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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR ABRUZZO, L'Aquila, Sez. I - 11 febbraio 2010, n. 75
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Aree soggette a vincolo paesaggistico -
Autorizzazione paesaggistica - Mancanza - Riduzione in pristino - Artt. 149 e
167 d.lgs. n. 42/2004. Nelle zone soggette a vincoli paesaggistici di cui
alla parte terza, titolo primo, del D.Lgs. n.42/2004 ogni intervento non
rientrante tra quelli di cui all’art.149 del medesimo decreto legislativo deve
essere preceduto da specifica autorizzazione paesaggistica ed, in assenza di
quest’ultima, le opere senza titolo debbono essere ridotte in pristino ai sensi
dell’art.167 dello stesso decreto legislativo. Pres. Perrelli, Est. D’Alessandri
- R.A. (avv. Mazzotta) c. Comune di Tornimparte (avv. Colagrande) - TAR
ABRUZZO, L’Aquila, Sez. I - 11 febbraio 2010, n. 75
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Nulla osta ambientale - Limite quinquennale di
validità. La validità del nulla osta ambientale, rilasciato per l'esecuzione
di lavori edilizi nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, viene meno,
automaticamente, al decorso del quinquennio (T.A.R. Campania Salerno, n. 422 del
10 luglio 1997, vedi anche T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 7 maggio 2007 , n.
4788, secondo cui “il nulla osta rilasciato per gli interventi edilizi in zone
sottoposte al vincolo paesaggistico è assoggettato al limite temporale di
validità di anni cinque, ai sensi dell'art. 16, r.d. 3 giugno 1940 n. 1357,
fatto poi salvo dall'art. 161, d.lg. 29 ottobre 1999 n. 490”) Pres. Perrelli,
Est. D’Alessandri - R.A. (avv. Mazzotta) c. Comune di Tornimparte (avv.
Colagrande) - TAR ABRUZZO, L’Aquila, Sez. I - 11 febbraio 2010, n. 75
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Autorizzazione paesaggistica - Permesso di
costruire - Rapporto di assoluta autonomia - Conseguenze. L’autorizzazione
paesaggistica si presenta in termini di assoluta autonomia dal permesso di
costruire (cfr. C.S., n. 3242/2001, secondo cui “l'autonomia strutturale dei due
procedimenti, non consente di considerare la procedura per il rilascio del nulla
osta quale presupposto necessario del procedimento per il rilascio della
concessione edilizia, neppure nell'ipotesi di opere da realizzarsi su aree
vincolate come bellezze di insieme). Corollario della autonomia dei due diversi
procedimenti, finalizzati alla tutela di due distinti interessi, è che i due
titoli (concessione edilizia e nulla osta paesaggistico) hanno contenuti
differenti (seppure ambedue relazionati al territorio), che il rilascio dell'uno
non comporta il rilascio dell'altro titolo, e che, viceversa, la preclusione al
rilascio di un titolo non è ostativa al rilascio dell'altro. Ulteriore
corollario è quello che l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata
richiede il rilascio di ambedue i titoli (C.S., sez.V, 11.3.1995, n. 376;
20.11.1989, n. 738; 1.2.1990,n. 61; 15.3.1991, n. 262; 18.2.1992, n. 128). Pres.
Perrelli, Est. D’Alessandri - R.A. (avv. Mazzotta) c. Comune di Tornimparte
(avv. Colagrande) - TAR ABRUZZO, L’Aquila, Sez. I - 11 febbraio 2010, n. 75
DIRITTO PROCESSUALE - Interpretazione del giudicato - Oggetto -
Determinazione - Dispositivo, motivazione e domanda giudiziale. In tema di
interpretazione del giudicato l'essenza e l'effettiva portata della decisione
devono essere determinate non soltanto in base al dispositivo , ma anche tenendo
conto, alla stregua della motivazione, del contenuto attribuito dalla sentenza
alla domanda giudiziale (ex multis, T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, 07-03-2007,
n. 749; Cassazione civile, sez. III, 16 gennaio 2006, n. 726), formandosi il
giudicato della sentenza anche su quegli accertamenti contenuti in motivazione
relativi a questioni che si trovino in relazione di causa ed effetto rispetto a
quella espressamente decisa (Cons. Stato, Sez. IV, Sent. 10-05-2007, n. 2251;Cass.,
Sez. I, Sentenza n. 2721 del 2007; Cass. 1996 n. 3916). Pres. Perrelli, Est. D’Alessandri
- R.A. (avv. Mazzotta) c. Comune di Tornimparte (avv. Colagrande) - TAR
ABRUZZO, L’Aquila, Sez. I - 11 febbraio 2010, n. 75
DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO - Domanda risarcitoria che esula da una
pronuncia di annullamento - Attribuzione alla cognizione del giudice
amministrativo - Presupposti - Materia devoluta alla giurisdizione esclusiva del
G.A. - Requisiti sostanziali e processuali. Affinchè possa essere attribuita
alla cognizione del giudice amministrativo una domanda risarcitoria che esula da
una pronuncia di annullamento (o comunque da una valutazione di illegittimità)
dell’atto amministrativo, come ad esempio avviene nei casi di responsabilità
precontrattuale dell’amministrazione nel caso di revoca legittima
dell’aggiudicazione dell’appalto, è necessario che la materia sottostante sia
devoluta alla giurisdizione esclusiva del plesso giurisdizionale amministrativo
e che la tutela dei diritti soggettivi azionati sia connessa in via immeditata e
diretta all'esercizio di funzione pubblica. Debbono però ricorrere tutti gli
altri requisiti sostanziali e processuali perché sussista e possa essere
riconosciuta in giudizio una responsabilità risarcitoria in capo
all’amministrazione tra cui, in primis, l’esistenza del danno (quale requisito
sostanziale) ed una specifica domanda in tal senso (requisito processuale).
Pres. Perrelli, Est. D’Alessandri - R.A. (avv. Mazzotta) c. Comune di
Tornimparte (avv. Colagrande) - TAR ABRUZZO, L’Aquila, Sez. I - 11 febbraio
2010, n. 75
N. 00075/2010 REG.SEN.
N. 00186/2007 REG.RIC.
N. 00359/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(SezionePrima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 186 del 2007, proposto da:
Romeo Antonelli, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Mazzotta, con domicilio
eletto presso Paolo Avv. Mazzotta in L'Aquila, Vico Picenze, n.25;
contro
Comune di Tornimparte, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Colagrande, con
domicilio eletto presso Roberto Avv. Colagrande in L'Aquila, via Verdi, n.18;
Sul ricorso numero di registro generale 359 del 2007, proposto da:
Romeo Antonelli, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Mazzotta, con domicilio
eletto presso Paolo Avv. Mazzotta in L'Aquila, Vico Picenze, n.25;
contro
Comune di Tornimparte, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Colagrande, con
domicilio eletto presso Roberto Avv. Colagrande in L'Aquila, via Verdi, n.18;
Regione Abruzzo, rappresentato e difeso dagli avv. Sandro Pasquali, Camilla D'Alonzo,
con domicilio eletto presso la Regione Abruzzo Ufficio Legale in L'Aquila, via
Leonardo Da Vinci, n.6 (N.I.);
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
quanto al ricorso n. 186 del 2007:
dell’atto prot. n. 2727 del 2.5.2007 avente ad oggetto la comunicazione inizio
lavori materiali di risulta;
quanto al ricorso n. 359 del 2007:
con ricorso principale, dell'ordinanza comunale di sospensione dei lavori del
10.7.2007, prot. n. 4119; della nota regionale del 14.11.2006 prot. n. 10709;
con ricorso per motivi aggiunti, dell'ordinanza comunale prtot. 5389 del
6.9.2007 di rimessione in pristino dei lavori abusivamente eseguiti;
di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Tornimparte sia nel
ricorso di cui al R.G. 186/07 che al R.G. 359/07;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Abruzzo nel ricorso di
cui al R.G. 359/07;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 04/11/2009 il dott. Fabrizio D'Alessandri
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1) Parte ricorrente, con istanza del 23.7.1990, chiedeva al Comune di
Tornimparte l’autorizzazione ad avviare, in località Le Forme, l’attività di
recupero di materiale lapideo risultante dai lavori di costruzione
dell’autostrada A/24 Roma - L’Aquila, previo cambio di destinazione d’uso dei
terreni interessati.
Il medesimo Comune riteneva, con delibera di Consiglio n.10 del 15.3.1991, di
richiedere alla Regione Abruzzo, “l’autorizzazione per il mutamento di
destinazione d’uso con assegnazione alla categoria A ai sensi dell’art.11 della
legge n. 1766/1927 previa sdemanializzazione delle aree” e, conseguentemente, il
Sindaco richiedeva, con nota prot. 217 del 9.5.1991, il mutamento di
destinazione d’uso dei terreni in questione gravati da servitù di uso civico al
fine di poter disporre del materiale breccioso ivi presente.
L’ufficio Tecnico Erariale (n.1/5691/1653 del 18.6.1991) calcolava la misura
congrua del materiale inerte recuperato per metro cubo.
La proposta riportava il parere favorevole Presidente della Giunta Regionale
(nota prot. 4641/BN/AQ/100 del 24.10.1991), che richiamava il parere positivo
precedentemente espresso dal Comitato Speciale per i Beni Ambientali (nota
n.73/286 dell’1.10.1991).
Riportava il parere favorevole del Ripartimento Forestale de L’Aquila nota
(n.4728 del 22.7.1991) e quello, anch’esso positivo, dell’Unità Operativa Usi
Civici della Regione (nota prot. 1632/A – 144/91).
Il Consiglio Regionale, integralmente recependo la proposta della Giunta
Regionale, deliberava nella seduta del 29.1.1991 (verbale n.36/11) di
autorizzare il mutamento di destinazione d’uso di terre civiche per concessione
di attività estrattiva in favore del ricorrente.
Parte ricorrente provvedeva alla predisposizione del progetto per il recupero
del materiale inerte.
L’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste dell’Aquila (nota prot. 2214 del
5.5.1992) dava atto che l’attività di recupero del materiale inerte non era
regolamentato o regolamentabile come cava ai sensi dell’art.7, comma 2, della
L.R. n.57/88; indicava che l’area ricadeva in zona soggetta a vincolo
idrogeologico e come tale era soggetta a determinate prescrizioni riguardanti le
modalità di effettuazione dei lavori; dichiarava che la zona era sottoposta a
vincolo paesaggistico e pertanto sarebbe stata necessaria, prima dell’inizio dei
lavori, la relativa autorizzazione regionale; indicava altresì la necessità
anche dell’autorizzazione comunale.
Il Comitato Speciale per i Beni Ambientali della Regione Abruzzo esprimeva
parere favorevole al progetto con verbale n.110/199 del 12.5.1992.
Con nota del 4.4.2001, parte ricorrente chiedeva la modifica del regolamento
comunale poiché quello allora vigente non consentiva l’apertura di cave, in
quanto la zona interessata dall’intervento ricadeva in area soggetta a vincolo
idrogeologico.
In data 21.5.2003, parte ricorrente richiedeva il rilascio del permesso per
l’attività di recupero del materiale inerte (come risulta dalla nota del Comune
prot.1257).
L’Amministrazione comunale, con nota prot.1257 del 10.3.2004, rispondeva
negativamente motivando che l’art.35 delle N.U.E. non consentiva lo sfruttamento
di cave nell’area in questione che risultava soggetta a vincolo idrogeologico.
Parte ricorrente proponeva ricorso avverso quest’ultimo provvedimento dinanzi al
presente T.A.R censurandone la legittimità.
Il medesimo organo giurisdizionale, con sentenza n.544/2005, accoglieva il
ricorso ed annullava l’atto impugnato.
La motivazione della sentenza faceva riferimento al fatto che l’attività per cui
era stata chiesta l’autorizzazione non rientrava tra quelle estrattive e di cava
e, conseguentemente, risultava inconferente il divieto previsto nell’art. 35
delle N.U.E.; richiamava altresì la circostanza dell’intervenuta autorizzazione
da parte della Regione.
Parte ricorrente diffidava il Comune ad adempiere alla citata sentenza ed, in
particolare, di provvedere al rilascio dell’autorizzazione ed alla stipula di
apposita convenzione disciplinate l’attività di recupero dei materiali.
Il Comune, con nota prot. 7648 del 19.12.2005, dichiarava l’impossibilità di
dare attuazione alla sentenza del T.A.R., indicando di aver dato comunicazione
alla Regione ed al Ministero dell’Ambiente affinchè prendessero cognizione della
sentenza ed esprimessero il loro assenso all’adempimento della diffida.
Parte ricorrente proponeva ricorso per ottemperanza e l’adito T.A.R., con
sentenza n.721/06, lo accoglieva, assegnando al medesimo Comune il termine di 30
giorni per porre in essere gli atti di esecuzione del giudicato, indicando, in
difetto, come Commissario ad acta il Dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune
di L’Aquila.
Con atto prot. 2258 del 17.10.2006, il Comune rilasciava titolo abilitativo
all’attività di prelievo di materiale sui fondi in questione.
Indicava che la concessione avrebbe avuto durata di cinque anni e fissava gli
importi dei relativi canoni di sfruttamento.
Veniva quindi stipulata, in data 25.10.2006, la convenzione disciplinante la
parte economica accessoria al titolo abilitativo suindicato.
Parte ricorrente provvedeva al pagamento del canone dei due mesi finali
dell’anno 2006 e per tutto l’anno 2007, salvo conguaglio, in conformità di
quanto previsto nella convenzione.
Comunicava, quindi, al Comune, con nota del 23.4.2007, l’avvio dell’attività di
recupero.
Il Comune, con provvedimento n. 2727 del 2.5.2007, indicava che la comunicazione
in oggetto andava inoltrata con le modalità di cui all’art.22 del Regolamento
Comunale.
Diffidava inoltre la parte ricorrente a non dare corso ai lavori “in mancanza
della prescritta autorizzazione paesaggistica prevista dall’art.159 del D.Lgs.
n.42/2004 nel testo in vigore, non ricompresa nell’atto autorizzativo n.2258 del
17.10.2006”.
Parte ricorrente impugnava quest’ultimo provvedimento con ricorso iscritto al
R.G. n.186/2007, oggetto dell’odierno giudizio, chiedendone l’annullamento,
previa sospensiva, per i seguenti motivi:
I) Con i primi due motivi di ricorso parte ricorrente lamentava che il
provvedimento gravato sarebbe elusivo del giudicato posto dalla sentenza
n.544/07 ed in contrasto con quanto statuito dalla sentenza n.721/07.
Da ciò peraltro deriverebbe la nullità del provvedimento ai sensi dell’art.21
septies della legge n.241/90.
II) Il ricorrente inoltre richiamava e si riportava alle motivazioni già dedotte
in sede di precedente ricorso n.278/2004 ed attinenti nello specifico alla:
II.1)Violazione e falsa applicazione della L.R. 3.3.1988 n.25 ed, in
particolare, degli artt. 1,4,6,7,9; della L. 16.6.1927 n.1766 e, nello
specifico, dell’articolo 12 e del Regolamento approvato con R.D. 26.2.1928 n.332
ed, in particolare. degli articoli 39 e 41 – Violazione e falsa applicazione del
D.P.R. 24.7.1977 n.616, in particolare, articolo 66 – Violazione e falsa
applicazione della L.R. 16.9.1987, n.62, articoli 2,3,5.
L’organo competente a pronunciarsi in materia risultava essere la Regione, senza
che nessuna autonoma competenza decisionale era riconoscibile al Comune una
volta che, come il ricorrente dichiara essere avvenuto, la prima si era
determinata.
Sostiene il ricorrente che non poteva e non può il Comune di Tornimparte negare
a l’autorizzazione all’avvio dei lavori per il recupero del materiale inerte di
risulta dai lavori dell’autostrada A 24 L’Aquila – Roma, in quanto l’Antonelli
risulta essere concessionario dei terreni per i quali la Regione Abruzzo, aveva
all’uopo disposto il mutamento di destinazione, previa acquisizione dei pareri
favorevoli degli uffici competenti per i vincoli paesaggistici di idrogeologici.
II.2) Violazione e falsa applicazione del R.D. 30.12.1923 n.3267, in particolare
dell’articolo 7 – Violazione e falsa applicazione del R.D. n.1126/1926, art.20 -
Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n.616/1977 - Violazione degli
articoli 117 e 118 della Costituzione - Violazione e falsa applicazione delle
N.U.E. del Comune di Tornimparte, articoli 35, 61.
Il ricorrente lamenta che, in considerazione delle ottenute autorizzazioni
regionali, il Comune avrebbe dovuto limitarsi a prendere atto delle prescrizioni
finalizzate all’esecuzione dei lavori impartite dall’Ispettorato Ripartimentale
delle Foreste, dettando, eventualmente, ulteriori prescrizioni e non avrebbe
potuto negare prima l’autorizzazione all’inizio lavori e, poi, dopo averla
concessa, inibire l’attività autorizzata.
Il provvedimento si porrebbe altresì in contrasto con le N.U.E. di cui al PRG
del Comune, in quanto l’articolo 35 delle suddette N.U.E. non appare applicabile
al caso di specie non potendo individuarsi “l’attività proposta dal ricorrente
quale attività di estrazione o di cava”.
Lo stesso Comune aveva peraltro individuato l’intervento come strumento di
eliminazione del deturpamento ambientale causato dai lavori di costruzione
dell’autostrada L’Aquila-Roma.
II.3) Violazione dell’articolo 97 della Costituzione, Violazione della L.
241/1990, articoli 1, 2, 3 -
Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, atteggiamento perplesso,
disparità di trattamento.
Sono stati il Consiglio comunale ed il Sindaco di Tornimparte ad avviare, previa
istanza del ricorrente, il procedimento che avrebbe dovuto condurre all’inizio
dell’intervento proposto e nessun provvedimento di revoca o di annullamento
dell’originaria decisione è, medio tempore, intervenuto.
Dopo aver attivato il procedimento, evidentemente volto a soddisfare anche
interessi pubblici in termini di ricadute occupazionali ed economiche, il Comune
non avrebbe agito coerentemente contestando il diritto del ricorrente di
effettuare l’attività.
Inoltre il Comune avrebbe da anni autorizzato un’attività identica a quella
proposta dalla parte ricorrente in favore della ditta S.E.F.A. S.n.c. con
evidente disparità di trattamento.
III) Deduceva inoltre parte ricorrente i seguenti ulteriori vizi:
III.1) Violazione e falsa applicazione della Legge Regionale n.2/2003 e
successive modifiche ed integrazioni e del D.Lgs. n.42/2004, art.146 e 159 –
Eccesso di potere per contraddittorietà, perplessità, illogicità manifesta,
carenza di istruttoria e sviamento.
Violazione e falsa applicazione della lex specialis rappresentata dall’atto di
autorizzazione prot. n.2258 del 17.10.2006 e dal contratto rep. n.690 del
25.10.2006 sottoscritto tra il ricorrente e l’amministrazione resistente.
Deduce il ricorrente che la Legge Regionale n.2/2003 prevede che l’organo
regionale chiamato ad esprimersi in materia di beni ambientali (art.2) era il
Comitato Regionale per i Beni Ambientali che già si era espresso favorevolmente
con verbale n.110/199 del 15.5.1992, per cui non potrebbe ora il Comune
pretendere una seconda pronuncia in materia di compatibilità ambientale.
Inoltre l’art.1 della medesima Legge Regionale n.2/2003 avrebbe espressamente
delegato ai comuni le funzioni relative al rilascio del nulla osta paesaggistico
di cui all’art.159 del D.Lgs. n.42/2004, di tal che sarebbe comunque spettato
allo stesso Comune intimato effettuare la valutazione di compatibilità
paesaggistica previste dalla normativa ambientale.
Secondo parte ricorrente tale funzione sarebbe stata comunque esercitata con il
rilascio dell’autorizzazione n.2258 del 17.10.2006, rientrando in quest’ultima
anche il nulla osta paesaggistico, prova ne sia, continua il ricorrente, che
tale provvedimento è stato inviato al Ministero dell’Ambiente ed alla
Soprintendenza di L’Aquila, ai sensi degli artt. 146 e 159 del D.Lgs. n.42/2004.
Quanto alla parte del provvedimento relativa alle modalità di comunicazione di
avvio delle attività
(da effettuarsi secondo il Comune secondo quanto prescritto nell’art.22 del
Regolamento Edilizio), parte ricorrente deduce di essersi attenuta a quanto
previsto nella stessa autorizzazione rilasciata dal Comune, che al punto 1
prevede che la comunicazione dell’avvio dell’attività venga effettuata mediante
raccomandata R.R. entro un anno dal rilascio dell’autorizzazione stessa.
III.2) Violazione e falsa applicazione della Legge 241/90, artt. 3 e 7 – Eccesso
di potere per difetto assoluto di motivazione.
Violazione e falsa applicazione della Legge 241/90, artt. 10 bis.
Violazione e falsa applicazione della lex specialis rappresentata dall’atto di
autorizzazione prot. n.2258 del 17.10.2006 e dal contratto rep. n.690 del
25.10.2006 sottoscritto tra il ricorrente e l’amministrazione resistente.
Eccesso di potere per disparità di trattamento.
Parte ricorrente ha lamentato la violazione di legge e falsa applicazione
dell’art.7 della legge n.241/90 per aver l’amministrazione omesso la
comunicazione di avvio del procedimento che ha portato al provvedimento gravato,
né aver mai assolto all’obbligo di comunicazione di cui all’art. 10 bis della
legge n.241/90.
Inoltre la sospensione disposta dal Comune risulterebbe priva di una congrua
motivazione.
IV) Parte ricorrente ha inoltre avanzato domanda di risarcimento nei confronti
del Comune di Tornimparte, sostenendo questo sia consequenziale all’annullamento
dell’atto gravato in ragione della subita illegittima imposizione di sospendere
l’attività.
Il risarcimento danni veniva quantificato in euro 650.000,00, ovvero nella
misura che il giudice adito riterrà.
Si costituiva in giudizio il Comune intimato articolando argomentazioni
difensive.
L’adito T.A.R., con ordinanza n.157/07, respingeva l’istanza di sospensione
incidentale.
2) Successivamente, con atto prot. n.3481 dell’8.6.2007, il Comune comunicava
alla parte ricorrente, ex art.7 legge n.241/90, l’avvio di un procedimento volto
alla repressione di abusi paesaggistici.
Il ricorrente faceva pervenire all’Amministrazione, con memoria del 15.6.2007,
controdeduzioni in merito.
Con Ordinanza n. 4119 del 10.7.2007, il Comune intimava la sospensione dei
lavori, con riserva di adottare i provvedimenti sanzionatori definitivi.
Il provvedimento dava atto che, a seguito di sopralluogo, era emerso che i
lavori erano effettivamente iniziati con opere di sbancamento ed era stato
realizzato un tracciato stradale di circa mt. 2,50 di larghezza corrente sulla
scarpata a mezza costa in senso trasversale a salire dall’inizio del torrente
Raio per la lunghezza di circa mt. 100,00.
Il medesimo atto comunicava, ai sensi dell’art.7 della legge n.241/90, l’avvio
di un procedimento di verifica volto all’esercizio di autotutela in relazione
alla nota prot. 104709, del 14.11.2006, della Direzione Agricoltura Foreste e
Sviluppo della Regione che veniva allegata.
Quest’ultima nota deduceva che l’autorizzazione al mutamento di destinazione
d’uso delle terre civiche del 29.1.1992 non era più valida perchè nella stessa
autorizzazione era espressamente previsto che “l’atto di concessione” dovesse
essere stipulato entro un anno.
Da ciò l’organo regionale deduceva la nullità della successiva autorizzazione
comunale n.2238, intervenuta solamente il 17.10.2008.
Parte ricorrente, con ricorso di cui al R.G. n.359/07, impugnava sia l’ordinanza
di sospensione lavori che la predetta nota regionale, deducendo articolate
censure di legittimità e chiedendo l’annullamento, previa sospensione, oltre al
risarcimento dei danni subiti.
Si costituivano il Comune e la Regione Abruzzo.
3) Successivamente il Comune, con ordinanza n.5389 del 6.9.2007, richiamati gli
atti precedenti e dando nuovamente atto che la ditta del ricorrente aveva
realizzato un “tracciato stradale di circa mt. 2,50 di larghezza corrente sulla
scarpata a mezza costa in senso trasversale a salire dall’inizio del torrente
Raio per la lunghezza di circa mt. 100,00 sulle aree sottoposte a vincolo
paesaggistico censite in catasto al foglio n. 31 Particelle n.90 – 92 – 93 – 94
– 95 – 89 – 233 di complessivi mq.29.980,00”, ordinava la messa in pristino dei
lavori abusivamente eseguiti.
Parte ricorrente impugnava anche quest’ultimo provvedimento con motivi aggiunti,
chiedendone l’annullamento, previa sospensione.
Deduceva i seguenti motivi, in gran parte già proposti nel primo ricorso (R.G.
n.186/2007) e nel ricorso principale:
1) Il provvedimento gravato sarebbe contrario al giudicato posto dalla sentenza
n.544/07 ed in con-trasto con quanto statuito dalla sentenza n.721/07, oltre che
adottato in violazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficienza
dell’azione amministrativa di cui all’art.97 Cost. ed in violazione delle norme
disciplinati il procedimento amministrativo ed il principio dell’affidamento.
L’amministrazione nell’ottemperare il disposto della sentenza n.721/07 avrebbe
dovuto rilasciare l’autorizzazione “finale”, in quanto atto finale di un
procedimento complesso, senza che fossero necessari adempimenti ulteriori.
2) Da ciò peraltro deriverebbe la nullità del provvedimento ai sensi dell’art.21
septies della legge n.241/90.
L’amministrazione, inoltre, non potrebbe opporsi al disposto della sentenza
n.544/2005 ed imporre, per ulteriori motivazioni, la riduzione dello stato dei
luoghi sull’area oggetto di concessione dopo aver autorizzato l’attività di
recupero di materiali e sottoscritto una convenzione in merito.
3) Il provvedimento gravato, oltre che risultare elusivo di giudicato, si
porrebbe in diretto contrasto con l’autorizzazione precedentemente rilasciata
dal Comune e la relativa convenzione.
Inoltre l’autorizzazione prevedeva l’obbligo a carico della ditta concessionaria
di delimitare l’area di prelievo con termini lapidei e di apporre recinzione
all’area interessata.
Essendo il materiale lapideo di risulta accumulato lungo una scoscesa scarpata
era impossibile che i lavori di delimitazione potessero essere realizzati senza
realizzare un tracciato che raggiungesse i confini del sito e, comunque, la
realizzazione del tracciato suddetto è opera meramente consequenziale
all’autorizzazione ricevuta.
Ancora il provvedimento gravato violerebbe l’affidamento ingenerato dal Comune
nella parte ricorrente in ordine alla piena legittimità dell’attività di
recupero di materiale a seguito dell’autorizzazione rilasciata e della
convenzione sottoscritta.
Deduce nuovamente, inoltre, parte ricorrente la violazione delle norme
urbanistiche ed in materia di beni ambientali in quanto l’organo regionale che
si doveva eventualmente pronunciare in ordine all’autorizzazione paesaggistica
risultava essere (ex art.2 L.R. n.2/2003) il Comitato Regionale per i Beni
Ambientali che già si era espresso favorevolmente con verbale n.110/199 del
15.5.1992.
Inoltre, l’art.1 della Legge Regionale n.2/2003 avrebbe espressamente delegato
ai comuni le funzioni relative al rilascio del nulla osta paesaggistico di cui
all’art.159 del D.Lgs. n.42/2004, di tal che sarebbe comunque, spettato allo
stesso Comune intimato effettuare la valutazione di compatibilità paesaggistica
previste dalla normativa ambientale.
Secondo parte ricorrente tale funzione sarebbe stata svolta con il rilascio
dell’autorizzazione n.2258 del 17.10.2006, essendo ricompreso in quest’ultima
anche il nulla osta paesaggistico, prova ne sia, continua il ricorrente, che
tale provvedimento sarebbe stato inviato al Ministero dell’Ambiente ed alla
Soprintendenza ai sensi degli artt. 146 e 159 del DLgs. n.42/2004.
Lamenta ancora che la comunicazione di avvio del procedimento ex art.7, legge
n.241/90, sarebbe intervenuta dopo l’emanazione del provvedimento oggetto del
ricorso di cui al R.G. n.186/2007.
Vi sarebbe stato altresì sviamento della causa tipica del potere, in quanto gli
atti posti in essere dal Comune, invece di perseguire l’interesse pubblico,
sarebbero stati dettati da una volontà di lesiva ai danni del ricorrente.
A riprova di ciò deduce come la nota della Regione Abruzzo, impugnata con il
ricorso principale, sarebbe stata ricevuta dal Comune sin dal novembre 2006 ed
utilizzata solo circa otto mesi dopo, una volta che parte ricorrente aveva già
posto in essere tutti gli adempimenti necessari e si accingeva ad iniziare i
lavori.
Il gravato provvedimento si porrebbe in contrasto anche con quanto stabilito dal
N.U.E. del medesimo Comune che (art.61) individua la “zona di riqualificazione
ambientale” come quella “deturpata dai movimenti di terra nelle scarpate
dell’autostrada” e prevede per il suo recupero “l’intervento di rimboschimento e
di riqualificazione ambientale”, che è ciò che i lavori intrapresi da parte
ricorrente erano volti a realizzare.
Evidenziava ancora una volta parte ricorrente come un’autorizzazione analoga a
quella in questione nel presente ricorso, per l’attività di recupero di
materiale di risulta, era stata rilasciata dalla medesima amministrazione in
favore di un’altra società (S.E.F.A.) su un sito confinante e come quest’ultima
società avesse anch’essa realizzato un tracciato per il trasporto del materiale.
Formulava altresì richiesta di risarcimento danni, nei termini già quantificati
nel ricorso n.186/07 di Euro 650.000,00 o nella diversa somma che verrà
determinata in sede di giudizio.
L’adito T.A.R., con ordinanza del 24/10/2007, “considerato che, da una prima
delibazione propria della fase cautelare, l’invocata misura deve ritenersi
suscettibile di positiva definizione limitatamente all’ordinanza comunale di
rimessione in pristino, in epigrafe indicata, in ragione del pregiudizio
connesso alla relativa esecuzione”, accoglieva la domanda incidentale di
sospensione.
All’udienza pubblica del 4.11.2009 le controversie passavano in decisione.
DIRITTO
1) I due ricorsi RG. 186/2007 e RG. 359/2007 sono connessi, in quanto hanno ad
oggetto la stessa vicenda sostanziale, ovverosia la contestazione dell’esistenza
dell’abilitazione per l’effettuazione dell’attività di recupero di materiale
lapideo e dei medesimi supposti abusi ambientali, nonchè in quanto presentano
parziale comunanza di parti.
I due procedimenti vanno pertanto riuniti ed, in particolare, il ricorso di cui
al RG. 359/2007 va riunito al ricorso di cui al RG. 186/2007.
1.1) Il Collegio ritiene opportuna la trattativa congiunta ed unitaria dei due
ricorsi, data la comunanza delle questioni oggetto di giudizio e considerato che
i motivi di censura sollevati nei confronti dei provvedimenti impugnati
risultano in gran parte comuni, salvo poi effettuare, ove occorra, le necessarie
specifiche, in riferimento ai singoli motivi di gravame dei due ricorsi.
2) I ricorsi si rilevano infondati nei termini che seguono.
Nelle zone soggette a vincoli paesaggistici di cui alla parte terza, titolo
primo, del D.Lgs. n.42/2004 ogni intervento non rientrante tra quelli di cui
all’art.149 del medesimo decreto legislativo deve essere preceduto da specifica
autorizzazione paesaggistica ed, in assenza di quest’ultima, le opere senza
titolo debbono essere ridotte in pristino ai sensi dell’art.167 dello stesso
decreto legislativo.
Allo stesso modo l’art.27, comma 2, del D.P.R. n.380/01, prevede che “Il
dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere
eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da
altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o
destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia
residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive
modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla
demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi”.
La realizzazione dell’attività di recupero di materiale inerte e delle opere
realizzate a quel fine (il tracciato stradale di mt. 2,50 di larghezza e mt.
100,00 di lunghezza) necessitava di autorizzazione paesaggistica, ai sensi di
quanto oggi previsto dagli art.146 e 159 del suindicato D.Lgs. n.42/2004,
risultando la zona paesaggisticamente vincolata, né tale assunto è stato posto
in discussione nel presente giudizio.
La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica rende non eseguibile le opere in
questione e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti
inibitori, quale un ordine di sospensione dei lavori in corso d’opera, e
sanzionatorio – ripristinatori, quale un’ordinanza di riduzione in pristino.
L’assoggettamento a vincolo paesaggistico delle opere e la necessità della
presenza di una autorizzazione non è stata messa in dubbio, nel caso di specie,
nemmeno da parte ricorrente che non li ha sollevati come motivi di censura e,
pertanto, non possono essere oggetto di sindacato nel presente giudizio.
Parte ricorrente insiste invece sulla valenza di nulla osta paesaggistico
rivestita dal verbale n.110/1999 del 1992; deduce inoltre che, comunque,
l’autorizzazione paesaggistica sarebbe contenuta nell’autorizzazione comunale n.
2258 del 17.10.2006, in quanto il Comune risulta essere, in base L.R. n.2/2003
(art.1, comma 2), l’organo subdelegato dalla Regione preposto al rilascio del
nulla osta paesaggistico; argomenta che, in ogni caso, la pretesa di applicare
provvedimenti inibitori e sanzionatori per la mancanza del nulla osta ambientale
sarebbe contraria all’affidamento ingenerato nel ricorrente da parte del
medesimo Comune con il rilascio della più volte richiamata autorizzazione n.
2258 del 17.10.2006 e con la stipula della correlata convenzione.
Sempre al riguardo parte ricorrente insiste sulla violazione del giudicato da
parte dell’amministrazione comunale che, in seguito alle sentenze n.544/05 e
n.721/06, si sarebbe formato in ordine al rilascio di un’autorizzazione
“globale” idonea a coprire tutti i vari aspetti inerenti alla possibilità di
effettuare l’attività di recupero di materiale inerte (fra cui anche quello di
tutela ambientale), senza che l’amministrazione potesse più dichiarare
l’effettuazione dell’attività in questione subordinata al rilascio di altri
titoli abilitativi.
In particolare, l’obbligo del rilascio di un’autorizzazione comprendente anche
l’aspetto paesaggistico (e conseguentemente il diritto di parte ricorrente ad
ottenerlo) sarebbe stata già acclarato nella sentenza di merito n.544/05 e,
conseguentemente, sarebbe stata oggetto di res iudicata.
Il vincolo al rilascio di una siffatta autorizzazione sarebbe poi stato
ulteriormente confermato dalla sentenza n.721/06 emessa in sede di ottemperanza.
Gli atti di diffida prima, a non compiere l’attività, e sanzionatori poi, di
ordine di ripristino, risulterebbero quindi posti in essere in violazione o
elusione di giudicato.
I provvedimenti gravati sarebbero dunque affetti da nullità per contrarietà a
giudicato ai sensi dell’art. 21 septies della legge n.241/90 e, comunque,
risulterebbero quantomeno illegittimi.
2.1) Iniziando dall’aspetto relativo all’esistenza dell’autorizzazione
paesaggistica parte ricorrente sostiene che la stessa gli sarebbe stata
rilasciata dalla Regione Abruzzo con il verbale n.110/1999 del 12.5.1992 del
Comitato Speciale per i Beni Ambientali.
Quest’ultimo verbale non è contenuto in atti (è stato depositato solo
l’attestato dell’intervenuto parere positivo espresso nel medesimo verbale) e,
pertanto, non è verificabile se vi fossero contenute valutazioni in ordine alla
compatibilità paesaggistica degli interventi, né l’eventuale contenuto di tale
valutazione, ovverosia se esso riguardasse la mera attività o specifiche opere
(quali la strada realizzata dal ricorrente per il trasporto dei materiali).
Si rileva poi che parte ricorrente ha individuato la competenza del “Comitato
Speciale per i Beni Ambientali” al rilascio del nulla osta paesaggistico nel
1992 in base ad una legge regionale del 2003 (la n.2/2003) che peraltro indica
il “Comitato Regionale per i Beni Ambientali”.
L’attinenza del suindicato verbale del Comitato Speciale per i Beni Ambientali
all’aspetto autorizzatorio ambientale si evince solo dagli atti
dell’amministrazione stessa, che richiama in via generica la necessità
dell’autorizzazione da parte di quest’ultimo ufficio nella nota 2214 del
5.5.1992 (all. n.14 del fascicolo di parte del procedimento n.278/2004
depositato in entrambe i giudizi dal ricorrente sub all. II e III).
In ogni caso si osserva con funzione assolutamente dirimente che tale verbale è
appunto datato 12.5.1992 e che l’intervento di cui si discute è stato realizzato
solo nel 2007, in forza di una autorizzazione (n. 2258) rilasciata il
17.10.2006.
Evidente quindi come fossero in ogni caso ben decorsi i termini di validità di
un eventuale nulla osta paesaggistico.
Tale termine di validità è stato difatti indicato dalla parte resistente,
correttamente secondo il Collegio, in cinque anni, ai sensi dell’art.16 del R.D.
n.1357 del 3 giugno 1940 .
Al riguardo la validità del nulla osta ambientale, rilasciato per l'esecuzione
di lavori edilizi nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, viene meno,
automaticamente, al decorso del quinquennio (T.A.R. Campania Salerno, n. 422 del
10 luglio 1997, vedi anche T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 7 maggio 2007 , n.
4788, secondo cui “il nulla osta rilasciato per gli interventi edilizi in zone
sottoposte al vincolo paesaggistico è assoggettato al limite temporale di
validità di anni cinque, ai sensi dell'art. 16, r.d. 3 giugno 1940 n. 1357,
fatto poi salvo dall'art. 161, d.lg. 29 ottobre 1999 n. 490”),
Anzi tale termine di validità era già trascorso al momento in cui parte
ricorrente aveva richiesto al Comune l’autorizzazione per l’esercizio
dell’attività di recupero del materiale lapideo (21.5.2003) e successivamente
intentato ricorso nei confronti della provvedimento di diniego.
L’eventuale valutazione paesaggistica favorevole formulata nel 1992 non poteva
essere quindi posta a base dell’attività iniziata quasi quindici anni dopo.
L’autorizzazione paesaggistica quindi, anche qualora fosse stata rilasciata,
andava nuovamente acquisita.
2.2) L’altra argomentazione del ricorrente è che l’autorizzazione paesaggistica
fosse ricompresa nel provvedimento autorizzatorio n. 2258 del 17.10.2006.
Al riguardo si evidenzia che ciò non corrisponde al vero.
Il provvedimento di autorizzazione rilasciato non contiene alcuna valutazione
inerente la compatibilità ambientale, né parte ricorrente ha dimostrato vi
fossero gli elementi e la documentazione normalmente richiesta per addivenire a
tale valutazione.
Al riguardo il citato invio dell’autorizzazione agli organi Ministeriali ed, in
particolare, alla Soprintendenza non pare essere stato effettuato, come
ventilato da parte ricorrente, ai fini dell’esercizio dell’eventuale potere di
“annullamento ministeriale”, ex art. 159, comma 3, D.Lgs. n.42/ 2004, e quindi
nell’ambito dello svolgimento del normale iter procedimentale connesso al
rilascio da parte dell’ente territoriale dell’autorizzazione paesaggistica, in
quanto nessun elemento nella corrispondenza intercorsa sulla vicenda tra il
Comune e gli organi ministeriali lascia supporre ciò ed anzi da quest’ultima
emerge l’inesistenza degli elementi documentali necessari a tale valutazione.
L’inoltro pare difatti formulato a fini informativi e di valutazione generale
della vicenda.
Infine, si tiene a sottolineare, non può neanche sostenersi che l’autorizzazione
paesaggistica dovesse ritenersi comunque “implicitamente” contenuta ed assorbita
nel provvedimento di autorizzazione n. 2258 del 17.10.2006 e che,
conseguentemente, l’eventuale mancanza della valutazione paesaggistica
rileverebbe solo quale vizio del provvedimento autorizzatorio per mancata
considerazione dell’aspetto ambientale (eliminabile solo in sede di autotutela).
L’autorizzazione paesaggistica non può essere intesa difatti come mero
presupposto di legittimità dell’autorizzazione comunale a svolgere l’attività in
questione ed a compiere le trasformazioni del territorio necessarie o comunque
funzionali a tal fine, connotandosi per una sua autonomia strutturale e
funzionale.
La circostanza che lo stesso Ente abbia la competenza su aspetti diversi della
medesima vicenda abilitativa (es. concessoria, urbanistica ed ambientale) può
ben comportare l’esigenza, nell’ottica di una corretta amministrazione, che
l’Ente, previa effettuazione delle diverse valutazioni , renda una pronuncia
contestuale su tutti i vari aspetti.
In tal senso anzi il legislatore ha predisposto ed incentivato, soprattutto
negli ultimi anni, degli strumenti procedimentali appositi, come la conferenza
di servizi ed i così detti procedimenti unici conclusivi con un provvedimento
finale unico di autorizzazione contenete ogni altra autorizzazione, permesso ed
assenso (es l’art.4 del D.P.R. 20-10-1998 n. 447, in materia di autorizzazione
all'insediamento di attività produttive, art.12, D.Lgs. 29-12-2003 n. 387
relativo alla realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, art.
1-sexies, D.L. 29-8-2003 n. 239, così come convertito dalla L. 27-10-2003 n.
290, per l’autorizzazione di reti nazionali di trasporto dell'energia e per gli
impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, dove
l’attività è autorizzata con un unico provvedimento finale, che prende il posto
di ogni altro atto di autorizzazione, concessione, nulla osta e atto di assenso
comunque denominato, a seguito di un procedimento a cui partecipano tutte le
amministrazioni interessate e vengono valutati tutti gli aspetti della tutela
dell’interesse pubblico).
Al tempo stesso si ravvisa certo la necessità, ai fini di una corretta
amministrazione ed un leale rapporto di collaborazione tra cittadino e
l’amministrazione, che in sede di rilascio di un titolo abilitativo per lo
svolgimento di una data attività l’autorità preposta al suo rilascio faccia
presente, qualora possa essersi ingenerata una situazione di incertezza,
l’esistenza della necessità di ulteriori atti e valutazioni di sua competenza,
non ingenerando equivoci sulla sufficienza del titolo rilasciato, tanto più se
in ordine allo svolgimento della suindicata attività sia stata stipulata una
convenzione tra il privato e l’amministrazione per la regolamentazione della
parte economica del rapporto.
Tale esigenze si pongono sul piano della correttezza del comportamento
dell’amministrazione, la cui violazione può comportare indubbiamente rimedi
giurisdizionali, quali ad esempio il risarcimento del danno ma, in ogni caso,
salvo che sia la legge a prevedere l’unicità del provvedimento finale (in al
modo facendo confluire la valutazione di diversi interessi in un unico
procedimento), non è possibile far derivare un principio secondo cui, in assenza
di una specifica disposizione normativa, qualora in un unico ente convergano
diverse competenze riguardanti differenti aspetti (es. concessori, urbanistici,
ambientali etc.) inerenti ad una unica vicenda, l’Ente si esprima con un unico
provvedimento finale riassuntivo e contenente una autorizzazione unica
comprensiva di tutti i diversi aspetti.
Ciò può avvenire in quelle ipotesi dove è previsto dalla legge un procedimento
unico con un provvedimento finale unitario, dove quest’ultimo è assorbente di
ogni altra autorizzazione, nulla osta, titolo abilitativo, ma non nel caso di
specie, dove una analoga norma non è rinvenibile, né è invocata.
Difatti l’autorizzazione paesaggistica anche qualora, come nel caso di specie,
risulti delegata al Comune da norma di legge regionale, è considerata come
provvedimento autonomo, peraltro complesso, considerata la fase di successivo
“controllo” ministeriale, con un autonomo esito provvedimentale e come tale va
trattata.
L’autorizzazione paesaggistica difatti si presenta con caratteri di assoluta
autonomia rispetto al profilo concessorio e di stipula della convenzione
inerente alla fattispecie in esame.
Ma la medesima autorizzazione paesaggistica si presenta con carattere di
autonomia anche nei confronti dei titoli abilitativi riguardanti l’ assetto del
territorio anch’essi coinvolti nel caso di cui trattasi.
Ciò persino nelle ipotesi di rilascio del permesso di costruire, il cui
procedimento è strettamente connesso con quello di rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica sia nell’attuale regime transitorio l’art.159 del D.Lgs. 22-1-2004
n. 421, che a maggior ragione in quello futuro dettato dall’art.146 dello stesso
D.Lgs. 22-1-2004 n. 421 dove è previsto che l’autorizzazione paesaggistica venga
rilasciata nell’ambito del medesimo procedimento all’esito di una conferenza di
servizi ove le autorità preposte alla tutela del vincolo verranno chiamata a
partecipare.
Al riguardo l’art.159 del D.Lgs. 22-1-2004 n. 421, in via transitoria sino al 31
dicembre 2009 e, da quella data in via definitiva, l’art.146 del medesimo
decreto legislativo, prevedono che “l'autorizzazione paesaggistica costituisce
atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri
titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio” e l’art.159 specifica
espressamente che “i lavori non possono essere iniziati in difetto di essa”.
Tale autonomia era stata peraltro evidenziata in sede giurisprudenziale già
nella vigenza del regime normativo precedente all’entrata in vigore del Testo
Unico in materia ambientale di cui al più volte citato decreto legislativo e del
Testo Unico sull’edilizia D.P.R. n.380/2001.
In termini di autonomia tra il permesso di costruire e nulla osta paesaggistico
si era già difatti espresso difatti il Consiglio di Stato (Sez. VI, 19 giugno
2001 , n. 3242)”secondo cui l'autonomia strutturale dei due procedimenti, non
consente di considerare la procedura per il rilascio del nulla osta quale
"presupposto necessario" del procedimento per il rilascio della concessione
edilizia, neppure nell'ipotesi di opere da realizzarsi su aree vincolate come
bellezze di insieme (C.S., sez. V, 11.3.1995, n. 376; 22.6.1971, n. 600).
Infatti, il procedimento per il rilascio del nulla osta paesaggistico è un
procedimento parallelo e autonomo rispetto a quello per il rilascio della
concessione edilizia. Esso è preordinato alla verifica della compatibilità
ambientale di lavori edilizi, che, con altro concorrente procedimento, possono
essere ritenuti conformi alla normativa urbanistica ed edilizia. Questa
normativa è l'unica che condiziona il rilascio della concessione edilizia, e la
sua violazione consente l'esercizio del potere repressivo regionale (nella
specie delegato alla Provincia), ai sensi dell'art. 27 della L.U..
Corollario della autonomia dei due diversi procedimenti, finalizzati alla tutela
di due distinti interessi, è che i due titoli (concessione edilizia e nulla osta
paesaggistico) hanno contenuti differenti (seppure ambedue relazionati al
territorio), che il rilascio dell'uno non comporta il rilascio dell'altro
titolo, e che, viceversa, la preclusione al rilascio di un titolo non è ostativa
al rilascio dell'altro. Ulteriore corollario è quello che l'inizio dei lavori in
zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli (la
giurisprudenza è costante nel ritenere che l'inizio dei lavori è subordinato
all'adozione di entrambi i provvedimenti, ved. C.S., sez.V, 11.3.1995, n. 376;
20.11.1989, n. 738; 1.2.1990,n. 61; 15.3.1991, n. 262; 18.2.1992, n. 128).
La garanzia, quindi, che il territorio non venga compromesso da lavori,
assentiti con concessione edilizia ma privi di nulla osta paesaggistico, è data
dall'impossibilità giuridica di intraprendere i lavori prima dell'acquisizione
del necessario nulla osta paesaggistico. Per questo è stato ritenuto che la
violazione dell'art. 25 del R.D. 3 giugno 1940 n.1357, in relazione all'art. 31
della L. 17 agosto 1942 n. 1150 e succ. modd., rappresenta "una mera
irregolarità procedimentale improduttiva di conseguenze sostanziali, che non
rende illegittima la concessione" (Cass. Civ., I, 21.10.1980, n. 5631; Cass.
pen., III, 24.3.1998, n. 1093)”.
Riassumendo, quindi, non si può ritenere che il nulla osta paesaggistico sia
contenuto implicitamente nell’autorizzazione a svolgere attività di recupero di
materiale inerte rilasciata dal Comune, né la sua assenza può essere considerata
quale mero difetto di un presupposto di legittimità dell’autorizzazione, né
infine può in ogni caso ammettersi l’effettuazione di interventi sul territorio
in assenza dello stesso.
Quanto alle violazioni delle legittime aspettative di parte ricorrenti fondate
sull’avvenuto rilascio dell’autorizzazione comunale n. 2258 del 17.10.2006 e
sull’avvenuta stipula della convenzione, il Collegio rileva che pur essendo
possibile si riscontri tale violazione, su cui si tornerà più avanti, il suo
effetto non può essere quello di consentire la realizzazione di opere in assenza
di autorizzazione paesaggistica, come non può essere quello di considerare
invalidi atti inibitori e sanzionatori fondati sull’assenza di quest’ultima,
trattandosi di atti dovuti in base a legge.
La violazione dell’affidamento ingenerato può influire sull’aspetto inerente
alla validità dell’atto amministrativo, solo andandosi a configurare nell’ambito
del vizio dell’eccesso di potere, ipotizzabile in attività contraddistinte da
attività discrezionale dell’amministrazione.
In tal senso non è quindi qui sostenibile l’esistenza di tale vizio in quanto
siamo in presenza di attività vincolata dove all’amministrazione non è concessa
discrezionalità amministrativa in ordine all’an del procedere all’applicazione
delle sanzioni previste per la violazione della normativa di tutela ambientale.
La tutela in tali ipotesi riposa su rimedi diversi, quale quello risarcitorio.
2.3) Quanto alla supposta violazione del giudicato di cui alla sentenza n.544/05
e delle statuizioni della sentenza di ottemperanza n.721/06, il Collegio ravvisa
come si debba innanzitutto analizzare qual è l’oggetto del giudicato della prima
e, conseguentemente, l’esatto contenuto della pronuncia di ottemperanza della
seconda.
L’oggetto del giudicato si deduce non dal solo dispositivo della sentenza, bensì
deve essere dedotto anche alla luce delle ragioni espresse nella parte motiva
della sentenza (ex multis Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10498 del 01/08/2001) e,
per quanto riguarda la definizione dell’oggetto del giudizio, anche valutando le
natura delle domande introdotte delle parti.
In particolare, in tema di interpretazione del giudicato l'essenza e l'effettiva
portata della decisione devono essere determinate non soltanto in base al
dispositivo , ma anche tenendo conto, alla stregua della motivazione, del
contenuto attribuito dalla sentenza alla domanda giudiziale (ex multis, T.A.R.
Sicilia Palermo Sez. I, 07-03-2007, n. 749; Cassazione civile, sez. III, 16
gennaio 2006, n. 726), formandosi il giudicato della sentenza anche su quegli
accertamenti contenuti in motivazione relativi a questioni che si trovino in
relazione di causa ed effetto rispetto a quella espressamente decisa (Cons.
Stato, Sez. IV, Sent. 10-05-2007, n. 2251).
Nell'indagine volta ad accertare l'oggetto ed i limiti del giudicato esterno,
difetti, deve essere individuata l'essenza e l'effettiva portata del giudicato,
quale si desume non soltanto dal dispositivo, ma anche dai motivi che lo
sorreggono, con approfondita disamina volta ad enucleare e chiarire il percorso
argomentativo che ha determinato la decisione: in tale indagine le domande e le
eccezioni delle parti, se non possono contrastare i risultati argomentabili alla
stregua di altri elementi univocamente idonei ad escludere una obiettiva
incertezza sul contenuto della pronuncia in base alle chiare espressioni usate
ed alle ragioni logiche e giuridiche sulle quali la decisione è fondata, possono
tuttavia svolgere una funzione integratrice nella ricerca degli esatti confini
del giudicato (Cass., Sez. I, Sentenza n. 2721 del 2007; Cass. 1996 n. 3916)
Nel caso di specie la domanda di parte ricorrente aveva ad oggetto un doppio
petitum e, nello specifico, una pronuncia demolitoria di annullamento del
diniego dell’autorizzazione all’effettuazione dell’attività di recupero lapideo
ed una pronuncia di accertamento ed, in particolare, della declaratoria del
diritto del ricorrente a vedersi rilasciare dal Comune l’autorizzazione.
La sentenza dava atto, nella parte motiva, dell’erroneità della ragione posta
dal Comune a base del diniego dell’autorizzazione, ovverosia il divieto previsto
nell’art. 35 delle N.U.E. di porre in essere nella zona interessata attività
estrattive e di cava in quanto l’attività per cui era stata chiesta
l’autorizzazione non rientrava tra queste ultime.
La stessa motivazione inoltre richiamava in via generica la circostanza
dell’intervenuta auto-rizzazione da parte della Regione Abruzzo e che, tenuto
conto delle considerazioni effettuate e delle precisazioni di parte ricorrente,
il permesso di recupero poteva essere assentito.
Nel dispositivo però la sentenza in questione si limitava, nell’accogliere il
ricorso, a sancire il solo annullamento del provvedimento impugnato omettendo
ogni statuizione sul diritto ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione in
questione.
Appare quindi al Collegio che il T.A.R., si sia pronunciato, nella sentenza in
questione, sulla sola domanda di annullamento, in quanto la richiesta di
declaratoria del diritto non ha trovato alcuno spazio nel dispositivo della
sentenza.
Né poteva tale domanda di accertamento trovare adito, non risultando la
questione attinente a diritti soggettivi e data la sostanzialmente natura
impugnatoria del giudizio amministrativo di legittimità, che impediva una
pronuncia volta alla declaratoria della sussistenza di tutti i requisiti per il
rilascio dell’autorizzazione in questione e conseguentemente del diritto
all’ottenimento della medesima.
In ogni caso il T.A.R. sull’accertamento dell’esistenza di tale diritto non si è
pronunciato.
Che la pronuncia si sia limitata al classico schema lo schema: verifica
dell’illegittimità delle motivazioni addotte dall’amministrazione per il diniego
– pronuncia di annullamento, è peraltro dimostrato dalla stessa parte motiva
della sentenza dove identifica l’oggetto principale della domanda del ricorrente
nell’annullamento del provvedimento comunale di non accoglimento della richiesta
di permesso di recupero, senza fare cenno alla declaratoria di sussistenza ad
ottenere l’autorizzazione in questione.
Esclusa quindi la sussistenza di una espressa pronuncia in ordine alla
declaratoria di tale diritto, un eventuale obbligo positivo di rilascio
dell’autorizzazione poteva essere desunto dalla sentenza solo in sede di effetto
conformativo, inteso come vincolo posto all’amministrazione dalla motivazione
della sentenza di annullamento in vista della riedizione del potere
amministrativo sullo stesso oggetto.
Ora, al di là della segnalata eventuale “anomalia” di una pronuncia che in sede
di annullamento di un atto in materia non strictu senso connotata dalla sola
presenza di diritti soggettivi vagli la presenza di tutti i presupposti per il
suo rilascio, una tale verifica non appare essere stata effettuata nel caso in
esame.
La parte della motivazione della sentenza che deduce l’esistenza dei presupposti
per il rilascio dell’autorizzazione ed, in particolare, dell’autorizzazione
regionale, si pronuncia sul punto in modo del tutto generico, senza prendere
specificamente in considerazione i vari aspetti autorizzativi necessari e senza
fare riferimento ad alcun specifico atto, limitandosi al generico richiamo alle
deduzioni della parte ricorrente sulla presenza di una autorizzazione regionale
e del fatto che l’intervento in parola sarebbe stato individuato come strumento
di eliminazione del deturpamento ambientale.
Non è stata effettuata una analisi specifica delle singole questioni ed, in
particolare, sull’esistenza e validità di tutte le autorizzazioni necessarie,
valutando i singoli documenti depositati in giudizio da parte ricorrente (tanto
più che l’autorizzazione ambientale sarebbe risultata comunque già scaduta).
Lo stesso richiamo alle autorizzazioni regionali è stato espresso con una
espressione del tutto generica, in quanto a fronte dei diversi e per certi versi
autonomi profili autorizzatori (es. aspetto del nulla osta ambientale ed
idrogeologico, profilo concessorio e dell’ autorizzazione al mutamento di
destinazione d’uso dei terreni in questione gravati da servitù di uso civico) il
T.A.R. ha solo riportato l’esistenza di una autorizzazione da parte della
Regione Abruzzo, senza alcuna ulteriore specificazione.
Non è stata quindi effettuata una verifica dell’esistenza di tutte le
condizioni, tra cui la presenza di tutte le ulteriori autorizzazioni, nulla
osta, permessi, necessarie al rilascio dell’autorizzazione all’effettuazione
dell’attività di recupero di materiale lapideo, in grado di vincolare
l’amministrazione al rilascio dello stesso togliendogli la possibilità di ogni
ulteriore valutazione.
Inoltre, essendo la problematica insorta nel presente giudizio relativa alla
presenza del nulla osta paesaggistico, non risulta che sia stata analizzata la
questione relativa all’autorizzazione a porre in essere non una attività
generica ma specifici interventi modificati del territorio.
La conoscenza del Collegio in ordine all’esistenza delle autorizzazione è stata
pertanto solo incidentale e non è idonea a formare giudicato sul punto.
Prova ne sia la circostanza che nessuna statuizione di accertamento
sull’esistenza dei presupposti è stata riportata nel dispositivo, e che pertanto
il riconoscimento dell’esistenza delle autorizzazione ed il generico richiamo
all’assenza di ragioni ostative al rilascio non è considerabile quale capo
autonomo della sentenza in grado di costituire giudicato, bensì quale mera
argomentazione dedotta ai fini dell’annullamento.
Né, infine, l’effetto di giudicato della parte motivazionale dedotta dal
ricorrente può essere dedotto in sede di interpretazione della portata del
giudicato da un eventuale rapporto in termini di relazione causa - effetto tra
la motivazione ed il dispositivo, nel senso che quest’ultimo presuppone
necessariamente l’accertamento contenuto nella prima.
Nel caso di specie (come in genere nel giudizio amministrativo di legittimità),
la pronuncia di annullamento dell’atto presuppone la sola verifica
dell’illegittimità del motivo posto dall’amministrazione a base del
provvedimento di diniego gravato e non presuppone l’accertamento del diritto
della parte ad ottenere un provvedimento positivo, né quello inerente alla
presenza di tutte le condizioni necessarie e sufficienti per il suo rilascio.
Il Collegio evidenzia a questo punto che l’effetto conformativo di giudicato
derivante dalla più volte citata sentenza n.544/05, che ha annullato il
provvedimento di diniego, risultava consistere nell’accertamento che il diniego
dell’autorizzazione era stato motivato in base ad un aspetto di contrarietà alle
disposizioni urbanistiche (violazione dell’art.35 delle N.C.E.) rivelatosi
inesistente.
Da tale sentenza è derivato in capo all’amministrazione l’obbligo di
riprovvedere e, per l’effetto conformativo della decisione giudiziale, di non
porre a base della nuova determinazione la medesima motivazione già dichiarata
illegittima dalla sentenza.
Quest’ultima non ha accertato la sussistenza di tutti i requisiti per il
rilascio dell’autorizzazione in questione, né, men che meno, la presenza di
tutte le condizioni necessarie (ed il rilascio di eventuali altri titoli
abilitativi richiesti) per l’esercizio dell’attività in esame (che necessitava
la valutazione dei diversi aspetti di interesse pubblico coinvolti quali ad
esempio l’uso dei beni gravati da diritti di uso pubblico, l’aspetto
urbanistico, quello di tutela dei beni paesaggistici).
Il vincolo derivante all’Amministrazione non era quindi quello di rilasciare
l’autorizzazione e soprattutto non era l’obbligo di valutare tutti gli aspetti
inerenti l’effettuazione dell’attività richiesta, bensì di rivalutare il rifiuto
alla luce della motivazioni di annullamento contenute nella suindicata sentenza
dell’adito T.A.R..
Tale pronuncia non copriva l’aspetto dell’eventuale necessità di ottenere altri
e diversi atti autorizzativi in relazione ai vari aspetti di interesse pubblico
coinvolti.
Nemmeno la sentenza di ottemperanza n.721/06 copriva quest’ultimo aspetto.
Il T.A.R. difatti in tale pronuncia ha preso atto dell’intervenuta
inottemperanza al giudicato e della diffida intervenuta da parte del ricorrente
ed ha ordinato all’amministrazione di ottemperare, provvedendo, in difetto per
la nomina di un commissario ad acta.
L’amministrazione aveva quindi l’obbligo di riprovvedere in materia, evitando di
reiterare le motivazioni errate che avevano determinato il precedente rigetto.
Non vi era però nel disposto di tali sentenze una statuizione che prevedeva
l’obbligo positivo da parte del Comune di rilasciare un provvedimento
abilitativo che riguardasse tutti gli aspetti autorizzatori dell’attività che si
intendeva porre in essere, compreso quello del nulla osta paesaggistico.
Il Collegio non si ravvisa, quindi, violazione di giudicato in quanto il Comune
a seguito delle sentenze del T.A.R. si è riespresso in ordine all’autorizzazione
al prelievo di materiale e provveduto alla stipula della relativa convenzione,
già precedentemente fatta oggetto di diniego, senza però che avesse l’obbligo,
in sede di ottemperanza della suindicata sentenza, di pronunciarsi positivamente
in ordine alla compatibilità ambientale.
Si noti peraltro che, in generale, le competenze autorizzatorie ricollegabili
allo svolgimento di una attività da parte del privato ben possono spettare ad
enti diversi ed è solo circostanza occasionale che, nel caso di specie, che la
valutazione ulteriore (della compatibilità paesaggistica) ricada, almeno in
prima battuta, in capo al medesimo Comune.
Da tale circostanza derivava in capo al Comune eventualmente il solo obbligo di
pronunciarsi su tutta la questione, senza omettere l’aspetto ambientale ed anzi
effettuando la verifica di compatibilità, ma non quello di rilasciare sic et
simpliciter il nulla osta paesaggistico.
Ancora il fatto che, come evidenziato, al medesimo Comune competesse di
pronunciarsi anche sulla compatibilità ambientale e non l’abbia fatto (ed anzi
sia rimasto del tutto silente sul punto), ancorchè avesse (come indicato nella
sua stessa nota del. prot. 1648 del 19.12.2005) ricevuto una richiesta in tal
senso dal ricorrente, potrà essere valutato, come in seguito verrà fatto, al
fine di definire l’eventuale violazione del suo obbligo generale di buona
amministrazione e comportamento corretto nei confronti degli amministrati, ma
non comporta in alcun modo che possano essere integrati gli estremi della
violazione del giudicato nei termini indicati da parte ricorrente.
2.4) Il Collegio ritiene che quanto anzidetto comporti il rigetto e
l’assorbimento della gran parte dei motivi formulati nei ricorsi di cui è causa.
Al riguardo si palesa l’irrilevanza del motivo sollevato nel ricorso di cui al
R.G. n. 186/07,
relativo all’illegittimità della motivazione contenuta nell’atto di diffida
n.2727 del 2.5.2007 per quanto riguarda le errate modalità della comunicazione
di avvio delle attività che secondo il Comune secondo quanto prescritto
nell’art.22 del Regolamento Edilizio.
Tale profilo diviene irrilevante in virtù dell’assorbenza delle altre ragioni
(di cui si è scrutinata la legittimità) sottostanti al rilascio del
provvedimento impugnato che da sole sono pienamente sufficienti a giustificarne
l’avvenuta adozione da parte dell’amministrazione.
2.5) Del tutto infondata è anche la censura, formulata nell’ambito di entrambe i
ricorsi, relativa alla disparità di trattamento derivante dalla circostanza che
un’altra società denominata S.E.F.A. avrebbe ottenuto l’autorizzazione per
un’attività identica a quella proposta dalla parte ricorrente.
La censura si presenta come generica ed indimostrata, non avendo nemmeno
specificato parte ricorrente i termini della indicata autorizzazione, né se la
società che si sostiene autorizzata sia in regola con il nulla osta
paesaggistico la cui assenza è posta a base dei provvedimenti qui gravati.
In ogni caso, presentandosi la repressione dell’attività posta in essere in
violazione della normativa di tutela paesaggistica attività vincolata da parte
dell’amministrazione, non vi sarebbe comunque alcuno spazio per una censura di
disparità di trattamento che può rilevare, con effetti vizianti sugli atti posti
in essere, solo in presenza di attività discrezionale.
2.6) Rimane a questo punto da scrutinare il solo motivo contenuto nel ricorso
n.186/07, e richiamato nel ricorso n.359/07, relativo alla violazione e falsa
applicazione dell’art.7 della legge n.241/90 per aver l’amministrazione omesso
la comunicazione di avvio del procedimento che ha portato all’atto n. 2727 del
2.5.2007 con cui il Comune ha diffidato parte ricorrente a non dare corso ai
lavori “in mancanza della prescritta autorizzazione paesaggistica prevista
dall’art.159 del D.Lgs. n.42/2004”.
Al riguardo il Collegio rileva come a suo avviso ben poteva il Comune, ricevuta
la comunicazione di inizio lavori e quindi nell’imminenza dell’avvio
dell’attività, provvedere ad una diffida senza farla precedere da un avviso di
avvio di procedimento ex art.7 della legge n.241/90.
Ciò considerata la natura non direttamente sanzionatoria della diffida in
questione e la sua finalità sostanziale di sospendere le opere ritenute abusive
di cui era stato comunicato l’avvio, nonchè per l’incombenza dell’attività
abusiva che rendeva incompatibili i tempi della comunicazione di avvio con il
perseguimento delle finalità dell’atto adottato.
In ogni caso il Collegio, in considerazione di quanto precedentemente motivato,
ritiene applicabile alla fattispecie in esame il disposto dell’art.21 octies
della legge n.241/90, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, vertendosi in
ambito provvedi mentale vincolato e risultando che il contenuto dell’atto non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
3) Per i motivi suindicati il Collegio ritiene che la domanda di annullamento
dell’atto comunale n. 2727 del 2.5.2007, oggetto del ricorso di cui al R.G.
n.186/2007, e dell’ordinanza di riduzione in pristino prtot. 5389 del 6.9.2007,
oggetto del ricorso per motivi aggiunti di cui al R.G. n.359/2007, debbano
essere rigettati.
Per quanto riguarda l’ordinanza di sospensione lavori prot. 4119 del 10.7.2007,
impugnata nel ricorso principale di cui al R.G. n.359/2007, il Collego rileva
come il suo interesse all’annullamento sia venuto meno in seguito all’adozione
del provvedimento sanzionatorio di riduzione in pristino impugnato con motivi
aggiunti nell’ambito del medesimo ricorso, salvo per quanto riguarda i profili
risarcitori che verranno scrutinati nel seguito della presente pronuncia.
Ciò in quanto il provvedimento di sospensione, avente carattere interinale e
finalità cautelare, ha fatto seguito il provvedimento sanzionatorio definitivo
che risulta assorbente rispetto al primo.
Per quanto riguarda la nota regionale prot. n. 10709 del 14.11.2006, impugnata
nel medesimo ricorso principale di cui al R.G. n.359/2007, ed inerente alla
supposta nullità dell’autorizzazione comunale per intervenuta scadenza del
termine annuale previsto nel provvedimento regionale del 1992, la domanda di
annullamento deve essere dichiarata inammissibile per l’assenza di lesività
della nota stessa.
Quest’ultima infatti si configura come mero atto informativo comunicato dalla
Regione al Comune affinchè quest’ultimo adotti, se del caso, gli atti ritenuti
opportuni.
Tale nota non pare avere alcun effetto provvedimentale, né conseguenze
immediatamente lesive, ed al riguardo potrà essere eventualmente impugnato
l’atto sfavorevole al ricorrente, che al momento si presenta come meramente
eventuale, che l’amministrazione potrà ritenere di adottare in base alle
considerazioni contenute nella nota in questione.
In seguito alla nota il Comune ha solamente comunicato, ex art.7 legge n.241/90,
l’avvio di un procedimento al fine di valutare l’influenza invalidante sugli
atti abilitativi precedentemente posti in essere, senza che, per quanto risulta
agli atti del giudizio, alcun provvedimento sia stato ancora assunto al
riguardo.
Si evidenzia quindi un difetto di interesse originario a ricorrere da parte del
ricorrente nei confronti della suindicata nota regionale.
4) Quanto al comportamento dell’amministrazione il ricorrente ha lamentato la
scorrettezza dell’operato di quest’ultima e la violazione dei principi di buona
fede e del legittimo affidamento ingenerato.
Ciò è da scrutinare anche in relazione alle richieste di risarcimento danni
formulate dalla medesima parte ricorrente.
Il Collegio ritiene che, in base alla considerazione complessiva della vicenda,
i profili di scorrettezza denunciati sussistano, ancorchè, per quanto anzidetto,
essi non operino effetti invalidanti sui provvedimenti emessi.
Al riguardo non vi è prova che, a partire dal 1992, parte ricorrente, ottenuto
il parere positivo della Regione, abbia richiesto l’autorizzazione comunale allo
svolgimento dell’attività attività di recupero del materiale inerte sino al 2003
(la prima richiesta risulta essere stata formulata il 21.5.2003 come risulta
dalla nota del Comune prot.1257) e, quindi, sino a quella data non risulta a
carico dell’amministrazione alcun comportamento censurabile in temini di
correttezza.
Dal 2003 in poi, al contrario, l’amministrazione ha tenuto alcuni comportamenti
contrari al dovere di correttezza e buona fede nei confronti del privato.
In particolare il Comune ha prima evitato di ottemperare alla sentenza n.
n.544/05, poi quando ha finalmente provveduto, a seguito della sentenza
n.721/06, si è limitato a provvedere al rilascio dell’autorizzazione senza
prendere in considerazione l’aspetto della valutazione di compatibilità
ambientale, che pure rientrava nell’ambito di sua competenza, e ciò ancorchè,
come ammesso dalla stessa amministrazione nella nota n.7648 del 19.12.2005,
parte ricorrente gli avesse richiesto tale valutazione presentandogli alcuni
elaborati progettuali.
A fronte di tale situazione l’Amministrazione avrebbe potuto e dovuto valutare
entrambe gli aspetti, eventualmente richiedendo le necessarie integrazioni
documentali al ricorrente per quanto riguarda l’autorizzazione paesaggistica od,
almeno, specificare, al momento del rilascio dell’autorizzazione o della
correlata convenzione, che quest’ultima non riguardava la parte paesaggistica.
In tal senso l’Amministrazione avrebbe dovuto quantomeno rendere edotta parte
ricorrente dell’insufficienza dell’autorizzazione ottenuta allo svolgimento
dell’attività, tanto più se si considera che la stessa amministrazione ha
stipulato una convenzione con il privato per l’attività di recupero del
materiale inerte che ha comportato dei pagamenti in relazione all’anno 2006 e
2007, inducendo il privato a ragionevolmente confidare, considerata la
peculiarità della situazione, sulla sufficienza dell’autorizzazione ottenuta
allo svolgimento dell’attività in questione.
Né in tal senso il Comune stesso può invocare l’inciso contenuto nell’art.10
dell’autorizzazione che faceva salva la necessità di eventuali altri titoli
abilitativi perché tale clausola è formulata in termini genericissimi mentre nel
caso in esame, considerati i termini concreti della vicenda, ben poteva e doveva
essere specificata l’assenza della valutazione paesaggistica.
5) Rimane da valutare l’incidenza di quanto anzidetto sul profilo della domanda
risarcitoria formulata dal ricorrente in entrambe i ricorsi ed attinente, in
sostanza, alla medesima vicenda, partendo dall’acclarata circostanza che il
Comune ha si violato i doveri di correttezza e buona fede ma che ciò non ha
influenzato la validità degli atti amministrativi gravati.
In tali ipotesi la violazione di tali doveri non può escludersi che possa
potenzialmente configurarsi come idonea a far sorgere una responsabilità
risarcitoria.
In tal senso il Collegio richiama quella giurisprudenza amministrativa, ormai
consolidata, che - seppure per le diverse fattispecie relative all’esercizio del
potere legittimo di revoca nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica -
ritiene configurabile una responsabilità dell’amministrazione ed evidenzia la
necessità di un comportamento improntato alla correttezza e buona fede da parte
dell’amministrazione e dall’altro la possibilità di addivenire a pronunce
risarcitorie pur in presenza di atti legittimi (da ultimo Consiglio di stato,
sez. V, 07 settembre 2009 , n. 5245).
Il Collegio non ignora che tale giurisprudenza - relativa ai casi di revoca
riconosciuta legittima della gara e dell’aggiudicazione in presenza di
comportamenti scorretti da parte dell’amministrazione - si richiama all’istituto
della responsabilità precontrattuale di cui agli artt.1337 e 1338 c.c. poiché si
riferisce a vicende in cui l’attività è funzionale ad un procedimento volto alla
stipula di un rapporto contrattuale ed, in tal senso, è parzialmente differente
dalla fattispecie di cui al ricorso in esame.
La giurisprudenza in esame puntualizza che ai fini della responsabilità
risarcitoria dell’amministrazione non viene in rilievo la legittimità
dell'esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento
amministrativo, ma la correttezza del contegno tenuto dall'ente pubblico durante
la fase delle trattative e della formazione del contratto, alla luce
dell'obbligo delle parti paciscenti di comportarsi secondo buona fede in forza
di quanto stabilito dall'art. 1337 del codice civile.
La clausola di buona fede in senso oggettivo ha una portata generale che si
esplica in una serie puntuale di doveri fra cui spiccano sia quello di
informazione, inteso come dovere di comunicare alla controparte le cause di
invalidità, inefficacia, inadempimento o inutilità del contratto, sia quello di
realizzazione degli adempimenti necessari per garantire la validità, l'efficacia
o l'utilità del rapporto negoziale.
Con particolare riferimento alle procedure di evidenza pubblica, la
responsabilità precontrattuale dell'amministrazione è stata peraltro
indifferentemente configurata dalla giurisprudenza sia in presenza del
preventivo annullamento per illegittimità di atti della sequenza procedimentale,
sia nell'assodato presupposto della loro validità ed efficacia (cfr. fra le
tante: Cons. St., sez. VI, 17 dicembre 2008, n. 6264; sez. VI, 5 aprile 2006, n.
1763; sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194; Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6).
Tali pronunce valorizzano l’aspetto relativo ai doveri di correttezza e buona
fede cui è tenuta l’amministrazione nel rapporto con gli amministrati che
possono venire il rilievo al di la delle ipotesi tipizzate di stretta
responsabilità precontrattuale, soprattutto alla luce di quelle ricostruzioni
nell’ambito della responsabilità civile che mettono in rilievo la possibile
configurazione di una responsabilità da contatto sociale anche nel rapporto tra
amministrazione e cittadino.
Tale tipo di responsabilità pare quindi si possa potenzialmente riferire anche
ai casi, come quello in questione, in cui il comportamento scorretto è relativo
al rilascio di una autorizzazione abilitativa all’esercizio di una attività.
Ma nel caso in esame, elemento aggiuntivo ai fini della configurabilità della
responsabilità risarcitoria, appare essere la circostanza che l’Amministrazione
ha stipulato una convenzione con la parte ricorrente per l’esercizio
dell’attività ed, in particolare, per la disciplina della parte economica del
rapporto.
Quest’ultima è stata stipulata a seguito dell’autorizzazione rilasciata
dell’amministrazione comunale (che ora la stessa dichiara non poter operare a
causa dell’assenza dell’autorizzazione paesaggistica) e parte ricorrente ha
peraltro versato gli oneri previsti in concessione per fine anno 2006 e per
l’anno 2007.
In tale contesto quindi vi è spazio anche per configurare una responsabilità
precontrattuale (che non è preclusa dall'intervenuta stipulazione del contratto
secondo anche le più recenti acquisizioni della giurisprudenza della Corte di
cassazione - Cass., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24795; sez. un., 19 dicembre
2007, n. 26724) in quanto l’Amministrazione, proprio in virtù del rapporto
concretamente instauratosi avrebbe dovuto quantomeno avvisare parte ricorrente
della necessità di ottenere anche l’autorizzazione paesaggistica, in conformità
ad una regola di comportamento improntata alla correttezza e buona fede, ex
art.1337 c.c., ed anche in virtù del dovere specifico che incombe alla parte di
comunicare alla controparte le cause di efficacia o inutilità del contratto, ai
sensi dell’art.1338 c.c..
Inoltre, sul piano processuale, affinchè possa essere attribuita alla cognizione
del giudice amministrativo una domanda risarcitoria che esula da una pronuncia
di annullamento (o comunque da una valutazione di illegittimità) dell’atto
amministrativo, come ad esempio avviene nei casi di responsabilità
precontrattuale dell’amministrazione nel caso di revoca legittima
dell’aggiudicazione dell’appalto, è necessario che la materia sottostante sia
devoluta alla giurisdizione esclusiva del plesso giurisdizionale amministrativo
e che la tutela dei diritti soggettivi azionati sia connessa in via immeditata e
diretta all'esercizio di funzione pubblica.
Ciò pare accadere nella presente fattispecie collegata ad una vicenda rientrante
nell’ambito della giurisdizione esclusiva attribuita al giudice amministrativo
in materia di urbanistica ai sensi dell'art. 34 del D.Lgs. n.98 del 1998, così
come sostituito dall’art.7 della legge n. 205 del 2000.
Debbono però ricorrere tutti gli altri requisiti sostanziali e processuali
perché sussista e possa essere riconosciuta in giudizio una responsabilità
risarcitoria in capo all’amministrazione tra cui, in primis, l’esistenza del
danno (quale requisito sostanziale) ed una specifica domanda in tal senso
(requisito processuale).
Nel caso di specie il ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno.
Solo che ha ancorato il risarcimento del danno all’annullamento degli atti
gravati ed, in particolare, ha richiesto il risarcimento in relazione alla
mancata possibilità di porre in essere l’attività di recupero di materiale
inerte al quale sostiene avrebbe avuto pieno diritto.
Anche l’entità del risarcimento (650.000,00 euro salva diversa quantificazione
in corso di giudizio) è stata formulata in relazione al mancato guadagno di una
attività che si ritiene si avesse diritto di porre in essere.
Al riguardo si è già detto che almeno sino al 2003 non sussiste la prova che il
mancato svolgimento dell’attività sia dipeso da un rifiuto dell’amministrazione
comunale di porre in essere l’attività stessa.
Non vi è difatti alcun provvedimento negativo in proposito da parte del Comune
né specifiche richieste da parte dell’interessato che, comunque, a fronte
dell’immobilismo del Comune avrebbe potuto e dovuto porre in essere gli
strumenti offerti dall’ordinamento per ovviare a tale inerzia.
Per quanto riguarda il periodo successivo a quella data, si osserva che parte
ricorrente non ha contestato che per l’attività in questione fosse necessaria
l’autorizzazione paesaggistica e non è possibile valutare nel presente giudizio
se sussistessero presupposti per il rilascio di detta autorizzazione e,
conseguentemente, se il comportamento scorretto dell’amministrazione abbia
conseguito un reale effetto negativo sulla sfera giuridica e patrimoniale di
parte ricorrente, negando un bene della vita che lo stesso aveva il diritto di
ottenere.
Per queste ragioni, ed in questi termini, la domanda risarcitoria non può essere
accolta.
7) Per le suddette ragioni, che ne assorbono ogni altra, il Collegio ritiene che
i ricorsi riuniti debbano essere così decisi:
- Il ricorso di cui al RG. 186/2007 deve essere rigettato per le motivazioni che
precedono.
- Per quanto riguarda il ricorso principale di cui al RG. 359/2007, va
dichiarata la sopravenuta carenza di interesse nei confronti della richiesta di
annullamento dell’ordinanza di sospensione lavori prot. n. 4119 del 10.7.2007,
fatto salvo quanto concerne gli aspetti risarcitori che sono stati scrutinati
con gli esiti di seguito indicati.
- Sempre per quanto riguarda il ricorso principale di cui al RG. 359/2007, va
dichiarata l’inammissibile della restante parte del ricorso relativa
all’impugnativa della nota regionale prot. n. 10709 del 14.11.2006 per carenza
di interesse del ricorrente..
- Il ricorso per motivi aggiunti di cui RG. 359/2007 va rigettato.
- Parimenti vanno rigettate le domande risarcitorie formulate nel ricorso di cui
RG. 186/2007 e nel ricorso principale e nel ricorso per motivi aggiunti di cui
al RG. 359/2007, per le ragioni e nei termini indicati in motivazione.
Tenuto conto della particolarità della vicenda e della complessità delle
valutazioni di diritto ad essa relative ed in considerazione, altresì, di quanto
dedotto in parte motiva sul comportamento tenuto dall’amministrazione nei
confronti del ricorrente, il Collegio ritiene sussistano giusti motivi per
disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio per entrambi i
ricorsi riuniti, dichiarando l’irripetibilità del Contributo Unificato.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, sede di L’Aquila,
definitivamente pronunziando sui ricorsi in epigrafe:
Riunisce il ricorso di cui al RG. 359/2007 al ricorso di cui al RG. 186/2007.
Rigetta il ricorso di cui al RG. 186/2007.
Dichiara la sopravenuta carenza di interesse nel ricorso principale di cui al
RG. 359/2007, per quanto riguarda la richiesta di annullamento dell’ordinanza di
sospensione lavori prot. n. 4119 del 10.7.2007, fatto salvo quanto concerne gli
aspetti risarcitori e dichiara inammissibile la restante parte del ricorso,
relativa all’impugnativa della nota regionale prot. n. 10709 del 14.11.2006.
Rigetta il ricorso per motivi aggiunti di cui RG. 359/2007.
Rigetta le domande risarcitorie formulate nei ricorsi di cui al RG. 359/2007 e
RG. 186/2007, nei termini di cui in motivazione.
Spese compensate.
Contributo Unificato irripetibile.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 04/11/2009 con
l'intervento dei Magistrati:
Michele Perrelli, Presidente
Maria Abbruzzese, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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