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1974-9562
T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I - 14 Gennaio 2010, n. 20
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Imposizione del vincolo indiretto -
Discrezionalità tecnica dell’Amministrazione - Assenza di contenuto prescrittivo
tipico - Estensione - Inedificabilità assoluta - Immobili non contigui -
Apprezzamento dell’amministrazione. L’imposizione del “vincolo indiretto”
disciplinato dall’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004, costituisce espressione
della discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, sindacabile in sede
giurisdizionale quando l’istruttoria si riveli insufficiente o errata o la
motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità
anche per l’insussistenza di un’obiettiva proporzionalità tra l’estensione del
vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse
storico-artistico, e si basa sull’esigenza che lo stesso sia valorizzato nella
sua complessiva prospettiva e cornice ambientale, onde possono essere
interessate dai relativi divieti e limitazioni anche immobili non adiacenti a
quello tutelato purché allo stesso accomunati dall’appartenenza ad un unitario e
inscindibile contesto territoriale. Il “vincolo indiretto”, inoltre, non ha
contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all’autonomo apprezzamento
dell’Amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all’ottimale
protezione del bene - fino alla inedificabilità assoluta -, se e nei limiti in
cui tanto è richiesto dall’obiettivo di scongiurare un vulnus ai valori oggetto
di salvaguardia (integrità dei beni protetti, difesa della prospettiva e della
luce degli stessi, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un
ambito territoriale che si estende fino a ricomprendere ogni immobile, anche non
contiguo, la cui manomissione si valuta idonea ad alterare il complesso delle
condizioni e caratteristiche fisiche e culturali che connotano lo spazio
circostante. Pres. Papiano, Est. Caso - L.M. C. (avv.ti Sgroi e Malvisi) c.
Ministero per i Beni e le Atitivtà Culturali e altri (Avv. Stato) e altro (n.c.).
TAR EMILIA ROMAGNA, Parma, Sez. I - 14 gennaio 2010, n. 20
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00020/2010 REG.SEN.
N. 00357/2006 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 357 del 2006 proposto da Lillo Maria Carla e Lillo Giuseppina,
rappresentate e difese dall’avv. Marco Sgroi e dall’avv. Paolo Malvisi, e presso
quest’ultimo elettivamente domiciliate in Parma, piazzale Santafiora n. 1;
contro
il Ministero per i Beni e le Attività culturali, la Direzione regionale per i
Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna e la Soprintendenza per i
Beni architettonici e per il Paesaggio per le Province di Parma e Piacenza, in
persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., difesi e rappresentati
dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege;
il Dipartimento per i Beni culturali e paesaggistici del Ministero per i Beni e
le Attività culturali, non costituito in giudizio;
nei confronti di
Lillo Maria Angela, rappresentata e difesa dall’avv. Danilo Biancospino e
dall’avv. Giorgio Cugurra, e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in
Parma, via Mistrali n. 4;
Marchetti Andreana e Lillo Ettore, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del decreto n. 787 in data 8 agosto 2006 della Direzione regionale per i Beni
culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna, impositivo di vincolo di tutela
indiretta ex art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004 su terreni circostanti la c.d.
“Villa Serena”, in Piacenza, ivi incluse le aree di proprietà delle ricorrenti (fg.
46 mapp. 59 e 550 del Catasto terreni).
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le
Attività culturali, della Direzione regionale per i Beni culturali e
paesaggistici dell’Emilia-Romagna, della Soprintendenza per i Beni
architettonici e per il Paesaggio per le Province di Parma e Piacenza, nonché di
Lillo Maria Angela;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 15 dicembre 2009 i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con decreto n. 787 in data 8 agosto 2006 il Responsabile della Direzione
regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna impartiva una
serie di prescrizioni ex art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004, al dichiarato scopo
di tutelare l’integrità dei complessi architettonici denominati “Villa Serena
già Scribani e pertinenze” e “Fondo Fratesca”, e le loro condizioni di
prospettiva, luce, visibilità, cornice ambientale e decoro.
Avverso tale atto hanno proposto impugnativa le ricorrenti, proprietarie di aree
(fg. 46 mapp. 59 e 550 del Catasto terreni) incluse tra quelle interessate dalle
prescrizioni. Lamentano l’adozione del decreto di vincolo sul falso presupposto
che non fosse stata ancora realizzata in loco la «bretella stradale» voluta dal
Comune di Piacenza per la risoluzione di gravi problematiche viabilistiche,
mentre l’arteria di comunicazione era addirittura già aperta al traffico;
censurano l’adozione di misure che si risolvono nell’inammissibile obbligo di
spostamento di un’opera pubblica da tempo ultimata; denunciano l’immotivata e
ingiustificata scelta di estendere il vincolo ad un raggio maggiore di 500
metri, nonostante si fosse in precedenza rilevato che 200 metri sarebbero stati
ampiamente sufficienti a salvaguardare il decoro e la prospettiva del bene di
interesse storico-artistico, e nonostante specifiche osservazioni fossero state
da loro presentate a seguito della comunicazione di avvio del procedimento; si
dolgono dell’omessa ponderazione degli interessi coinvolti; imputano
all’Amministrazione di avere introdotto un vincolo di contenuti così rigorosi e
inflessibili da apparire posto non tanto a tutela indiretta dei beni cui si
riferisce quanto piuttosto a protezione diretta del contesto ambientale come
tale; prospettano l’incongruità, l’arbitrarietà e la contraddittorietà delle
varie prescrizioni impartite, ma anche l’assenza di una motivazione che ne renda
percepibili le ragioni; individuano nell’atto impugnato il risultato di un
esercizio sviato del potere amministrativo, orientato di fatto al raggiungimento
di obiettivi diversi da quelli sottesi alla funzione posta in essere. Di qui la
richiesta di annullamento dell’atto impugnato.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività culturali,
la Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna
e la Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio per le Province
di Parma e Piacenza (a mezzo del’Avvocatura dello Stato), nonché Lillo Maria
Angela, tutti opponendosi all’accoglimento del ricorso.
All’udienza del 15 dicembre 2009, ascoltati i rappresentanti delle parti, la
causa è passata in decisione.
Va premesso che, per costante giurisprudenza (v., ex multis, Cons. Stato, Sez.
VI, 23 maggio 2006 n. 3078 e 5 ottobre 2004 n. 6488; TAR Lazio, Sez. II, 16
febbraio 2006 n. 1171; TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 10 maggio 2004 n. 1664),
l’imposizione del “vincolo indiretto” disciplinato dall’art. 49 del d.lgs. n.
490 del 1999, e ora dall’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004, costituisce
espressione della discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, sindacabile in
sede giurisdizionale quando l’istruttoria si riveli insufficiente o errata o la
motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità
anche per l’insussistenza di un’obiettiva proporzionalità tra l’estensione del
vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse
storico-artistico, e si basa sull’esigenza che lo stesso sia valorizzato nella
sua complessiva prospettiva e cornice ambientale, onde possono essere
interessate dai relativi divieti e limitazioni anche immobili non adiacenti a
quello tutelato purché allo stesso accomunati dall’appartenenza ad un unitario e
inscindibile contesto territoriale. Il “vincolo indiretto”, inoltre, non ha
contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all’autonomo apprezzamento
dell’Amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all’ottimale
protezione del bene – fino alla inedificabilità assoluta –, se e nei limiti in
cui tanto è richiesto dall’obiettivo di scongiurare un vulnus ai valori oggetto
di salvaguardia (integrità dei beni protetti, difesa della prospettiva e della
luce degli stessi, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un
ambito territoriale che si estende fino a ricomprendere ogni immobile, anche non
contiguo, la cui manomissione si valuta idonea ad alterare il complesso delle
condizioni e caratteristiche fisiche e culturali che connotano lo spazio
circostante.
Ciò posto, e venendo alla vicenda oggetto della presente controversia, rileva
innanzi tutto il Collegio come una parte delle doglianze investa le prescrizioni
relative alla «bretella di raccordo tra via Veggioletta e via Einaudi» [lett.
f)], censurate sotto più profili. Sennonché, non si ravvisa in capo alle
ricorrenti la legittimazione a sollevare dette questioni, in quanto concernenti
un’opera pubblica il cui regime non risulta interferire, neppure indirettamente,
con quello riservato alle aree delle interessate; e tanto è sufficiente per
precluderne l’esame.
Sono invece suscettibili di vaglio le censure concernenti le limitazioni
(divieto di edificazione) imposte ai terreni delle ricorrenti.
Un primo motivo di lagnanza è fondato sull’arbitraria estensione a 500 metri
della fascia di rispetto inizialmente individuata nella minore misura di 200
metri, oltre che sull’omesso riscontro alle osservazioni delle interessate. In
realtà, la richiamata nota in data 9 febbraio 2005 della Soprintendenza per i
Beni architettonici e per il Paesaggio dell’Emilia-Romagna aveva genericamente
rimesso all’Autorità competente il compito di “… valutare l’ipotesi di una
fascia circostante di tutela indiretta, volta ad evitare l’alterazione dei
luoghi nello spazio immediatamente adiacente …” alla Villa Serena, mentre il
limite dei 200 metri era riferito alla specifica ubicazione della strada
comunale e quindi alle particolari caratteristiche di un’opera che, per
collocarsi a livello del piano di campagna, assumeva un carattere invasivo di
portata oggettivamente minore delle altre; non emerge, insomma, una reale
contraddittorietà tra le varie valutazioni formulate nel corso del procedimento,
per lo meno nella parte relativa alle dimensioni della fascia di rispetto. Né
vizia l’atto impugnato la circostanza che alle osservazioni delle ricorrenti
l’Amministrazione non abbia puntualmente replicato, essendo notorio che
l’obbligo di esame delle memorie prodotte dall’interessato a seguito della
comunicazione di avvio del procedimento non comporta la confutazione analitica
delle deduzioni difensive del privato, purché il provvedimento finale sia
corredato da una motivazione che renda nella sostanza percepibili le ragioni del
mancato adeguamento dell’azione amministrativa a quelle osservazioni (v., tra le
altre, Cons. Stato, Sez. VI, 7 gennaio 2008 n. 17 e 11 aprile 2006 n. 1999);
nella fattispecie, in particolare, la relazione tecnico-scientifica allegata al
provvedimento di vincolo ne motiva l’imposizione rilevando, tra l’altro, che
“l’area circostante la Villa Serena già Scribani e la Corte Fratesca è situata
nella zona ovest della città di Piacenza … ed è sostanzialmente compresa tra la
strada comunale della Gragnana, la strada comunale della Fabbriana, la via
Einaudi e la via Veggioletta. Questo comprensorio agricolo costituisce la
naturale cornice ambientale, paesaggistica e di rispetto delle emergenze
architettoniche sopra citate … il territorio in questione si presenta
attualmente come una vasta area agricola, caratterizzata dalla presenza al suo
interno delle due emergenze storiche e architettoniche della Villa Serena già
Scribani e della Corte Fratesca e, per la restante parte, da alcuni edifici
rurali a carattere residenziale e produttivo insieme, e da vasti appoderamenti
agricoli, destinati principalmente a seminativo. L’area di rispetto così
individuata si presenta quindi nel suo complesso assai uniforme ed omogenea,
connotata dal reticolo delle capezzagne e dalle canaline di scolo che partiscono
gli appoderamenti, garantendo buone condizioni ambientali, di luce e visuale
prospettica dei complessi architettonici esistenti, già dichiarati di
particolare interesse … l’assetto morfologico dell’area, elemento caratteristico
del paesaggio padano prossimo all’asta fluviale del Po, conserva ancora
un’impronta storicamente significativa del paesaggio agrario di quella zona di
Piacenza, e un buon orizzonte prospettico delle emergenze
storico-architettoniche presenti in quel contesto territoriale, al momento
attuale non compromessa da significativi interventi di nuove edificazioni. Per
questi motivi si ritiene necessario dettare, nei confronti degli immobili
costituenti l’area di rispetto sopra descritta, le opportune prescrizioni, al
fine di garantire la conservazione delle attuali condizioni di integrità, di
ambiente e di decoro dei beni culturali tutelati e di evitare che sia
danneggiata la prospettiva o la luce degli stessi beni … si ritiene opportuno
vietare nuove edificazioni nelle aree attualmente prive di edificazioni, già a
destinazione agricola, situate ad una distanza entro 500 metri dagli immobili
tutelati …”, onde risulta evidente che, in linea con un consolidato orientamento
(v. Cons. Stato, Sez. VI, n. 6488/2004 cit.), l’accertata appartenenza delle
aree delle ricorrenti all’unitario contesto territoriale così individuato – con
la conseguente necessità di conservarne integri i tratti distintivi attraverso
l’introduzione di limiti all’attività edificatoria – le rendeva per ciò solo
assoggettabili al regime vincolistico, nonostante l’addotto venire meno del
pregio culturale in passato rivestito dalle aree stesse (su tale aspetto
insistevano le osservazioni a suo tempo formulate dalle interessate).
Quanto, poi, alla dedotta carenza del profilo del contemperamento degli
interessi coinvolti, ha rilevato la giurisprudenza (v. Cons. Stato, Sez. VI, n.
3078/2006 cit.) che in simili casi è sufficiente che l’Amministrazione dia
adeguato conto della necessità di date misure per la tutela della c.d. “cornice
ambientale” del bene protetto, dovendosene desumere il carattere recessivo
dell’utilizzazione urbanistico-edilizia delle aree dei privati, il cui diritto
di proprietà, del resto, è intrinsecamente assoggettato a limiti, vincoli ed
obblighi di varia natura e contenuto, per ragioni di preminente interesse
generale. Nel caso di specie, come si è visto, l’Amministrazione ha ravvisato
nel comprensorio significativi elementi di identità con il paesaggio che
storicamente connoterebbe il bene tutelato, tanto da farne discendere la
sussistenza di un rapporto di complementarietà con l’interesse culturale insito
in quel bene, e ne ha coerentemente ricavato l’esigenza di lasciare inalterato
l’assetto complessivo del territorio, soluzione che non poteva naturalmente che
implicare la conservazione del prevalente uso agricolo delle aree e il divieto
di nuove costruzioni in loco.
Né, ancora, persuade l’assunto per cui la gravità delle prescrizioni introdotte
e la dichiarata esigenza di non compromettere l’identità storica del paesaggio
rivelerebbero l’indebito perseguimento dell’obiettivo di vincolare in via
diretta il contesto ambientale in quanto tale, così incorrendo anche in uno
sviamento di potere. Ad avviso del Collegio, in realtà, l’assetto del territorio
circostante è stato correttamente considerato dall’Amministrazione ai fini
dell’individuazione della “cornice ambientale” da assoggettare a tutela, perché
il vincolo indiretto si caratterizza proprio per la funzione servente che le
limitazioni alle attività umane prossime al bene protetto esercitano rispetto
alla valorizzazione dell’interesse storico-artistico allo stesso connaturato; in
quest’ottica, pertanto, ben si comprende come l’identità storica del
comprensorio sia venuta in rilievo unicamente per evidenziarne l’intrinseca
relazione con il bene protetto e il conseguente beneficio che a quest’ultimo
scaturirebbe, in termini di prospettiva, luce e decoro, dalla permanenza delle
condizioni ambientali in essere.
Altre doglianze prospettano, sotto più profili, l’incongruità, l’arbitrarietà e
la contraddittorietà delle varie prescrizioni imposte. Dovendosi però
circoscrivere il sindacato giurisdizionale alle prescrizioni riferite alle aree
delle ricorrenti, va ribadito, per i motivi già esposti, che non emerge
un’effettiva incoerenza rispetto alle valutazioni formulate nel corso del
procedimento – neppure rispetto al parere reso in data 23 settembre 2005 dal
Comitato Tecnico-Scientifico per i Beni architettonici e paesaggistici il quale
aveva sì suggerito l’adozione di forme di tutela indiretta (quale un’idonea zona
di rispetto coincidente con i terreni agricoli circostanti Villa Serena) e
indicato gli obiettivi da perseguire ma senza al contempo fissare parametri
rigidi circa scelte rimesse in concreto alla competente Soprintendenza –, anche
per avere poi la relazione tecnico-scientifica conclusiva adeguatamente indicato
le ragioni della connessione funzionale delle limitazioni imposte all’ampio
comprensorio locale rispetto alle esigenze di tutela e valorizzazione del bene
di interesse storico-artistico, con soluzioni che appaiono rispettare gli
accertamenti istruttori compiuti. Né emergono profili di macroscopica
incongruenza e illogicità in misure che, se anche particolarmente gravose per i
proprietari delle aree ubicate nel comparto, si presentano coerenti con la già
sottolineata esigenza di lasciare sostanzialmente intatta la cornice ambientale
che, a motivo del sopravvivere di un’identità corrispondente a quella
storicamente propria della zona, è stata stimata come la più appropriata forma
di salvaguardia della prospettiva e del decoro del bene protetto, tenuto altresì
conto della circostanza che il “vincolo indiretto” non ha un contenuto
prescrittivo tipico, sicché devono essere di volta in volta discrezionalmente
individuate le disposizioni da adottare per la conservazione e piena fruibilità
del bene; ogni ulteriore considerazione, d’altra parte, sconfinerebbe in un
apprezzamento di merito, riservato naturalmente all’Amministrazione titolare
della competenza in materia.
Quanto, infine, all’addotto sviamento di potere, occorre ricordare che, per
costante giurisprudenza (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 15 ottobre 2009 n.
6332), una simile censura deve essere supportata da precisi e concordanti
elementi di prova, idonei a dare conto delle divergenze dell’atto dalla sua
tipica funzione istituzionale, non essendo sufficienti semplici supposizioni o
indizi che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità
perseguita in concreto dall’organo amministrativo. Ma nella fattispecie difetta
una dimostrazione di tale tipo, per essere del tutto ipotetica la denunciata
volontà di rivalsa dell’Amministrazione a seguito della sopraggiunta
impossibilità di sottoporre a vincolo diretto lo “stradello” di pertinenza di
Villa Serena.
In conclusione, il ricorso va respinto.
La complessità delle questioni dedotte giustifica la compensazione delle spese
di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma,
pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 15 dicembre 2009, con
l’intervento dei Magistrati:
Luigi Papiano, Presidente
Italo Caso, Consigliere, Estensore
Emanuela Loria, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/01/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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