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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. LAZIO, ROMA Sez. II - 8 settembre 2010, n. 32176
VIA - Interventi soggetti a VIA statale - Competenza del Ministro
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Fondamento - Art. 7, c.
5 d.lgs. n. 152/2006 - Criterio di riparto tra indirizzo politico e gestione ex
art. 4 d.lgs. n. 165/2001 - Valutazione politica della VIA. Aldilà del
chiaro dato testuale dell’ art. 7, c. 5 del d.lgs. n. 152/2206 (nel testo
introdotto dall’art. 1, c. 1 del d.lgs. n. 4/2008) può ben predicarsi la diretta
competenza del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare
di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali (non quindi della
dirigenza ministeriale) per interventi soggetti a VIA statale, non potendosi al
contrario invocare in modo meccanico e formalistico il criterio di riparto tra
indirizzo politico e gestione indicato nell’art. 4 del Dlg 30 marzo 2001 n. 165.
La VIA assume infatti indubbi tratti d’esercizio di politica ambientale, quando
con essa, aldilà dell'aspetto tecnico, si valuti a fini ambientali la
localizzazione di progetti di importanti opere pubbliche e si cooperi ad
un'attività di pianificazione e di programmazione, propria dell'organo politico.
E gli stessi artt. 23/26 del Dlg 152/2006, nel tratteggiare il procedimento di
VIA, ne dimostrano la peculiare complessità appunto per la necessità di
mediazione fra interessi articolati e variegati, degli enti locali e dell'
Amministrazione centrale, che coinvolge interessi costituzionalmente protetti
(all'ambiente ed allo sviluppo sostenibile) e rende necessaria una valutazione
politica. Pres. Tosti, Est. Russo - Comune di Rosolina (avv.ti Braschi e
Migliorini) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
e altro (Avv. Stato) e Regione Veneto (avv.ti Manzi e Zanon) - TAR LAZIO,
Roma, Sez. II - 8 settembre 2010, n. 32176
VIA - DIRITTO DELL’ENERGIA - Autorizzazione unica per la costruzione e
l’esercizio di impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW -
Procedimento applicabile - Art. 1 D.L. 7/2002 - Art. 34, c. 1 d.lgs. n. 152/2006
- Richiamo al procedimento ex DPCM 27 dicembre 1988 - Interpretazione -
Permanenza delle esigenze energetiche. È materialmente vero che l’art. 34,
c. 1, ult. per. del Dlg 152/2006 ha mantenuto ferma, nelle more dell'emanazione
delle norme tecniche sulla valutazione ambientale <<… l'applicazione di quanto
previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre
1988…>>. Tuttavia, tal regola va intesa nel senso che, ferme l’autorizzazione
unica per la costruzione e l'esercizio di impianti d’energia elettrica di
potenza superiore a 300 MW termici ex art. 1 del DL 7/2002 e la stabilizzazione
dell’intero sistema colà recato grazie al predetto art. 1-sexies, c. 8 -che v’ha
fatto integrale rinvio recettizio-, la permanenza delle esigenze energetiche
giustifica l’attualità del sistema semplificato, ma non per questo meno
garantistico, rispetto al sistema dettato dal ripetuto DPCM, incentrato sul più
obsoleto ed ormai superato metodo dello studio d’impatto ambientale - SIA.
Sicché il richiamo al ripetuto DPCM al più riguarda l’utilizzabilità delle
regole tecniche colà contenute e non può prescindere da un giudizio di
compatibilità con il principio di semplificazione procedurale di cui al
successivo c. 7. In altre parole, fuori dalle regole tecniche colà esistenti, il
procedimento è e resta soltanto quello evincibile dalla ratio dell’art. 1 del DL
7/2002. Pres. Tosti, Est. Russo - Comune di Rosolina (avv.ti Braschi e
Migliorini) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
e altro (Avv. Stato) e Regione Veneto (avv.ti Manzi e Zanon) - TAR LAZIO,
Roma, Sez. II - 8 settembre 2010, n. 32176
VIA - interventi soggetti a VIA statale - Parere della Regione - Natura
consultiva/collaborativa. Il parere della Regione è, per interventi soggetti
a VIA statale, meramente consultivo/collaborativo, non certo vincolante, giusta
quanto evincesi dall’art. 36, c. 4 del Dlg 152/2006 circa l’esclusiva competenza
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Pres. Tosti,
Est. Russo - Comune di Rosolina (avv.ti Braschi e Migliorini) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato) e
Regione Veneto (avv.ti Manzi e Zanon) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II - 8
settembre 2010, n. 32176
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 32176/2010 REG.SEN.
N. 00942/2010 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 942/2010 RG, proposto dal COMUNE DI ROSOLINA (RO), in persona del
sig. Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Luigi
BRASCHI e Luigi MIGLIORINI, con domicilio eletto in Roma, v.le Parioli n. 180,
contro
- il MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE ed il
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, in persona dei rispettivi sigg.
Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura generale
dello Stato, presso i cui uffici si domiciliano in Roma, via dei Portoghesi n.
12 e
- la REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore della Giunta
regionale, rappresentata e difesa dagli avv. Andrea MANZI ed Ezio ZANON, con
domicilio eletto in Roma, via F. Gonfalonieri n. 5 e
nei confronti di
della ENEL PRODUZIONE s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale
rappresentante pro tempore, controinteressata, rappresentata e difesa dal prof.
Giuseppe DE VERGOTTINI e dall’avv. Cesare CATURANI, con domicilio eletto in
Roma, via A. Bertoloni n. 44,
per l'annullamento
A) – del decreto prot. n. DSA-DEC 2009/0000873 del 24 luglio 2009, pubblicato
nella G.U. n. 189 del successivo 17 agosto, con cui il Ministro dell’ambiente,
di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali ha espresso
giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto proposto dalla
Società controinteressata per la realizzazione d’una centrale termoelettrica da
1980 Mw ed alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5%
su due gruppi, ubicata nel Comune di Porto Tolle (RO), in luogo dell’esistente
centrale ad olio combustibile; B) – del parere favorevole reso dalla Commissione
tecnica VIA-VAS n. 285 del 29 aprile 2009 e del successivo parere espresso dal
Comitato di coordinamento della Commissione reso nella seduta del 9 luglio 2009;
C) – del parere favorevole reso dal MIBAC in data 16 marzo 2009; D) – ove
occorra, del decreto n. 194/2008 del 23 giugno 2008, con cui il Ministro
dell’ambiente ha proceduto alla quasi totale rinnovazione dei componenti della
predetta Commissione;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all'udienza pubblica del 26 maggio 2010 il Cons. dott. Silvestro Maria
RUSSO e uditi altresì, per le parti, gli avvocati BRASCHI, MANZI e CATURANI, il
prof. DE VERGOTTINI e l’Avvocato dello Stato GUIDA;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Il Comune di Rosolina (RO) rende noto che, nel territorio comunale di Porto
Tolle (loc. Polesine Camerini) e sita nel delta del Po –ancorché attualmente al
di fuori del perimetro provvisorio del relativo Parco–, esiste da vari decenni
una centrale termoelettrica finora funzionante ad olio combustibile.
Detto Comune dichiara altresì che, con istanza in data 31 maggio 2005, l’ENEL
PRODUZIONE s.p.a., corrente in Roma, ha chiesto al Ministero dell’ambiente il
rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 1, c. 2 del DL 7 febbraio 2002 n. 7
(convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n. 55), con contestuale
pronuncia di compatibilità ambientale ex art. 6 della l. 8 luglio 1986 n. 349.
Tanto con riguardo al progetto di realizzazione d’una centrale termoelettrica da
1980 Mw ed alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5%
su due gruppi, in luogo della predetta centrale ad olio combustibile.
Detto Comune fa presente pure che la Commissione VIA nazionale del Ministero
dell’ambiente espresse in un primo tempo una decisione interlocutoria,
comunicata alla Società istante il 13 agosto 2007, di segno sfavorevole alla
richiesta de qua. E ciò in relazione sia alla qualità peggiore delle emissioni
in atmosfera d’una CTE a carbone rispetto a quelle d’una CTE alimentata a
metano, sia all’irrilevanza in sé della vetustà dell’impianto esistente e del
suo mantenimento in un’area delicata qual è il delta del Po.
Il Comune di Rosolina, il quale per dimostrare la propria legittimazione alla
presente impugnazione dichiara d’esser stata indicato dalla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Rovigo quale soggetto offeso dal reato in un
procedimento penale inerente l’impianto de quo, assume che la trasformazione di
quest’ultimo sarebbe in contrasto con l’art. 30 della l. reg. Veneto 8 settembre
1997 n. 36 e che, nel frattempo, detta norma sarebbe stata oggetto di tentativi
di modifica poi frustrati. È intervenuto tuttavia l’art. 5-bis del DL 10
febbraio 2009 n. 5 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009 n.
33), in virtù del quale la Commissione nazionale VIA ha espresso, in data 29
aprile 2009, il proprio parere favorevole al progetto di riconversione della
Società istante. Sono seguiti poi la deliberazione n. 2018 del 7 luglio 2009
–con cui la Giunta regionale del Veneto ha recepito il parere favorevole della
Commissione VIA regionale– , nonché il decreto prot. n. DSA-DEC 2009/0000873 del
24 luglio 2009, pubblicato nella G.U. n. 189 del successivo 17 agosto, con cui
il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per i beni e le attività
culturali ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto
de quo.
Avverso tali atti è allora insorto il Comune di Rosolina, con gravame
straordinario, deducendo in punto di diritto sette articolati mezzi
d’impugnazione. A seguito di richiesta di trasposizione di tal gravame in sede
giurisdizionale, il Comune ricorrente, con atto depositato innanzi a questo
Giudice il 29 gennaio 2010, ha riassunto la causa in questa sede ribadendo tutte
le questioni già dedotte. Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni
intimate, che concludono per l’infondatezza della pretesa attorea. Pure la
controinteressata ENEL PRODUZIONE s.p.a. resiste in giudizio, eccependo
articolatamente sia la legittimazione del Comune ricorrente, sia, nel merito, la
stessa fondatezza delle doglianze di questo.
Alla pubblica udienza del 26 maggio 2010, su conforme richiesta delle parti, il
ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. – È all’odierno esame del Collegio l’impugnazione, qui spiegata dal Comune di
Rosolina (RO) a seguito della trasposizione d’identico gravame straordinario,
avverso i provvedimenti ministeriali ed i relativi pareri inerenti alla
trasformazione dell’alimentazione della centrale termoelettrica di Porto Tolle
(RO), da olio combustibile a carbone.
Si può prescindere da ogni considerazione sull’ammissibilità del ricorso in
epigrafe, in quanto esso non ha pregio e va disatteso, per le ragioni qui di
seguito indicate.
2. – Con il primo mezzo di gravame, il Comune ricorrente si duole
dell’incompetenza del Ministro dell’ambiente nell’emanazione, di concerto con il
Ministro per i beni e le attività culturali, del decreto con cui, a seguito
d’una lunga ed articolata istruttoria sul progetto de quo (a sua volta
modificato su vari aspetti), se n’è accertata la compatibilità ambientale, di
cui, a suo dire, si sarebbe dovuta occupare la dirigenza ministeriale.
Tale tesi, tuttavia, è smentita dal chiaro dato testuale dell’art. 7, c. 5 del
Dlg 3 aprile 2006 n. 152, nel testo da ultimo introdotto dall’art. 1, c. 1 del
Dlg 16 gennaio 2008 n. 4. In base a siffatta disposizione, infatti, <<… in sede
statale, l'autorità competente è il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare…>>, nel caso di VIA <<… di concerto con il Ministro per i
beni e le attività culturali, che collabora alla relativa attività
istruttoria…>>.
Ora, il precedente art. 5, c. 1, lett. p), nel fornire le definizioni
fondamentali in materia, indica quale <<autorità competente>>, la P.A. cui
spetta, <<…l'adozione… dei provvedimenti conclusivi in materia di VIA, nel caso
di progetti…>>, mentre poi è l’art. 7 a specificare (commi 5/7) i soggetti
istituzionali competenti ai vari livelli di governo. Solo per lo Stato, però, la
legge direttamente individua nell’organo ministeriale siffatta competenza, per
l’evidente ragione che sussiste in materia uno specifico interesse pubblico,
generale e strategico all'incremento della produzione energetica della
Repubblica, in disparte l’impossibilità ex art. 123 Cost. per la norma statale
d’ ingerirsi nell’organizzazione interna in via immediata delle Regioni.
Soccorre al riguardo sia il modo d’attuazione del principio di sussidiarietà
indicato nell’art. 3-quinquies, c. 3 del Dlg 152/2006, per cui spetta allo Stato
d’interviene in questioni ambientali i cui obiettivi, in ragione delle loro
dimensioni e dell'entità dei relativi effetti, non possano essere
sufficientemente realizzati da altri livelli di governo. Va inoltre rammentato,
in materia di VIA, il potere sostitutivo stabilito dal successivo art. 26, c. 2
e spettante al Consiglio dei ministri –peraltro applicabile anche ai livelli di
governo inferiori fin quando non intervengano norme regionali ad hoc–, ossia una
norma il cui significato, in quanto afferente alla potestà legislativa esclusiva
dello Stato (cfr. C. cost., 23 luglio 2009 n. 234), evidenzia la natura
generale, strategica ed essenziale per l’ ordinamento generale della Repubblica
della VIA.
Sicché nella specie ben può predicarsi, aldilà del chiaro dato testuale del
ripetuto art. 7, c. 5, la diretta competenza del Ministro in soggetta materia,
non potendosi al contrario invocare in modo meccanico e formalistico il criterio
di riparto tra indirizzo politico e gestione indicato nell’art. 4 del Dlg 30
marzo 2001 n. 165.
Pare al Collegio che l'introduzione, fin dal 1993 e in progressivo divenire
mercè l’implementazione di numerosi apporti normativi, di tal criterio nella
concreta e variegata realtà dell’organizzazione amministrativa non esaurisca
ogni questione circa l'individuazione dell'organo competente per atti o
provvedimenti non espressamente rientranti nel novero di quelli considerati dal
citato art. 4, c. 1 , ma aventi indubbi riflessi politici di carattere generale.
Invero, l’elenco degli atti indicati nella norma citata s’appalesa non già
tassativo, ma meramente esemplificativo di quelli di sicuro aventi rilievo
politico e, come tali, attribuiti ai titolari della potestà d’indirizzo. Il
criterio di riparto esprime perciò un principio aperto ed elastico, di natura
tendenziale ma non esaustiva o esclusiva, circa la generale attribuzione delle
competenze alla dirigenza amministrativa. Queste ultime, quindi, non
comprendono, per il sol fatto di non esser in modo preciso elencate in capo alla
dirigenza politica, l'adozione di atti aventi fondamentali ed oggettivi tratti
di politicità desumibili dall'ampiezza e dalla rilevanza degli interessi
coinvolti, dall'ampia discrezionalità strategica delle valutazioni da effettuare
e dall'incidenza sociale degli interventi. Deve allora il Collegio concludere
che la VIA assume indubbi tratti d’esercizio di politica ambientale, quando con
essa , aldilà dell'aspetto tecnico, si valuti a fini ambientali la
localizzazione di progetti di importanti opere pubbliche e si cooperi ad
un'attività di pianificazione e di programmazione, propria dell'organo politico.
E gli stessi artt. 23/26 del Dlg 152/2006, nel tratteggiare il procedimento di
VIA, ne dimostrano la peculiare complessità appunto per la necessità di
mediazione fra interessi articolati e variegati, degli enti locali e dell'
Amministrazione centrale, che coinvolge interessi costituzionalmente protetti
(all'ambiente ed allo sviluppo sostenibile) e rende necessaria una valutazione
politica.
E che tali principi riguardino pure la proposta trasformazione della centrale
termoelettrica di Porto Tolle, non par dubbio, posto che essa s’inserisce nella
strategia d’incremento dell’offerta energetica, a fronte del crescente deficit
energetico nazionale, per il quale è ragionevolmente prevedibile l’insufficienza
degli impianti esistenti e di quelli ancora in costruzione. E l'interesse
pubblico alla produzione elettrica (in genere, energetica) è certo un interesse
di natura primaria, strettamente legato allo sviluppo economico e sociale di
tutta la Repubblica e, quindi, esclude che tal trasformazione sia da reputare un
problema di rilevanza meramente locale, mentre va visto nell'ottica dei bisogni
d’approvvigionamento energetico nazionale. In tal caso, il congiunto giudizio su
necessità energetiche nazionali e presupposti ambientali implica una
ponderazione complessa, che coinvolge profili tecnici e profili di vera e
propria opportunità, tali da trascendere l’aspetto prettamente gestionale tipico
della competenza dirigenziale e da rientrare tra i poteri di indirizzo
politico-amministrativo.
È appena da osservare che, in disparte il mantenimento di competenze
amministrative in capo al titolare della potestà d’indirizzo (p. es., per tutti
gli atti d’alta amministrazione, ecc.), tutto ciò non implica certo la
sottrazione della statuizione così assunta alle garanzie del procedimento o
d’ogni tipo di controllo. A differenza dell’attività d’indirizzo propriamente
detta –che normalmente tende ad inverarsi in atti politici inerenti alle scelte
fondamentali dei corpi rappresentativi o di governo–, i compiti amministrativi
rimasti in capo alla dirigenza politica si procedimentalizzano ed assumono le
forme giuridiche del pubblico potere, ossia quelle del provvedimento. Anche
questo, come in tutti i casi di discrezionalità mista a valutazioni tecniche –o
in quelli in cui la valutazione è coessenziale alla scelta–, si basa
sull’adeguata mediazione e sulla ponderazione di tutti gli interessi
fondamentali introdotti nel procedimento, che l’organo decidente gerarchizza
secondo criteri di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza rispetto
all’obiettivo da raggiungere. Da ciò discende l’evidente soggezione pure di tal
provvedimento allo scrutinio di legittimità da parte di questo Giudice, anche
quando tal statuizione coinvolga ampi ed articolati profili di discrezionalità e
di accertamenti tecnici sofisticati, negli ovvi limiti che la giurisdizione
incontra sul punto.
3. – Neppure convince il secondo motivo, con il quale il Comune ricorrente
lamenta l’omessa applicazione, nella specie e relativamente al mancato
svolgimento dell’inchiesta pubblica ex art. 7, c. 2 del DPCM 27 dicembre 1988
(secondo il principio ex art. 6, c. 9 della l. 8 luglio 1986 n. 349), dell’All.
IV) al predetto DPCM, recante le procedure per i progetti termoelettriche a
turbogas.
Com’è noto, il complesso delle regole poste dall'art. 1 del DL 7 febbraio 2002
n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n. 55) previde
un'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio di impianti d’energia
elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, rilasciata dal Ministero delle
attività produttive in sostituzione delle autorizzazioni, concessioni e atti di
assenso comunque denominati previsti dalla legislazione vigente. La disciplina
de qua, che trovò conferma dal Giudice delle leggi (cfr. C. cost., 13 gennaio
2004 n. 6), riguardò la concentrazione in una con l’accelerazione, in capo allo
Stato, di funzioni amministrative in una materia affidata sì alla legislazione
concorrente, ma per la salvaguardia della necessaria unitarietà dell'esercizio
di tali compiti prevista dall'art. 118 Cost. per esigenze d’integrità dei
bisogni energetici della Repubblica. Sicché l'eccezionale compressione delle
competenze delle amministrazioni regionali e locali fu giustificata dalla
celerità con cui, per evitare il pericolo dell’interruzione della fornitura
d’energia elettrica su tutto il territorio della Repubblica, furono concentrate
in capo allo Stato le predette funzioni amministrative per la costruzione o il
ripotenziamento di impianti di energia elettrica di particolare rilievo, da
svolgersi con l’intesa con le Regioni e delle Amministrazioni locali
interessate. In tale ottica –inerente alla necessità d’immediato potenziamento
del quadro energetico nazionale–, fu reputata costituzionalmente legittima pure
la disposizione dell’art. 1, c. 5 del DL 7/2002, che previde, tra l’atro, la
sospensione fino <<… al 31 dicembre 2003 (del)l'efficacia dell'allegato IV al
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 1989…>>.
Siffatta disposizione, ben prima della scadenza del termine colà previsto, è
stata dichiarata ultrattiva dall’art. 1-sexies, c. 8 del DL 29 agosto 2003
(convertito, con modificazioni, dalla l. 27 ottobre 2003 n. 290), così
stabilizzando la disciplina dell’art. 1 del DL 7/2002, ab origine solo
transitoria, a causa dell’attuale permanenza delle esigenze di sicurezza del
sistema elettrico nazionale.
Né varrebbe obiettare che, in fondo, tal art. 1-sexies, c. 8 non avrebbe
espressamente stabilito detta stabilizzazione anche in contrario avviso all’All.
IV) al DPCM 27 dicembre 1988.
È materialmente vero che l’art. 34, c. 1, ult. per. del Dlg 152/2006 ha
mantenuto ferma, nelle more dell'emanazione delle norme tecniche sulla
valutazione ambientale <<… l'applicazione di quanto previsto dal decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988…>>. Tuttavia, tal regola
va intesa nel senso che, ferme l’autorizzazione unica ex art. 1 del DL 7/2002 e
la stabilizzazione dell’intero sistema colà recato grazie al predetto art.
1-sexies, c. 8 –che v’ha fatto integrale rinvio recettizio–, la permanenza delle
esigenze energetiche giustifica l’attualità del sistema semplificato, ma non per
questo meno garantistico, rispetto al sistema dettato dal ripetuto DPCM,
incentrato sul più obsoleto ed ormai superato metodo dello studio d’impatto
ambientale – SIA. Sicché il richiamo al ripetuto DPCM al più riguarda
l’utilizzabilità delle regole tecniche colà contenute e non può prescindere da
un giudizio di compatibilità con il principio di semplificazione procedurale di
cui al successivo c. 7. In altre parole, fuori dalle regole tecniche colà
esistenti –e solo in quest’accezione il Ministero intimato ebbe modo di
richiamare le norme dell’art. 6 del ripetuto DPCM nel corso del lungo
procedimento preparatorio al decreto VIA–, il procedimento è e resta soltanto
quello evincibile dalla ratio dell’art. 1 del DL 7/2002, secondo la lettura
all’uopo resa dal Giudice delle leggi. Si deve lasciare, quindi, alla nuova
fonte regolamentare la scelta discrezionale di quale e quanta partecipazione
pubblica può esser assicurata, de futuro ed oltre all’apporto dei i corpi
rappresentativi locali titolari di funzioni e potestà ambientali, nei singoli
procedimenti di VIA.
4. – Da rigettare è anche il terzo motivo, concernente il difetto di reale ed
immediata efficacia precettiva da riconoscersi, secondo il Comune ricorrente,
alle prescrizioni contenute nell’impugnato decreto VIA.
Asserisce detto Comune che l’assenza di tal efficacia ben possa evincersi
dall’uso del vocabolo <<dovrà>>, che talvolta l’impugnato decreto adopera nel
fissare le prescrizioni di volta in volta imposte al soggetto attuatore.
Ebbene, se la censura s’appunta solo su tale aspetto, allora è manifestamente
speciosa, giacché l’uso del tempo futuro non è che una tecnica redazionale della
clausola, il cui adempimento non è che sia rimesso alla volontà meramente
potestativa del soggetto attuatore, ma non può che esser realizzato in un
momento per forza successivo all’emanazione del decreto. Se la censura concerne
invece l’attività che il soggetto attuatore è tenuto a svolgere con la
necessaria collaborazione di terzi (p.es., nel caso prospettato, mercè un
protocollo con l’ARPAV), allora essa a più forte ragione è priva di pregio, in
quanto, da una serena lettura della relativa clausola, s’appalesa in capo a tal
soggetto un’obbligazione di risultato, all’uopo non bastando per l’adempimento
la sola presentazione del protocollo stesso. Se ancora detta censura vuol
adombrare che il soggetto attuatore si sarebbe potuto liberare dai suoi obblighi
grazie ad un qualunque contenuto di tal protocollo, con ogni evidenza il
ricorrente non s’avvede che la clausola impone a priori <<…anche un presidio con
personale dell’agenzia che supervisionerà tutte le operazioni di
manutenzione…>>, per cui già la mancanza o l’insufficienza di tali aspetti,
inerenti al controllo sulla manutenzione, implica di per sé un inadempimento.
Non nega il Collegio l’infelicità semantica di una frase, contenuta nella
clausola de qua e così formulata <<… il proponente dovrà presentare un progetto
che prevedendo l’impiego delle migliori tecnologie disponibili, POSSA dimostrare
la POSSIBILITÀ (sic !) che la concentrazione delle polveri (ecc.) …>>. Per
quanto sgrammaticata, tal clausola vuol dire solo e più semplicemente che il
soggetto attuatore è tenuto a produrre un progetto idoneo a dimostrare, allo
stato dell’arte e della tecnica, una concentrazione di polveri nei fumi emessi
non superiore alla media giornaliera di 7 mg/Nm³, non valendo come adempimento
né un progetto qualunque, né uno che non dimostri quanto prescritto.
Già in base a queste brevi considerazioni, non può il Collegio esimersi
dall’osservare come la più parte delle censure contenute nel motivo in esame
s’appuntino, in maniera alquanto pedante, sul modo di redigere le clausole usate
a mo’ d’esempio.
Ma tale modalità di scrittura, per quanto se ne voglia predicare la probabile
sciatteria, è ben lungi dall’esser oscura o dal rinviare a vicende future ed
incerte o alla volizione meramente potestativa l’oggetto delle prescrizioni colà
contenute. Siffatte clausole, al contrario, pongono modi e termini di
adempimenti complessi, nonché obblighi facoltativi nell’ipotesi in cui, non
potendosi realizzare il presupposto generale (p. es., nella prescrizione A25,
l’uso della Busa di Tramontana per l’ordinario movimento merci) a causa di
eventi imprevedibili e non altrimenti rimediabili (nello stesso esempio, le
condizioni meteomarine avverse), l’adempimento può (non deve) esser convertito
in uno di pari significato (nell’esempio, l’accesso attraverso il Po di Levante
e per vicende di mera emergenza). Vi sono, per vero, clausole parzialmente
condizionate, come in quei casi (p. es., la prescrizione A20) in cui s’impongano
modalità di limitazione del funzionamento della centrale termoelettrica
nell’EVENTUALITÀ (e NON nella certezza a priori, nel qual caso il decreto
sarebbe illegittimo) che essa (nell’esempio) superi il limite normativo per le
polveri fini, e così via. Tanto non volendo considerare il chiaro disposto
dell’art. 28, c. 1 del Dlg 152/2006, in virtù del quale il decreto VIA <<…
contiene ogni opportuna indicazione per la progettazione e lo svolgimento delle
attività di controllo e monitoraggio degli impatti…>>.
Quest’ultimo <<… assicura, anche avvalendosi del sistema delle Agenzie
ambientali, il controllo sugli impatti ambientali significativi sull'ambiente
provocati dalle opere approvate, nonché la corrispondenza alle prescrizioni
espresse sulla compatibilità ambientale dell'opera…>>. Come si vede,
l’imposizione di svariate ed articolate clausole, con prescrizioni e condizioni,
non solo serve, per evidenti ragioni d’economicità dell’azione amministrativa e
di leale collaborazione tra i soggetti del procedimento di VIA, a manifestare
tutte le ragioni capaci di superare ogni ipotersi di dissenso sul progetto
proposto e ad evidenziare le varie criticità di gestione dell’impianto ed i
rimedi acconci. Essa costituisce altresì l’insieme dei parametri con il quale la
P.A. è tenuta ad esercitare la vigilanza ed il controllo successivo
sull’impianto stesso, del cui potere essa, a’sensi del citato art. 28, non si
spoglia sic et simpliciter con l’emanazione dell’autorizzazione condizionata
contenuta nel decreto di VIA. E ciò appunto al fine d’individuare <<…
tempestivamente gli impatti negativi imprevisti e di consentire all'autorità
competente di essere in grado di adottare le opportune misure correttive …>>,
dal che la possibilità di un’autorizzazione a struttura aperta con prescrizioni
a priori e condizioni successive in relazione alla complessità della vicenda
condizionante e, quindi, pure la possibilità di ritenere non avverata la
condizione apposta nel caso d’inadempimento degli obblighi di volta in volta
imposti (cfr. il successivo art. 29, c. 3).
È appena da osservare che il Comune ricorrente, nella memoria conclusionale
depositata il 19 maggio 2010, alle pagg. 6/8 si profonde in numerose questioni
sull’erroneità delle indicazioni delle località di Busa di Tramontana e del Po
di Levante ai fini della movimentazione delle chiatte di trasporto del carbone
per l’alimentazione dell’impianto de quo, proponendo, però, nuove e diverse
questioni non specificamente affrontate nel gravame introduttivo, come tali
inammissibili.
5. – Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo alla
falsa applicazione, di cui s’occupa il quarto motivo di gravame, dell’art. 5-bis
del DL 10 febbraio 2009 n. 5 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile
2009 n. 33), con riguardo alle regole ex art. 30 della l. reg. Veneto 8
settembre 1997 n. 36.
Ora, l’art. 5-bis del DL 5/2009 stabilisce, con applicazione anche ai
procedimenti in corso, che <<… per la riconversione degli impianti di produzione
di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di
consentirne l'alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in
deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono
limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri
l'abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti
previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della
parte II dell'allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006 n.
152…>>. Tal norma è stata introdotta, con efficacia dal 12 aprile 2009, dalla
legge di conversione n. 33/2009, donde la pacifica sua applicabilità al
procedimento di VIA inerente all’impianto per cui è causa e, quindi, sul punto
nulla quaestio.
Se ne predica, da parte del Comune ricorrente, la necessità, nella specie ed ai
fini della legittimità del decreto VIA impugnato, perché senza la norma stessa i
Ministeri intimati non avrebbero potuto “superare” la pretesa preclusione
derivante, nei confronti dell’impianto de quo, dall’art. 30 della l.r. 36/1997,
in base al quale, nel territorio dei Comuni interessati dal Parco del Delta del
Po, <<… gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere
alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minor impatto
ambientale…>>.
In realtà, per un verso la “necessità” del citato art. 5-bis è tutta da
dimostrare, posto che l’art. 30 della l.r. 36/1997 non impone per forza
l’alimentazione a gas metano per le centrali elettriche, all’uopo bastandone una
che assicuri un <<…pari o minor impatto ambientale…>>, sicché occorre
verificare, IN CONCRETO e rispetto al gas metano, l’impatto ambientale
complessivo della scelta dell’alimentazione per la proposta trasformazione della
centrale di Porto Tolle. Per altro verso, non v’è neppure la sicurezza circa la
scelta prioritaria, da parte della norma regionale, a favore del solo gas
metano, delle cui maggior sicurezza ed appropriatezza, ai fini
dell’alimentazione dell’impianto, non v’è sicura prova rispetto a quanto dedotto
nel decreto impugnato, a parte ogni considerazione sull’impianto ambientale in
sé del metanodotto occorrente a tal alimentazione. Per altro verso ancora, la
perentoria asserzione del Ministero intimato, in data 13 agosto 2007 e per la
quale è <<… comunque peggiore, allo stato attuale della tecnologia e in termini
generali, il quadro emissivo di una CTE a carbone rispetto a quello di un
corrispondente impianto alimentato a metano…>>, non è conducente alla tesi
attorea perché, se adoperata così, s’appalesa mera petizione di principio circa
i <<termini generali>> ed è affermazione basata rebus sic stantibus (2007) e
senza richiamo di dati scientifici seri, precisi e concordanti nella situazione
attuale (2010) per quanto riguarda l’evoluzione tecnologica.
Da ciò discende la possibilità della localizzazione dell’impianto per cui è
causa anche in base all’art. 30 della l.r. 36/1997, indipendentemente dal jus
superveniens del 2009. Tanto in disparte il parere della Commissione regionale
VIA del Veneto che, prima dell’entrata in vigore dell’art. 5-bis del DL 5/2009,
concluse nel senso che <<… complessivamente, con la situazione prospettata, la
modifica proposta soddisfa l’art. 30 della L.R. 8 settembre 1997…>>. Né mette
conto confutare in modo puntuale, sotto il profilo del calcolo delle quantità
delle emissione ed al contrario di ciò che fa la Società controinteressata –che
invece offre un serio principio di prova sull’inesistenza di siffatte condizioni
peggiorative–, l’assunto attoreo circa la peggior qualità ambientale d’un
impianto a carbone rispetto a quello alimentato a gas metano, posto che il
Comune ricorrente non riporta, neppure in sede conclusionale, dati scientifici
certi e seri per corroborare detto assunto.
6. – Non può esser condiviso il quinto motivo d’impugnazione, con cui il Comune
ricorrente si duole dell’illegittima composizione della Commissione tecnica
VIA-VAS, in quanto il Supremo Consesso (sez. VI), con decisione n. 8253 del 17
dicembre 2009 da cui il Collegio non ha alcun motivo di discostarsi, ha
integralmente riformato la sentenza di prime cure che aveva a suo tempo
annullato la nomina di tal Commissione, di talché sul punto nulla quaestio.
Parimenti da respingere è il sesto motivo, giacché il parere della Regione
Veneto è, per interventi soggetti a VIA statale quale quello per cui è causa,
meramente consultivo/collaborativo, non certo vincolante, giusta quanto evincesi
dall’art. 36, c. 4 del Dlg 152/2006 circa l’esclusiva competenza del Ministero
intimato sulla questione. È da osservare che, mentre l’impugnato parere della
Commissione VIA è stato emanato il 29 aprile 2009, il parere della Commissione
regionale veneta è stata rilasciata solo il successivo 30 giugno, per cui il
Comitato tecnico di coordinamento s’è dato carico di tal documento regionale,
provvedendo ad inserire alcune delle prescrizioni colà contenute nel testo
definitivo del decreto VIA.
7. – In definitiva, il ricorso in epigrafe va respinto, ma la novità e la
complessità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale
compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. II, respinge
il ricorso n. 942/2010 RG in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 26 maggio 2010, con
l'intervento dei sigg. Magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Stefano Toschei, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/09/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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