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CORTE
DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 18/01/2010 (Ud. 17/12/2009), Sentenza n. 659
RIFIUTI - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Illecito amministrativo - Responsabilità
dell'azienda e dell'amministratore con delega alla gestione dell'impianto -
Principio societas delinquere non potest - Enti collettivi dotati
o non di personalità giuridica - Obbligazione solidale al pagamento della
sanzione con le persone fisiche, autrici della violazione - Rifiuti pericolosi e
sanzioni amministrative - Art. 6 c. 3 L. n. 689/81 - artt. 12/1 e 52/2 D.lgs.
22/97 e succ. mod.. E’ correttamente applicato l'art. 6 co. 3 della L. n.
689/81, che in aderenza al principio societas delinquere non potest
prevede che in caso di illecito amministrativo riferibili ad attività di enti
collettivi, dotati o non di personalità giuridica, gli stessi sono solo
obbligati in solido al pagamento della sanzione con le persone fisiche, autrici
della violazione. Di quest'ultima rispondono, a titolo personale, non solo
coloro che materialmente abbiano posto in essere l'attività vietata o omesso
quella imposta dalla legge, ma anche quei soggetti organicamente rappresentanti
l'ente, ai quali, in ragione del relativo ordinamento interno fa capo lo
specifico settore cui é riferibile l'attività, nel cui ambito si è verificata
l'azione o omissione illecita. Fattispecie: violazione degli artt. 12/1 e 52/2
D.lgs. 22/97 e succ. mod., per aver effettuato attività di trasporto di rifiuti
pericolosi, costituiti da liquidi nocivi provenienti da macchine automatiche per
lo sviluppo fotografico senza aver tenuto il prescritto registro di carico e
scarico. Pres. Elefante, Est. Piccialli, Ric. Folgori ed altri. CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 18/01/2010 (Ud. 17/12/2009), Sentenza n. 659
RIFIUTI - Liquidi provenienti da macchine automatiche per lo sviluppo
fotografico - Rifiuti speciali - Reimpiego - Presupposti e limiti - Codice CER
(Catalogo Europeo dei Rifiuti) - Soluzioni di sviluppo e attivanti a base
acquosa (cod. CER 090101), di fissaggio (cod. CER 09104), di lavaggio e di
lavaggio del fissatore (cod. CER 090105) - D.l,gs n. 22/97 e s.m.. Rientrano
tra i rifiuti pericolosi, i liquidi provenienti da macchine automatiche per lo
sviluppo fotografico estratti dai dispositivi nelle quali hanno assolto per i
periodi di tempo programmati la loro precipua funzione, perdendo o trasformando
la loro naturale ed originaria composizione. Nella specie, i liquidi in
questione ritenuti esausti, quand'anche trasportati altrove in vista di esami
sperimentali, costituiscono già rifiuti pericolosi e il dedotto riciclaggio
degli stessi, presso la sede centrale dello stabilimento dell'impresa
produttrice, costituisce solo un'eventuale reimpiego lecitamente realizzabile
soltanto dall'impresa produttrice, rappresentando solo un'eventuale reimpiego
lecitamente realizzabile unicamente secondo le rigorose prescrizioni di cui al
D.l,gs n. 22/97 e s.m. (in particolare v. art. 33, co.2 lett. b). Tale
possibilità, comunque, non può giustificare l'inosservanza dell'obbligo della
registrazione, atteso che la mera eventualità di riutilizzazione economica,
mediante operazioni di recupero, della sostanza di cui il detentore abbia
l'obbligo di disfarsi (al riguardo derivante dall'inclusione nell'elenco dei
rifiuti pericolosi di cui all'allegato D), D. L.gs n. 22/97 e s.m.) non vale ad
escludere la stessa dal novero dei rifiuti (Cass. pen. Sez. 3° n.2125/03). Pres.
Elefante, Est. Piccialli, Ric. Folgori ed altri. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE,
Sez. II, 18/01/2010 (Ud. 17/12/2009), Sentenza n. 659
RIFIUTI - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Illeciti amministrativi- Applicazione -
Deroghe in materia di rifiuti - Esclusione - Art. 1 c.2, L. n. 689/1981. Gli
illeciti amministrativi derivante dell'art. 1 della Legge 24.11.1981 n. 689, in
particolare dal comma 2, a termini del quale "le leggi che prevedono sanzioni
amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati"
(Cass. n. 14959/09, 144771/05, 16422/05, 18212/03, 12654/03 ,6232/99), avendo
portata generale e non oggetto di particolari deroghe in materia di rifiuti.
Pres. Elefante, Est. Piccialli, Ric. Folgori ed altri. CORTE DI CASSAZIONE
CIVILE, Sez. II, 18/01/2010 (Ud. 17/12/2009), Sentenza n. 659
RIFIUTI - Rifiuti "tossici e nocivi" (Nuova disciplina “pericolosi”) -
Equiparazione - Annotazione nei registri di carico e scarico - Disciplina
previgente, transitoria e vigente - Obbligo della tenuta dei registri - Art.19
D.P.R.10.9.82 n.915 - Artt.57/1 u.p., 52 co. 2, D. L.gs n. 22/97 e s.m.. Nel
vigore della previgente normativa, art.19 D.P.R.10.9.82 n.915, (l'annotazione
nei registri di carico e scarico dei rifiuti "tossici e nocivi", corrispondenti,
secondo l'equiparazione contenuta nell'art.57/1 u.p. D. lgs. n. 22/97, a quelli
"pericolosi" di cui alla nuova disciplina), all'atto dell'entrata in efficacia
del Dlgs. n. 22/97, che all'art. 12, prevedendo con carattere di generalità
l'obbligo della tenuta dei registri dei rifiuti, lo ha convalidato nella parte
relativa a quelli pericolosi, sotto comminatoria di apposita sanzione (art. 52
co. 2, secondo periodo). Pres. Elefante, Est. Piccialli, Ric. Folgori ed altri.
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 18/01/2010 (Ud. 17/12/2009), Sentenza n.
659
RIFIUTI - DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Classificazione errata - Lapsus
omissivo del giudice - Effetti - Mutamento della contestazione - Esclusione -
Fondamento - Art.7 c. 1 e all. D) D. L.gs 22/97 e succ. mod.. Ai sensi
dell'art.7 co. 1 del D. L.gs 22/97 e succ. mod., i rifiuti sono classificati,
secondo l'origine, in due categorie, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e,
nell'ambito di quest'ultima, secondo le caratteristiche di pericolosità, in
rifiuti pericolosi e non pericolosi; sicché l'avere il giudice di merito, nella
parte finale della motivazione, incorrendo in un evidente lapsus
omissivo, definito "speciali" i rifiuti senza anche aggiungere che gli stessi
erano anche "pericolosi" non ha dato luogo ad alcun mutamento della
contestazione, tanto meno ove si consideri che nelle altre parti della sentenza
si precisa, con inequivocabile riferimento anche ai pertinenti codici
classificatori CER, di cui all'elenco all. D del D.L.gs. 22/97, che i rifiuti in
questione erano "pericolosi". Pres. Elefante, Est. Piccialli, Ric. Folgori ed
altri. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 18/01/2010 (Ud. 17/12/2009),
Sentenza n. 659
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UDIENZA P. del 17/12/2009
SENTENZA N. 659
REG. GENERALE N. 500/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. II Civile
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANTONINO ELEFANTE Pres.
Dott. ALFREDO MENSITIERI Cons.
Dott. ENNIO MALZO
Cons.
Dott. LUIGI PICCIALLI
Cons.
Dott. EMILIO MIGLIUCCI
Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 500-2005 proposto da:
FOLGORI ROBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE n.5, presso 10
studio dell' avvocato GIAMPIETRO PASQUALE, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
2009 PROVINCIA LA SPEZIA, in persona dei legale rappresentante e Presidente pro
tempore GIUSEPPE RICCIARDI, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato BARBIERI
PIERO LUIGI;
- controricorrente -
- avverso la sentenza n. 429/2003 del TRIBUNALE di LA SPEZIA, depositata il.
16/02/2004;
- udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dal 17/12/2009
dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;
- udite il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIERFELICE
PRATIS che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di La Spezia ex art. 22 L. n. 689/81, depositato l'11.11.00, Roberto Folgori si oppose all'ordinanza - ingiunzione n. 16256, per il
pagamento della sanzione amministrativa di £ 30.000.000, emessa il 3.7.00 dalla
Provincia di quella città a suo carico, in quanto "amministratore delegato"
della società Dedem Automatica s.r.l., per la violazione di cui agli artt. 12/1
e 52/2 D.lgs. 22/97,per aver effettuato attività di trasporto di rifiuti
pericolosi, costituiti da liquidi nocivi provenienti da macchine automatiche per
lo sviluppo fotografico gestite nei territori di La Spezia e Sarzana, senza aver
tenuto il prescritto registro di carico e scarico, come accertato con verbale
della Polizia Provinciale n. 641 del 14.5.97. L'opponente dedusse la propria
estraneità alla violazione, non essendo legale rappresentante, ne coobbligato
solidale della società suddetta, e l'inconfigurabilità degli estremi del
contestato illecito, perché il materiale trasportato, facendo ancora parte del
ciclo di produzione, non era classificabile quale rifiuto, con conseguente
insussistenza dell'obbligo del registro, comunque ed in subordine non ancora in
vigore, per mancata emanazione delle norme regolamentari esecutive. La Provincia
si costituì e resistette puntualmente all'opposizione che venne respinta dal
giudice del Tribunale adito con sentenza del 14.4.03 ,pubblicata il 16.2.04.
Osservò, anzitutto, il giudicante, che il Folgori, sebbene non legale
rappresentante della società produttrice dei rifiuti, era personalmente tenuto a
rispondere dell'illecito quale "autore materiale" dello stesso, poiché all'epoca
dei fatti era il consigliere di amministrazione "statutariamente delegato alla
gestione delle apparecchiature automatiche in oggetto"; quanto alle sostanze in
questione, provenienti dall'uso delle apparecchiature fotografiche automatiche e
non più commerciabili, erano da considerarsi oggettivamente destinate
all'abbandono e, pertanto, rifiuti, ai sensi sia della previgente normativa di
cui al D.P.R. 915/82, sia di quella contenuta nel D.lgs.22/97, già in vigore
all'epoca del fatto ed applicabile senza moratoria, che li classificava con i
codici CER 090101,0901 04 e 09105 quali rifiuti speciali.
Avverso tale sentenza il Folgori ha proposto ricorso per cassazione affidato a
sei motivi.
Ha resistito la Provincia di La Spezia con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte violazione e falsa, applicazione
degli artt. 3,1° comma e 6, L. 24 novembre 1981 n. 689; artt. 11, 12, 52,comma
2, d.lgs 5 febbraio 1977 n.22.
Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia".
Le censure attengono alla qualità in cui al Folgori venne contestata la
responsabilità per l'illecito, al riguardo deducendosi la contraddittorietà
della decisione, per avere, da un lato, fatto riferimento ai sensi dell'art. 6
L. 689/81, a quella di proprietaria degli apparecchi fotoautomatici producenti i
rifiuti pericolosi attribuita alla società Dedem, funzionalmente rappresentata
dal suo amministratore delegato Roberto Folgori, e, dall'altro ritenuto
quest'ultimo "autore materiale" dell'illecito.
Si premette che la vicenda aveva tratto origine da una verifica a carico tale
Albani, trovato in possesso di tre fusti per la raccolta ed il trasporto dei
liquidi nocivi, il quale aveva riferito che le sostanze destinate ad esservi
contenute provenivamo da macchine di proprietà della Dedem la cui manutenzione
era affidata a tale Riccardo Rizzi (a sua volta anche sanzionato, oltre
all'Albani, cosi come anche tale Massimo Giannini, responsabile di zona della
società) e che la responsabilità per il ravvisato illecito all'odierno
ricorrente era stata iscritta esclusivamente in base al principio di solidarietà
di cui all'art. 6 citato, in ragione della proprietà degli apparecchi
appartenente alla società suddetta; si contesta, pertanto, che il Folgori
potesse essere qualificato, come ritenuto dalla Provincia e confermato dal
tribunale, autore dell'illecito, evidenziandosi che tale qualità competeva solo
all'Albani, autore materiale del trasporto, o, tutt' al più al Giannini, unico
soggetto direttamente responsabile della condotta missiva. Sotto diverso profilo
si richiamano, deducendone l'omessa o insufficiente valutazione le risultanze
del prodotto verbale del consiglio d'amministrazione della Dedem, dalle quale si
desumerebbe che la delega al Folgori riguarderebbe solo la gestione legale delle
installazioni degli impianti e non anche quella tecnica, riservata ad altri
organi sociali o rimessa a ditte esterne. In ultima analisi si deduce che nella
specie avrebbe, comunque, fatto difetto l'elemento soggettivo dell'illecito
contestato, nella specie indebitamente presunto, in un contesto nel quale la
complessa articolazione della società proprietaria, la molteplicità degli
impianti sparsi sul territorio nazionale; e la presenza di apposite ditte
incaricate del ritiro dei liquidi di sviluppo e fissaggio rendevano
improponibile l'accentramento di ogni responsabilità in capo all'odierno
ricorrente.
Il motivo ò infondato sotto tutti i profili dedotti.
L'amministrazione opposta ed il giudice di merito hanno correttamente applicato
l'art. 6 co.3 della L.689/81, che in aderenza al principio societas
delinquere non potest prevede che in caso di illecito amministrativo
riferibili ad attività di enti collettivi, dotati o non di personalità
giuridica, gli stessi sono solo obbligati in solido al pagamento della sanzione
con le persone fisiche, autrici della violazione. Di quest'ultima rispondono, a
titolo personale, non solo coloro che materialmente abbiano posto in essere
l'attività vietata o omesso quella imposta dalla legge, ma anche quei soggetti
organicamente rappresentanti l'ente, ai quali, in ragione del relativo
ordinamento interno fa capo lo specifico settore cui é riferibile l'attività,
nel cui ambito si è verificata l'azione o omissione illecita. Nel caso di
specie, dunque, nessuna contraddizione può rilevarsi nella motivazione della
sentenza impugnata, che ha ritenuto di individuare nel Folgori, sulla base di
accertamento di fatto documentale adeguatamente motivato, la persona fisica
funzionalmente preposta, in quanto amministratore specificamente delegato a
quella branca di attività, la gestione delle cabine fotografiche appartenenti
alla società Dedem, mentre il richiamo all'art. 6 della legge citata è valso
solo ad evidenziare il rapporto solidale tra il medesimo, le altre persone
fisiche ritenute anche responsabili a diverso titolo dell'illecito ed, ancora la
società suddetta, coobbligata in solido, quale ente di appartenenza dell'autore
della violazione e proprietaria delle strutture da cui provenivano i rifiuti.
Né merita accoglimento il profilo di censura, palesemente in fatto, secondo cui
il giudicante sarebbe incorso in erronea o incompleta lettura del verbale del
consiglio di amministrazione della società proprietaria delle apparecchiature,
non avvedendosi che la delega avrebbe riguardato solo le attività "legali”
relative alla suddetta gestione, considerato che non si precisa quali diversi
organi, amministrativi o tecnici, della società avrebbero dovuto rispondere
dell'omissione e che,peraltro, nell'ambito dei compiti di una corretta gestione
"legale" del settore deve ritenersi rientrare anche quello di curare che
l'attività in questione si svolga nel rispetto delle norme segnatamente di
quelle di tutela ambientale, che la regolano, impartendo adeguate direttive al
riguardo agli organi periferici, esecutivi e tecnici. Tale omissione, non
essendo stata addotta alcuna prova liberatoria al riguardo, né potendo valere la
giustificazione che la manutenzione delle apparecchiatura fosse stata delegata a
ditte esterne, non essendo siffatta responsabilità (facente capo, tra gli altri
ed ai sensi degli artt. 11. co. 3 e 12 D.lgs 22/92, alle imprese che producono
rifiuti) delegabile ad altri soggetti, integra gli estremi della colpa, con
conseguente infondatezza anche del profilo di censura riferito all'art. 3 L.
689/81.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e
52 co. 2 D.lgs.22/97, motivazione erronea ed omissiva sulla natura del rifiuto,
qualificato dal giudice "speciale", mentre in realtà si era trattato di un
"rifiuto pericoloso", comportante l'applicazione di una sanzione da 30 a 50
milioni di lire, mentre quella per i rifiuti speciali era compresa tra 5 e 30
milioni di lire. Nella specie dagli atti del contesto e dal menzionato codice
CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti), di cui all'allegato D del citato decreto
legislativo, si desumeva la classificazione del rifiuto quale pericoloso, in
considerazione della quale, tenuto peraltro conto della modesta obiettiva
gravità dell'illecito, la sanzione era stata irrogata nella misura del minimo
edittale.
Il motivo non merita accoglimento, considerato che ai sensi dell'art.7 co. 1 del
Dlgs. 22/97, i rifiuti sono classificati, secondo l'origine, in due categorie,
in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, nell'ambito di quest'ultima, secondo le
caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e non pericolosi; sicché
l'avere il giudice di merito, nella parte finale della motivazione, incorrendo
in un evidente lapsus omissivo, definito "speciali" i rifiuti in
questione, senza anche aggiungere che gli stessi erano anche "pericolosi" non ha
dato luogo ad alcun mutamento della contestazione, tanto meno ove si consideri
che nelle altre parti della sentenza si precisa, con inequivocabile riferimento
anche ai pertinenti codici classificatori CER, di cui all'elenco all. D del
D.L.gs. 22/97, che i rifiuti in questione erano "pericolosi"(v. pag. 4 u.
periodo) .
Con il terzo motivo si deduce
violazione degli artt. 12 e 57 D. L.gs n. 22/97, con connessa carenza e
contraddittorietà di motivazione, per non aver considerato che, non essendo i
rifiuti speciali soggetti a registrazione, come invece quelli pericolosi, secondo
la disciplina previgente, la cui transitoria applicazione era prevista dall'art.
57 sopra citato fino all'entrata in vigore dei decreti ministeriali attuativi in
materia di trasporto e smaltimento dei rifiuti, in difetto dell'emanazione di
tali provvedimenti regolamentari, che avrebbero dovuto concretamente disciplinare
la tenuta dei registri di carico e scarico, tale l'obbligo non sarebbe stato nel
caso di specie ancora attuale.
La reiezione di tale motivo è conseguente a quella del precedente, al riguardo
del quale si è avuto modo di evidenziare come, al di là dell'improprietà
terminologica figurante nell'ultima parte della motivazione, la sentenza
impugnata abbia tenuto concretamete conto della natura pericolosa dei rifiuti
in questione.
Conseguentemente, essendo già prevista, come nello stesso ricorso si ammette, anche nel vigore della previgente normativa, (v.art.19 D.P.R.10.9.82 n.915), l'annotazione nei registri di carico e scarico dei rifiuti "tossici e nocivi" (corrispondenti, secondo l'equiparazione contenuta nell'art.57/1 u.p. D. lgs. n. 22/97, a quelli "pericolosi" di cui alla nuova disciplina), deve concludersi che, all'atto dell'entrata in vigore del Dlgs. n. 22/97, che all'art. 12, prevedendo con carattere di generalità l'obbligo della tenuta dei registri dei rifiuti, lo ha confermato nella parte relativa a quelli pericolosi, sotto comminatoria di apposita sanzione (art. 52 co. 2, secondo periodo), la nuova disciplina fosse, per quanto attiene a tali rifiuti immediatamente cogente, non necessitando di alcun provvedimento attuativo, continuando al riguardo ad applicarsi in via transitoria le precedenti "norme regolamentari e tecniche" (v. art. 57/1 p.p.).
Con il quarto motivo si deduce omessa, contraddittoria, insufficiente motivazione
su punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione degli artt.
2697 c.c. in rel. art. 23 co. 12 L. 689181, per aver presunto, senza alcun criterio
logico o probatorio, che i liquidi provenienti dalle cabine fotografiche avessero
perduto la loro funzione originaria e primaria, assumendo la qualità di rifiuti peraltro in contraddizione con l'ammissione di una lecita possibilità di
riutilizzo, secondo le
previsioni normative, per "sperimentazioni e test".
Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 6 D. lgs.
n.22/97, contestandosi la ritenuta natura di rifiuti delle sostanze in
questione, per difetto dei requisiti sia oggettivi, sia soggettivi, poiché nel caso
di specie i liquidi provenienti dalle cabine non sarebbero stati affatto
esauriti e non necessitavano di alcuna operazione di recupero, essendo raccolti e
trasportati ad uno stabilimento della società, sito in Ariccia, per la
sottoposizione, senza alcun trattamento preventivo, ad analisi e test in vista
della riutilizzazione; sicché non sussisteva alcuna intenzione di disfarsi di
tali sostanze, ancora idonee ad ulteriore utilizzazione nell'attività
industriale.
Con il sesto motivo si deduce violazione di legge per omessa applicazione dell'art.
14 della L. 178/02, contenente interpretazione autentica della nozione di rifiuto, disposizione
nazionale non in contrasto con la normativa europea e comunque cogente nel
diritto interno per la non diretta operatività di quelle, in supposto
contrasto, comunitarie, a termini della quale la possibilità di un riutilizzo nel
medesimo, in analogo o in diverso ciclo produttivo delle sostanze residuali di
produzione de quibus, senza sottoposizione ad alcun intervento preventivo di
trattamento, ne pregiudizio per l'ambiente, ne avrebbe escluso la natura di
rifiuto.
Neppure tali motivi, che per la stretta connessione possono essere esaminati
congiuntamente, meritano accoglimento.
E' incontroverso, in punto di fatto, che le sostanze in questione provenivano dalle
cabine fotografiche site nei territori di La Spezia e Sarzana appartenenti alla
società Dedem Automatica s.r.l. e che le stesse erano costituite da liquidi
usati in tali apparecchiature, oggetto di prelievo periodico, segnatamente da
"soluzioni di sviluppo e attivanti a base acquosa" (cod. CER 090101)," di
fissaggio" (cod. CER 09104)," di lavaggio e di lavaggio del fissatore" (cod. CER
090105).
Tale circostanza era più che sufficiente a far ritenere, sulla scorta di
presunzione logica e di nozioni di comune esperienza, che detti liquidi, proprio
perché estratti dalle macchine nelle quali avevano assolto per, i periodi di
tempo programmati, la loro precipua funzione, avessero perso la loro naturale ed
originaria composizione, in quanto utilizzati all'interno delle apparecchiature
per le operazioni fotografiche automatizzate. In siffatto contesto, consideralo
che la successiva riutilizzazione senza
subire trattamenti di sorta, in funzione ed all'esito dei non meglio precisati "tests"
sperimentali, costituisce una mera affermazione dell'opponente, non suffragata da
alcuna prova concreta, ma solo considerata, in via d'ipotesi, dal giudice di
merito, ai fini di dichiararne comunque l'irrilevanza, deve anzitutto escludersi
che la decisione impugnata sia incorsa in malgoverno dei principi regolanti
l'onere della prova, posto che gli elementi acquisiti, di fatto (il prelievo
periodico di tali sostanze dalle cabine fotografiche) e normativo (l'inclusione
delle relative sostanze nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui al catalogo europeo recepito dal D.lgs.
n.22/97), erano più che sufficienti a sorreggere la
presunzione che si trattasse di rifiuti, dei quali il detentore avrebbe dovuto
disfarsi, incombendo su costui l'onere di provare la circostanza, invero
eccezionale, che, nonostante l'uso protratto nel tempo tali sostanze fossero
ancora idonee ad essere utilizzate nel procedimento produttivo, senza dover
subire alcun trattamento. Ed, a tal ultimo proposito, la stessa giustificazione
secondo la quale detti liquidi avrebbero dovuto essere sottoposti a "tests" e
"sperimentazioni", a centinaia di chilometri di distanza dai luoghi di produzione
e prelievo, conferma come la relativa riutilizzazione non meglio precisata e
comunque indimostrata, sulla quale essenzialmente si basa l'impostazione
difensiva del ricorso, costituisse sole un'ipotesi, subordinata all'esito degli
esami cui le sostanze avrebbero dovuto essere sottoposte, tale da escludere, in
concreto e per parte delle stesse non preventivamente valutabile, quella perdita
dell'originaria idoneità all'ulteriore uso nell'attività industriale derivante
dal già avvenuto sfruttamento, in considerazione della quale le medesime, salve
le eccezionali ipotesi di "ripescaggio",non avrebbero potuto che essere
considerate "rifiuti", perché delle stesse la detentrice avrebbe dovuto disfarsi, avendone
addirittura, in ragione della pericolosità, l'obbligo, cosi integrandosi
pienamente le condizioni di cui all'art. 6 del D.lgs. n. 22/97.
Non ha errato, pertanto, il giudice di merito a ritenere che nel caso di specie
liquidi in questione, da ritenersi esausti, se non altro perché prelevati dalle
apparecchiature in cui erano stati utilizzati per la prevista durata quand'anche
trasportati altrove in vista di esami sperimentali, costituissero già rifiuti
pericolosi e che il dedotto riciclaggio degli stessi, presso la sede centrale
dello stabilimento dell'impresa produttrice, costituisse solo un'eventuale
reimpiego lecitamente realizzabile soltanto
dell'impresa produttrice, costituisce solo un'eventuale reimpiego lecitamente
realizzabile soltanto secondo le rigorose prescrizioni di cui al D.l,gs n. 22/97
(in particolare v. art. 33, co.2 lett. b).
Tale possibilità, infatti, non poteva giustificare l'inosservanza dell'obbligo
della registrazione, atteso che la mera eventualità di riutilizzazione
economica, mediante operazioni di recupero, della sostanza di cui il detentore
abbia l'obbligo di disfarsi (al riguardo derivante dall'inclusione nell'elenco
dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D già citato) non vale ad escludere
la stessa dal novero dei rifiuti (in tal senso v. Cass. 3^ pen. n.2125/03).
Deve infine escludersi l'incidenza nella vicenda della discussa disposizione di
cui all'art. 14 del D.L. 8.7.02 n. 138, convertito nella legge 8.8.02, di
"interpretazione autentica" della nozione di rifiuti contenuta nell'art. 6 lett.
a) del D. lgs 22/97, non solo perché l'assunto (e non dimostrata) attività di
reimpiego delle sostanze in questione non si sarebbe svolta, secondo quanto
dedotto dall'odierno ricorrente, nell'ambito del luogo di produzione delle stesse
(come al riguardo richiesto da Cass. Sez. 1° civ., n.
1556/06, sulla base della condivisibile esigenza che non vi sarebbe altrimenti
certezza che il materiale venga nuovamente immesso nel medesimo ciclo
produttivo), ma anche e soprattutto sul, più radicale, rilievo
dell'irretroattività, ai fini della responsabilità per l'illecito amministrativo, della norma suddetta. Questa, al di là della sua nominale intestazione, si é
risolta, in realtà, in una vera e propria modifica innovativa dell'originaria
nozione di rifiuto, adottata dal decreto legislativo del 1997 che aveva al
riguardo dato puntuale applicazione alla corrispondente definizione fornita
dall'art. 1 della Direttiva comunitaria 91/156/CEE, introducendo una nuova e meno
rigorosa nozione di rifiuto, segnatamente nell'ammettere le possibilità di
riutilizzazione e recupero, a determinate condizioni non solo nel medesimo ciclo
produttivo, come in precedenza, ma anche in analoghi o diversi.
Sulla portata, sostanzialmente innovativa della norma in questione, che ha dato
luogo ad una nutrita serie di questioni di legittimità, comunitaria (esitate
nella sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in data 11.11.04, nel senso dell'illegittimità della nuova definizione nazionale) e
costituzionale (non decise dalla Corte Costituzionale, in considerazione della, poi
sopravvenuta, nuova disciplina contenuta nel D.lgs n. 152 del 2006, v. ord. n.
458/06,126/07), la giurisprudenza penale di
legittimità non ha mai dubitato, consolidandosi, dopo iniziali contrasti (sulla
non applicabilità dell'art. 14 citato v. Cass.3° pen. n.2125/03), nel senso
della natura vincolante della nuova disciplina statale, nonostante la deroga
apportata alla sopra citata direttiva comunitaria europea nell'art. 6 del D.lgs
22/97, per mancanza del carattere di autoapplicatività diretta (c.d. "self executing") nella fonte comunitaria anzidetta (in tal senso v. Cass. 3 pen. n.
4502/03, 17656/03, 4702/05,1414/06, che ha ritenuto non manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 11 e 117
Cost., ed infine 41839/08).
Il dato comune su cui tutte le suesposte pronunzie convergono, sia pur traendone
conclusioni non uniformi, e dunque il carattere innovativo della disposizione di
cui all'art. 12 della legge del 2002, derogatorio rispetto al previgente art. 6
del decreto legislativo del 1997 (e della corrispondente disposizione
comunitaria da quest'ultimo attuata) in tema di definizione dei rifiuti.
Ed, a tal riguardo, questo collegio condivide tale convincimento, considerato che i
margini concessi dal legislatore del 2002 alle imprese per il recupero delle
sostanze di risulta dai procedimenti di produzione, soprattutto allargandone le
possibilità negli analoghi e, addirittura, diversi cicli produttivi, risultano
palesemente più ampi rispetto a quelli, molto più rigorosi, previsti in
precedenza.
Ne consegue che in base al principio dell'irretroattività delle norme,
diversamente regolanti, ancorché in termini più favorevoli, gli illeciti
amministrativi, rispetto a quelle vigenti all'epoca della relativa
consumazione, derivante dell'art. 1 della Legge 24.11.1981 n. 689, in particolare
dal comma 2, a termini del quale "le leggi che prevedono sanzioni amministrative
si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati" (al riguardo
v., tra le tante, Cass. n. 14959/09, 144771/05, 16422/05,
18212/03, 12654/03 ,6232/99), avente portata generale e non oggetto di particolari
deroghe in materia di rifiuti, la responsabilità dell'odierno ricorrente, relativa
ad un fatto commesso nel maggio del 1997, nel vigore dell'originario testo di
cui D.lgs. 5.2.97 n. 22, deve essere valutata soltanto alla stregua delle
disposizioni in quello contenute, segnatamente dell'art. 6 sulla nozione di
rifiuto, risultando insensibile alle relative modificazioni, al riguardo
apportate dall'art. 14 del D.L. n. 138, convertito
nella L. n. 178 del 2002.
Il ricorso va, conclusivamente, respinto.
Sussistono tuttavia giusti motivi, in considerazione della complessità delle
questioni affrontate e della non univocità degli indirizzi dottrinali e
giurisprudenziali in materia, all'epoca dei fatti e del giudizio di merito per
dichiarare interamente compensate le spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le
spese dei presente giudizio.
Così deciso in Roma il 17 dicembre 2009.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 18/01/2010
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