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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 30/11/2010 (Cc. 10/11/2010), Sentenza n. 42436
RIFIUTI - Interramento di pelli ed interiora di cinghiali in un’area di ridotte
dimensioni - Discarica abusiva - Configurabilità - Esclusione - Presupposti
normativi - Artt. 185 e 256, d. Lgs. n. 152/2006. L’interramento occasionale
in un’area di ridotte dimensioni, (nella specie circa 10-12 mq), di pelli ed
interiora di cinghiali non configura il reato di cui all’art. 256, d. Lgs. 3
aprile 2006, n. 152. Affinché possa parlarsi di discarica abusiva, occorre che
sussistano alcuni requisiti e caratteristiche particolari, indicativi della
presenza di una vera e propria discarica, quali una condotta (più o meno
sistematica, ma comunque ripetuta nel tempo e non occasionale) di accumulo di
rifiuti su un'area, la destinazione dell'area a centro di raccolta dei rifiuti,
lo scarico ripetuto di essi, il degrado (anche solo tendenziale) dell'area
stessa, consistente nell'alterazione permanente dello stato dei luoghi, una
consistente quantità di rifiuti depositati abusivamente, la definitività del
loro abbandono (Cass. Sez. III, 8/11/2006, Munafò; Cass. Sez. III, 14/04/2005,
Colli; Cass. Sez. V, 14/01/2005, Spagnolo; Cass. Sez. III, 12/07/2004, Tomasoni;
Cass. Sez. III, 12/05/2004, Micheletti; Cass. Sez. III, 10/1/2002, Garzia).
Pertanto, per la configurabilità del più grave reato di realizzazione di una
discarica senza autorizzazione occorre l'allestimento di un'area con
l'effettuazione di opere, quali spianamento del terreno, apertura di accessi,
sistemazione, perimetrazione o recinzione, mentre per la configurabilità della
diversa ipotesi di gestione di una discarica non autorizzata occorre che
sussista una organizzazione, anche se rudimentale, di persone e cose diretta al
funzionamento della medesima (Cass. Sez. F., 2.8.2007, n. 33252, Setzu; Cass.
Sez. III, 2/7/2004, Pastorino; Cass. Sez. III, 11.4.1997, n. 4013, Vasco).
(annulla con rinvio al tribunale di Bologna ordinanza del 15/02/2010 dal
tribunale del riesame di Bologna) Pres. Ferrua, Est. Franco, Ric. Bichicchi.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 30/11/2010 (Cc. 10/11/2010), Sentenza n.
42436
RIFIUTI - Scarti di origine animale - Disciplina applicabile - Art. 185, c.
1, lett. b), d. Lgs. n. 152/2006 (come sostituito dall'art. 2, c. 22, del d. Lgs.
n. 4/2008 - Norme sanitarie - Reg. (CE) 3/10/2002, n. 1774. In tema di
gestione dei rifiuti, anche dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. 16 gennaio
2008, n. 4, al testo originario dell'art. 185, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile
2006, n. 152 agli scarti di origine animale rientrano nel campo d'applicazione
della disciplina dei rifiuti, salvo che siano classificabili come sottoprodotti
del processo di macellazione, destinati al riutilizzo senza trasformazioni
preliminari e senza pregiudizio dell'ambiente, dovendosi applicare, in
quest'ultimo caso, le norme sanitarie relative ai sottoprodotti d'origine
animale non destinati al consumo umano di cui al Reg. (CE) 3 ottobre 2002, n.
1774. (Cass. Sez. III, 4.11.2008, n. 45057, Cinefra; Cass. Sez. III, 26.1.2007,
n. 45057, n. 21676, Zanchin; Cass. Sez. III, 5.2.2009, n. 12844, De Angelis).
(annulla con rinvio al tribunale di Bologna ordinanza del 15/02/2010 dal
tribunale del riesame di Bologna) Pres. Ferrua, Est. Franco, Ric. Bichicchi.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 30/11/2010 (Cc. 10/11/2010), Sentenza n.
42436
DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Sequestro preventivo - Applicazione -
Presupposti. Il sequestro preventivo, in quanto misura che incide su un
diritto costituzionalmente tutelato, è necessario che sia disposto solo in vista
di un periculum concreto ed attuale, valutato, cioè in riferimento alla
situazione esistente al momento della adozione del provvedimento di cautela e
non già in una prospettiva astratta ed incerta, nell'an e nel quando, di un
evento futuro. (annulla con rinvio al tribunale di Bologna ordinanza del
15/02/2010 dal tribunale del riesame di Bologna) Pres. Ferrua, Est. Franco, Ric.
Bichicchi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 30/11/2010 (Cc. 10/11/2010),
Sentenza n. 42436
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UDIENZA del 21.10.2010
SENTENZA N.1333
REG. GENERALE N. 9871/2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.:
1. Dott.ssa Giuliana Ferrua
Presidente
2. Dott. Alfredo Teresi
Consigliere
3. Dott. Amedeo Franco
Consigliere - Est.
4. Dott. Silvio Amoresano
Consigliere
5. Dott. Giulio Sarno
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da Bi. Lu. e Si. At.;
- avverso l'ordinanza emessa il 15 febbraio 2010 dal tribunale del riesame di
Bologna;
- udita nella udienza in camera di consiglio del 21 ottobre 2010 la relazione
fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
- udito il Pubblico Ministero in persona Sostituto Procuratore Generale dott.ssa
Ma. Gi. Fo., che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
- udito il difensore avv. Maria Antonietta Lamazza in sostituzione dell'avv.
Antonino Spinzo;
Svolgimento del processo
Il Gip del tribunale di Bologna con provvedimento 22.1.2010 respinse la
richiesta di convalida di un sequestro preventivo operato d'urgenza dalla PG di
una porzione di terreno di circa 12 mq, in riferimento al reato di cui all'art.
256, comma 2, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, contestato a Bi. Lu., quale
caposquadra di una squadra di cacciatori di cinghiali, ed a Si. At.,
comproprietario del terreno, per avere realizzato e gestito una discarica
abusiva non autorizzata nella quale erano state immesse pelli ed interiora di
cinghiali.
Il Gip ritenne che non era possibile configurare una discarica in considerazione
delle dimensioni dell'area di accumulo e della inesistenza di un degrado della
zona.
A seguito di appello del PM, il tribunale del riesame di Bologna, con
l'ordinanza in epigrafe, dichiarata provvisoriamente esecutiva, dispose il
sequestro preventivo del terreno.
Gli indagati propongono ricorso per cassazione deducendo:
1) insussistenza del fumus del reato contestato e violazione di legge
perché la speciale tipologia dei materiali interrati (pelli, viscere e scarti di
macellazione di cinghiali) non può essere qualificata come rifiuto e ad essa, in
forza dell'art. 185 d. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non si applica il testo unico
ambientale ma la normativa speciale in tema di carogne di animali.
2) insussistenza del fumus del reato contestato e violazione di legge
perché nella specie mancano i requisiti normativamente richiesti per potersi
parlare di una discarica, invece che di altre ipotesi (come abbandono o deposito
incontrollato di rifiuti).
3) violazione di legge per insussistenza delle esigenze cautelari e di un
pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato, attesa la natura
occasionale del deposito e per la già avvenuta chiusura della stagione di
caccia.
Motivi della decisione
Il primo motivo non può essere accolto. E' vero che l'art. 185, comma 1, lett.
b), del d. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come sostituito dall'art. 2, comma 22,
del d. Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) dispone che non rientrano nel campo di
applicazione delle disposizioni del decreto stesso in tema di rifiuti «in quanto
regolati da altre disposizioni normative che assicurano tutela ambientale e
sanitaria ... le carogne». Tuttavia il Collegio ritiene di dover seguire
l'orientamento giurisprudenziale secondo cui «In tema di rifiuti, anche a
seguito delle modifiche introdotte dall'art. 22 D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 al
testo originario dell'art. 185, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 agli
scarti di origine animale si applica la disciplina in materia di rifiuti nei
casi in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento,
mentre si applica la disciplina del Reg. CE 3 ottobre 2002, n. 1774 solo se gli
stessi sono qualificabili come sottoprodotti ai sensi dell'art. 183, comma
primo, lett. n) D.Lgs. n. 152 del 2006. (In motivazione la Corte ha precisato
che l'esclusione del principio di specialità tra le due discipline trova
riscontro anche nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19
novembre 2008, n. 2008/98/CE)» (Sez. III, 5.2.2009, n. 12844, De Angelis, m.
243114); e «In tema di gestione dei rifiuti, anche dopo le modifiche introdotte
dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, le carogne rientrano nel campo d'applicazione
della disciplina dei rifiuti, salvo che siano classificabili come sottoprodotti
del processo di macellazione, destinati al riutilizzo senza trasformazioni
preliminari e senza pregiudizio dell'ambiente, dovendosi applicare, in
quest'ultimo caso, le norme sanitarie relative ai sottoprodotti d'origine
animale non destinati al consumo umano di cui al Reg. (CE) 3 ottobre 2002, n.
1774» (Sez. III, 4.11.2008, n. 45057, Cinefra, m. 242277; Sez. III, 26.1.2007,
n. 45057, n. 21676, Zanchin, m. 23603). Nella specie si tratta appunto di scarti
di animali che pacificamente erano destinati non al riutilizzo bensì allo
smaltimento.
E' invece fondato il secondo motivo perché effettivamente l'ordinanza impugnata
si è basata su una erronea nozione di discarica abusiva. Infatti, secondo la
giurisprudenza di questa Suprema Corte, affinché possa parlarsi di discarica
abusiva, occorre che sussistano alcuni requisiti e caratteristiche particolari,
indicativi della presenza di una vera e propria discarica, quali una condotta
(più o meno sistematica, ma comunque ripetuta nel tempo e non occasionale) di
accumulo di rifiuti su un'area, la destinazione dell'area a centro di raccolta
dei rifiuti, lo scarico ripetuto di essi, il degrado (anche solo tendenziale)
dell'area stessa, consistente nell'alterazione permanente dello stato dei
luoghi, una consistente quantità di rifiuti depositati abusivamente, la
definitività del loro abbandono (Sez. III, 8 novembre 2006, Munafò, in una
fattispecie del tutto analoga alla presente; Sez. III, 14 aprile 2005, Colli, m.
231.529; Sez. V, 14 gennaio 2005, Spagnolo, m. 231.704; Sez. III, 12 luglio
2004, Tomasoni, m. 229.484; Sez. III, 12 maggio 2004, Micheletti, m. 229.062;
Sez. III, 10 gennaio 2002, Garzia, m. 221.166).
Inoltre, tenuto anche conto delle rilevanti differenze fra le sanzioni e gli
altri effetti giuridici previsti per l'ipotesi di cui al comma 3 dell'art. 256
d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e quelli previsti dai precedenti commi 1 e 2, la
giurisprudenza ha anche sottolineato che, in particolare, per potersi
configurare il più grave reato di realizzazione di una discarica senza
autorizzazione occorre l'allestimento di un'area con l'effettuazione di opere,
quali spianamento del terreno, apertura di accessi, sistemazione, perimetrazione
o recinzione, mentre per potersi configurare la diversa ipotesi di gestione di
una discarica non autorizzata occorre che sussista una organizzazione, anche se
rudimentale, di persone e cose diretta al funzionamento della medesima (Sez. F.,
2.8.2007, n. 33252, Setzu, m. 237582; Sez. III, 2 luglio 2004, Pastorino, m.
229.624; Sez. III, 11.4.1997, n. 4013, Vasco, m. 207613).
Ora, nel caso in esame, dalla ordinanza impugnata non risulta in alcun modo la
presenza di elementi tali per cui possa ritenersi integrata la fattispecie di
realizzazione di una discarica in mancanza di autorizzazione (allestimento di
un'area con l'effettuazione di opere, quali spianamento del terreno, apertura di
accessi, sistemazione, perimetrazione o recinzione) o la fattispecie di gestione
di una discarica non autorizzata (esistenza di una organizzazione, anche se
rudimentale, di persone e cose diretta al suo funzionamento).
Inoltre, come esattamente aveva rilevato il Gip nella sua ordinanza, bisognava
tener conto delle ridotte dimensioni dell'area di accumulo (10-12 mq), che
invece il tribunale del riesame ha ignorato omettendo di spiegare come le
suddette caratteristiche essenziali per la configurabilità del reato di cui al
terzo comma dell'art. 256 cit. potessero ravvisarsi in relazione alla detta
area.
Nella ordinanza impugnata, quindi, manca o è meramente apparente la motivazione
sulla esistenza del fumus del reato di cui all'art. 256, comma 3, d. lgs.
3 aprile 2006, n. 152, non avendo tenuto conto il tribunale del riesame degli
elementi occorrenti per potersi parlare di realizzazione o di gestione di una
discarica senza autorizzazione.
La esatta qualificazione giuridica del fatto rileva anche ai fini della
applicabilità della misura cautelare, dal momento che l'ordinanza impugnata ha
ravvisato il periculum in mora anche nel fatto che il sequestro
preventivo era finalizzato alla futura confisca del terreno, confisca che è
possibile soltanto qualora sia appunto configurabile il reato di cui al comma 3
dell'art. 256, e non anche qualora fosse invece configurabile uno dei reati di
cui ai precedenti commi 1 o 2.
Quanto al periculum in mora, la motivazione è quindi mancante circa
l'ipotesi di sequestro finalizzato alla confisca di cui all'art. 321, comma 2,
cod. proc. pen..
Ma la motivazione è anche meramente apparente in relazione al pericolo di
reiterazione del reato. Secondo la giurisprudenza, invero, è necessario che il
sequestro preventivo, in quanto misura che incide su un diritto
costituzionalmente tutelato, sia disposto solo in vista di un periculum
concreto ed attuale, valutato, cioè in riferimento alla situazione esistente al
momento della adozione del provvedimento di cautela e non già in una prospettiva
astratta ed incerta, nell'an e nel quando, di un evento futuro. Nel caso
di specie è pacifico che la stagione venatoria (durante la quale era stata
tenuta la condotta contestata) si era ormai chiusa e che era cessata quindi
l'attività venatoria e quella di interramento da parte del gruppo di cinghialai
in questione. Il tribunale del riesame non ha spiegato adeguatamente le ragioni
per le quali si doveva ritenere che vi fosse un pericolo concreto che il sito in
questione sarebbe stato usato di nuovo anche nella successiva stagione venatoria
ed anche nell'ipotesi di assegnazione della zona ad una diversa squadra e
comunque il pericolo che il proprietario del terreno Si. avrebbe di nuovo
acconsentito dietro compenso all'utilizzazione del suo terreno per
l'interramento degli scarti animali nonostante l'avvenuta sottoposizione a
procedimento penale e il rischio di subire la confisca del bene.
In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata sia per erronea
interpretazione dell'art. 256, comma 3, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sia per
mancanza o mera apparenza della motivazione, con rinvio al tribunale di Bologna
per nuovo giudizio,
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Bologna.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 21 ottobre
2010.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 30 Nov. 2010
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