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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 18/11/2010 (Ud. 21/10/2010), Sentenza n. 40849
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Polveri e getto pericoloso di cose materiali o
immateriali - Attività socialmente utile - Disciplina applicabile - Art. 674
cod. pen.. Il reato di cui all'art. 674 cod. pen. è ravvisabile in qualsiasi
comportamento materiale (getto, lancio, versamento, emissione) avente ad oggetto
cose materiali o immateriali e che può oggettivamente provocare offesa o
molestia alle persone. Quando però si tratti di una attività socialmente utile,
ed in quanto tale legislativamente o amministrativamente disciplinata, il
comportamento, quand'anche idoneo a provocare offesa o molestia, resta
ugualmente lecito sotto il profilo penale se non supera i limiti previsti dalla
normativa di settore. (annulla senza rinvio sentenza emessa l'8/04/2009 dal
giudice del Tribunale di Montepulciano) Pres. Ferrua, Est. Franco, Ric. Rocchi.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 18/11/2010 (Ud. 21/10/2010), Sentenza
n. 40849
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni - Presunzione di legittimità -
Violazione delle norme o prescrizioni di settore - Necessità - Configurazione
del reato - Emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità - Giurisprudenza -
Art. 674 c.p. - Art. 844 cod. civ.. Nell’ambito dell’art. 674 c.p.,
l'espressione «nei casi non consentiti dalla legge» costituisce una precisa
indicazione della necessità, ai fini della configurazione del reato, che,
qualora si tratti di attività considerata dal legislatore socialmente utile e
che per tale motivo sia prevista e disciplinata, l'emissione avvenga in
violazione delle norme o prescrizioni di settore che regolano la specifica
attività. Quindi, per una affermazione di responsabilità in ordine al reato di
cui all'art. 674 cod. pen., non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano
astrattamente idonee ad arrecare offesa o molestia, ma è indispensabile anche la
puntuale e specifica dimostrazione oggettiva che esse superino i parametri
fissati dalle norme speciali. Qualora invece le emissioni, pur quando abbiano
arrecato concretamente offesa o molestia alle persone, siano state tuttavia
contenute nei limiti di legge, saranno eventualmente applicabili le sole norme
di carattere civilistico contenute nell'art. 844 cod. civ. In altri termini,
all'inciso «nei casi non consentiti dalla legge» deve riconoscersi, un valore
rigido e decisivo, tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante
dell'illecito penale da un lato e quello dell'illecito civile dall'altro (Cass.
Sez. I, 16/06/2000, Meo; Cass. Sez. I, 24/10/2001, Tulipano; Sez. III,
23/1/2004, Pannone; Sez. III, 19/3/2004, n. 16728, Parodi; Sez. I, 20/5/2004,
Invernizzi; Sez. III, 18/6/2004, Providenti; Sez. III, 10/2/2005, Montinaro;
Sez. III, 21/6/2006, Bortolato; Sez. III, 26/10/2006, Gigante; Sez. III,
11/5/2007, Pierangeli; Sez. III, 9.10.2007, n. 41582, Saetti; nonché, in
riferimento alla emissione di onde elettromagnetiche, Cass. Sez. I, 25/11/2003,
n. 4192/04, Valenziano). (contra: Cass. Sez. I, 7/11/1995, Guarnero; Sez. I,
11/4/1997, Sartor; Sez. III, 25/6/1999, Zompa; Sez. III, 28/9/2005, Riva; Sez.
III, 21.6.2007, n. 35489, Torna. Secondo tale orientamento, l'inciso «nei casi
non consentiti dalla legge» dovrebbe intendersi riferito, anche quando vi sia
una normativa di settore o un provvedimento dell'autorità che regoli l'attività
e che imponga limiti di emissione ed anche quando i limiti tabellari non siano
stati superati, la contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. sarebbe
ugualmente configurabile qualora l'attività abbia comunque prodotto emissioni
eccedenti i limiti di tollerabilità alla luce dei parametri indicati dall'art.
844 cod. civ., ed eliminabili mediante opportuni accorgimenti tecnici. (annulla
senza rinvio sentenza emessa l'8/04/2009 dal giudice del Tribunale di
Montepulciano) Pres. Ferrua, Est. Franco, Ric. Rocchi. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 18/11/2010 (Ud. 21/10/2010), Sentenza n. 40849
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni - Art. 674 cod. pen. - Attività
regolarmente autorizzata o disciplinata da atti normativi speciali - Concetto di
"gettare o versare" - Fattispecie: diffusione di polveri nelle aree circostanti.
Il reato di cui all'art. 674 cod. pen. non è configurabile nel caso in cui
le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una
attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute
nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti
amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di
legittimità del comportamento (Cass., Sez. III, 9.1.2009, n. 15707, Abbaneo;
Cass. Sez. III, 27.2.2008, n. 15653, Colombo; Cass. Sez. III, 13.5.2008, n.
36845, Tucci; Cass. Sez. III, 1/2/2006, n. 8299, Tortora). Inoltre, nel concetto
di "gettare o versare" di cui all'art. 674 cod. pen., che punisce il getto
pericoloso di cose, rientra anche quello di diffondere polveri nell'atmosfera
(Sez. III, 23.10.2002, n. 42924, Lorusso), e che «il concetto di gettare o
versare di cui all'art. 674 cod. pen. va inteso estensivamente fino a
comprendere la diffusione, comunque, di polveri nelle aree circostanti (Sez. I,
9.1.1995, n. 3919, Tinerelli; Sez. I, 22.9.1993, n. 447/94, Pasini). Sicché, la
diffusione di polveri nell'atmosfera rientra nella nozione di "versamento di
cose" ai sensi della prima ipotesi dell'art. 674 cod. pen. e non in quella di
"emissione di fumo" contemplata dalla seconda ipotesi, in quanto mentre il fumo
è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e
non di combustione (Cass. Sez. III, 18.12.2008, n. 16286, Del Balzo). (annulla
senza rinvio sentenza emessa l'8/04/2009 dal giudice del Tribunale di
Montepulciano) Pres. Ferrua, Est. Franco, Ric. Rocchi. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 18/11/2010 (Ud. 21/10/2010), Sentenza n. 40849
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UDIENZA del 21.10.2010
SENTENZA N.1578
REG. GENERALE N. 24230/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
1. Dott.ssa Giuliana Ferrua
Presidente
2. Dott. Alfredo Teresi
Consigliere
3. Dott. Amedeo Franco
Consigliere(est.)
4. Dott. Silvio Amoresano
Consigliere
5. Dott. Giulio Sarno
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da Rocchi Maria Cristina, nata a Bagnoregio l'x.x.xadx;
- avverso la sentenza emessa l'8 aprile 2009 dal giudice del tribunale di
Montepulciano;
- udita nella pubblica udienza del 21 ottobre 2010 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
- udito il Pubblico Ministero in persona Sostituto Procuratore Generale dott.ssa
Maria Giuseppina Faradoni, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il
difensore avv. Luca Stanghellini;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Montepulciano dichiarò
Rocchi Maria Cristina, quale presidente del consiglio di amministrazione del
consorzio agrario di Siena, colpevole del reato di cui all'art. 674 cod. pen.
perché, non adottando gli opportuni accorgimenti al fine di evitare che dai
silos si alzassero polveri durante le operazioni di stoccaggio e lavorazione
delle granaglie, aveva provocato emissioni atte a molestare le persone,
condannandola alla pena di € 150,00 di ammenda.
L'imputata propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40 e 42 cod. pen. e
manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui non ha ritenuto
provata la delega, da parte della presidente del consorzio agrario di Siena, nei
confronti del direttore dello stesso consorzio delle funzioni imprenditoriali
riguardanti la gestione dell'impianto di stoccaggio di cereali posto in
Montepulciano Scalo.
2) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 42 e 674 cod. pen. nonché
manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il giudice ha omesso
di assolvere l'imputata per mancanza dello elemento soggettivo del reato, che
presuppone l'effettiva conoscenza delle emissioni.
3) mancanza o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il
giudice ha omesso completamente di valutare che l'attività in questione era
oggetto di autorizzazione tacita o provvisoria alle emissioni in atmosfera ex
art. 269 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nonché inosservanza ed erronea
applicazione dell'art. 674 cod. pen., con riferimento all'inciso nei casi non
consentiti dalla legge, in relazione alla disciplina speciale in materia
ambientale, prevista dal d.p.R. n. 203/1988 e dal d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
nell'ipotesi in cui l'attività che provoca le emissioni risulti regolarmente
autorizzata, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto, ai fini della
configurabilità del reato di cui all'art. 674 cod. pen. sufficiente il
superamento della normale tollerabilità delle emissioni e non necessaria,
invece, la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino i limiti di
legge.
4) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 42, 47, 674 cod. pen. nonché
mancanza o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il giudice
non ha assolto l'imputata per mancanza dello elemento soggettivo del reato,
determinato dalla falsa rappresentazione dello elemento psicologico, inerente
alla liceità della condotta.
Motivi della decisione
Il terzo ed assorbente motivo è fondato.
Risulta dalla stessa sentenza impugnata che lo svolgimento della attività
nell'impianto in questione, esistente già in data anteriore al luglio del 1988,
è stato tacitamente autorizzato ai sensi dell'art. 12 del d.p.R. 24 maggio 1988,
n. 203, essendo stata presentata la relativa domanda di autorizzazione alle
emissioni in atmosfera entro dodici mesi dall'entrata in vigore del suddetto
decreto ed essendo decorso inutilmente il termine di cui all'art. 13, comma 2,
del decreto stesso. L'impianto è stato altresì autorizzato con la circolare
regionale del 31 maggio 1993, in quanto impianto esistente in data anteriore al
luglio del 1988 e per il quale era stata presentata in termini la domanda e la
documentazione tecnica. In ogni modo, si tratta pacificamente di impianto
disciplinato dal ricordato art. 12 del d.p.R. d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203, ed
ora dall'art. 281 del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il quale, per gli impianti
anteriori al 1988 ed autorizzati anche in via provvisoria o in forma tacita, ha
previsto l'obbligo di presentare una domanda di autorizzazione ai sensi
dell'art. 269 entro il 31 dicembre 2011.
E' dunque pacifico che l'attività di stoccaggio in questione è disciplinata da
specifiche disposizioni legislative ed è oggetto di appositi provvedimenti
amministrativi di autorizzazione. La stessa sentenza impugnata afferma poi che i
limiti consentiti alle emissioni di polveri provenienti dall'impianto in
questione sono fissati da un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ciò posto, la sentenza impugnata ha altresì accertato in punto di fatto (pag. 4)
che manca la prova che le emissioni di polveri abbiano superato i limiti
normativamente imposti, e ciò per la ragione che non si è provveduto alla
misurazione per non meglio specificati «motivi tecnici». La sentenza ha tuttavia
ritenuto che la mancata prova del superamento delle soglie di legge non
escludesse la sussistenza del reato contestato, per la cui configurabilità
sarebbe necessario e sufficiente solo il superamento della soglia della normale
tollerabilità e l'attitudine a recare nocumento alle persone. Ha quindi ritenuto
realizzato il reato di cui alla seconda ipotesi dell'art. 674 cod. pen. perché,
pur in mancanza di prova del superamento dei limiti di legge, le emissioni di
polveri eccedevano la normale tollerabilità.
L'interpretazione acriticamente seguita dal giudice si fonda chiaramente su un
risalente ed in precedenza dominante orientamento giurisprudenziale, secondo il
quale, anche quando vi sia una normativa di settore o un provvedimento
dell'autorità che regoli l'attività e che imponga limiti di emissione ed anche
quando i limiti tabellari non siano stati superati, la contravvenzione di cui
all'art. 674 cod. pen. sarebbe ugualmente configurabile qualora l'attività abbia
comunque prodotto emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità alla luce dei
parametri indicati dall'art. 844 cod. civ., ed eliminabili mediante opportuni
accorgimenti tecnici. E ciò perché non potrebbe considerarsi lecito l'esercizio
di una attività che, anche se rispettosa dei limiti tabellari, implichi comunque
la sopportazione di inconvenienti eccedenti la normale tollerabilità, in quanto
l'agente era in ogni caso obbligato a ricorrere alla migliore tecnologia
disponibile per contenere al massimo possibile le emissioni inquinanti, al fine
della tutela della salute umana e dell'ambiente (cfr. Sez. I, 7 novembre 1995,
Guarnero, m. 203130; Sez. I, 11 aprile 1997, Sartor, m. 207383; Sez. III, 25
giugno 1999, Zompa, m. 214633; Sez. III, 28 settembre 2005, Riva, m. 232359;
Sez. III, 21.6.2007, n. 35489, Torna, in. 237382). Secondo tale orientamento,
dunque, l'inciso «nei casi non consentiti dalla legge» dovrebbe intendersi
riferito non solo alla specifica normativa di settore, ma alla legge in generale
e quindi anche alle prescrizioni del codice civile (in particolare, dell'art.
844 cod. civ.).
Tale orientamento è stato però sottoposto a numerose critiche ed è stato da
tempo superato da un orientamento diverso ed ormai prevalente - che il Collegio
condivide pienamente - secondo il quale l'espressione «nei casi non consentiti
dalla legge» costituisce una precisa indicazione della necessità, ai fini della
configurazione del reato, che, qualora si tratti di attività considerata dal
legislatore socialmente utile e che per tale motivo sia prevista e disciplinata,
l'emissione avvenga in violazione delle norme o prescrizioni di settore che
regolano la specifica attività. In tali ipotesi, invero, deve ritenersi che la
legge contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni che non
superino la soglia fissata dalle norme speciali in materia. Quindi, per una
affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 674 cod. pen.,
non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano astrattamente idonee ad
arrecare offesa o molestia, ma è indispensabile anche la puntuale e specifica
dimostrazione oggettiva che esse superino i parametri fissati dalle norme
speciali. Qualora invece le emissioni, pur quando abbiano arrecato concretamente
offesa o molestia alle persone, siano state tuttavia contenute nei limiti di
legge, saranno eventualmente applicabili le sole norme di carattere civilistico
contenute nell'art. 844 cod. civ. In altri termini, all'inciso «nei casi non
consentiti dalla legge» deve riconoscersi, contrariamente a quanto ritenuto dal
precedente orientamento, un valore rigido e decisivo, tale da costituire una
sorta di spartiacque tra il versante dell'illecito penale da un lato e quello
dell'illecito civile dall'altro (Sez. I, 16 giugno 2000, Meo, m. 216621; Sez. I,
24 ottobre 2001, Tulipano, m. 220.678; Sez. III, 23 gennaio 2004, Pannone, m.
228010; Sez. III, 19 marzo 2004, n. 16728, Parodi; Sez. I, 20 maggio 2004,
Invernizzi, m. 229170; Sez. III, 18 giugno 2004, Provi- denti, m. 229619; Sez.
III, 10 febbraio 2005, Montinaro, m. 230982; Sez. III, 21 giugno 2006, Bortolato,
m. 235056; Sez. III, 26 ottobre 2006, Gigante; Sez. III, 11 maggio 2007,
Pierangeli, m. 236682; Sez. III, 9.10.2007, n. 41582, Saetti, m. 238011; nonché,
in riferimento alla emissione di onde elettromagnetiche, Sez. I, 14 marzo 2002,
Rinaldi; Sez. I, 12 marzo 2002, Pagano; Sez. I, 25 novembre 2003, n. 4192/04,
Valenziano, non massimata).
Il principio di diritto seguito ormai dal «diritto vivente» é dunque quello
secondo cui il reato di cui all'art. 674 cod. pen. non è configurabile nel caso
in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una
attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute
nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti
amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di
legittimità del comportamento (cfr., da ultimo, Sez. III, 9.1.2009, n. 15707,
Abbaneo, m. 243433; Sez. III, 27.2.2008, n. 15653, Colombo, m. 239864; Sez. III,
13.5.2008, n. 36845, Tucci, m. 240768; Sez. III, 1 febbraio 2006, n. 8299,
Tortora, m. 233562). Questo principio deve essere confermato, non potendosi
ritenere sufficienti a superarlo alcune decisioni in senso contrario (cfr. Sez.
1, 27.3.2008, n. 16693, Polizzi, m. 240117; Sez. III, 12.2.2009, n. 15734,
Schembri, m. 243387), che si sono limitate a richiamare alcune massime
espressione del precedente orientamento, senza apportare particolari
argomentazioni avverso l'interpretazione che qui viene ribadita.
Nella specie la sentenza impugnata ha espressamente ritenuto (pag. 4) che la
condotta contestata all'imputata - consistente nella omessa adozione di
accorgimenti idonei ad evitare il sollevamento di polveri durante le operazioni
di stoccaggio dei granaglie - avesse violato la seconda ipotesi, e non già la
prima ipotesi, dell'art. 674 cod. pen. Se così fosse non vi sarebbero dubbi
sulla applicabilità della espressione «nei casi non consentiti dalla legge»
contenuta nell'art. 674 cod. pen., e quindi del principio di diritto dianzi
affermato relativamente alle emissioni provenienti da una attività regolarmente
autorizzata o prevista da speciali atti normativi.
Deve tuttavia per completezza ricordarsi che, relativamente alle emissioni di
polveri, mentre la giurisprudenza più risalente riteneva che «le immissioni
nella atmosfera di polveri degli impianti di uno stabilimento industriale in
virtù di un processo produttivo non integrano le condotte del "gettare" o
"versare" previste dalla prima parte dell'art. 674 cod. pen. che sono riferibili
ad una attività primaria e diretta, prevalentemente di natura dolosa» (Sez. 1,
1.6.1987, n. 11844, Barbetti, m. 177099; conf. Sez. VI, 16.5.1985, n. 8449,
Spallanzani, m. 170537), la giurisprudenza successiva ha invece prevalentemente
ritenuto che «nel concetto di "gettare o versare" di cui all'art. 674 cod. pen.,
che punisce il getto pericoloso di cose, rientra anche quello di diffondere
polveri nell'atmosfera» (Sez. III, 23.10.2002, n. 42924, Lorusso, m. 223033), e
che «il concetto di gettare o versare di cui all'art. 674 cod. pen. va inteso
estensivamente fino a comprendere la diffusione, comunque, di polveri nelle aree
circostanti» (Sez. I, 9.1.1995, n. 3919, Tinerelli, m. 201594; Sez. I,
22.9.1993, n. 447/94, Pasini, m. 195922).
Questo orientamento è stato di recente ribadito, riaffermandosi che «La
diffusione di polveri nell'atmosfera rientra nella nozione di "versamento di
cose" ai sensi della prima ipotesi dell'art. 674 cod. pen. e non in quella di
"emissione di fumo" contemplata dalla seconda ipotesi, in quanto mentre il fumo
è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e
non di combustione» (Sez. III, 18.12.2008, n. 16286, Del Balzo, m. 243454). Da
questo affermazione è stata però poi fatta derivare la conseguenza che alla
emissione di polveri nella atmosfera non si potrebbe mai applicare il principio
di diritto, che qui è stato confermato, relativo alle emissioni provenienti da
una attività regolarmente autorizzata o prevista da speciali atti normativi. E
ciò perché «la clausola "nei casi non consentiti dalla legge", contemplata
nell'art. 674 cod. pen., non è riferibile alla condotta di getto o versamento
pericoloso di cose di cui alla prima parte della norma citata, ma esclude il
reato solo per le emissioni di gas, vapori o fumo che sono specificamente
consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni
amministrative. (Fattispecie nella quale è stata esclusa l'applicabilità di tale
clausola in un caso di diffusione di polveri nell'atmosfera provocate nel corso
di un'attività produttiva)» (Sez. III, 18.12.2008, n. 16286, Del Balzo, m.
243456).
Questa ultima tesi non può però essere condivisa per le ragioni - valevoli allo
stesso modo anche per l'ipotesi di emissione di polveri - già evidenziate da
questa Sezione in numerose decisioni relative alle emissioni di onde
elettromagnetiche, che sono state parimenti fatte rientrare nella prima ipotesi
dell'art. 674 cod. pen. (Sez. III, 13.5.2008, n. 36845, Tucci, m. 240767,
secondo cui «In tema di getto pericoloso di cose, il reato previsto dall'art.
674 cod. pen. non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato ma un reato
unico, in quanto la condotta consistente nel provocare emissioni di gas, vapori
o fumo rappresenta una "species" del più ampio "genus" costituito
dal "gettare" o "versare" cose atte ad offendere, imbrattare o molestare
persone. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha
precisato che la previsione della condotta di "provocare emissioni" ha solo il
fine di specificare che, quando si tratta d'attività disciplinata per legge, la
rilevanza penale delle emissioni medesime è subordinata al superamento dei
limiti e delle prescrizioni di settore)»; conf. Sez. III, 9.1.2009, n. 15707,
Abbaneo; nonché Sez. III, 15708, 15709, 15710, 15711, 15712, 15713, 15714,
15715, 15716 del 2009, non massimate).
Si è infatti in quelle occasioni rilevato che, se si dovesse ritenere che il
principio dianzi enunciato - ossia che il reato di cui all'art. 674 cod. pen.
non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività
regolarmente autorizzata o prevista e disciplinata da atti normativi speciali e
non siano superati i limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici
provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una
presunzione di legittimità del comportamento - si applichi esclusivamente alla
seconda ipotesi prevista dall'art. 674 cod. pen. (emissione di gas, vapori o
fumo) e che quindi non possa applicarsi anche all'emissione di onde
elettromagnetiche o di polveri (non rientrando le stesse tra i gas, vapori e
fumo), ne deriverebbe una disciplina manifestamente irrazionale. Ed invero, si
dovrebbe ritenere che la contravvenzione in esame sarebbe, del tutto
irragionevolmente, integrata nel caso di emissione di onde elettromagnetiche o
di polveri pur avvenuta nell'esercizio di una attività autorizzata o
disciplinata per legge e pur quando non siano superati i limiti stabiliti dalla
legge o dai regolamenti o da specifici atti amministrativi, ma solo perché vi
sia possibilità di offesa o molestia, mentre per tutte le altre attività
anch'esse autorizzate o disciplinate da leggi speciali, la contravvenzione non è
configurabile quando tali limiti non sono superati, sussistendo in tal caso una
presunzione di legittimità delle emissioni. La diversità di disciplina sarebbe
palesemente ingiustificata, e quindi irrazionale, perché l'elemento che
caratterizza e giustifica la previsione speciale è costituito dal riferirsi ad
una attività socialmente utile e quindi disciplinata e non già dalla natura
dell'oggetto dell'emissione (gas, vapori o fumo).
Si è quindi ritenuto che possa darsi una interpretazione adeguatrice all'art.
674 cod. pen., nel senso esso non preveda in realtà due distinte e separate
ipotesi di reato, ma un solo ed unitario reato nel quale la seconda ipotesi
(emissione di gas, vapori o fumo) non è altro che una specificazione della prima
ipotesi, caratterizzata non tanto dal fatto del particolare oggetto
dell'emissione (gas, vapori, fumo) quanto piuttosto dalla circostanza che è
possibile che l'emissione, ossia l'attività pericolosa, in quanto socialmente
utile, sia disciplinata dalla legge o da un provvedimento dell'autorità, e che
in tal caso il reato è configurabile esclusivamente quando essa non sia
consentita, ossia quando siano superati i limiti previsti per la specifica
attività, dovendo altrimenti presumersi legittima. In altre parole, le emissioni
di cui alla seconda ipotesi rientrano già nell'ampio significato
dell'espressione «gettare cose», di cui in realtà costituiscono una specie, e
sono state espressamente previste dalla disposizione solo per specificare che,
quando si tratta di attività disciplinata per legge - e per tale motivo ritenuta
dal legislatore di un qualche interesse pubblico e generale - la loro rilevanza
penale nasce soltanto con il superamento dei limiti e delle prescrizioni di
setto
re.
Quindi, il reato di cui all'art. 674 cod. pen. è ravvisabile in qualsiasi
comportamento materiale (getto, lancio, versamento, emissione) avente ad oggetto
cose materiali o immateriali e che può oggettivamente provocare offesa o
molestia alle persone. Quando però si tratti di una attività socialmente utile,
ed in quanto tale legislativamente o amministrativamente disciplinata, il
comportamento, quand'anche idoneo a provocare offesa o molestia, resta
ugualmente lecito sotto il profilo penale se non supera i limiti previsti dalla
normativa di settore.
E si è anche rilevato che questa conclusione può restare ferma anche qualora si
ritenga che le due ipotesi dell'art. 674 cod. pen. debbano restare distinte e
separate. Ed invero, una volta che le onde elettromagnetiche o le polveri si
sono fatte rientrare nel getto di cose previsto dalla prima ipotesi della
disposizione in esame, alle stesse si può poi applicare, in via analogica, il
principio, desumibile dalla seconda ipotesi, secondo cui il comportamento deve
presumersi legittimo ed il reato non sussiste quando si tratta di attività
regolamentata e non siano superati i limiti tabellari. In questo caso, invero,
si tratterebbe di analogia in bonam partem, che quindi non è vietata, e
che sarebbe diretta a dare una interpretazione adeguatrice della disposizione.
Sembra poi indiscutibile l'esistenza dei presupposti per questa applicazione
analogica, in quanto fra le due fattispecie esiste sicuramente una somiglianza
rilevante, dato che la qualità comune ad entrambe (attività regolamentata e non
superamento dei limiti) costituisce la ragione sufficiente per cui al caso
regolato è stata data quella disciplina.
In conclusione, nella specie, da un lato è pacifico che si tratta di attività
autorizzata da provvedimento amministrativo e comunque disciplinata da
specifiche norme di settore e, da un altro lato, il giudice del merito ha
accertato che non vi è alcuna prova che siano stati superati i limiti di
tollerabilità normativamente fissati. Non vi sono quindi gli elementi per
l'integrazione del reato contestato.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio perché il fatto
non sussiste.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 21 ottobre
2010.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 18 Nov. 2010
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