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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 22/11/2010 (Ud. 21/10/2010) Sentenza n. 41014
RIFIUTI - CAVE E TORBIERE - Prima pulitura del materiale di cava - Limo -
Applicazione della disciplina sui rifiuti - Esclusione - Fattispecie - Artt. 185
e 256 c.3 D. L.vo n.152/2006. Il limo non rientra nel campo di applicazione
della disciplina sui rifiuti di cui alla parte quarta del D.L.gs. n.152 del
2006. I fanghi ed i limi derivanti dalla prima pulitura del materiale di cava
non possono essere considerati rifiuti, l'esclusione contemplata dal D.L.gs
n.152 del 2006, art.185, non può operare esclusivamente per la prima
setacciatura del materiale estratto, in quanto non si vede la ragione per la
quale la prima pulitura del materiale estratto, debba avvenire esclusivamente
mediante setacciatura o grigliatura e non possa avvenire, quando necessità
tecniche lo richiedano o lo rendano opportuno, mediante lavaggio il quale
costituirebbe, a differenza della setacciarura o grigliatura, attività
ontologicamente successiva alla estrazione vera e propria. Nella specie,
risultando il limo veniva prodotto dall'attività di primo lavaggio
"...consistita nel primo lavaggio della ghiaia rilevata da coltivazioni di
cava...", va ritenuta insussistente l'ipotesi di reato di cui all'art.256 c.3 D.
L.vo n.152/06. (Annulla senza rinvio sentenza del 16.9.2009 del Tribunale di
Pordenone) Pres. Ferrua, Est. Amoresano, Ric. Coletto. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 22/11/2010 (Ud. 21/10/2010) Sentenza n. 41014
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UDIENZA del 21.10.2010
SENTENZA N.
REG. GENERALE N. 8343/2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.
Dott. Giuliana Ferrua
Presidente
Dott. Alfredo Teresi
Consigliere
Dott. Amedeo Franco
Consigliere
Dott. Silvio Amoresano
Consigliere Rel.
Dott. Giulio Sarno
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) Co. Mi. nata il xx.ad.xxxx
- avverso la sentenza del 16.9.2009 del Tribunale di Pordenone
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano
- sentite le conclusioni del P. G., dr. M.Giuseppina Fodaroli, che ha chiesto
rigettarsi il ricorso
- sentito il difensore, avv. Bruno Malattia, che ha chiesto l'accoglimento del
ricorso
OSSERVA
1) Con sentenza in data 16.9.2009 il Tribunale di Pordenone dichiarava Coletto
Michela responsabile del reato ascrittole, qualificato il fatto quale abbandono
o deposito incontrollato di rifiuti di cui all'art.256 comma in riferimento al
comma 1 lett.a) d.lgs 3 aprile 2006 e, concesse le circostanze attenuanti
generiche, la condannava alla pena di euro 6.000,00 di ammenda.
Assumeva il Tribunale che il 4 aprile 2006 personale del Corpo forestale dello
Stato aveva sottoposto a controllo l'insediamento produttivo della s.a.s.
Coletto, di cui l'imputata era amministratore e legale rappresentante.
Si trattava di un impianto di lavaggio di materiale inerte (ghiaia di fiume o di
cava) che produceva come residuo un prodotto fangoso denominato "limo"; tale
fango veniva depositato in vasche per consentirne la chiarificazione (cioè la
eliminazione dell'acqua) e successivamente, per consentire la completa
asciugatura, era steso al suolo in apposita area. Il processo di ottenimento del
limo era, quindi, del tutto naturale.
Dopo aver dato atto che, alla data dell'accertamento, il regime del limo, quale
residuo della lavorazione delle ghiaie estratte e lavate, era quello imposto
dalla parte quarta del D.L.gs 152/06, riteneva il Tribunale che non potesse
parlarsi di sottoprodotto, non ricorrendo le condizioni previste dall'art.183
comma 1 lett.p) del medesimo decreto legislativo. Il sottoprodotto, quale bene
originato in via residuale dall'attività produttiva principale, è tale purché il
suo riutilizzo, oltre che economicamente conveniente sia certo, oggettivo,
integrale e predeterminato. Nel caso di specie, come emergeva dagli atti, il
limo costituiva residuo continuativo rispetto alla attività di lavaggio, che non
veniva reimpiegato per programmate e autorizzate attività, ma giaceva in
accumuli in attesa di ricevere destinazione ancora ignota al momento
dell'ammasso. Risultava, infatti, che gli accumuli di limo persistevano
all'interno dell'impianto almeno dalla fine dell'anno 2004. La fattispecie
concreta era quindi riconducibile alla ipotesi di deposito incontrollato di
rifiuti realizzato da imprenditore.
2) Ricorre per Cassazione Co. Mi., a mezzo del difensore, denunciando con il
primo motivo la erronea applicazione della legge penale, nonché la manifesta
illogicità e contraddittorietà della motivazione ed il travisamento di prove
decisive. La qualificazione del limo come residuo delle lavorazioni e poi come
rifiuto i assolutamente illogica. Le stesse argomentazioni del Tribunale
avrebbero dovuto portare alla conclusione che il limo, oltre a non essere un
rifiuto, va considerato a tutti gli effetti una merce o un prodotto o
sottoprodotto che ha un suo preciso utilizzo ed una domanda di mercato.
Dalle risultanze processuali emerge indiscutibilmente che il limo ricavato
veniva periodicamente ceduto a terzi. E' palesemente insostenibile la tesi del
Tribunale che il limo debba considerarsi un rifiuto se chi lo produce non sa fin
dal primo momento a chi e quando lo venderà (siffatta tesi porterebbe a
qualificare come rifiuti un enorme numero di prodotti).
Con il secondo motivo denuncia la erronea applicazione della legge penale in
relazione all'art.256 cit. Tale norma non trova applicazione nel caso di specie,
sia perché il limo non è un rifiuto nel momento in cui viene prodotto, sia
perché l'area all'interno della quale era depositato si trovava all'interno
dell'impianto industriale.
Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione agli artt.162
bis c.p. e 141 norme attuazione c.p.p.
La Co., era stata tratta a giudizio per rispondere del reato di cui all'art.256
comma 3 D. L.vo 152/06, sanzionato con la pena dell'arresto e dell'ammenda.
Il Tribunale, con la sentenza, ha ritenuto di qualificare il fatto ex art.256
comma 2 che prevede la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda.
Essendo possibile, a seguito della modifica dell'imputazione, l'oblazione, a
norma dell'art.141 comma 4 bis disp.att.c.p.p. l'imputata avrebbe dovuta essere
rimessa in termini; né tale facoltà era preclusa ai sensi del comma 3
dell'art.162 bis, non essendo stato effettuato alcun accertamento in ordine alla
eventuale permanenza di conseguenze dannose o pericolose del reato.
3) Il ricorso va accolto per le ragioni di seguito indicate.
3.1) L'indirizzo prevalente di questa Corte, cui il Collegio ritiene di aderire,
esclude che il limo" rientri nel campo di applicazione della disciplina sui
rifiuti di cui alla parte quarta del D.L.gs. n.152 del 2006.
La sentenza di questa sezione n.41584 del 9.10.2007, nel richiamare la decisione
n.5315 dell'11 ottobre 2006- 8 febbraio 2007, Doneda, che aveva stabilito il
principio che i fanghi ed i limi derivanti dalla prima pulitura del materiale di
cava non possono essere considerati rifiuti, ribadiva che "l'esclusione
contemplata dal D.L.gs n.152 del 2006, art.85, non può operare esclusivamente
per la prima setacciatura del materiale estratto, in quanto non si vede la
ragione per la quale la prima pulitura del materiale estratto, debba avvenire
esclusivamente mediante setacciatura o grigliatura e non possa avvenire, quando
necessità tecniche lo richiedano o lo rendano opportuno, mediante lavaggio....il
quale costituirebbe, a differenza della setacciarura o grigliatura, attività
ontologicamente successiva alla estrazione vera e propria". La motivazione dava
atto che una precedente decisione (sez,3 n.42949 del 29.10.2009, rv.222968) era
pervenuta a conclusioni diverse, ma evidenziava anche che si trattava di una
"difformità" più apparente che reale, trattandosi in quel caso di fattispecie
relativa non al lavaggio di materiale estratto bensì al materiale risultante
dalla demolizione della cava stessa. Si sottolineava, infine, che "l'escludere
che la normativa in vigore consideri come rifiuto i fanghi di primo lavaggio non
comporta un disinteresse dell'ordinamento per le ricadute che l'attività di
lavaggio può avere nell'ambiente circostante, posto che la normativa a tutela
delle acque e della loro qualità può costituire riferimento in caso di eventuali
modalità di trattamento del materiale che comportino ricadute negative sulle
acque fluviali interessate".
Risultando dalla stessa sentenza impugnata che il limo veniva prodotto
dall'attività di primo lavaggio ("....consistita nel primo lavaggio della ghiaia
rilevata da coltivazioni di cava..." pag.2 sent.), va ritenuta insussistente
l'ipotesi di reato contestata.
3.2) Rimanendo assorbita ovviamente ogni altra doglianza (in particolare quella
relativa alla denunciata violazione dell'art.162 bis c.p. e 141 disp. att.
c.p.p.), la sentenza impugnata va annullata perché il fatto non sussiste.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma il 21 ottobre 2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 22 Nov. 2010
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