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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II - 27 ottobre 2010, n. 8012
RIFIUTI - Operazioni di recupero - Utilizzo promiscuo, a fine produttivo, di
rifiuti e di altra materia prima - Qualifica di impianto di recupero -
Fondamento - Utilizzo esclusivo o prevalente di rifiuti - Necessità - Esclusione.
Non è rinvenibile nell’ordinamento di settore nessuna norma la quale, ai fini
della qualificazione come impianto di recupero, richieda che vi siano processati
esclusivamente, o prevalentemente, rifiuti. In altri termini, non esiste una
distinzione tra impianto di produzione industriale ed impianto di recupero di
rifiuti, bensì rapporto di genere a specie tra il primo e il secondo. Un
impianto che, ai fini di una specifica produzione industriale (nel caso di
specie: produzione di conglomerato bituminoso) utilizzi e tratti
(anche)"rifiuti",effettuando le"operazioni di recupero" definite nell'allegato C
alla parte quarta del decreto legislativo n°152 del 2006, è per ciò stesso
qualificabile, ai fini della normativa ambientale, come "impianto di recupero di
rifiuti" . Esso costituirà tutt'al più un impianto di tipo promiscuo, nella
misura in cui tratti, con riferimento allo specifico settore produttivo in cui
opera, "aggregati (o inerti) naturali" e materie prime vere e proprie, accanto
ad "aggregati riciclati", permanendo tuttavia la sua qualificazione come
impianto di recupero. Pres. Mozzarelli, Est. Pasi - S. s.p.a. (avv.ti
Pittalis e Roversi Monaco) c. Provincia di Forlì-Cesena (avv. Dacci) e Regione
Emilia Romagna (avv. Oppi) - TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II - 27
ottobre 2010, n. 8012
RIFIUTI - VIA - Impianti di recupero - Aumento della capacità di recupero -
Assenza di modificazioni strutturali/edilizie - Modifica sostanziale -
Configurabilità - Assoggettamento a VIA - Punto 8, lett. t) dell’Allegato IV al
d.lgs. n. 152/2006. L'aumento di capacità di recupero - pur in assenza di
modificazioni strutturali/edilizie- comporta un ampliamento dell'impianto, del
pari sottoposto a verifica di assoggettabilità, ai sensi del punto 8 lett. t)
dell’Allegato IV al d.lgs. n. 152/2006. Anche la modifica puramente gestionale,
infatti, pur rimanendo invariata la struttura, configura un ampliamento o
un'estensione e pertanto rientra nel concetto di "modifica sostanziale". Detta
soluzione, che considera anche il mero potenziamento produttivo, ove comporti
superamento delle "soglie" previste per le varie categorie progettuali,
nell'ambito delle "modifiche o estensioni di progetti già autorizzati,
realizzati...che possono avere notevoli ripercussioni negative
sull'ambiente...," è l’unica coerente con la funzione che la disciplina della
VIA riveste nell'ordinamento nazionale e comunitario. Tale strumento è
finalizzato infatti ad individuare, descrivere e valutare tutti gli effetti,
diretti ed indiretti, permanenti o transitori,positivi e negativi, dei
"progetti" sull'ambiente circostante, nelle sue componenti naturali ed
antropiche. Ben si comprende, pertanto, che un impianto o un'infrastruttura
debba essere valutata non solo per le sue caratteristiche "fisiche"(dimensione,
localizzazione, ecc.) ma anche in ragione degli impatti che il suo funzionamento
può avere sull'ambiente circostante (cfr. TAR Lombardia, n°5534/2008, secondo
cui l'aumento del quantitativo dei rifiuti complessivamente trattati presenta
inequivocabilmente le caratteristiche di una "modifica sostanziale"
dell'impianto, con conseguente assoggettamento alla procedura di VIA, siccome
comportante il superamento delle soglie dimensionali fissate negli Allegati alla
parte seconda del D.Lgs. n°152/2006). Pres. Mozzarelli, Est. Pasi - S. s.p.a.
(avv.ti Pittalis e Roversi Monaco) c. Provincia di Forlì-Cesena (avv. Dacci) e
Regione Emilia Romagna (avv. Oppi) - TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II -
27 ottobre 2010, n. 8012
RIFIUTI - VIA - Impianti di recupero sottoposti a procedure semplificate -
Esclusione dall’obbligo di VIA - Inconfigurabilità - D.lgs. n. 152/2006 -
Novella ex d.lgs. n. 4/2008 - Sentenza Corte di Giustizia CE del 23.11.2006,
causa C-486/04. Nella versione riformata del D.Lgs n.152/2006, dopo le
modifiche introdotte dal D.Lgs n.4/2008, gli Allegati III e IV alla parte
seconda del citato decreto legislativo, contenenti, rispettivamente, i progetti
da sottoporre a VIA e a verifica di assoggettabilità, non prevedono più alcuna
esclusione dall’obbligo di VIA per gli impianti di recupero rifiuti sottoposti
alle procedure semplificate (cfr. sentenza Corte di Giustizia delle Comunità
Europee del 23.11.2006, causa C-486/04 che ha sanzionato per inadempimento
l’Italia, per aver escluso dalla valutazione di impatto ambientale i progetti di
impianti che effettuano operazioni di recupero dei rifiuti in procedura
semplificata; nella medesima sentenza, la Corte, motivando la sua contrarietà a
qualsiasi regime derogatorio di esclusione anticipata dalla procedura di VIA, ha
posto una distinzione tra finalità dell’attività di recupero - preservare le
risorse naturali - e modalità con le quali l’attività di recupero è effettuata,
potendo esse comportare, al pari di quella di smaltimento, rilevanti
ripercussioni per l’ambiente. Dal momento che le operazioni di smaltimento e di
recupero di rifiuti si distinguono per lo scopo perseguito e non per i mezzi
adoperati, la normativa nazionale non può dispensare anticipatamente dall’ambito
di applicazione della disciplina sulla VIA gli impianti che effettuano
operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi, senza averne previamente
accertato in concreto la loro incidenza ambientale). Pres. Mozzarelli, Est. Pasi
- S. s.p.a. (avv.ti Pittalis e Roversi Monaco) c. Provincia di Forlì-Cesena
(avv. Dacci) e Regione Emilia Romagna (avv. Oppi) - TAR EMILIA ROMAGNA,
Bologna, Sez. II - 27 ottobre 2010, n. 8012
RIFIUTI - VIA - Procedure semplificate - Artt. 214, c. 2 e 216, c. 1 d.lgs.
n. 152/2006 - Osservanza dei parametri ex D.M. 5.2.98 - Condizione di ammissione
alle procedure semplificate - Interferenza con la procedura VIA - Esclusione.
L’osservanza dei parametri ex DM 5.2.98 è prevista dagli artt.214, comma 2, e
216, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 come unica condizione di ammissione alle
procedure semplificate, ma senza previsione di alcuna interferenza con la
organica ed esaustiva disciplina della VIA, contenuta in altra parte (seconda)
dello stesso decreto. Pres. Mozzarelli, Est. Pasi - S. s.p.a. (avv.ti Pittalis e
Roversi Monaco) c. Provincia di Forlì-Cesena (avv. Dacci) e Regione Emilia
Romagna (avv. Oppi) - TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II - 27 ottobre 2010,
n. 8012
RIFIUTI - Artt. 214-216 d.lgs. n. 152/2006 - Procedure semplificate - Deroga
al regime autorizzatorio ex artt. 208 e ss. d.lgs. .n 152/2006. Gli artt.
214, 215 e 216, sotto il comune titolo di “procedure semplificate” (capo V del
titolo I della parte quarta del decreto) recano, ove siano osservate le
prescrizioni stabilite con gli appositi decreti di cui al comma 2 dell’art.214 (v.D.M.
5.2.98 e s.m.i.), una esplicita deroga soltanto al regime autorizzatorio
ordinario di cui agli artt.208 e ss. (capo IV dello stesso titolo I:
“Autorizzazioni e iscrizioni”), consentendo senz’altro, alle condizioni ivi
indicate, l’esercizio delle operazioni di recupero decorsi 90 (novanta)giorni
dalla comunicazione di inizio senza che siano nel frattempo intervenuti
provvedimenti inibitori (cd. regime semplificato). Pres. Mozzarelli, Est. Pasi -
S. s.p.a. (avv.ti Pittalis e Roversi Monaco) c. Provincia di Forlì-Cesena (avv.
Dacci) e Regione Emilia Romagna (avv. Oppi) - TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna,
Sez. II - 27 ottobre 2010, n. 8012
RIFIUTI - VIA - Procedure semplificate - Lettura coordinata degli artt.
214-216 d.lgs. n. 152/2006 - Osservanza dei parametri di cui al D.M. 5.2.98 -
Condizione aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quelle ordinariamente
prescritte per le operazioni di recupero dei rifiuti. La lettura coordinata
degli artt. 214, 215 e 216 della parte II e IV del DLgs 152/06 impone di
ritenere che l’osservanza dei parametri ex DM 5.2.98 è condizione aggiuntiva e
non sostitutiva rispetto a quelle ordinariamente prescritte per le operazioni di
recupero dei rifiuti (ivi comprese, ove occorrano lo “screening ambientale e/o
la VIA stessa), necessaria e sufficiente al solo scopo di consentirne un
esercizio-che sia già altrimenti legittimato dall’osservanza di tutti i
presupposti di legge- in regime semplificato, cioè previa DIA non seguita da
inibitoria, e senza necessità di previa autorizzazione espressa. Pres.
Mozzarelli, Est. Pasi - S. s.p.a. (avv.ti Pittalis e Roversi Monaco) c.
Provincia di Forlì-Cesena (avv. Dacci) e Regione Emilia Romagna (avv. Oppi) -
TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II - 27 ottobre 2010, n. 8012
RIFIUTI - Procedure semplificate - Osservanza dei parametri ex DM 5.2.98 -
Garanzia ex ante delle esigenze di protezione ambientale - Esclusione - Art. 1,
c. 1 . Che le esigenze di protezione ambientale non siano garantite “ex
ante” dall’osservanza dei parametri ex DM 5.2.1998 (che non assorbono, quindi,
la valutazione dell’impatto ambientale, ma costituiscono soltanto le condizioni
di esonero dall’autorizzazione) è confermato dallo stesso tenore testuale
dell’articolo introduttivo (art.1 comma1) del decreto medesimo, il quale
premette alla definizione dei parametri che “le attività, i procedimenti, e i
metodi di recupero…….non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e
recare pregiudizio all’ambiente e in particolare” creare rischi per acqua, aria,
suolo, flora e fauna, rumori ed odori, né danni al paesaggio, premessa di
carattere generale che sarebbe del tutto superflua ed ultronea, se tale esigenza
di tutela ambientale fosse già ex sè assicurata dall’osservanza dei parametri
tecnici successivamente stabiliti. Pres. Mozzarelli, Est. Pasi - S. s.p.a.
(avv.ti Pittalis e Roversi Monaco) c. Provincia di Forlì-Cesena (avv. Dacci) e
Regione Emilia Romagna (avv. Oppi) - TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II -
27 ottobre 2010, n. 8012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 08012/2010 REG.SEN.
N. 00018/2010 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 18 del 2010, proposto da:
Società Sintesis S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Gualtiero Pittalis,
Maria Giulia Roversi Monaco, con domicilio eletto presso Gualtiero Pittalis in
Bologna, via S.Vitale 55;
contro
Provincia di Forli' - Cesena, rappresentato e difeso dall'avv. Giampaolo Dacci,
con domicilio eletto presso Guido Mascioli in Bologna, via Santo Stefano 30;
Regione Emilia Romagna, rappresentato e difeso dall'avv. Daniela Oppi, con
domicilio eletto presso Regione Ufficio Legale Regione E.R. in Bologna, viale
Aldo Moro 52;
per l'annullamento
del provvedimento della Provincia di Forlì-Cesena n.546 del 14.10.2009 e della
nota di comunicazione prot.n.99282/09 del 14.10.2009 recanti il divieto di
inizio dell'attività di recupero di rifiuti non pericolosi di cui alla
comunicazione della Società ricorrente agli atti della Provincia in data
20.05.2009 prot.n.49378/09, nell'impianto industriale di Forlì di produzione di
conglomerato bituminoso;
delle nota della Regione Emilia-Romagna P.G. 2009/206440 del 18.09.2009 e P.G.
2009/228858 del 12.10.2009 aventi ad oggetto il parere di sottoposizione
dell'impianto industriale di Forlì alla verifica di assoggettabilità alla
valutazione di impatto ambientale;
delle note della Provincia di Forlì-Cesena prot.n.67324/09 del 16.07.2009 e
prot.n.76498/09 del 07.08.2009;
di ogni atto comunque connesso;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Forli' - Cesena e di
Regione Emilia Romagna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2010 il dott. Alberto Pasi e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società Sintesis S.p.A. ha impugnato il provvedimento della Provincia di
Forlì-Cesena (n°546 del 14/10/2009) con cui è stato disposto il divieto di
inizio di attività di recupero di rifiuti non pericolosi, ai sensi dell'art. 216
del D.Lgs.n°152/2006, nonché i pareri resi dalla Regione Emilia Romagna sul
punto, in relazione alla comunicazione della ricorrente datata 20/05/2009, di
voler variare sia alcune tipologie, sia i quantitativi complessivi annui di
rifiuti non pericolosi trattati ed avviati al recupero, nel proprio impianto di
Forlì, con cui produce conglomerato bituminoso. Sia il provvedimento inibitorio
provinciale che i pareri resi dalla Regione Emilia Romagna - Servizio
Valutazione Impatto e Promozione Sostenibilità ambientale - si fondano sulla
necessità che la modifica impiantistica - che, secondo la comunicazione della
società, comporterebbe la variazione dei rifiuti complessivamente trattati
nell'impianto, nell'ambito dell'attività di recupero già esercitata sin dal
1998, da 45.000 a 75.230 tonnellate per anno - sia sottoposta alla procedura di
verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, ai sensi
dell'art. 20 del D.Lgs. n.°152/2006, e in base a quanto stabilito dalle
disposizioni di cui ai punti 7 lett. z.b e 8 lett. t dell’allegato IV alla parte
seconda del citato Decreto legislativo, nel testo modificato dal D.Lgs.
n°4/2008, che integra sul punto le disposizioni della L.R. n°9/1999.
Secondo la ricorrente, invece, il comma 4 dell'art. 216, prevede il divieto di
inizio ovvero di prosecuzione dell'attività di recupero dei rifiuti, quale
materia prima del processo industriale,
” soltanto qualora la Provincia accerti il mancato rispetto delle norme tecniche
e delle condizioni di cui al comma 1".
Nessuna delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 dell'art. 216
sarebbe stata violata della ricorrente, ne' l’atto della Provincia ne indica
alcuna.
Infatti l’art. 216, comma 1, rinvia alle norme tecniche e prescrizioni
specifiche di cui al precedente art. 214, commi 1, 2 le quali consistono:
-nella garanzia di un elevato livello di protezione ambientale e di controlli
efficaci (comma 1);
- ai sensi del comma 2, nella sottoposizione alla procedura semplificata
dell'art. 216 delle attività di recupero di cui all'Allegato C , parte quarta
del D. Lgs. n. 152/06, per tipi e quantità di rifiuti da recuperare fissate con
decreto ministeriale (il D.M. 5.2.1998 modificato ed integrato con D.M.
5.4.2006).
La Società intende effettuare esattamente talune delle attività di recupero dei
rifiuti previste dall'allegato C, parte quarta del D. Lgs. n. .152/06 (e
specificamente l'attività R5 Riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche, e
l'attività R13 – Messa in riserva di rifiuti per sottoporli all'operazione di
recupero R5), per tipi e quantità ammessi dal D.M. 5.2.1998 come integrato e
modificato dal D.M. 5.4.2006, recante le uniche norme e condizioni tecniche al
cui rispetto è subordinata la procedura semplificata di cui al combinato
disposto degli artt. 214 e 216.
Quindi, nessuna norma tecnica o condizione richiamate dall'art. 216, comma .4
risulterebbe nella fattispecie violata.
Il rispetto delle tipologie e dei limiti quantitativi stabiliti dal D.M.
5.2.1998 sarebbe necessario e sufficiente ai fini della idoneità della
comunicazione di cui all'art. 216 del D. Lgs. N, 152/06; nel sistema della
procedura semplificata rileva ai fini della regolarità del recupero la
valutazione effettuata ex ante con il D.M. 5.2.1998, cosicchè, una volta che
risultino rispettati i parametri del decreto ministeriale, e precisamente le
tipologie ed i quantitativi dei rifiuti da recuperare (come nella fattispecie
risultano rispettati), ed una volta che si tratti effettivamente di attività di
recupero di cui all'Allegato C parte quarta del D. Lgs. n. 152/06 (come
esattamente accade nella fattispecie, ove si effettuano le operazioni di
recupero R5), non residuerebbe alla Provincia alcun margine per vietare
l'attività oggetto della comunicazione di cui all'art. 216, comma 1.(cfr TAR
Lazio II 477/04, TAR Friuli Venezia Giulia 104/04, Corte Cost. 127/00).
Con un secondo motivo la ricorrente, premesso che la verifica di
assoggettabilità alla V.I.A. è prevista dall'art. 20 del D. Lgs. n. 152/06 nel
caso di progetti di cui all’allegato IV punto 7 z/b, relativi ad impianti di
smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi con capacità complessiva
superiore a 10 t/giorno, sostiene che la disposizione si riferisce agli impianti
esclusivi di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, vale a dire agli
impianti (ed ai relativi progetti)realizzati esattamente per tale specifica
attività di smaltimento e recupero rifiuti, e dei quali tale attività
costituisca l’oggetto specifico.
Nel caso di specie, al contrario, si tratta di uno stabilimento industriale per
la produzione di conglomerato bituminoso, da sempre adibito esclusivamente a
tale ordinaria attività, e che utilizza quale materia prima (per la produzione
del conglomerato) alcuni rifiuti.
Tanto è vero che si applica la procedura semplificata e non il precedente art.
208 che prevede il normale regime autorizzatorio.
Siamo quindi al di fuori dalla portata applicativa dell'art. 20 e del punto 7,
lett. z.b), dell'Allegato 4 del.D. Lgs. n. 152/06, che sono stati violati ed
erroneamente richiamati dai provvedimenti impugnati.
Ciò vale anche con riferimento alla l.r. Emilia-Romagna 18.5.1999 n. 9, che
disciplina la valutazione di impatto ambientale, la quale sottopone anch'essa
allo screening unicamente gli impianti di ” smaltimento e recupero di rifiuti
non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno” (art.4 punto
B, l.22-quinquies dell’Allegato B.1), con disposizione speculare al punto 7,
lett. z.b), dell'Allegato 4 al D. Lgs. n. 152/06.
Anche la circolare regionale PG 2009/49760 del 27.02.2009 rispetto a cui la
successiva posizione regionale si rivela anche manifestamente contraddittoria –
a pag 10 distingue le “attività” di recupero rifiuti dagli “impianti” di
recupero rifiuti, disponendo che le prime, a differenza delle seconde, "non sono
soggette a procedure di verifica (screening) ed a procedure di VIA".
Inoltre l'impianto industriale di Forlì non ha subito né subirà alcuna modifica
in relazione all’attività di recupero di rifiuti oggetto della comunicazione
della ricorrente, quindi è inconfigurabile la nozione di modifica sostanziale
dell'impianto e l'applicabilità degli artt. 5, comma 1, lett. 1 bis) e 20, comma
6, del D.Lgs. n. 152/06, così come del punto 7) lett. z.b) dell'Allegato 4 ed è
erroneo il richiamo, di cui alla nota impugnata della Regione P.G. 2009/228858
del 12.10.2009, al punto 8, lett. t), dell'Allegato 4, il quale ha ad oggetto
modifiche o estensioni di progetti di cui all'Allegato 3 o all'Allegato 4 .
Nè è rintracciabile alcuna norma che, con riferimento ad uno stabilimento
industriale di produzione di conglomerato bituminoso, consenta di ravvisare una
modifica sostanziale nel fatto in sè e per sè della modifica di taluni aspetti
dell'attività di recupero rifiuti, ove tali modifiche siano pur sempre
all'interno e nel rispetto del D.M. 5.2.1998, che costituisce il parametro
preventivo di conformità dell'attività di recupero anche ai fini ambientali.
Inoltre, nessuno degli atti impugnati reca alcun elemento istruttorio o
motivazionale che sorregga la tesi della modifica sostanziale.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che la inibitoria della attività di
recupero comunicata, non essendo assistita da idonea base giuridica, violerebbe
principi costituzionali e comunitari di imparzialità e buon andamento della
P.A., e di libertà di iniziativa economia e concorrenza.
Il quarto ed ultimo motivo riguarda la lamentata omessa valutazione delle
osservazioni della ricorrente, acquisite in sede di partecipazione
procedimentale.
Resistono la Regione Emilia-Romagna e la Provincia di Forlì-Cesena.
La causa passa in decisione alla odierna pubblica udienza.
Conviene preliminarmente definire la natura e tipologia dell’attività che la
Sintesis pretende di esercitare in regime di procedura semplificata ex art.216
D.Lgs.n.152/2006 (comunicazione di inizio non seguita da provvedimento
inibitorio, anziché autorizzazione ex art.208 dello stesso D.Leg.), al fine di
verificare la sua astratta inquadrabilità (o meno) tra quelle soggette a
“screening” ambientale ex art.20 del DLgs 152/06, allegato 4 punto 7 z) b) e
punto 8 t), invocati dall’amministrazione.
Solo in caso di verifica positiva di tale astratta assoggettabilità allo
“screening”, occorrerà esaminare se la osservanza dei limiti quantitativi e
tipologici ex DM 5.02.1998 e s.m.i. possa costituire motivo di esenzione ex
art.216 DLgs 152/06, in ragione della specialità di tale fattispecie.
La prima questione viene introdotta con il secondo motivo sotto un duplice
profilo:
a) la ricorrente non esercita un impianto di recupero di rifiuti, a ciò
specificamente destinato e dedicato, ma utilizza rifiuti nell’ambito del ciclo
produttivo del conglomerato bituminoso, cioè esercita un impianto produttivo non
finalizzato al recupero o allo smaltimento di rifiuti, ma un impianto diverso,
ancorché in una fase di tale esercizio recuperi rifiuti, il che non basterebbe a
qualificarlo impianto di recupero ai sensi del punto 7 z b dell’allegato IV.
b) tanto meno, l’aumento quantitativo dei rifiuti da recuperare, oltre il limite
(10 tonnellate al giorno) stabilito, dalla normativa di riferimento, per
l’assoggettamento a “screening” ambientale, costituisce modifica sostanziale
dell’impianto produttivo ai sensi del punto 8 lett.t); esso resta assolutamente
inalterato, atteso che l’incremento integra soltanto un maggiore sfruttamento
della sua capacità produttiva preesistente.
Mancherebbero quindi, secondo la prospettazione, i presupposti applicativi sia
del punto 7 z b dell’allegato 4 (impianto di recupero di rifiuti non
pericolosi), che del punto 8 t dello stesso (modifica sostanziale dell’impianto
).
Rileva al riguardo il Collegio che nessuna norma è rinvenibile nell’ordinamento
di settore la quale, ai fini della qualificazione come impianto di recupero,
richieda che vi siano processati esclusivamente, o prevalentemente, rifiuti.
Posto che rifiuto è “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie
riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il
detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi ” (art.183 Dlgs.152/06,
comma 1, lett.a), che è recupero qualsiasi operazione che utilizzi ” rifiuti per
generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti, attraverso
trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, incluse la cernita o la
selezione (art.183 DLgs 152/06, comma 1, lett.h ), e che, senza ombra di dubbio,
l’impianto della ricorrente effettua, anche, tali operazioni, esso deve
qualificarsi, ai sensi della normativa ambientale, ed agli effetti della
sottoposizione alla relativa disciplina, quale impianto di recupero di rifiuti.
In altri termini, non esiste la pretesa distinzione tra impianto di produzione
industriale ed impianto di recupero di rifiuti, bensì rapporto di genere a
specie tra il primo e il secondo.
Un impianto che, ai fini di una specifica produzione industriale (nel caso di
specie: produzione di conglomerato bituminoso) utilizzi e tratti
(anche)"rifiuti"- nella specie, identificati ai codici CER descritti nel
provvedimento di iscrizione della Provincia di Forli-Cesena n°409 del 12/01/2009
effettuando le"operazioni di recupero" definite nell'allegato C alla parte
quarta del decreto legislativo n°152 del 2006, è per ciò stesso qualificabile,
ai fini della normativa ambientale, come "impianto di recupero di rifiuti" .
Esso costituirà tutt'al più un impianto di tipo promiscuo, nella misura in cui
tratti, con riferimento allo specifico settore produttivo in cui opera,
"aggregati (o inerti) naturali" e materie prime vere e proprie, accanto ad
"aggregati riciclati", permanendo tuttavia la sua qualificazione come impianto
di recupero, in quanto nessuna norma richiede che siano processati
esclusivamente o prevalentemente rifiuti ai fini di tale attribuzione. Giova
infine, ricordare, che la società ricorrente è iscritta, sin dal 2000 , al
Registro delle imprese che effettuano attività di recupero rifiuti, in procedura
semplificata, costituendo dunque anche il recupero oggetto della sua attività di
impresa.
Inoltre l'aumento di capacità di recupero, fino alla potenzialità massima
comunicata , comporta - pur in assenza di modificazioni strutturali/edilizie- un
ampliamento dell'impianto, del pari sottoposto a verifica di assoggettabilità,
ai sensi del successivo punto 8 lett. t) del medesimo Allegato. Non vi può
essere alcun dubbio che anche la modifica puramente gestionale, pur rimanendo
invariata la struttura, configuri un ampliamento o un'estensione e pertanto
rientri nel concetto di "modifica sostanziale ".Infatti tale soluzione, che
considera anche il mero potenziamento produttivo, ove comporti superamento delle
"soglie" previste per le varie categorie progettuali, nell'ambito delle
"modifiche o estensioni di progetti già autorizzati, realizzati...che possono
avere notevoli ripercussioni negative sull'ambiente...," è l’unica coerente con
la funzione che la disciplina della VIA riveste nell'ordinamento nazionale e
comunitario. Tale strumento è finalizzato infatti ad individuare,descrivere e
valutare tutti gli effetti, diretti ed indiretti, permanenti o
transitori,positivi e negativi, dei "progetti" sull'ambiente circostante, nelle
sue componenti naturali ed antropiche. Ben si comprende, pertanto, che un
impianto o un'infrastruttura debba essere valutata non solo per le sue
caratteristiche "fisiche"(dimensione, localizzazione, ecc.) ma anche in ragione
degli impatti che il suo funzionamento può avere sull'ambiente circostante. La
correttezza di tale impostazione è confermata dalla giurisprudenza con specifico
riferimento agli impianti che recuperano rifiuti non pericolosi. In tal senso si
è pronunciato il TAR Lombardia (sez. IV, 21/11/2008, n°5534), reputando che
l'aumento del quantitativo dei rifiuti complessivamente trattati presentasse
inequivocabilmente le caratteristiche di una "modifica
sostanziale"dell'impianto, con conseguente assoggettamento alla procedura di
VIA, siccome comportante il superamento delle soglie dimensionali fissate negli
Allegati alla parte seconda del D.Lgs. n°152/2006 . Nel caso considerato, si
trattava dell'attività di una cartiera che effettuava operazioni di recupero, di
cui all'All. C parte quarta del D.Lgs. n.152/2006 nel proprio impianto per la
produzione di carta e cartone. Tale impianto, a seguito dell'ampliamento
richiesto, costituito unicamente dall'aumento dei rifiuti complessivamente
trattati, è stato ritenuto assoggettabile a VIA, in base alla disposizione
dell'art. 23 del D.Lgs. n°152/2006 (nella previgente versione), in quanto
rientrante tra gli "impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non
pericolosi, con capacità superiore a 100 t/giorno, mediante operazioni di
incenerimento o trattamento di cui... all'Allegato C, lettere da R1 a R9, della
parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.."
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tale sentenza, ancorché
riferita ad ipotesi di eccedenza dai limiti quantitativi e tipologici ex DM
5.02.1998, è del tutto pertinente, nella parte in cui definisce e qualifica
l’aumento del quantitativo annuo (di rifiuti trattati) quale ampliamento o
modifica sostanziale dell’impianto, ai fini della applicazione della disciplina
VIA. Ulteriore e diversa è invece la questione, che la pronuncia lascia del
tutto impregiudicata (e che sarà esaminata in questa sede nella trattazione del
primo motivo), della eventuale esenzione degli impianti in esercizio in regime
semplificato, laddove siano osservati i limiti ex DM 5.2.98, come nel caso di
specie.
Peraltro dal confronto tra la planimetria dell’impianto (doc.1 della Provincia)
presentata dalla ditta in occasione dell’iscrizione al registro delle imprese
esercenti attività di recupero e quella allegata (doc.2 della Provincia) alla
comunicazione del 20.5.2009, risulta evidente l’ampliamento dell’area dedicata
alla messa in riserva (o stoccaggio) dei rifiuti.
Infatti l’area adibita alla messa in riserva R13 sulla precedente planimetria è
pari a circa 1.400 mq. mentre la nuova area prevista per tale operazione sulla
planimetria del 2009 è pari a circa 3.250 mq.
Dalla documentazione agli atti risulta un aumento dei quantitativi di rifiuti
gestiti di oltre il sessanta per cento: dalle precedenti 45.000 t/anno alle
75.230 t/anno comunicate nel 2009.
Dalla relazione tecnica presentata dalla ditta in occasione della variazione
risulta una produzione di conglomerato bituminoso in uscita dall’impianto
stimata in 400.000 t/anno, mentre nella relazione tecnica presentata in
occasione dell’iscrizione al registro imprese che recuperano rifiuti non
pericolosi, mai modificata nei successivi rinnovi, la produzione stimata era di
150.000 t/anno.
Pertanto la modifica non può prescindere sia da un aumento delle ore di utilizzo
dell’impianto di produzione di conglomerato bituminoso (ovvero della
potenzialità oraria) che da un aumento dei mezzi in ingresso e in uscita
dall’impianto e della movimentazione all’interno dello stesso, con impatti da
valutare quanto meno in riferimento all’inquinamento acustico ed atmostefico.
Tanto più che il D.M. 05.02.1998, norma tecnica di riferimento nel caso di
specie, all’art.1, comma 1, dispone quanto segue: “Le attività, i procedimenti e
i metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti individuati dal
presente decreto non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e
recare pregiudizio all’ambiente e in particolare non devono:
a) creare rischi per l’acqua, l’aria il suolo e per la flora e la fauna;
b) causare inconvenenienti da rumori ed odori;
c) danneggiare il paesaggio e siti di particolare interesse”.
Tale verifica non può che avvenire nell’ambito dell’unico strumento a ciò
appositamente predisposto dall’ordinamento, che è, appunto, la procedura di
“screening” ambientale e/o la valutazione dell’impatto ambientale.
Anche per questa via dunque si conferma la legittimità degli atti adottati
dall'amministrazione, regionale e provinciale, che hanno esattamente qualificato
come "impianto di recupero di rifiuti" quello della società ricorrente
finalizzato alla produzione di conglomerato bituminoso, nonchè come “estensione"
o"ampliamento" di tale impianto, l'aumento dei quantitativi annui dei rifiuti
trattati , ai fini dell'assoggettamento a procedura di verifica ambientale.
Resta dunque da esaminare la questione (introdotta con il primo motivo) se
costituisca o meno ragione di esenzione l’osservanza dei parametri stabiliti,
per l’ammissione alla procedura semplificata di cui all’art.214 del DLgs 152/06,
dal DM 5.2.98 che, secondo la ricorrente, implicano una valutazione “ex ante” di
compatibilità ambientale.
E’ sicuramente corretto affermare che l’ammissione dell’attività di recupero
alla procedura semplificata è legittimata dal (solo) rispetto della normativa
tecnica di riferimento.
Il rapporto tra procedura semplificata ed impianti che recuperano rifiuti è
oggetto della nota pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del
23.11.2006, causa C-486/04, che ha sanzionato per inadempimento l’Italia, per
aver adottato, nella normativa nazionale di recepimento della direttiva
85/337/CEE, un “criterio inadeguato”, escludendo dalla valutazione di impatto
ambientale i progetti di impianti che effettuano operazioni di recupero dei
rifiuti in procedura semplificata ex D.Lgs n.22/1997. Tale criterio è inadeguato
“nella misura di cui può portare ad escludere dalla detta valutazione progetti
che hanno un impatto ambientale rilevante”, e non tiene conto dei parametri di
selezione fissati nell’Allegato III della citata direttiva 85/337/CEE.
Secondo l’interpretazione costantemente fornita dalla Corte di Giustizia, i
poteri riconosciuti agli Stati membri dalla citata direttiva non consentivano
che alcuno dei progetti di cui all’Allegato II venisse sottratto anticipatamente
all’obbligo di VIA.
La previgente versione del D.Lgs n.152/2006, sulla quale è intervenuta la
pronuncia della Corte di Giustizia CE, esentava invece gli impianti di recupero
dei rifiuti sottoposti alle procedure semplificate.
Attualmente, nella versione riformata del D.Lgs n.152/2006, dopo le modifiche
introdotte dal D.Lgs n.4/2008, gli Allegati III e IV alla parte seconda del
citato decreto legislativo, contenenti, rispettivamente, i progetti da
sottoporre a VIA e a verifica di assoggettabilità, non prevedono più alcuna
esclusione per gli impianti di recupero rifiuti sottoposti alle procedure
semplificate.
La Corte di Giustizia, nella citata pronuncia, motivando la sua contrarietà a
qualsiasi regime derogatorio di esclusione anticipata dalla procedura di VIA, ha
posto una distinzione tra finalità dell’attività di recupero (preservare le
risorse naturali) e modalità con le quali l’attività di recupero è effettuata,
potendo esse comportare, al pari di quella di smaltimento, rilevanti
ripercussioni per l’ambiente. Dal momento che le operazioni di smaltimento e di
recupero di rifiuti si distinguono per lo scopo perseguito e non per i mezzi
adoperati, la normativa nazionale non può dispensare anticipatamente dall’ambito
di applicazione della disciplina sulla VIA gli impianti che effettuano
operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi, senza averne previamente
accertato in concreto la loro incidenza ambientale.
L’interpretazione testuale degli invocati artt.214 e 216 del DLgs 152/06 è
peraltro perfettamente compatibile con tali principi.
Infatti:
-l’osservanza dei parametri ex DM 5.2.98 è prevista dagli artt.214, comma 2, e
216, comma 1, come unica condizione di ammissione alle procedure semplificate,
ma senza previsione di alcuna interferenza con la organica ed esaustiva
disciplina della VIA, contenuta in altra parte (seconda) dello stesso decreto;
-gli artt. 214, 215 e 216, sotto il comune titolo di “procedure semplificate”
(capo V del titolo I della parte quarta del decreto) recano invece, ove siano
osservate le prescrizioni stabilite con gli appositi decreti di cui al comma 2
dell’art.214 (v.D.M. 5.2.98 e s.m.i.), una esplicita deroga SOLTANTO al regime
autorizzatorio ordinario di cui agli artt.208 e ss. (capo IV dello stesso titolo
I: “Autorizzazioni e iscrizioni”), consentendo senz’altro, alle condizioni ivi
indicate, l’esercizio delle operazioni di recupero decorsi 90 (novanta)giorni
dalla comunicazione di inizio senza che siano nel frattempo intervenuti
provvedimenti inibitori (cd. regime semplificato);
-a ben vedere, quindi, la pretesa specialità e portata derogatoria rispetto alla
disciplina della VIA, contenuta nella parte seconda (e sopra esaminata nel corso
della trattazione del secondo motivo) si reggerebbe, esclusivamente, sul comma 4
dell’art.216, il quale prevede la emanazione del provvedimento inibitorio in
caso di mancato rispetto delle norme tecniche e condizioni di cui al comma 1,
ove inammissibilmente interpretato nel senso di porre sostanzialmente nel nulla
ogni altra condizione di legge per lo svolgimento di operazioni di recupero,
purchè siano osservate quelle specificamente prescritte per l’ammissione alla
procedura semplificata:
-ma una tale interpretazione non ha alcun fondamento testuale, e confligge
apertamente con il principio di stretta interpretazione delle norme derogatorie,
attribuendo immotivatamente agli artt.214 e ss. del D.Lgs 152/06 una valenza
derogatoria ulteriore rispetto a quella ivi espressamente prevista, cioè
rispetto alla disciplina generale della VIA oltre che rispetto all’ordinario
regime autorizzatorio ex artt.208 e ss., ed ai DD.MM. emanati ai sensi del comma
2 dell’art.214 una valenza di valutazione ambientale “ex ante” del tutto
confliggente con la superiore normativa comunitaria come sopra illustrata;
-la lettura coordinata delle commentate disposizione della parte II e IV del
DLgs 152/06 impone, quindi, di ritenere che l’osservanza dei parametri ex DM
5.2.98 è condizione aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quelle
ordinariamente prescritte per le operazioni di recupero dei rifiuti (ivi
comprese, ove occorrano lo “screening ambientale e/o la VIA stessa), necessaria
e sufficiente al solo scopo di consentirne un esercizio-che sia già altrimenti
legittimato dall’osservanza di tutti i presupposti di legge- in regime
semplificato, cioè previa DIA non seguita da inibitoria, e senza necessità di
previa autorizzazione espressa;
che le esigenze di protezione ambientale non siano affatto garantite “ex ante”
dall’osservanza dei parametri ex DM 5.2.1998 (che non assorbono, quindi, la
valutazione dell’impatto ambientale, ma costituiscono soltanto le condizioni di
esonero dall’autorizzazione) è confermato dallo stesso tenore testuale
dell’articolo introduttivo (art.1 comma1) del decreto medesimo, il quale
premette alla definizione dei parametri che “le attività, i procedimenti, e i
metodi di recupero…….non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e
recare pregiudizio all’ambiente e in particolare” creare rischi per acqua, aria,
suolo, flora e fauna, rumori ed odori, né danni al paesaggio, premessa di
carattere generale che sarebbe del tutto superflua ed ultronea, se tale esigenza
di tutela ambientale fosse già ex sè assicurata dall’osservanza dei parametri
tecnici successivamente stabiliti;
-ne segue che il tempestivo provvedimento inibitorio è, non soltanto legittimo,
ma doveroso, non solo se siano violati i parametri ex DM 5.2.98, come
espressamente previsto dal comma 4 dell’art.216, ma ogni qual volta sia
verificata la mancanza di una qualsiasi delle condizioni di legge generalmente
prescritte (in questo caso dalle disposizioni della parte II sulla compatibilità
ambientale) per il tipo di attività di cui si tratta;
-tale modalità è del resto comune a diversi settori ordinamentali, ogni qual
volta un’attività (es. edilizia, commerciale) ordinariamente sottoposta a regime
autorizzatorio (o concessorio), sia consentita, in ragione della sua modesta
entità, previa semplice comunicazione (e salvo divieto esplicito entro un
termine certo), divieto che è vincolato non solo dal superamento dei limiti
dimensionali che consentono di derogare al regime autorizzatorio/concessorio, ma
anche dalla mancanza degli altri requisiti (soggettivi e oggettivi) di legge,
cui è sempre e comunque subordinata l’attività, a prescindere dalle modalità
procedurali che ne consentono lo svolgimento, ma in ogni caso previa completa
verifica di tutte le condizioni di legge.
In altre parole, la portata derogatoria degli artt 214,215 e 216 del DLgs152/06
si esaurisce sul piano procedurale e non opera su quello sostanziale; tale
conclusione è l’unica che corrisponde esattamente:
-al tenore letterale delle disposizioni in commento;
-alla finalità dell’istituto della procedura semplificata;
-alle finalità della disciplina dello “screening” ambientale e della VIA;
-alla superiore normativa comunitaria in materia di tutela ambientale, recepita
dallo stesso DLgs 4/08 modificativo del D.LGS 152/06.
Rispetto a tali conclusioni, non possono costituire ragione alcuna di discrimine
il carattere promiscuo dell’impianto e la mancanza di sue modificazioni edilizie
e/o strutturali, della cui irrilevanza rispetto alla assoggettabilità allo
“screening” si è già detto, in sede di esame del secondo motivo.
Del resto, i precedenti giurisprudenziali (TAR Friuli Venezia Giulia, 23.3.2004,
n.104 e Corte Cost. 3.05.2000, n.27) invocati dalla ricorrente si limitano a
ribadire che solo il DM 5.2.1998 fissa le specifiche condizioni di ammissibilità
alla procedura semplificata, in presenza delle quali soltanto l’attività può
essere dispensata dall’autorizzazione, il che non è mai stato revocato in dubbio
ed è pienamente condiviso da questo Collegio.
La Sezione deve invece dissentire, per le ragioni suesposte, dall’assunto (TAR
Lazio II, 21.01.2004, n.477) secondo il quale l’osservanza del DM 5.2.1998
garantirebbe “la sostanziale irrilevanza dell’utilizzazione dei rifiuti nel
processo produttivo”.
Tutti tali precedenti, comunque,risalgono ad epoca anteriore allo stesso DLgs
152/06, su cui è intervenuta la richiamata pronuncia della Corte di Giustizia
CE, in data 23.11.2006, che ha sanzionato l’esenzione dalla VIA degli impianti
sottoposti a procedura semplificata, ed alle modifiche introdotte con DLgs
4/2008, e pertanto sarebbero comunque irrilevanti nel presente giudizio,
instaurato dopo tale adeguamento normativo.
Anche la circolare regionale 27.2.2009 n.49760, invocata dalla ricorrente, nella
parte in cui prefigura una distinzione tra attività e impianti di recupero, in
funzione dirimente ai fini della assoggettabilità o meno allo “screening”
ambientale, a prescindere dalla efficacia non vincolante delle circolari,
esclude dalla verifica ambientale soltanto le mere attività di recupero che si
svolgono senza l’ausilio di un impianto, definito come “un’entità tecnica
composta da un macchinario o un sistema o da un insieme di macchinari o sistemi,
comprese le strutture tecnicamente connesse, in cui sono svolte una o più
attività che possono influire sulle emissioni o sull’inquinamento” (cfr pag.10).
E’ pacifico in causa che tali elementi caratterizzanti la definizione di
impianto di recupero sono presenti nella fattispecie, per cui in nessun modo
giova alle tesi ricorrenti invocare la predetta circolare.
Sul piano della partecipazione procedimentale (quarto ed ultimo motivo ), il
Collegio rileva che le osservazioni presentate dalla ricorrente (cfr.suo
doc.10), a seguito della comunicazione ex art.10bis legge 241/90, fanno
riferimento anzitutto ad una differente ed errata interpretazione di tale
circolare che, comunque, atteso il carattere non vincolante della stessa e la
natura subordinata della fonte, è sufficientemente controdedotta mediante il
richiamo, di cui all’atto impugnato, della superiore normativa applicabile. Tale
richiamo dà conto, anche, delle ragioni per cui il controllo della Provincia non
potrà avere ed oggetto soltanto “il rispetto delle norme tecniche e delle
condizioni di cui al comma1” dell’art.216 del DLgs 152/06, come la ricorrente
pretende, con l’unico altro rilievo mosso con le osservazioni stesse.
Infine, poiché, come si ritiene di avere già sufficientemente argomentato, deve
escludersi che gli atti impugnati non siano “assistiti da idonea base giuridica”
(cfr.terzo motivo), va respinta anche la censura di violazione di principi
comunitari (o anche costituzionali, a prescindere, per essi, dalla omessa
indicazione delle norme primarie di riferimento) di libera iniziativa economica
e concorrenza, imparzialità, buon andamento, proporzionalità ed adeguatezza.
Conclusivamente, il ricorso va respinto in tutti i motivi dedotti.
Le spese di lite vanno compensate in via equitativa, avuto riguardo al carattere
interpretativo ed alla complessità della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Emilia-Romagna, Sez.II, Bologna,
pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Giancarlo Mozzarelli, Presidente
Alberto Pasi, Consigliere, Estensore
Umberto Giovannini, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/10/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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