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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010, Sentenza n. 37196
RIFIUTI - Spedizione transfrontaliere di rifiuti - Documento di
accompagnamento - Cd. FTR (formulario identificazione rifiuti) - Notifica -
Necessità - Ambito di applicazione - Nozione "regolamentare" di rifiuti -
Fattispecie: scarti di materie plastiche - Art. 1, lett. a) Dir. 75/442/CEE -
Reg. n. 259/1993/CEE - D. L.vo n. 22/1997 oggi D. L.vo n. 152/2006 e s.m..
Ai sensi del Reg. del 1.2.1993 n. 259/1993/CEE, relativo alla sorveglianza e al
controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità Europea, nonché
in entrata e in uscita dal suo territorio, l'articolo 2, lettera a) stabilisce
che si intendono per rifiuti quelli definiti nell'articolo 1, lettera a) della
direttiva 75/442/CEE. Tale norma del regolamento, che è direttamente applicabile
nell'ordinamento italiano, recepisce la nozione di rifiuto definita dalla
direttiva 75/442/CEE soltanto ai fini della specifica materia disciplinata dal
regolamento, ovverosia limitatamente alle spedizioni di rifiuti, a scopo di
sorveglianza e pertanto devono essere previamente notificate e munite di un
documento di accompagnamento. Sicché, questa nozione "regolamentare" non è
direttamente applicabile né per l'attività di abbandono né per tutte le attività
di gestione dei rifiuti elencate nel Decreto Legislativo n. 22 del 1997,
articolo 6, lettera g), che sono ben diverse dall'attività di spedizione, e cioè
raccolta, trasporto, recupero e smaltimento. Anche una risalente sentenza della
Corte di Giustizia ha avuto modo di stabilire che la nozione "regolamentare" di
rifiuti, "che è stata istituita al fine di garantire che i sistemi nazionali di
sorveglianza e controllo delle spedizioni di rifiuti rispettino criteri minimi,
si applica direttamente anche alle spedizioni di rifiuti all'interno di
qualsiasi Stato membro", ma non ha affatto esteso la diretta applicabilità della
nozione alle altre tradizionali attività di gestione o all'attività di
abbandono, comunque diverse dalla spedizione (C.G.CE, sent. del 25.6.1997,
Tombesi e altri). Fattispecie: scarti di materie plastiche contenenti materiale
di postconsumo industriale (polistirolo, cavi elettrici, legno e platica)
miscelati, triturati e contaminati da terriccio. (conferma sentenza del
13.10.2009 della Corte di Appello di Reggio Calabria) Pres. Onorato, Rel.
Amoresano, Ric. N.A.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010,
Sentenza n. 37196
RIFIUTI - Traffico illecito - Sentenza di condanna o applicazione dell’art.
444 c.p.p. - Sanzioni - Confisca del mezzo di trasporto - Obbligo - Reato ex
art. 53, D.Lgs. 22/97 oggi D. L.vo n. 152/2006 e s.m.. Il Decreto
Legislativo n. 22 del 1997, articolo 53, comma 2 (riprodotto nel Decreto
Legislativo n. 152 del 2006, articolo 259, comma 2) prevede che alla sentenza di
condanna o a quella emessa ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., per i reati
relativi al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui
all'articolo 51 e all'articolo 52, comma 3, consegue obbligatoriamente, la
confisca del mezzo di trasporto. Non c'è dubbio, quindi, che trattasi di
confisca obbligatoria (ex multis Cass. pen. Sez. 3, 22.12.2006, n.
42227). (conferma sentenza del 13.10.2009 della Corte di Appello di Reggio
Calabria) Pres. Onorato, Rel. Amoresano, Ric. N.A.. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 19/10/2010, Sentenza n. 37196
RIFIUTI - Accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto - Competenza
- Giudice di merito. L'accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto
è demandata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se
sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici (Cass. sez. 3,
9.4.2002 n. 14762). (conferma sentenza del 13.10.2009 della Corte di Appello di
Reggio Calabria) Pres. Onorato, Rel. Amoresano, Ric. N.A.. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010, Sentenza n. 37196
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Restituzione delle cose sequestrate - Terzo
estraneo al reato e in buona fede - Art. 301 c.3, D.P.R. n. 43/1973 - Art. 240
c.p.. Il Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43,
articolo 301, comma 3 prevede che "si applicano le disposizioni dell'articolo
240 c.p. se si tratta di mezzo di trasporto appartenente a persona estranea al
reato qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l'illecito impiego
anche occasionale e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza. Pertanto,
il terzo che chieda la restituzione delle cose sequestrate qualificandosi, come
proprietario o titolare di altro diritto reale su di esse è tenuto a provare i
fatti costitutivi della sua pretesa e quindi, in particolare, oltre alla
titolarità del diritto vantato, anche l'estraneità al reato e la buona fede,
intesa, quest'ultima, come assenza di condizioni che rendano profilabile a suo
carico un qualsivoglia addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità
dell'uso illecito della cosa (Cass. del 13.6.2001, n. 34019; conf. Cass. del
25.10.2005 n. 45473). (conferma sentenza del 13.10.2009 della Corte di Appello
di Reggio Calabria) Pres. Onorato, Rel. Amoresano, Ric. N.A.. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010, Sentenza n. 37196
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. ONORATO Pierluigi
- Presidente
Dott. TERESI Alfredo
- Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo
- Consigliere
Dott. AMOROSO Giovanni
- Consigliere
Dott. AMORESANO Silvio
- Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) Ni. Al. nato il ad/xx/xxxx;
- avverso la sentenza del 13.10.2009 della Corte di Appello di Reggio Calabria;
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano;
- sentite le conclusioni del P.G., Dott. Alfredo Montagna, che ha chiesto
l'annullamento, senza rinvio, limitatamente alla disposta confisca; con rigetto
del ricorso nel resto;
- sentito il difensore, avv. BONURA Franco, che ha concluso per l'accoglimento
del ricorso.
OSSERVA
1) Con sentenza del 13.10.2009 la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava
la sentenza in data 13.3.2008 del Tribunale di Palmi, in composizione
monocratica, con la quale Ni. Al. era stato condannato, previo riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi due di arresto ed euro
2.000,00 di ammenda per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997,
articolo 53 per aver effettuato una spedizione di rifiuti costituente traffico
illecito ai sensi dell'articolo 26 del regolamento (CEE n. 259/93) del Consiglio
dell'1.2.93 (nella fattispecie Kg. 21.780 di scarti di materie plastiche con
destinazione (Omissis)); pena sospesa. Con confisca e distruzione dei rifiuti in
sequestro e confisca e vendita del contenitore in sequestro.
Ricordava la Corte che il processo traeva origine da un accertamento, effettuato
in data (Omissis) presso il terminale container della società Me. Co. Te. (M.;
sottoposto a controllo un contenitore contenente, secondo la descrizione
riportata nella bolletta doganale, scarti di materie plastiche ("polistirolo
macinato") spedite dalla It. Tr. di Ni. Al. ad (Omissis), si accertava che vi
erano sacconi contenenti materiale di postconsumo industriale (polistirolo, cavi
elettrici, legno e platica) miscelati, triturati e contaminati da terriccio.
Tanto premesso in fatto, la Corte territoriale rinviava per relationem
alle condivisibili, corrette, analitiche, ineccepibili argomentazioni della
sentenza di primo grado. Le questioni proposte con i motivi di impugnazione
risultavano già affrontate dal primo giudice; con l'impugnazione si riproponeva
infatti, sostanzialmente, una rivisitazione del ragionamento del primo giudice,
piuttosto che censure specifiche della motivazione.
La tesi difensiva, secondo cui la merce era costituita da scarti di materie
plastiche (polistirolo macinato che non può qualificarsi come rifiuto a norma
del Decreto Legge n. 138 del 2002, articolo 14 venendo reimpiegato nello stesso
o in altro ciclo produttivo senza necessità di un preventivo trattamento), era
infondata alla luce degli elementi forniti dall'accusa e dallo stesso consulente
della difesa. In particolare dalla deposizione di Sa. Ma. St. emergeva che il
materiale, proveniente da operazioni di trattamento di elettrodomestici ed in
particolare di macinazione di frigoriferi, non era pronto per il successivo
riutilizzo.
Anche l'ulteriore tesi difensiva, secondo cui il materiale trasportato rientrava
nella cd. lista verde (allegato n. 2 della Legge n. 1547 del 1999) era
infondata, mancando una dichiarazione esplicita in tal senso del produttore del
rifiuto e difettando un attestato proveniente da organi deputati alla verifica
della dichiarazione medesima. La spedizione effettuata dal Ni. era accompagnata
solo da documentazione fiscale e di trasporto interno e non da quella
obbligatoriamente prevista per il trasporto di rifiuti all'estero, per cui era
configurabile la violazione del Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 53.
2) Propone ricorso per Cassazione il Ni., a mezzo del difensore, per violazione
di legge, vizio di motivazione ed omessa valutazione di una prova decisiva.
Assume che la pronuncia di condanna cui sono pervenuti i giudici di merito è
frutto di una errata interpretazione ed applicazione della normativa. La merce
spedita ad (Omissis) era costituita da scarti di materie plastiche ed in
particolare da polistirolo macinato e non poteva qualificarsi come rifiuto
speciale. La definizione di rifiuto di cui al Decreto Legislativo n. 22 del
1997, articolo 6, lettera a) è stata interpretata in modo autentico dal
legislatore mediante il disposto del Decreto Legislativo n. 138 del 2002,
articolo 14; sono quindi esclusi dalla nozione di rifiuti materiali residui di
produzione che possano essere o siano effettivamente ed oggettivamente
reimpiegati nello stesso od in altro diverso ciclo produttivo. Il materiale di
cui al capo di imputazione non può quindi considerarsi rifiuto, trattandosi di
scarti di materie plastiche (polistirolo macinato) destinati ad essere
riutilizzati presso l'industria della plastica, senza subire alcun preventivo
trattamento e senza recare danno all'ambiente.
Il Decreto Ministeriale 5 febbraio 1998 contiene le norme tecniche generali per
il recupero di materia dai rifiuti non pericolosi. Il punto 6 dell'allegato
prevede che i rifiuti di plastica (quali quelli in sequestro) possono essere
frammisti ad altri materiali indesiderati e/o impurità diversi dalle materie
plastiche in una percentuale tollerata dell'1%. La Corte ha totalmente
sottovalutato tale circostanza e non ha tenuto conto che dall'istruttoria non
emerge alcuna violazione di siffatta percentuale.
Nessun accertamento è stato poi fatto in ordine alla effettiva destinazione del
carico e cioè se una volta giunto a destinazione fosse recuperato in un diverso
ciclo produttivo.
I materiali che si assume frammisti e le impurità non sono comunque pericolosi
per l'ambiente.
Erroneamente, poi, la Corte ha fatto riferimento, nel confermare la
responsabilità dell'imputato, al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo
259 entrato in vigore successivamente ai fatti per cui è processo. La nozione di
rifiuto va individuata invece ai sensi del disposto di cui al Decreto
Legislativo n. 22 del 1997, articolo 6, come interpretato dal Decreto Legge n.
138 del 2002, articolo 14.
Costituisce una mera petizione di principio l'assunto secondo cui la
composizione del materiale non era idonea ad un successivo riutilizzo immediato,
ma necessitasse di una trasformazione con separazione delle materie destinate al
recupero. La Corte non ha infatti supportato tale assunto con riferimento ad
attività di indagine ed ha ignorato che il materiale era destinato al riutilizzo
presso la società di destinazione del carico. Risulta con chiarezza che nessuna
delle operazioni di cui all'allegato C) del Decreto Legislativo n. 22 del 1997
avrebbe dovuto precedere il riutilizzo dei beni.
E' comunque dirimente la circostanza che, secondo l'allegato D del Regolamento
CE n. 1547/99, per la spedizione transfrontaliera verso (Omissis) di
rifiuti indicati nell'allegato 2 del reg. CEE 259/93 non è prevista alcuna
procedura di controllo alle esportazioni prevista dal predetto regolamento (come
ribadito anche dal regolamento CEE n. 1552/2000). A conforto di tale tesi vi è
la deposizione del consulente di parte, su cui la Corte ha Omissis ogni
valutazione.
Erronea è poi la ritenuta necessità del cd. FTR (formulario identificazione
rifiuti), sia perché la merce spedita non costituisce rifiuto, sia perché non
richiesto per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti. Né la merce doveva
essere preceduta da notificazioni, fideiussioni, ispezioni o controlli. Non
ricorre pertanto la fattispecie di reato contestata.
Infine denuncia la totale mancanza di motivazione in ordine alla disposta
confisca del container, noleggiato dall'imputato, pur essendo esso di proprietà
della Compagnia di navigazione (terzo in buona fede).
3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
3.1) E' indubitabile, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. pen.
sez. 3 n. 1414 del 14.12.2005) che la norma di cui al Decreto Legge 8 luglio
2002, n. 138, articolo 14, conv. in Legge 8 agosto 2002, n. 178, pur
autoqualificandosi come interpretativa, modifichi in senso restrittivo la
nozione di rifiuto precisata dal Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 6,
e quindi sia incompatibile con la nozione di rifiuto stabilita dalla direttiva
comunitaria 75/442/CEE, modificata dalla direttiva 91/156/CEE, di cui la
disposizione nazionale è sostanzialmente la riproduzione. In particolare,
significato innovativo assume il comma 2 dell'articolo 14 cit., secondo cui
".... non ricorrono le fattispecie della decisione di "disfarsi" e dell'obbligo
di "disfarsi" ove si tratti di sostanze e materiali residuali di produzione o di
consumo che "possono essere e sono effettivamente e oggettivamente utilizzati
nel medesimo o in analogo ciclo produttivo o di consumo": a) "senza subire alcun
intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente";
ovvero b) "dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda
necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C
del Decreto Legislativo n. 22". Invero, secondo la definizione comunitaria di
rifiuto, letteralmente trasfusa del Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo
6, un residuo di produzione o di consumo di cui il detentore abbia deciso o
abbia l'obbligo di "disfarsi" costituisce sempre rifiuto. Per l'articolo 14
cit., invece, questo residuo perde la qualità di rifiuto se è o può essere
oggettivamente utilizzato tal quale nel medesimo o in analogo ciclo di
produzione o di consumo, o più esattamente se è riutilizzato senza trattamenti
preventivi e senza pregiudizio per l'ambiente ovvero con trattamenti preventivi
che non comportino operazioni di recupero (per esempio attraverso atti di
prelievo, cernita, separazione, compattamento, frantumazione, vagliatura o
macinatura, che non implicano una trasformazione merceologica o chimica dei
materiali). E' quindi innegabile che anche sotto questo profilo l'articolo 14
cit. restringe la nozione comunitaria di rifiuto, giacchè per il diritto
comunitario la volontà o l'obbligo di "disfarsi" di un residuo di produzione o
di consumo costituisce quest'ultimo come rifiuto, mentre per la norma nazionale
sedicente interpretativa quel residuo diventa semplice materia prima ove ricorra
la condizione della sua attuale o potenziale riutilizzazione".
Alcune pronunce di questa Corte hanno sostenuto la necessità della
disapplicazione (rectius non applicazione) della norma nazionale in forza
della prevalenza e immediata applicabilità del diritto comunitario (Sez. 3°, n.
2125 del 17/01/2003, Ferretti, rv. 223291; Sez. 3/ n. 14762 del 09/04/2002,
Amadori, rv. 221573; Sez. 3°, n. 17656 del 15/04/2003, Gonzales e altro, rv.
224716). Secondo altro orientamento, invece, l'articolo 14 cit. è vincolante per
il giudice italiano giacchè la direttiva comunitaria sui rifiuti non è
autoapplicativa (self - executing) in quanto necessita di atto di
recepimento da parte dello Stato nazionale (Sez. 3°, n. 4052 del 29/01/2003,
Passerotti, rv. 223532; Sez. 3 n. 4051 del 29.1.2003, Ronco, rv. 223604; Sez.
3°, 9057 del 26.2.2003, Costa, rv. 224172; Sez. 3°, n. 13114 del 24.3.2003,
Aortellaro, rv. 224721; Sez. 3°, n. 32235 del 31.7.2003, Agogliati e altri, rv.
226156; Sez. 3, n. 38567 del 19.10.2003, De Fronzo, rv. 226574)".
La decisione di questa sezione n. 1414/2005 sopraricordata, pur aderendo a
questo secondo orientamento, dopo aver ricordato che il Reg. CEE del 1.2.1993 n.
259/1993, "relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti
all'interno della Comunità Europea, nonchè in entrata e in uscita dal suo
territorio", all'articolo 2, lettera a) stabilisce che "ai sensi del presente
regolamento" si intendono per rifiuti "i rifiuti quali definiti nell'articolo 1,
lettera a) della direttiva 75/442/CEE", riconosce che tale norma del
regolamento, che come tale è direttamente applicabile nell'ordinamento italiano,
recepisca la nozione di rifiuto definita dalla direttiva 75/442/CEE soltanto ai
fini della specifica materia disciplinata dal regolamento, ovverosia
limitatamente alle spedizioni di rifiuti, che a scopo di sorveglianza devono
essere previamente notificate e munite di un documento di accompagnamento". Ed
aggiunge" Questa nozione "regolamentare" quindi non è direttamente applicabile
nè per l'attività di abbandono nè per tutte le attività di gestione dei rifiuti
elencate nel Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 6, lettera g), che
sono ben diverse dall'attività di spedizione: e cioè raccolta, trasporto,
recupero e smaltimento. Anche una risalente sentenza della Corte di Giustizia ha
avuto modo di stabilire che la nozione "regolamentare" di rifiuti, "che è stata
istituita al fine di garantire che i sistemi nazionali di sorveglianza e
controllo delle spedizioni di rifiuti rispettino criteri minimi, si applica
direttamente anche alle spedizioni di rifiuti all'interno di qualsiasi Stato
membro"; ma non ha affatto esteso la diretta applicabilità della nozione alle
altre tradizionali attività di gestione o all'attività di abbandono, comunque
diverse dalla spedizione (C.G., 6° Sez., sent. del 25.6.1997, Tombesi e altri,
v. mass. e parr. 44. 45 e 46)".
3.1.1) I giudici di merito hanno quindi correttamente applicato la disciplina
vigente all'epoca, anche alla luce della disciplina comunitaria, in relazione
alla "spedizione di rifiuti".
Quanto all'accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto è pacifico che
trattasi di "quaestio facti" demandata al giudice di merito ed
insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione esente da vizi
logici o giuridici" (cfr. Cass. sez. 3, 9.4.2002 n. 14762).
Il Tribunale, sulla base delle risultanze processuali, aveva rilevato che,
contrariamente a quanto indicato nei documenti di trasporto, la merce
sequestrata non era costituita da polistirolo macinato ma da una miscela di
materiali vari (polistirolo, cavi elettrici, legno, plastica) e quindi "la
composizione del materiale certamente non era idonea ad un successivo ed
immediato riutilizzo ma necessitava di una preventiva trasformazione con
separazione delle materie non destinate al recupero". Ed aveva aggiunto: "i
rifiuti pertanto risultano inviati dall'odierno imputato non separati, nè
trasformati ed infine in forma non omogenea. La società destinatario avrebbe
dovuto riutilizzare i rifiuti ricevuti senza alcuna attestazione dell'eventuale
preventiva trasformazione degli stessi, pur risultando evidente che il materiale
rinvenuto necessitava di trasformazione preliminare per la sua utilizzabilità in
un successivo processo produttivo" (cfr. sent. Trib.).
La Corte di Appello, nel rinviare alle corrette, analitiche ed ineccepibili
argomentazioni del primo giudice e nel disattendere i rilievi difensivi,
sottolineava ulteriormente che era stato lo stesso consulente della difesa, a
riconoscere che "il materiale che viene fuori non è materiale pronto all'uso,
cioè altrimenti, sarebbe materiale che avrebbe un prezzo di vendita decisamente
superiore a quello che è stato venduto e troverebbe impiego diretto" L'assunto
dei giudici di merito non è quindi certamente apodittico e sganciato dalle
risultanze processuali, avendo essi, con motivazione adeguata ed immune da vizi
logici, come tale non sindacabile in sede di legittimità, accertato che la merce
sequestrata costituiva "rifiuto".
3.2) è indubitabile che a norma dell'articolo 1, comma 4 Regolamento CE n.
1574/99 del 12.7.1999 "...non si applicano procedure di controllo alle
esportazioni verso i paesi di cui all'all. 2) del presente regolamento per
quanto riguarda le categorie di rifiuti di cui all'allegato 2 del regolamento
(CEE) n. 259/93, riprodotto nell'allegato D" e che secondo tale allegato D per i
paesi elencati (tra cui (Omissis) per "tutti i tipi elencati nell'allegato 2")
"le spedizioni di alcune categorie di rifiuti elencati nell'allegato 2 (lista
verde del regolamento (CEE) n. 259/93 saranno accettate dalla CE senza ricorso a
nessuna delle procedure di controllo previste dal regolamento a condizione che
tali paesi possiedano gli impianti per trattare i rifiuti. Le spedizioni di tali
rifiuti verso detti paesi possono proseguire alle stesse condizioni applicabili
alle normali transazioni commerciali".
In tal senso va quindi, trattandosi di questione di diritto, corretta la
motivazione della sentenza impugnata.
E' altrettanto indubitabile, però, che lo stesso richiamato Regolamento n. 1574
del 1999, articolo 1, comma 4 faccia "salvo il disposto dell'articolo 1, par. 3
lettera da b) ad e d) e dell'articolo 11 del regolamento (CEE) n. 259/93".
In particolare, secondo il predetto articolo 11 "Per poter rintracciare più
facilmente le spedizioni di rifiuti destinati al recupero elencati nell'allegato
2, essi sono accompagnati dalle seguenti indicazioni firmate dal detentore - a)
nome e indirizzo del detentore; b) usuale descrizione commerciale del rifiuto;
c) quantità dei rifiuti; d) nome e indirizzo del destinatario; operazione di
recupero, specificata nell'allegato 2 B della direttiva 75/442/CEE; f) data
prevista di spedizione" (comma 1).
Dalla complessiva motivazione della sentenza impugnata risulta che i giudici di
merito hanno ritenuto la inapplicabilità della normativa "derogatoria", non
risultando indicato il tipo "reale" di rifiuto (non si trattava infatti di
polistirolo macinato ma di materiale comprendente polistirolo, cavi elettrici,
legno e plastica, miscelato triturato e contaminato da terriccio) e non
risultando esplicitamente attestato "che il materiale rientrasse nella lista
verde in quanto per nulla contaminato da altre sostanze considerate pericolose,
tossiche, nocive".
3.3) I giudici di merito hanno disposto la confisca, rilevando che essa segue
per legge alla statuizione di condanna. In effetti il Decreto Legislativo n. 22
del 1997, articolo 53, comma 2 (riprodotto nel Decreto Legislativo n. 152 del
2006, articolo 259, comma 2) prevede che "Alla sentenza di condanna o a quella
emessa ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., per i reati relativi al traffico
illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui all'articolo 51 e
all'articolo 52, comma 3, consegue obbligatoriamente, la confisca del mezzo di
trasporto". Non c'è dubbio quindi che trattasi di confisca obbligatoria, come
del resto costantemente affermato da questa Corte (ex multis Cass. pen.
Sez. 3 n. 42227 del 22.12.2006).
Quanto alla dedotta appartenenza del mezzo sequestrato ad un terzo, a parte ogni
questione in ordine alla "legittimazione" del ricorrente, va rilevato che la
buona fede è affermata in via meramente assertiva.
Anche in relazione ad altre previsioni normative (il Decreto del Presidente
della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, articolo 301, comma 3 prevede che "si
applicano le disposizioni dell'articolo 240 c.p. se si tratta di mezzo di
trasporto appartenente a persona estranea al reato qualora questa dimostri di
non averne potuto prevedere l'illecito impiego anche occasionale e di non essere
incorsa in un difetto di vigilanza"), la giurisprudenza di questa Corte, ha
costantemente ritenuto che "....... il terzo che chieda la restituzione delle
cose sequestrate qualificandosi, come proprietario o titolare di altro diritto
reale su di esse è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa e
quindi, in particolare, oltre alla titolarità del diritto vantato, anche
l'estraneità al reato e la buona fede, intesa, quest'ultima, come assenza di
condizioni che rendano profilabile a suo carico un qualsivoglia addebito di
negligenza da cui sia derivata la possibilità dell'uso illecito della cosa"
(cfr. Cass. sez. 1 n. 34019 del 13.6.2001; conf. Cass. sez. 1 n. 45473 del
25.10.2005).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle pese processuali.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 19 Ott. 2010
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