travalica pertanto, palesemente, il devolutum.

Con il quarto motivo denuncia la inosservanza di norme processuali e sostanziali in relazione al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 51, comma 1, lettera a) nonchè la mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato di cui al capo b).

Secondo il P.M. appellante il Vi. doveva rispondere del reato in questione per aver Omissis, per culpa in vigilando, di impedire la commissione del reato altrui. La Corte ha completamente ignorato la memoria del 10.10.2009, con la quale si contestava che la contravvenzione fosse configurabile sia con condotta omissiva che con condotta commissiva. La contestazione descrive un illecito di condotta.

In ogni caso, ove il Vi. sia stato condannato in ragione della ritenuta sussistenza di una posizione di garanzia, valgono tutte le considerazioni svolte in relazione al capo a).

2.1) Con memoria in data 17.6.2010 il difensore della parte civile, Comune di Milano, deduce la infondatezza del ricorso del Vi..

Evidenzia che sussiste l'obbligo giuridico di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, essendo riconducibile all'articolo 97 Cost., e che comunque possono coesistere le condotte omissive o commissive (le cariche rivestite dal Vi. depongono per la sua responsabilità non solo per omissione ma anche per commissione).

Assume, poi, che la condanna al risarcimento dei danni è stata legittimamente pronunciata e chiede la correzione dell'errore materiale contenuto nella sentenza della Corte di Appello, non avendo questa pronunciato in ordine alle spese sostenute nel giudizio di primo grado.

3) Il ricorso del Vi. è infondato e va, pertanto, rigettato (a parte la declaratoria di prescrizione del reato di cui al capo b).

3.1) è assolutamente pacifico, a partire dalla decisione delle sezioni unite di questa Corte del 12.7.2005 n. 33748, che la sentenza di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (in tal senso si è espressa la giurisprudenza successiva; cfr. ex multis Cass. sez. 2 n. 746 dell'11.11.2005; n. 6221 del 2006 Rv, 233083).

Anche più di recente è stato ribadito che "La sentenza di appello, che riformi integralmente la sentenza assolutoria di primo grado, deve confutare specificamente, per non incorrere nel vizio di motivazione, le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli elementi più rilevanti ivi contenuti anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati". (Cass. sez. 5 n. 42033 del 17.10.2008).

3.1.1) La Corte territoriale è partita proprio dall'esame della motivazione della sentenza di primo grado ed ha evidenziato, da un lato, che la "lettura" della imputazione era "parziale" e, dall'altro, che le conclusioni cui era pervenuto il GUP non erano coerenti con le stesse premesse.

3.1.1.1) Ha ricordato, innanzitutto, che il GUP, dopo aver esposto tutte le risultanze della attività investigativa in ordine ad un' attività continuativa ed organizzata completamente abusiva di gestione di rifiuti posta in essere dalla Se. srl e dalla VM. scarl, aveva sottolineato, quanto al ruolo del Vi., che "l'interessamento al rinnovo delle autorizzazioni in capo alla Se. con le due note a propria firma in data (Omissis) trasmesse alla Provincia, non poteva essere ricondotto allo scrupolo dell'amministrazione che istituzionalmente competente alla spedizione transfrontaliera di rifiuti, si preoccupava che fosse integrata una delle condizioni (il rinnovo dell'autorizzazione) senza la quale la spedizione anzidetto non si sarebbe potuta effettuare, bensì ai cordiali rapporti di amicizia esistenti; che infatti dalle conversazioni intercettate risulta che il Vi. è a disposizione per ogni necessità del Fi., da a quest'ultimo consigli e pareri, segue la sua situazione in Provincia per superare gli ostacoli posti da questo Ente, si attiva per studiare le pratiche relative a Se. pendenti presso altri uffici; che il comportamento tenuto dal Vi. è certamente censurabile e degno di riprovazione giacché il predetto ... era a conoscenza dell'illecita attività del Fi. e può essere ricondotto, come a ragione ritenuto dal Tribunale del Riesame, ad una sorta di raccomandazione o ad un'illustrazione dell'appoggio di cui il Fi. godeva presso la Regione, ... che avrebbe potuto in qualche modo favorire il rinnovo dell'autorizzazione a Se.; che tuttavia tale condotta, pur riprovevole, non sembra violare alcun obbligo di impedire l'evento da parte del Vi., ... obbligo giuridico che lo stesso P.M. nel formulare il capo di imputazione non ha in alcun modo specificato; che nonostante il Vi. fosse a conoscenza del fatto che la VM. proseguiva in maniera illecita l'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, egli non risulta aver violato alcun obbligo giuridico inerente la sua carica di vice presidente della Commissione anzidetto in data (Omissis) aveva dato parere sfavorevole al rinnovo dell'iscrizione della ditta alla categoria (Omissis) e contemporaneamente avviava un procedimento disciplinare per violazione in materia di trasporto rifiuti prodotti da terzi" (pag. 8-9 sent. app.).

Dalla motivazione della sentenza di primo grado, riportata dai giudici di appello, risulta evidente che il GUP, pur ritenendo "censurabile" il comportamento del Vi., ha ritenuto che egli non avesse violato alcun obbligo giuridico (peraltro neppure specificato nell'imputazione) di impedire l'evento.

3.1.1.2) è passata poi la Corte di merito a confutare le stesse premesse da cui è partito il primo giudice, che ha dato una interpretazione riduttiva dell'imputazione contestata all'imputato.

E con argomentazioni, corrette in fatto ed in diritto, ha ritenuto che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, la contestazione facesse riferimento a contributi causali sia di natura commissiva che omissiva e che il riferimento all'articolo 40 cpv. c.p. riguardasse; quindi, soltanto le condotte omissive. Pur con una non felice formulazione è indubitabile, invero, che all'imputato si contesti di aver con le sue condotte omissive e commissive (... omettendo ... utilizzando ...) contribuito all'abusiva gestione (... operatore di fatto nelle gestione ...), e, sottolinea la Corte, contribuendo ad essa evidentemente non l'ha impedita (... non impediva la predetta gestione abusiva di ingenti quantità di rifiuti ...) ed anzi l'ha agevolata. Ha, inoltre, aggiunto che la imputazione descrive in modo preciso i profili soggettivi (persone fisiche e giuridiche coinvolte), oggetti vi (quantitativi di rifiuti trattati), temporali (dal (Omissis)) e spaziali (in (Omissis)) e che quanto alle condotte omissive e commissive non rileva la omessa elencazione (essendo stata descritta la struttura del fatto e la natura del contributo); in ogni caso "in relazione a ciascuna di esse la difesa e l'imputato hanno ampiamente interloquito in primo grado ed in appello".

3.1.1.3) Non sussiste pertanto la denunciata violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza (secondo motivo di ricorso).

E' assolutamente pacifico, invero, che si ha violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito. La verifica dell'osservanza del principio di correlazione va, infatti, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell'imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta - che realizza l'ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione - venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell'originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l'imputato non ha avuto modo di difendersi (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6, 8.6.1998 n. 67539).

Sicché "non sussiste violazione del principio di correlazione" della sentenza all'accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d'effettiva difesa" (cfr. sez. 6 n. 35120 del 13.6.2003).

Anche di recente questa Corte ha ribadito il principio che "si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa" (cfr. Cass. sez. 6 n. 12156 del 5.3.2009).

3.1.1.4) Per altro verso non vi è stata, certamente, violazione del principio del "devolutum" (terzo motivo di ricorso).

Con i motivi di appello il Procuratore della Repubblica, nel chiedere la riforma della sentenza del GUP e quindi la condanna del Vi. per il reato ascritto (la contestazione faceva riferimento a condotte commissive ed omissive) non si limitava a lamentare il mancato riconoscimento in capo al prevenuto di una posizione di garanzia e quindi l'omessa valutazione della rilevanza della sua condotta omissiva. Al di là dei riferimenti normativi e delle formule adoperate il P.M. censurava la motivazione del GUP in fatto ed in diritto, facendo riferimento a specifiche condotte commissive del Vi. . Assumeva infatti che il prevenuto "... in data (Omissis) (cioè solo il giorno dopo), quale soggetto responsabile dell'ufficio regionale preposto proprio alle spedizioni transfrontaliere (e non la Be., quale funzionario responsabile di tutte le pratiche per le spedizioni transfrontaliere) scrive alla Provincia per il rinnovo della autorizzazione alla Se. ..." ed aggiungeva "In particolare nel caso di specie l'imputato in qualità di Dirigente dell'unità organizzativa gestione rifiuti della Regione Lombardia riveste addirittura la qualifica di Dirigente del settore: è proprio la persona che ha il dovere di controllare la regolarità della gestione dei rifiuti delle società che hanno intenzione di spedire i rifiuti all'estero: egli non poteva e non doveva richiedere alla Provincia il rilascio rinnovo della autorizzazione alla Se. - cosa che invece ha fatto con le due note a sua firma del (Omissis), essendo a conoscenza delle irregolarità già riscontrate nell'attività della società e delle prescrizioni imposte dalla Provincia stessa" (fol. 6 e 7).

Che il contenuto dell'atto di appello fosse "ampio" veniva riconosciuto nella stessa memoria del 10.10.2009. Dopo aver evidenziato che "Le osservazioni riversate nell'atto di impugnazione tradiscono, sul punto, una certa (ma evidente) confusione di piani", si affermava: "Invero il nucleo della condotta contestata dal P.M. appellante all'imputato Vi. risiederebbe nel fatto che costui, nelle vesti in precedenza esaminate, sarebbe intervenuto, con due note a propria firma, sollecitando ai competenti organi provinciali il rinnovo delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dell'attività di smaltimento dei rifiuti delle società interessate all'indagine. E' allora di tutta evidenza che siffatta condotta avrebbe tutt'al più potuto rappresentare - cosa che comunque non è - un'ipotesi di partecipazione attiva al reato altrui, ma non già costituire, in quanto comportamento materiale positivo, la realizzazione di una forma di partecipazione per omissione, così come risulta contestata al sig. Vi. ". E si affermava conclusivamente che, comunque, "contrariamente a quanto sul punto sostenuto anche nella sentenza gravata - tutta l'attività istruttoria compiuta non è risultata in grado di dimostrare che il sig. Vi. fosse realmente consapevole dell'illiceità dell'attività che veniva svolta all'interno delle aziende investigate" (pag. 6 memoria).

3.1.1.5) Infine in ordine alla lamentata inaccettabilità, sotto il profilo logico e giuridico, della ritenuta struttura bicefala della imputazione, la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte ha escluso qualsiasi incompatibilità. "In tema di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, qualora la contestazione comprenda tanto l'ipotesi omissiva quanto quella commissiva nessuna violazione del principio di cui all'articolo 521 cod. proc. pen. ha luogo quando le ricostruzioni si mantengano nei limiti della contestazione, atteso peraltro il criterio sostanzialistico, improntato alla verifica concreta della sussistenza del pregiudizio dei diritti della difesa, con il quale va valutato il principio di correlazione" (cfr. Cass. pen. sez. 4 n. 24058 del 6.4.2004); cfr. anche Cass. pen. sez. 3 n. 16286 del 18.12.2008.

3.1.2) La Corte territoriale ha operato, quindi, una puntigliosa ed approfondita ricostruzione dei fatti.

Ha delineato, innanzitutto, i contatti tra il Vi. ed il Fi. (provati anche documentalmente) e gli accordi presi con la discarica di (Omissis) (ad un incontro tenutosi nel sito di (Omissis) aveva partecipato il medesimo Vi.). Sicché, sottolinea la Corte, della soluzione della pratica di smaltimento tranfrontaliero il prevenuto si occupò "con modalità proprie del gestore" (pag. 18 sent.).

Essendo lo smaltimento tranfrontaliero collegato alla situazione in cui si trovavano i siti di raccolta rifiuti ed in particolare quello di (Omissis), il Vi. venne coinvolto per la soluzione dei problemi, come attestato da precise risultanze processuali (pag. 19 e 20). è indubitabile quindi che egli fosse pienamente consapevole che i siti erano pieni, che erano colpiti da provvedimenti prescrittivi della Provincia, che l'autorizzazione (in particolare per il sito di via (Omissis) era scaduta); era altresì consapevole, conoscendo i termini del contratto di smaltimento in Germania dei rifiuti che, senza autorizzazione, non sarebbe stato possibile iniziare l'esportazione. Tale piena consapevolezza avrebbe dovuto, secondo la Corte territoriale, indurre il Vi. (quale Dirigente dell'U.O. della Regione Lombardia, competente proprio in ordine alla esportazione dei rifiuti) a: 1) non autorizzare l'esportazione dei rifiuti; 2) non ingerirsi nelle decisioni relative al rinnovo dell'autorizzazione. E' indiscutibile infatti che non è conforme alle leggi ed ai regolamenti nazionali la spedizione di rifiuti da parte di soggetti non autorizzati e non in regola. Al contrario, ha sottolineato la Corte di merito, il Vi. "Quale autorità competente per la spedizione investita di una precisa posizione di garanzia" assumeva un ruolo non consentito nell'accordo tra la Se. e la discarica di (Omissis) e si ingeriva per far ottenere il rinnovo delle autorizzazioni (pag. 22 sent.).

Significative sono in proposito le due note del (Omissis) che, come del resto già evidenziato dal GIP, intervenivano in stretta successione cronologica con le richieste della Se., a dimostrazione di una "cogestione" del problema tra il Fi. ed il Vi. "posto che la rilevata inconsueta rapidità è spiegabile solo con un'azione concordata tra i due" (pag. 23 sent.).

Ha argomentato poi la Corte, con riferimento a specifiche risultanze processuali, che il Vi. era altresì consapevole che la richiesta di rinnovo dell'autorizzazione e l'operazione trasfrontaliera da lui autorizzata non era finalizzata alla liberazione dei siti dalle giacenze ma alla gestione abusiva poi attuata. Sicchè ha ineccepibilmente concluso: "il Vi. ed il Fi. hanno perseguito e conseguito il non ostensibile, e pertanto, dissimulato, obiettivo di ottenere il rinnovo dell'autorizzazione per dar corso ad un'operazione di smaltimento transfrontaliero che, per le sue dimensioni, era inevitabilmente preordinata alla gestione abusiva poi attuata "(pag. 26 sent.). Non ha mancato poi di sottolineare la Corte che il Vi., dopo gli interventi in precedenza ricordati, continuò ulteriormente ad essere coinvolto nella illecita attività imprenditoriale dei Fi. , perpetuando il suo ruolo di cogestore di fatto in quella attività (ampia motivazione sul punto a pag. 31-38).

Quanto alla vicenda relativa al rinnovo dell'iscrizione all'albo della VM., ha rilevato la Corte che il Vi. aveva una specifica posizione di garanzia. Quale vicepresidente della Sezione regionale della Lombardia dell'Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 30 era competente non solo per la concessione ed il rinnovo, ma anche per la sospensione e la revoca dell'iscrizione all'Albo (Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 212, comma 13; Decreto Ministeriale 28 aprile 1998, n. 406).

A prescindere dal mancato (definitivo) rinnovo e dalle motivazioni del rigetto della richiesta, è indiscutibile che il Vi., consapevole come era della situazione di totale illegalità in cui versava la VM., nella sua posizione di garanzia avrebbe dovuto intervenire per sospendere o revocare l'iscrizione all'Albo della medesima.

La missiva del (Omissis), indicata dalla difesa, per un verso rivela che sussisteva in capo all'ufficio diretto dal Vi. uno specifico obbligo di segnalazione e, dall'altro, è irrilevante in quanto non risulta neppure firmata dal Vi..

Infine, secondo la Corte, la circostanza che gli impiegati e dipendenti della Se. e della VM. non abbiano mai incontrato il Vi. è altrettanto irrilevante (essendo più che sufficiente il contatto diretto con i "dirigenti").

La Corte territoriale, quindi, con motivazione coerente ed immune da vizi logici, ha dato ampio conto delle ragioni che l'hanno indotta ad affermare la penale responsabilità dell'imputato. Le risultanze processuali, correttamente valutate, attestano infatti che le condotte omissive e commissive del Vi. ebbero una incidenza determinante per consentire alla Se. ed alla VM. di gestire abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi.

Dalla complessiva motivazione della sentenza impugnata risulta poi che la Corte territoriale ha preso in considerazioni i rilievi contenuti nella memoria della difesa (di cui si da ampio conto a pag. 11, 12 e 13) e l'ha motivatamente disattesa.

3.2) Quanto al reato di cui al capo b) valgono le considerazioni in precedenza esposte in relazione al delitto di cui al capo a).

Tale reato è, però, prescritto, essendo il termine massimo di prescrizione di anni 4 e mesi 6 maturato in data (Omissis) (il reato, secondo la contestazione, risulta commesso fino al (Omissis) - data del sequestro).

La non manifesta infondatezza del ricorso consente, invero, di dichiarare la causa estintiva maturata dopo la sentenza impugnata (emessa il 16.10.2009).

Va, comunque, ricordato che "In presenza di una (già avvenuta) causa di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato è precluso alla Corte di cassazione un riesame del fatto finalizzato ad una eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la prospettata mancata applicazione dell'articolo 129 c.p.p., comma 2 deve essere invece circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule ivi prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Pertanto, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'articolo 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, come sopra si è apprezzato, deve prevalere l'esigenza della definizione del processo (cfr. Cass. sez. 5, 22.6.2005, Borda; Cass. sez. 4 n. 16466 del 6.3.2008). Ne deriva come corollario che, in presenza di una causa estintiva del reato, l'accertamento della evidenza della insussistenza del fatto o della mancata commissione dello stesso da parte dell'imputato o infine che il fatto non è previsto dalla legge come reato, deve avvenire, come precisato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, sulla base degli atti "dai quali la Corte di Cassazione sia in grado di desumere le suddette evidenze" e cioè unicamente "dalle sentenza impugnata e - se trattasi di sentenza di appello - dalla sentenza di primo grado" (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 6593 del 2008). Ne discende ulteriormente che non è possibile disporre l'annullamento della sentenza per vizi di motivazione relativi al mancato proscioglimento nel merito. Invero "all'applicazione di causa estintiva del reato è sottinteso il giudizio relativo all'inesistenza di prova evidente circa la non ricorrenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito. In tal caso, pertanto, la decisione è insindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, posto che un eventuale annullamento con rinvio imporrebbe la prosecuzione del giudizio, resa impossibile dall'obbligo di declaratoria della causa estintiva (cfr. Cass. sez. 3 n. 13110 del 2008; Cass. sez. 4, 4.12.2002, Rocca; Cass. sez. 1, 22.10.1994, Boiani; Cass. sez. Un. n. 1653 del 21.10.1992 - Marino ed altri).

Il giudizio di appello o di cassazione, in presenza di una causa estintiva del reato, è quindi un "giudizio pieno", ma l'accertamento delle condizioni per un proscioglimento nel merito va fatto sulla base degli atti.

E la evidenza della prova della insussistenza del reato di cui al capo b) non emerge, certamente dagli atti, avendo la Corte territoriale, piuttosto, motivato ampiamente in ordine alla configurabilità anche di detto reato.

Per effetto della declaratoria di estinzione del reato di cui al capo b) va eliminato l'aumento di pena apportato ex articolo 81 c.p. per detto reato (mesi 1 e giorni 10, cui si perviene riducendo per la diminuente del rito la pena indicata di mesi 2 di reclusione). Tenuto conto del calcolo effettuato dai giudici di merito la pena per il residuo reato di cui al capo a ) va, quindi, rideterminata in mesi 6 e giorni 20 di reclusione (p.b. anni 1 e mesi 3 di reclusione, ridotta a mesi 10 di reclusione ex articolo 62 bis c.p., ridotta ulteriormente di un terzo per il rito prescelto).

3.3) Le parti civili non sono comparse nel giudizio di cassazione. Con memoria in data 17.6.2010, il difensore della parte civile Comune di Milano, oltre al rigetto del ricorso del Vi. , chiede la correzione dell'errore contenuto nella sentenza della Corte di Appello in relazione alle spese.

Nella stessa motivazione della sentenza la Corte territoriale dava atto che si era proceduto alla liquidazione delle sole spese sostenute dalle parti civili nel giudizio di appello.

L'istanza di correzione non può, però, trovare accoglimento in questa sede.

Con la sentenza della sez. 6 n. 18756 del 16.4.2008 è stato già condivisibilmente affermato che, pur non sussistendo dubbi sulla "necessarietà (per effetto della soccombenza dell'imputato nel giudizio di appello) e consequenzialità della statuizione di condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di parte civile, omessa nel dispositivo della sentenza di appello e legittimante un intervento emendativi ..." osta al ricorso alla procedura di correzione di errore materiale prevista dall'articolo 130 c.p.p."... l'indeterminatezza, con connessa indefinabilità in questa sede, del quantum debeatur integrativo delle concreta liquidazione delle spese da porsi in forma accessoriamente necessitata a carico dell'imputato. Siffatta quantificazione o monetizzazione delle spese di rappresentanza e assistenza della parte civile nel giudizio di appello non può ritenersi surrogabile in via sostitutiva da questa Corte, poichè l'operazione pur sempre implica - sebbene in ambiti circoscritti e delimitati tra i valori minimi e massimi previsti dalle tariffe forensi (articolo 91 c.p.c., comma 1, articolo 75 disp. att. c.p.p.) un giudizio di valore di carattere discrezionale proprio del giudice di merito, la cui mancanza non può essere sopperita e integrata da questo giudice di legittimità ai sensi dell'articolo 130 c.p.p.. Tale conclusione non contraddice la recente decisione delle Sezioni Unite di questa S.C., che ha affermato l'esperibilità della procedura correttiva prevista dall'articolo 130 c.p.p., in caso di omessa condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, purchè non si profilino circostanze giustificanti l'esercizio della facoltà di compensazione (Cass. S.U., 3.1.2008 n. 7945, Boccia, rv. 238426). La sentenza delle Sezioni Unite, accreditando l'indirizzo di una più estesa nozione dell'errore materiale omissivo emendabile ai sensi dell'articolo 130 c.p.p., e la sua applicabilità nell'ipotesi di mancata condanna "necessitata" (automatica) dell'imputato alla rifusione delle spese di parte civile, comporta la piena praticabilità dell'istituto correttivo anche nel giudizio di cassazione (le S.U. menzionano una decisione con cui la S.C. ha disposto correggersi una propria sentenza che aveva tralasciato di condannare alla rifusione delle spese di parte civile l'imputato il cui ricorso era stato dichiarato inammissibile: Cass. Sez. 5, 15.11.2007 n. 46349, ric. Maiolo). Ciò che, tuttavia, non sottintende di certo che questa Corte di legittimità possa in ogni caso provvedere in via surrogatoria alla correzione della predetta tipologia di errore materiale omissivo verificatosi in sentenze di merito sottoposte al proprio vaglio. Vi osta, oltre alle ricordate valenze discrezionali della definizione monetaria delle spese di parte civile da porre a carico dell'imputato, l'espresso disposto dell'articolo 130 c.p.p., che consente l'esperibilità della procedura correttiva unicamente al "giudice che ha emesso il provvedimento". Di tal che l'istante parte civile avrebbe dovuto percorrere l'alternativa strada della proposizione di un ricorso per cassazione avverso la specifica omessa statuizione in tema di spese processuali della parte civile ovvero, più propriamente ed anche alla luce della menzionata decisione delle S.U. di questa Corte, della proposizione di una istanza di correzione ex articolo 130 c.p.p., alla stessa decidente Corte di Appello".


P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato sub b) perchè estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi 1 e giorni 10 di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA 19 Ott. 2010



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