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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562

 

 CORTE COSTITUZIONALE - 11 febbraio 2010, n. 39
 

DIRITTO DELLE ACQUE - Servizio idrico integrato - Canone per lo scarico e la depurazione delle acque - Controversie - Attribuzione alla giurisdizione del giudice tributario - Art. 2, c. 2 d.lgs. n. 546/1992 e ss. mm. - Illegittimità costituzionale - Art. 102 Cost. - Artt. 144 e 145 d.lgs. n. 152/2006. L’art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546/1992 - come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del D.L. n. 203/2005, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. n. 248/2005, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 3 ottobre 2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 13 e 14 della L. n. 36/94 è costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 102 Cost. Il canone in questione non ha infatti natura tributaria, dovendosi identificare nel “corrispettivo ad una prestazione commerciale complessa” (Sent. Corte Cost. 335/2008). Il medesimo art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, è altresì illegittimo nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 29 aprile 2006, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 154 e 155 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Anche questi ultimi due articoli - analogamente alle disposizioni abrogate - precisano che le somme dovute dall’utente per i servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono componenti della tariffa che costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato. Pres. Amirante, Est. Gallo - q.l.c. sollevata dalla Corte di Cassazione nel procedimento tra P. c. G. s.p.a.. CORTE COSTITUZIONALE - 11 febbraio 2010, n. 39
 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, promosso dalla Corte di cassazione, nel giudizio vertente tra il condominio “Parco della piscina” e la s.p.a. GO.RI. - Gestione ottimale risorse idriche, con ordinanza del 25 luglio 2008, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visto l’atto di costituzione del condominio “Parco della piscina”;

udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio 2010 il Giudice relatore Franco Gallo;

udito l’ avvocato Pietro Giancone per il condominio “Parco della piscina”.


Ritenuto in fatto


1. – Con ordinanza del 25 luglio 2008, la Corte di cassazione, nel procedimento per regolamento preventivo di giurisdizione promosso dal condominio di un edificio sito in Ercolano nei confronti della s.p.a. GO.RI. - Gestione ottimale risorse idriche, in relazione al giudizio pendente fra le stesse parti davanti al Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Portici, ha sollevato – in riferimento all’art. 102, secondo comma, della Costituzione – questione di legittimità del secondo periodo del comma 2 dell’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) [nel testo modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248], nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 3 ottobre 2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 13 e 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche).

Riferisce la rimettente che la controversia concerne la domanda di restituzione delle somme pagate a titolo di quote della tariffa del servizio idrico integrato riferite alla fognatura e alla depurazione, quali disciplinate dagli artt. 13 e 14 della legge n. 36 del 1994; domanda proposta davanti alla sezione distaccata di Portici del Tribunale di Napoli da un condominio nei confronti della società che gestisce il servizio idrico integrato e basata sulla dedotta inesistenza «delle opere di depurazione e fognature». La società convenuta aveva eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, per essere la controversia devoluta alla cognizione del giudice tributario, ed il tribunale adíto, con ordinanza pronunciata fuori udienza, aveva rilevato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, ritenuta la causa matura per la decisione, aveva fissato l’udienza di precisazione delle conclusioni. Il condominio, quindi, aveva proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione.

La Corte di cassazione ritiene ammissibile tale regolamento, perché il Tribunale non ha deciso la controversia sulla giurisdizione definendo il giudizio di primo grado – decisione che avrebbe costituito «elemento ostativo alla proponibilità del mezzo preventivo» –, ma si è limitato a fissare l’udienza di precisazione delle conclusioni, con ordinanza «per sua natura sempre modificabile e revocabile dallo stesso giudice che l’ha emessa».

Nel merito, la stessa Corte rileva che, come dedotto dal condominio ricorrente, «i canoni relativi al servizio di depurazione e fognatura la cui debenza è contestata in giudizio concernono praticamente nella loro interezza il periodo che va dal 3 ottobre 2000 – data di entrata in vigore del d.lgs. n. 258 del 2000 [rectius: dell’art. 24 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258] e dalla quale si applica l’innovazione introdotta dall’art. 31, comma ventottesimo, della legge n. 448 del 1998, la quale, abrogando l’art 17, ultimo comma, della legge n. 319 del 1976, ha stabilito che il canone in questione è una quota tariffaria, componente del corrispettivo dovuto dall’utente al servizio idrico […] –, al 3 dicembre 2005, data di entrata in vigore della legge n. 248 del 2005, di conversione del d.l. n. 203 del 2005, legge che con l’art. 3-bis ha devoluto alla giurisdizione tributaria i canoni de quibus».

Ad avviso della Corte rimettente «non vi è dubbio nel caso di specie che a norma della legge vigente al tempo della domanda la giurisdizione fosse devoluta al giudice tributario ai sensi dell’art. 3-bis, d.l. n. 203 del 2005, convertito con modificazioni con legge n. 248 del 2005» e che ciò dovrebbe comportare la dichiarazione della giurisdizione del giudice tributario. Tuttavia – prosegue la rimettente – il fatto che i canoni relativi al servizio di depurazione e fognatura, a far data dal 3 ottobre 2000, siano stati qualificati dagli artt. 13 e 14 della legge n. 36 del 1994 come quote tariffarie componenti del corrispettivo dovuto dall’utente per il servizio idrico rende dubbia la rispondenza ai princípi costituzionali della norma censurata, «nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue», proprio perché detto canone, a decorrere da tale data, ha natura di corrispettivo privatistico e non piú di tributo. Infatti – aggiunge la Corte di cassazione –, con riferimento all’analoga fattispecie delle controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, la Corte costituzionale, con sentenza n. 64 del 2008, ha ritenuto che lo stesso art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 è in contrasto con l’art. 102 Cost., perché «l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria (come non lo sono quelle che concernono la c.d. COSAP) comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali».

Quanto alla rilevanza della questione proposta, la rimettente premette che la norma denunciata deve essere necessariamente applicata nel giudizio a quo, perché esso ha per oggetto la giurisdizione sulle controversie relative alle quote della tariffa del servizio idrico integrato riferite alla fognatura e alla depurazione e disciplinate dagli artt. 13 e 14 della legge n. 36 del 1994. Rileva, altresí, che non vi è spazio, «stante il carattere esplicito della disposizione de qua, per una interpretazione della stessa che sia costituzionalmente orientata, perché siffatto tipo di interpretazione si tradurrebbe nel caso di specie in una vera e propria interpretatio abrogans che esula dai poteri di questo giudice».

2. – Il condominio si è costituito, depositando memoria in prossimità dell’udienza e concludendo per l’accoglimento della questione proposta, sul rilievo che la natura non tributaria della tariffa del servizio idrico integrato, ivi comprese le quote di detta tariffa riferite alla fognatura e alla depurazione, è stata affermata, oltre che dalla giurisprudenza di legittimità, anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 335 del 2008.


Considerato in diritto


1. – La Corte di cassazione, in un procedimento per regolamento preventivo di giurisdizione promosso dal condominio di un edificio sito in Ercolano nei confronti della società per azioni che gestisce il servizio idrico integrato in quel territorio, con riguardo al giudizio pendente fra le stesse parti davanti al Tribunale di Napoli - sezione distaccata di Portici, ha sollevato, in riferimento al secondo comma dell’art. 102 della Costituzione, questione di legittimità del secondo periodo del comma 2 dell’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui stabilisce che appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza, a partire dal 3 ottobre 2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 13 e 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche).

In particolare, la rimettente afferma che la norma denunciata víola il divieto di istituzione di nuovi giudici speciali posto dall’evocato parametro costituzionale, perché attribuisce alla giurisdizione tributaria controversie che hanno ad oggetto prestazioni che, come quella del pagamento di detto canone, non hanno natura tributaria.

2. – La questione è fondata.

Al riguardo, va premesso che, come piú volte affermato da questa Corte, la Commissione tributaria deve essere considerata organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione (ex plurimis: sentenze n. 64 del 2008 e n. 50 del 1989; ordinanze n. 144 del 1998, n. 152 del 1997, n. 351 del 1995). Ciò posto, si perviene alla conclusione della fondatezza della sollevata questione attraverso i seguenti due passaggi argomentativi: 1) la modificazione dell’oggetto della giurisdizione dei giudici speciali preesistenti alla Costituzione è consentita solo se non “snaturi” la materia originariamente attribuita alla cognizione del giudice speciale; 2) una volta che sia esclusa la natura tributaria del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, l’attribuzione alla giurisdizione tributaria – ad opera della norma censurata – delle controversie relative a tale canone “snatura” la materia originariamente attribuita alla cognizione del giudice tributario e, conseguentemente, víola l’evocato art. 102, secondo comma, Cost.

2.1. – Con riguardo al primo passaggio argomentativo, concernente il limite entro il quale la Costituzione consente al legislatore ordinario di modificare, senza “snaturarlo”, l’oggetto della giurisdizione dei giudici speciali tributari, va ricordato che, come affermato in via generale da questa Corte (sentenze n. 196 del 1982, n. 215 del 1976, n. 41 del 1957; ordinanza n. 144 del 1998): a) l’evocato art. 102, secondo comma, Cost. vieta l’istituzione di giudici speciali diversi da quelli espressamente nominati in Costituzione; b) la VI disposizione transitoria della Costituzione – ad integrazione della disciplina posta dal citato art. 102 Cost. – impone l’obbligo di effettuare la revisione degli organi speciali di giurisdizione preesistenti alla Costituzione («salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari») entro il termine ordinatorio di cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione medesima. Questa stessa Corte ha poi precisato che, benché l’indicata revisione non crei nell’ordinamento «una sorta di immodificabilità nella configurazione e nel funzionamento» delle giurisdizioni revisionate, tuttavia il legislatore ordinario – nel modificare la disciplina di tali organi giurisdizionali – incontra il duplice limite costituzionale «di non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisdizione speciale) le materie attribuite» a dette giurisdizioni «e di assicurare la conformità a Costituzione» delle medesime giurisdizioni (ordinanza n. 144 del 1998). Tali pronunce evidenziano che il menzionato duplice limite opera con riferimento ad ogni modificazione legislativa riguardante l’oggetto delle giurisdizioni speciali preesistenti alla Costituzione (sia in sede di prima revisione, che successivamente) e, altresí, che il mancato rispetto del limite di «non snaturare» le materie originariamente attribuite alle indicate giurisdizioni si traduce nell’istituzione di un “nuovo” giudice speciale, espressamente vietata dall’art. 102 Cost. L’identità della “natura” delle materie oggetto delle suddette giurisdizioni costituisce, cioè, una condizione essenziale perché le modifiche legislative di tale oggetto possano qualificarsi come una consentita «revisione» dei giudici speciali e non come una vietata introduzione di un “nuovo” giudice speciale.

2.1.1. – In coerenza con i sopra evidenziati princípi e con specifico riferimento alla materia devoluta alla cognizione dei giudici tributari, questa Corte ha rilevato, in numerose pronunce, che la giurisdizione del giudice tributario «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto» (sentenze n. 238 e n. 141 del 2009; n. 130 e n. 64 del 2008; ordinanze n. 300 e n. 218 del 2009; n. 395 del 2007; n. 427, n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006).

2.1.2. – Da quanto precede deriva che l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali. Tale illegittima attribuzione può derivare, direttamente, da una espressa disposizione legislativa che amplii la giurisdizione tributaria a materie non tributarie ovvero, indirettamente, dall’erronea qualificazione di “tributaria” data dal legislatore (o dall’interprete) ad una particolare materia, come avviene, ad esempio, allorché si riconducano indebitamente alla materia tributaria prestazioni patrimoniali imposte di natura non tributaria (sentenze n. 130 e n. 64 del 2008). Per valutare la sussistenza della denunciata violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost., occorre accertare, perciò, se la controversia devoluta alla giurisdizione tributaria abbia o no effettiva natura tributaria.

2.2. – Con riguardo al sopra menzionato secondo passaggio argomentativo, concernente la natura del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue di cui alla norma censurata, deve rilevarsi che detto canone, in quanto dovuto, nel caso di specie, per un periodo compreso tra il 3 ottobre 2000 ed il 3 dicembre 2005, si identifica con la quota della tariffa del servizio idrico integrato riferita ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione, disciplinata dagli artt. 13 e 14 della legge n. 36 del 1994 e applicabile, appunto, con decorrenza dal 3 ottobre 2000, per effetto dell’abrogazione dei commi 5 e 6 dell’art. 62 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), disposta dall’art. 24 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, a norma dell’art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128).

Come affermato da questa Corte con la sentenza n. 335 del 2008, la suddetta tariffa si configura infatti, in tutte le sue componenti, ivi comprese quelle riferite alla fognatura e alla depurazione, «come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensí nel contratto di utenza. L’inestricabile connessione delle suddette componenti è evidenziata, in particolare, dal fatto […] che, a fronte del pagamento della tariffa, l’utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione».

3. – Dalla evidenziata esclusione della natura tributaria del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue dovuto a partire dal 3 ottobre 2000 e disciplinato dagli artt. 13 e 14 della legge n. 36 del 1994 discende, dunque, l’illegittimità costituzionale della norma denunciata, perché questa attribuisce alla giurisdizione tributaria la cognizione di controversie relative a prestazioni patrimoniali di natura non tributaria e, pertanto, si risolve nella istituzione di un giudice speciale vietata dal secondo comma dell’art. 102 Cost.

4. – Gli artt. 13 e 14 della legge n. 36 del 1994, in relazione ai quali è stata espressamente sollevata la sopra esaminata questione di legittimità costituzionale, sono stati abrogati, con decorrenza dal 29 aprile 2006, dall’art. 175, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e sostituiti dagli artt. 154 e 155 dello stesso decreto legislativo. Tuttavia, anche questi ultimi due articoli – analogamente alle disposizioni abrogate – precisano che le somme dovute dall’utente per i servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono componenti della tariffa che costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato.

L’analogia tra le suddette normative succedutesi nel tempo rende evidente che anche le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione disciplinate dai citati artt. 154 e 155 hanno natura non tributaria, con la conseguenza che le considerazioni dianzi svolte, in ordine alla violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost., valgono anche in relazione al “canone” corrispondente a tali quote.

In conclusione, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992 anche nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 29 aprile 2006, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 154 e 155 del d.lgs. n. 152 del 2006.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE


dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 3 ottobre 2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 13 e 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche);

dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 29 aprile 2006, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 154 e 155 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2010.


Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

 

 

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