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T.A.R. LAZIO, ROMA Sez. II - 14 ottobre 2010, n. 32824
DIRITTO DELL’ENERGIA - AREE PROTETTE - Regione Veneto - Parco del Delta del
Po - Centrali elettriche - Alimentazione - Obbligo dell’utilizzo del metano -
Esclusione - Alimentazione con “pari o minor impatto ambientale” - Impatto
complessivo sul territorio conseguente alla riconversione dell’impianto.
L’art. 30 della l.r. Veneto n. 36/1997, istitutiva del Parco del Delta del Po,
non impone per forza l’alimentazione a gas metano per le centrali elettriche,
all’uopo bastandone una che assicuri un <<…pari o minor impatto ambientale…>>,
sicché occorre verificare, in concreto e rispetto al gas metano, l’impatto
ambientale complessivo della scelta d’alimentazione per l’impianto di produzione
di energia elettrica. La novella di cui alla l.r. 26 febbraio 1999, n. 18, ben
lungi dall’aver introdotto una regola meno restrittiva della precedente (che
prevedeva il ricorso al gas metano o altre fonti alternative non inquinanti), in
realtà pone un più preciso, serio ed articolato parametro di verifica del
sistema d’alimentazione, basato non più sul solo profilo delle emissioni in
atmosfera, ma sul complessivo impatto sul territorio conseguente alla
riconversione dell’impianto. Pres. Tosti, Est .Russo - Associazione A e altri
(avv.ti Ceruti e Stefutti) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato) e Regione Veneto (avv.ti Zenon e
Manzi) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II - 14 ottobre 2010, n. 32824
DIRITTO DELL’ENERGIA - D.L. 5/2009 - Promozione dello sviluppo economico e
della competitività - Art. 5 bis, inserito in sede di conversione -
Accelerazione della costruzione di impianti energetici - Finalità di
incentivazione di sviluppo e competitività - Coerenza con la materia sui cui è
intervenuto il D.L. L’art. 5-bis del DL 5/2009 (il cui scopo essenziale è
<<… la necessità di collocare in un quadro unitario le disposizioni finalizzate
alla promozione dello sviluppo economico e alla competitività …>>), s’inserisce
nel solco delle norme d’accelerazione della costruzione di impianti energetici
e, nella misura in cui esso serve a diversificare le fonti d’energia e la
dipendenza energetica del Paese, è rivolto ad incentivarne, non meno dalle
regole di trasferimento ad imprese e famiglie contenute nel medesimo DL 5/2009,
sviluppo e competitività: sicchè la norma, inserita in sede di conversione, non
si connota per evidente estraneità rispetto alla materia su cui, affermandovi la
necessità ed urgenza, il decreto legge intende intervenire. Pres. Tosti, Est
.Russo - Associazione A e altri (avv.ti Ceruti e Stefutti) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato) e
Regione Veneto (avv.ti Zenon e Manzi) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II - 14 ottobre
2010, n. 32824
DIRITTO DELL’ENERGIA - Art. 5 bis D.L. n. 5/2009 - Illegittimità costituzionale
per violazione dell’art. 117 Cost. - Manifesta infondatezza - Ragioni.
S’appalesa manifestamente infondata la pretesa illegittimità dell’art. 5-bis del
DL 5/2009 per violazione dell’art. 117 Cost., per la duplice ragione che, per un
verso, la norma statale è criterio direttivo alle Regioni per alcuni casi di
riconversione dei sistemi di alimentazione delle centrali termoelettriche e, per
altro verso, essa riguarda non la sola produzione di energia, ma soprattutto le
modalità di tutela dell’ambiente nell’esercizio, così conformato, d’ogni
attività produttiva energetica per il dimezzamento dei valori emissivi rispetto
a quelli posti dall’art. 273 del Dlg 152/2006. Spetta allo Stato la potestà
legislativa concorrente in tema di <<produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia>> di cui all'art. 117, c. 3, Cost.: coerentemente, si
giustifica la piena competenza statale e la responsabilità esclusiva della
Commissione statale VIA-VAS per tutti i progetti e sulle prescrizioni inerenti
agli impianti termoelettrici. Pres. Tosti, Est .Russo - Associazione A e altri
(avv.ti Ceruti e Stefutti) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato) e Regione Veneto (avv.ti Zenon e
Manzi) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II - 14 ottobre 2010, n. 32824
DIRITTO DELL’ENERGIA - VIA - Art. 34, c. 1 d.lgs. n. 152/2006 - Rinvio al
DPCM 27 dicembre 1988 - Portata - Esigenze energetiche - Autorizzazione unica ex
art. 1 DL 7/2002. La regola di cui all’art. 34, c. 1, ult. per. del Dlg
152/2006, che ha mantenuto ferma, nelle more dell'emanazione delle norme
tecniche sulla valutazione ambientale <<… l'applicazione di quanto previsto dal
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988…>>, va intesa
nel senso che, ferme l’autorizzazione unica ex art. 1 del DL 7/2002 e la
stabilizzazione dell’intero sistema colà recato grazie all’art. 1-sexies, c. 8
del DL 29 agosto 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. 27 ottobre 2003
n. 290)-che v’ha fatto integrale rinvio recettizio-, la permanenza delle
esigenze energetiche giustifica l’attualità del sistema semplificato rispetto al
sistema dettato dal citato DPCM. Sicché il richiamo al ripetuto DPCM al più
riguarda l’utilizzabilità di regole tecniche nello stesso contenute e non può
prescindere da un giudizio di compatibilità con il principio di semplificazione
procedurale di cui al successivo c. 7. In altre parole, fuori dalle regole
tecniche colà esistenti, il procedimento è e resta soltanto quello evincibile
dalla ratio dell’art. 1 del DL 7/2002, secondo la lettura all’uopo resa dal
Giudice delle leggi (cfr. C. cost., 13 gennaio 2004 n. 6). Pres. Tosti,
Est .Russo - Associazione A e altri (avv.ti Ceruti e Stefutti) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato) e
Regione Veneto (avv.ti Zenon e Manzi) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II - 14 ottobre
2010, n. 32824
VIA - Interventi soggetti a VIA statale - Parere della Regione - Natura
consultiva/collaborativa - Art. 36, c. 4 d.lgs. n. 152/2006 - Competenza
esclusiva del MATTM. Per interventi soggetti a VIA statale, il parere della
Regione è meramente consultivo/collaborativo, non certo vincolante, giusta
quanto evincesi dall’art. 36, c. 4 del Dlg 152/2006 circa l’esclusiva competenza
del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare sulla
questione. Pres. Tosti, Est .Russo - Associazione A e altri (avv.ti Ceruti e
Stefutti) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e
altro (Avv. Stato) e Regione Veneto (avv.ti Zenon e Manzi) - TAR LAZIO, Roma,
Sez. II - 14 ottobre 2010, n. 32824
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Concetto di “limite”. Il concetto di “limite”
va inteso non già (o non solo) come mero valore-soglia, ma più propriamente come
valore-limite commisurato alla media giornaliera calcolata sperimentalmente in
condizioni di funzionamento standard e di carico medio degli impianti, se del
caso imponendo parametri più stringenti di quelli posti dalle linee-guida
nazionali, recanti i criteri per l’individuazione delle migliori e più recenti
tecnologie disponibili (MTD o, se si vuole, BAT) in tema di grandi impianti di
combustione (LCP), per tener conto di eventuali fluttuazioni o anomalie dei
parametri in determinate condizioni di funzionamento. Pres. Tosti, Est .Russo -
Associazione A e altri (avv.ti Ceruti e Stefutti) c. Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato) e Regione Veneto
(avv.ti Zenon e Manzi) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II - 14 ottobre 2010, n. 32824
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Documenti BREF - Natura - BAT - Livelli di
emissione - Modelli di riferimento - Obiettivi da raggiungere nel tempo -
Adeguamento dei limiti emissivi realistico e realizzabile. I documenti BREF
sono elaborati in sede UE al fine di suggerire agli Stati membri ed agli
operatori del settore l’individuazione delle BAT (migliori tecniche disponibili:
secondo l’acronimo italiano, le MTD) e le condizioni di applicabilità alle
singole vicende. Le regole scaturenti dai BREF e, in particolare, i livelli
d’emissione là posti non esprimono né valori massimi inderogabili, né tampoco
valori limite d’emissione per i singoli inquinanti, servendo piuttosto ad
indicare seri modelli di riferimento, applicati sulla scorta delle linee-guida,
per migliorare allo stato dell’arte le prestazioni ambientali. Dal canto loro,
dette linee-guida vanno non eseguite tout court, ma applicate in modo calibrato
al tipo ed alle particolarità dell’impianto e del sito in cui si colloca, negli
ovvi limiti non solo delle conoscenze tecniche, ma soprattutto della loro
sostenibile realizzabilità tecnica ed economica nel singolo contesto, al fine
d’ottenere il miglioramento sperato in termini di valori d’emissione. E siffatta
sostenibilità è tenuta presente dal BREF, laddove reputa i limiti indicati nelle
BAT raggiungibili non illic et immediate -a pena, cioè, di VIA negativa per il
sol fatto dello sforamento anche d’un solo parametro-, bensì con ragionevole
gradualità, lungo un ampio arco di tempo ed in un ottimale assetto d’esercizio
dell’impianto. Dal che non tanto la vincolatezza a priori di tali dati come se
fossero sempre e comunque valori massimi d’emissione, ma più propriamente la
necessità di considerarli come obiettivi da raggiungere nel tempo occorrente
affinché si contemperino con tutte le situazioni, locali, ambientali ed
economiche in cui si colloca l’impianto o, in parole più semplici, affinché si
realizzi un adeguamento dei limiti emissivi realistico e realizzabile. Pres.
Tosti, Est .Russo - Associazione A e altri (avv.ti Ceruti e Stefutti) c.
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altro (Avv.
Stato) e Regione Veneto (avv.ti Zenon e Manzi) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II -
14 ottobre 2010, n. 32824
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Valori BREF - Valore medio di riferimento - Valori
limite - Differenza. I valori riportati nel BREF rappresentano un valore
medio di riferimento, ossia la più efficiente ed avanzata fase di sviluppo di
attività e relativi metodi d’esercizio, che indica l’idoneità pratica di date
tecniche a costituire la base logica di massima dei valori limite di emissione,
preordinati ad evitare o, se del caso e ove ciò si riveli impossibile, a ridurre
in modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso. Tanto
a differenza di quelli che la legge effettivamente pone come valori limite, i
quali non devono esser mai superati in nessuna condizione di funzionamento a
regime dell’impianto. Pres. Tosti, Est .Russo - Associazione A e altri
(avv.ti Ceruti e Stefutti) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato) e Regione Veneto (avv.ti Zenon e
Manzi) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II - 14 ottobre 2010, n. 32824
DIRITTO DELL’ENERGIA - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Procedura ex art. 26
d.lgs. n. 42/2004 - Procedura ex art. 1, c. 1 D.L. 7/2002 - Rapporti. L’art.
26 del Dlg 22 gennaio 2004 n. 42 recede rispetto alla speciale procedura
d’autorizzazione unica ex art. 1, c. 1 del DL 7/2002. Pres. Tosti, Est .Russo -
Associazione A e altri (avv.ti Ceruti e Stefutti) c. Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato) e Regione Veneto
(avv.ti Zenon e Manzi) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II - 14 ottobre 2010, n. 32824
VIA - Art. 26, c. 3 d.lgs. n. 152/2006 - Documentazione integrativa -
Pubblicità - Onere del proponente - Limiti. L’art. 26, c. 3-bis del Dlg
152/2006 dà facoltà d’imporre al proponente l’apposita pubblicità anche per la
documentazione integrativa <<… ove ritenga che le modifiche apportate siano
sostanziali e rilevanti per il pubblico …>> e non in ogni caso. Pres. Tosti, Est
.Russo - Associazione A e altri (avv.ti Ceruti e Stefutti) c. Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato) e
Regione Veneto (avv.ti Zenon e Manzi) - TAR LAZIO, Roma, Sez. II - 14 ottobre
2010, n. 32824
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 32824/2010 REG.SEN.
N. 09584/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 9584/2009 RG, proposto dall’Associazione tra Agenzie d'affari in
mediazione turistiche e di viaggi – ASSAGAIME di Rosolina, dal Consorzio
operatori balneari – COB, dal Villaggio turistico Rosapineta Sud, dalla VILLAGGI
CLUB s.r.l., dalla Coop. CONSORZIO DELTA NORD s.r.l., dalla Coop. FOCE PO DI
MAISTRA s.r.l., tutte con sede in Rosolina (RO), dalla GREENPEACE ONLUS,
dall’Associazione italiana per il WWF – ONLUS e da ITALIA NOSTRA - ONLUS, tutte
con sede in Roma, nonché dal Comitato cittadini liberi Porto Tolle, con sede in
Porto Tolle (RO), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, tutti
rappresentati e difesi dagli avv. Matteo CERUTI e Valentina STEFUTTI, con
domicilio eletto in Roma, v.le A. Saffi n. 20,
contro
- il MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, il
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI ed il MINISTERO DELLO SVILUPPO
ECONOMICO, in persona dei sigg. Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope
legis dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici si domiciliano
in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e
- la REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore della Giunta
regionale, rappresentato e difeso dagli avvocati Ezio ZANON ed Andrea MANZI, con
domicilio eletto in Roma, via F. Confalonieri n. 5 e
nei confronti di
- ENEL PRODUZIONE s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante
pro tempore, controinteressata, rappresentata e difesa dal prof. Giuseppe DE
VERGOTTINI e dall’avv. Cesare CATURANI, con domicilio eletto in Roma, via A.
Bertoloni n. 44 e
- Cesare DONNHAUSER, controinteressato, non costituito nel presente giudizio,
per l'annullamento
A) - del decreto prot. DSA-DEC 2009/0000873 del 24 luglio 2009, pubblicato nella
G.U. n. 189 del successivo 17 agosto, con cui il Ministro dell’ambiente, di
concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali ha espresso giudizio
positivo di compatibilità ambientale sul progetto proposto dalla Società
controinteressata per la realizzazione d’una centrale termoelettrica da 1980 Mw
ed alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5% su due
gruppi, ubicata nel Comune di Porto Tolle (RO), in luogo dell’esistente centrale
ad olio combustibile; B) – del parere favorevole reso dalla Commissione tecnica
VIA-VAS n. 285 del 29 aprile 2009 e del successivo parere espresso dal Comitato
di coordinamento della Commissione reso nella seduta del 9 luglio 2009; C) – del
parere favorevole reso dal MIBAC in data 16 marzo 2009; D) – dei decreti della
Giunta regionale del Veneto n. 4067 del 28 dicembre 2005, n. 150 del 30 gennaio
2007 e n. 2018 del 7 luglio 2009, con cui la Regione impugnato ha espresso
parere favorevole all’impianto de quo; E) – dei pareri della Commissione
regionale veneta VIA n. 120 del 25 ottobre 2005, n. 149 del 17 gennaio 2007 e n.
244 del 30 giugno 2009, del parere dell’ARPA prot. n. 82234 del 29 giugno 2009 e
della Relazione tecnica regionale in data 29 giugno 2009; F) – ove occorra, del
decreto n. 194 del 23 giugno 2008, con cui il Ministro dell’ambiente ha
proceduto alla quasi totale rinnovazione dei componenti della Commissione VIA –
VAS; G) – ove occorra, delle deliberazioni della Giunta regionale del Veneto n.
2176 del 2 agosto 2005, n. 2974 dell’11 ottobre 2005 e n. 3609 del 22 novembre
2005, nella parte in cui la Regione intimata ha affidato alla Segreteria
regionale infrastrutture e mobilità le competenze in materia di VIA, nonché
della deliberazione giuntale n. 252 del 7 febbraio 2006, nella parte in cui
individua nel Segretario regionale alle infrastrutture il Presidente della
Commissione regionale VIA; H) – ove occorra, della deliberazione giuntale n.
1408 del 16 maggio 2006, recante l’approvazione del Piano progressivo di rientro
relativo alle polveri PM10;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimati e
della sola Società controinteressata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all'udienza pubblica del 26 maggio 2010 il Cons. dott. Silvestro Maria
RUSSO e uditi altresì, per le parti, gli avvocati CERUTI, STEFUTTI, MANZI e
CATURANI, il prof. DE VERGOTTINI e l’Avvocato dello Stato GUIDA;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
L’ASSAGAIME, con sede in Rosolina (RO) e consorti (meglio indicati in premessa)
rendono noto che, nel territorio comunale di Porto Tolle (loc. Polesine
Camerini) e sita nel delta del Po –ancorché attualmente al di fuori del
perimetro provvisorio del relativo Parco–, esiste da vari decenni una centrale
termoelettrica finora funzionante ad olio combustibile.
Detto Sodalizio e consorti dichiarano altresì che, con istanza in data 31 maggio
2005, l’ENEL PRODUZIONE s.p.a., corrente in Roma, ha chiesto al Ministero
dell’ambiente il rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 1, c. 2 del DL 7
febbraio 2002 n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n.
55), con contestuale pronuncia di compatibilità ambientale ex art. 6 della l. 8
luglio 1986 n. 349. Tanto con riguardo al progetto di realizzazione d’una
centrale termoelettrica da 1980 Mw ed alimentata a carbone e biomasse vergini
nella misura massima del 5% su due gruppi, in luogo della predetta centrale ad
olio combustibile.
Detto Sodalizio e consorti fanno presente pure che la Commissione VIA nazionale
del Ministero dell’ambiente espresse in un primo tempo una decisione
interlocutoria, comunicata alla Società istante il 13 agosto 2007, di segno
sfavorevole alla richiesta de qua. E ciò in relazione sia alla qualità peggiore
delle emissioni in atmosfera d’una CTE a carbone rispetto a quelle d’una CTE
alimentata a metano, sia all’irrilevanza in sé della vetustà dell’impianto
esistente e del suo mantenimento in un’area delicata qual è il delta del Po.
A seguito d’una nuova formale istanza della ENEL DISTRIBUZIONE s.p.a.,
susseguente a sua volta al deposito di integrazioni progettuali ed alla
ripubblicazione dell’annuncio a mezzo stampa, il Ministero dell’ambiente ha
riattivato, in data 6 febbraio 2008, il procedimento di VIA. È nel frattempo
intervenuto l’art. 5-bis del DL 10 febbraio 2009 n. 5 (convertito, con
modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009 n. 33), in virtù del quale la Commissione
nazionale VIA ha espresso, in data 29 aprile 2009, il proprio parere favorevole
al progetto di riconversione della Società istante. Sono seguiti poi la
deliberazione n. 2018 del 7 luglio 2009 –con cui la Giunta regionale del Veneto
ha recepito il parere favorevole della Commissione VIA regionale– , nonché il
decreto prot. n. DSA-DEC 2009/0000873 del 24 luglio 2009, pubblicato nella G.U.
n. 189 del successivo 17 agosto, con cui il Ministro dell’ambiente, di concerto
con il Ministro per i beni e le attività culturali ha espresso giudizio positivo
di compatibilità ambientale sul progetto de quo.
Avverso tali atti e tutti quelli presupposti, sono allora insorti l’ASSAGAIME e
consorti innanzi a questo Giudice, con il ricorso in epigrafe, deducendo in
punto di diritto otto articolati gruppi di censure. Si sono costituite in
giudizio le Amministrazioni statali e la Regione intimate, le quali concludono
per l’infondatezza della pretesa attorea. Pure la Società controinteressata
resiste in giudizio, eccependo articolatamente sia la legittimazione dei
ricorrenti, sia, nel merito, la stessa fondatezza delle doglianze in questioni.
Alla pubblica udienza del 26 maggio 2010, su conforme richiesta delle parti, il
ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio
DIRITTO
1. – È all’odierno esame del Collegio la questione, posta in questa sede dal
Sodalizio ricorrente e consorti con otto articolati gruppi di censure, avverso
il decreto, in una con gli atti presupposti meglio indicati in epigrafe, con cui
il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per i beni e le attività
culturali, ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale sul
progetto, a suo tempo proposto dalla ENEL DISTRIBUZIONE s.p.a., per la
realizzazione in Porto Tolle (RO), loc. Polesine Camerini, d’una centrale
termoelettrica da 1980 Mw ed alimentata a carbone e biomasse vergini nella
misura massima del 5% su due gruppi, in luogo d’una precedente ad olio
combustibile.
Il ricorso in epigrafe è privo di pregio e va respinto, per le considerazioni di
cui appresso.
2.1. – Il primo gruppo di motivi s’incentra sui pretesi vizi dell’art. 5-bis del
DL 10 febbraio 2009 n. 5 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009
n. 33), in virtù del quale <<… per la riconversione degli impianti di produzione
di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di
consentirne l'alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in
deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono
limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri
l'abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti
previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della
parte II dell'allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006 n.
152…>>. Tal norma è stata introdotta, con efficacia dal 12 aprile 2009, dalla
legge di conversione n. 33/2009, donde la pacifica sua applicabilità a tutti i
procedimenti in corso, compreso il procedimento di VIA sull’ impianto per cui è
causa.
2.2. – È manifestamente irrilevante la questione di legittimità del citato art.
5-bis per violazione dell’art. 77 Cost., a cagione del difetto dei presupposti
di necessità ed urgenza della norma de qua, nonché dell’asserita estraneità di
essa rispetto alle misure d’incentivazione ad alcuni settori economici ed
industriali cui, in origine, era dedicato il DL 5/2009.
Il primo argomento, dirimente ai fini della predetta irrilevanza–come si vedrà
appresso–, all’uopo adoperato dai ricorrenti concerne non già i vizi di
contenuto ed in procedendo nella conversione del DL 5/2009, bensì
l’incompatibilità di tal norma con le regole ex art. 30 della l. reg. Veneto 8
settembre 1997 n. 36, istitutiva del Parco del Delta del Po.
In sostanza, qui si predica, da parte dei ricorrenti stessi, la necessità del
medesimo art. 5-bis, nella specie ed ai fini della legittimità del decreto VIA
impugnato, perché senza di esso i Ministeri intimati non avrebbero potuto
“superare” la pretesa preclusione derivante, verso l’impianto de quo, dal citato
art. 30 della l.r. 36/1997. In base a quest’ultimo, nel territorio dei Comuni
interessati dal Parco del Delta del Po, <<… gli impianti di produzione di
energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti
alternative di pari o minor impatto ambientale…>>. A ben vedere, per un verso la
“necessità” del citato art. 5-bis è tutta da dimostrare, posto che l’art. 30
della l.r. 36/1997 non impone per forza l’alimentazione a gas metano per le
centrali elettriche, all’uopo bastandone una che assicuri un <<…pari o minor
impatto ambientale…>>, sicché occorre verificare, IN CONCRETO e rispetto al gas
metano, l’impatto ambientale complessivo della scelta d’alimentazione per la
proposta trasformazione della centrale di Porto Tolle. Per altro verso, non v’è
neppure la sicurezza circa la scelta prioritaria, da parte della norma
regionale, a favore del solo gas metano, delle cui maggior sicurezza ed
appropriatezza, ai fini dell’alimentazione dell’impianto, non v’è prova certa
rispetto a quanto dedotto nel decreto impugnato, a parte ogni considerazione
sull’impianto ambientale in sé del metanodotto occorrente a tal alimentazione.
Per altro verso ancora, la perentoria asserzione del Ministero intimato, in data
13 agosto 2007 e per la quale è <<… comunque peggiore, allo stato attuale della
tecnologia e in termini generali, il quadro emissivo di una CTE a carbone
rispetto a quello di un corrispondente impianto alimentato a metano…>>, non è
conducente alla tesi attorea perché, se adoperata così, s’appalesa mera
petizione di principio circa i <<termini generali>> ed è affermazione basata
rebus sic stantibus (2007) e senza richiamo di dati scientifici seri, precisi e
concordanti nella situazione attuale (2010) per quanto riguarda l’evoluzione
tecnologica.
Da ciò discende la possibilità della localizzazione dell’impianto per cui è
causa anche in base all’art. 30 della l.r. 36/1997, indipendentemente dal jus
superveniens del 2009.
Tanto in disparte la relazione introduttiva sul progetto del parere, poi reso
dalla Commissione regionale VIA del Veneto in data 30 giugno 2009, nella parte
in cui s’espresse, secondo i ricorrenti in senso favorevole alla propria tesi,
sul preteso “superamento” del medesimo art. 30 da parte dell’art. 5-bis. Invero,
siffatta asserzione, che in realtà si sostanzia in un passaggio assai stringato
(<<… l’art. 30… è stato di fatto superato dal seguente art. 5bis…>>), non ha
alcun valore giuridico e s’appalesa mero dato notiziale, non ulteriormente
sviluppato nel corpo del parere. Ferma allora la soggezione di questo Giudice
solo alla legge –e non certo al rispettabile, ma atecnico assunto del relatore
della Commissione–, la norma regionale pretende non già l’obbligo
dell’alimentazione a gas metano o altre fonti alternative non inquinanti, come
potevasi evincersi nel testo anteriore alla novella di cui alla l.r. 26 febbraio
1999 n. 18, ma la possibilità d’usare fonti di PARI o MINORE impatto ambientale.
Come si vede, la novella del 1999, ben lungi dall’aver introdotto una regola
meno restrittiva della precedente, in realtà pone un più preciso, serio ed
articolato parametro di verifica del sistema d’alimentazione, basato non più sul
solo profilo delle emissioni in atmosfera, ma sul complessivo impatto sul
territorio conseguente alla riconversione dell’impianto. Né mette conto
confutare in modo puntuale, sotto il profilo del calcolo delle quantità delle
emissioni ed al contrario di ciò che fa la Società controinteressata –che invece
offre un serio principio di prova sull’inesistenza di condizioni peggiorative a
causa dell’alimentazione a carbone–, l’assunto attoreo circa la peggior qualità
ambientale d’un siffatto impianto rispetto a quello alimentato a gas metano,
posto che i ricorrenti non riportano, neppure in sede conclusionale, dati
scientifici certi e seri per corroborare detto assunto.
Pertanto, se non v’è un’immediata diretta e specifica preclusione, da parte del
ripetuto art. 30, al nuovo sistema d’alimentazione dell’impianto, allora il
richiamo all’art. 5-bis del DL 5/2009, aldilà della citazione di quest’ultimo in
vari documenti del procedimento di VIA, è del tutto inutile, non essendo né
scontato, né ineluttabile un giudizio negativo sul progetto della
controinteressata in base alla sola norma regionale. Donde la non necessità, per
questo Giudice, di risolvere la presente controversia applicando il citato art.
5-bis e, quindi, l’irrilevanza, secondo la prospettazione attorea, della
questione di legittimità costituzionale di esso, senz’uopo d’ulteriore disamina
degli argomenti sulla non manifesta infondatezza di questa.
2.3. – È appena da osservare che il comunicato della Presidenza della Repubblica
in data 17 aprile 2009, laddove lamenta che <<… sottoporre al Presidente della
Repubblica per la promulgazione, in prossimità della scadenza del termine
costituzionalmente previsto, una legge che converte un decreto-legge
notevolmente diverso da quello a suo tempo esaminato, non gli consente
l’ulteriore, pieno esercizio dei poteri di garanzia che la Costituzione gli
affida…>>, s’appalesa non conducente alla tesi attorea.
Sul punto non sfugge certo al Collegio che l’eventuale abuso del contenuto, da
parte delle Camere, d’un decreto-legge mercè l’inserzione di norme spurie o non
assistite dai necessari presupposti della necessità e dell’urgenza, possa
precludere l’esercizio dei poteri presidenziali di controllo. E ciò soprattutto
ove il ristretto termine stabilito per la conversione (rectius, per la
promulgazione della relativa legge) del decreto-legge, impedisca di fatto al
Capo dello Stato il rinvio alle Camere a’sensi dell’art. 74 Cost. Ma ciò non
preclude punto al Presidente della Repubblica, ove se ne riscontrino i
presupposti, d’adoperare tutti i rimedi all’uopo posti sia dalla Costituzione,
sia dalla prassi, tra cui la facoltà d’inviare messaggi alle Camere stesse
a’sensi dell’art. 87, II c., Cost.
Nemmeno convince il richiamo alla giurisprudenza costituzionale sulla verifica
dell’esistenza dei predetti presupposti, ossia della causa che legittima
l’emanazione dei decreti-legge, ancorché, a ben vedere, la citata sentenza della
Corte 23 maggio 2007 n. 171 riguardò una norma inserita ab origine nel DL 29
marzo 2004 n. 80 (convertito, con modificazioni, dalla l. 28 maggio 2004 n.
140).
Al riguardo, non dura fatica il Collegio a ritenere né che l’uso del
decreto-legge sia sostenibile dalla mera enunciazione dell'esistenza delle
ragioni di necessità e d’urgenza, né che il decreto-legge si esaurisca nella
sola constatazione della ragionevolezza della disciplina che esso introduce.
Poiché tali concetti, ad avviso del Collegio, sembrano poter valere anche per le
norme inserite in sede di conversione, in linea di massima questo Giudice
potrebbe anche rinviare al Giudice delle leggi, affinché v’eserciti il proprio
scrutinio, quella norma, originaria o sopravvenuta, che si connoti per la sua
evidente estraneità rispetto alla materia su cui, affermandovi la necessità ed
urgenza –e, quindi, forzando il procedimento ordinario di formazione cui la
norma stessa sarebbe invece soggetta–, il decreto-legge intende intervenire.
Tanto con particolar riguardo alla verifica della sussistenza dei presupposti de
quibus, il cui eventuale difetto non è certo eliso dal sol fatto della
conversione in legge. Solo, però, che nella specie tal evenienza non si
riscontra nell’art. 5-bis del DL 5/2009, il cui scopo essenziale è, basta
leggerne l’epigrafe, <<… la necessità di collocare in un quadro unitario le
disposizioni finalizzate alla promozione dello sviluppo economico e alla
competitività del Paese, anche mediante l’introduzione di misure… in grado di
sostenere… il rilancio produttivo…>>. Ad una sua serena lettura, il ripetuto
art. 5-bis s’inserisce nel solco delle norme d’accelerazione della costruzione
di impianti energetici e, nella misura in cui esso serve a diversificare le
fonti d’energia e la dipendenza energetica del Paese, è rivolto ad incentivarne,
non meno dalle regole di trasferimento ad imprese e famiglie contenute nel
medesimo DL 5/2009, sviluppo e competitività.
Speciosa e, comunque, mera petizione di principio è poi la censura attorea per
cui il medesimo art. 5-bis sarebbe privo di copertura finanziaria, non essendo
fornito alcun serio principio di prova in ordine al preteso maggior esborso di
denaro pubblico, neppure circa la prospettazione per cui la riconversione a
carbone d’una centrale termoelettrica ad olio combustibile implicherebbe per
forza l’aumento delle emissioni di CO2 e, quindi, siffatto esborso.
2.4. – A più forte ragione s’appalesa manifestamente infondata la pretesa
illegittimità dell’art. 5-bis per violazione dell’art. 117 Cost., per la
duplice, evidente ragione che, per un verso, la norma statale è criterio
direttivo alle Regioni per alcuni casi di riconversione dei sistemi di
alimentazione delle centrali termoelettriche e, per altro verso, essa riguarda
non la sola produzione di energia, ma soprattutto le modalità di tutela
dell’ambiente nell’esercizio, così conformato, d’ogni attività produttiva
energetica per il dimezzamento dei valori emissivi rispetto a quelli posti
dall’art. 273 del Dlg 152/2006.
E che tali principi riguardino pure la proposta trasformazione della centrale
termoelettrica di Porto Tolle, non par dubbio, posto che essa s’inserisce nella
strategia d’incremento dell’offerta energetica, a fronte del crescente deficit
energetico nazionale, per il quale è ragionevolmente prevedibile l’insufficienza
degli impianti esistenti e di quelli ancora in costruzione. E l'interesse
pubblico alla produzione elettrica (in genere, energetica) è certo un interesse
di natura primaria, strettamente legato allo sviluppo economico e sociale di
tutta la Repubblica e, quindi, esclude che tal trasformazione sia da reputare un
problema di rilevanza meramente locale, mentre va visto nell'ottica dei bisogni
d’approvvigionamento energetico nazionale.
In tal caso, il congiunto giudizio su necessità energetiche nazionali e
presupposti ambientali implica una ponderazione complessa, che coinvolge profili
tecnici e profili di vera e propria opportunità complessiva, tali da trascendere
ogni localismo. Poiché spetta allo Stato la potestà legislativa concorrente in
tema di <<produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia>> di cui
all'art. 117, c. 3, Cost., anzitutto non può giammai predicarsi una pretesa
superiorità d’ogni scelta locale o regionale, ove non sia previamente delineato
un disegno che bilanci seriamente le esigenze connesse alla produzione di
energia e gli altri interessi, variamente modulati, di gestione del territorio.
Né basta: oltre a siffatta ponderazione concertata propria del metodo di
produzione dell’energia –in ossequio al principio di leale cooperazione tra i
diversi livelli di governo–, il miglioramento dell’efficienza e della
competitività delle infrastrutture energetiche nazionali impinge, anche
trasversalmente come ben evincesi dal medesimo art. 5-bis, su fattori ambientali
ineludibili per ogni Regione, sì da giustificare la piena competenza statale e
la responsabilità esclusiva della Commissione statale VIA-VAS per tutti i
progetti e sulle prescrizioni inerenti agli impianti termoelettrici.
3.1. – Né si comprende, a differenza di ciò che opinano i ricorrenti, in che
cosa sostanzi il censurato scostamento del parere di detta Commissione (recte,
del relativo Comitato di coordinamento) in data 9 luglio 2009 rispetto ad alcune
modifiche che la Commissione VIA regionale aveva chiesto d’apportare alle
prescrizioni poste con il parere statale del precedente 29 aprile.
Invero, secondo la prospettazione attorea, anzitutto si riscontrerebbe la non
condivisione, da parte del Comitato stesso, delle osservazioni regionali alle
prescrizioni nn. 4) (limiti più rigorosi per le emissioni massiche totali di
metalli e loro composti), 5) (previsione di standard per emissioni massiche
totali di IPA e PCDD/F di kg 0,5/anno e, rispettivamente, g 0,1/anno), 10)
(necessità di prevedere, a monte dei filtri a manica, un sistema d’iniezione e
dosaggio di adsorbente solido per un abbattimento più efficace di
microinquinanti) e 19) (necessità di prevedere un monitoraggio per le ricadute
di arsenico, cadmio, nichelio, piombo, vanadio, benzopirene, PIA e diossine e,
in continuo, per il mercurio nell’aria).
Ebbene, per un verso, il decreto impugnato recepisce tutte le prescrizioni poste
dalla deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 2018 del 7 luglio 2009,
come a sua volta contenute nel parere del precedente 30 giugno, sicché ictu
oculi non consta al Collegio l’esistenza di un’effettiva dissociazione tra il
provvedimento statale e la volizione della Regione Veneto. Per altro verso, il
predetto Comitato in effetti ha accolto solo due delle osservazioni e richieste
di modifica formulate dalla Commissione regionale VIA, non condividendo sì le
quattro dianzi elencate, ma fornendo sul punto seria motivazione. A tal ultimo
riguardo, a pagg. 31/32 del gravame introduttivo, i ricorrenti si limitano ad
enunciare siffatti scostamenti, senza, però, adoperare argomenti a confutazione
ed usando frasi poi non molto più articolate da quelle or ora adoperate dal
Collegio, sicché non mette conto di fare ulteriori approfondimenti.
Non a diversa conclusione reputa il Collegio di pervenire con riguardo alla
censura sull’omessa partecipazione, al procedimento poi sfociato nel decreto
impugnato, della Regione Emilia – Romagna. In disparte l’assenza d’ogni
doglianza da parte di quest’ultima –cosa, questa, che già elide in radice ogni
interesse attoreo al riguardo–, in base all’art. 6, c. 4 della l. 8 luglio 1986
n. 349 rettamente il Ministero intimato ha ristretto la nozione di <<regione
interessata>>, che dev’esser sentita nell’ambito del procedimento di VIA, solo a
quella nel cui territorio interamente ricade l’intervento al quale la VIA si
riferisce. Né giova a tal riguardo il richiamo all’art. 1, c. 4-bis del DL 7
febbraio 2002 n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n.
55), in virtù del quale <<… nel caso di impianti ubicati nei territori di comuni
adiacenti ad altre regioni, queste ultime sono comunque sentite nell'ambito
della procedura di VIA…>>.Tale regola è stata sostituita dall’art. 3, c. 5-bis
del DL 18 febbraio 2003 n. 25 (convertito, con modificazioni, dalla l. 17 aprile
2003 n. 83), che alla procedura di VIA sostituisce quella del procedimento unico
di cui al precedente c. 2, al quale, per vero, la Regione Emilia – Romagna
partecipa.
3.2. – Lamentano ancora i ricorrenti l’omessa acquisizione del parere dell’Ente
parco del Delta del Po, ancorché l’impianto per cui è causa ricada in un’area
esterna al perimetro del parco stesso., ma pure tal censura è da rigettare. In
disparte siffatta ultima (e dirimente) osservazione e rilevato che non consta
alcuna doglianza dell’Ente sulla propria mancata partecipazione, tale omissione
non sembra sussistere in punto di fatto, giacché l’Ente stesso è stato sentito
a’sensi dell’art. 5, c. 7 del DPR 8 settembre 1997 n. 357, giusto suo parere in
data 15 marzo 2007.
3.3. – Quanto poi al motivo con cui si lamenta l’omessa applicazione nella
specie dell’All. IV) al DPCM 27 dicembre 1988 (recante le procedure per i
progetti termoelettriche a turbogas), questo s’appalesa infondato..
Com’è noto, il complesso delle regole poste dall'art. 1 del DL 7/2002 previde
un'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio di impianti d’energia
elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, rilasciata dal Ministero delle
attività produttive in sostituzione delle autorizzazioni, concessioni e atti di
assenso comunque denominati previsti dalla legislazione vigente. La disciplina
de qua, che trovò conferma dal Giudice delle leggi (cfr. C. cost., 13 gennaio
2004 n. 6), riguardò la concentrazione in una con l’accelerazione, in capo allo
Stato, di funzioni amministrative in una materia affidata sì alla legislazione
concorrente, ma per la salvaguardia della necessaria unitarietà dell'esercizio
di tali compiti prevista dall'art. 118 Cost. per esigenze d’integrità dei
bisogni energetici della Repubblica. Sicché la compressione delle competenze
delle amministrazioni regionali e locali fu giustificata dalla celerità con cui,
per evitare il pericolo dell’interruzione della fornitura d’energia elettrica su
tutto il territorio della Repubblica, furono concentrate in capo allo Stato
dette funzioni amministrative per la costruzione o il ripotenziamento di
impianti di energia elettrica di particolare rilievo, da svolgersi con l’intesa
delle Regioni e delle Amministrazioni locali interessate. In tale ottica –stante
la necessità d’immediato potenziamento del quadro energetico nazionale–, fu
reputata costituzionalmente legittima pure la disposizione dell’art. 1, c. 5 del
DL 7/2002, che previde, tra l’atro, la sospensione fino <<… al 31 dicembre 2003
(del)l'efficacia dell'allegato IV al decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri 27 dicembre 1988, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5
gennaio 1989…>>.
Siffatta disposizione, ben prima della scadenza del termine colà previsto, è
stata dichiarata ultrattiva dall’art. 1-sexies, c. 8 del DL 29 agosto 2003
(convertito, con modificazioni, dalla l. 27 ottobre 2003 n. 290), così
stabilizzando la disciplina dell’art. 1 del DL 7/2002, ab origine solo
transitoria, a causa dell’attuale permanenza delle esigenze di sicurezza del
sistema elettrico nazionale.
Né varrebbe obiettare che, in fondo, l’art. 1-sexies, c. 8 non avrebbe
espressamente stabilito detta stabilizzazione anche in contrario avviso all’All.
IV) al DPCM 27 dicembre 1988.
È materialmente vero che l’art. 34, c. 1, ult. per. del Dlg 152/2006 ha
mantenuto ferma, nelle more dell'emanazione delle norme tecniche sulla
valutazione ambientale <<… l'applicazione di quanto previsto dal decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988…>>. Tuttavia, tal regola
va intesa nel senso che, ferme l’autorizzazione unica ex art. 1 del DL 7/2002 e
la stabilizzazione dell’intero sistema colà recato grazie al predetto art.
1-sexies, c. 8 –che v’ha fatto integrale rinvio recettizio–, la permanenza delle
esigenze energetiche giustifica l’attualità del sistema semplificato, ma non per
questo meno garantistico, rispetto al sistema dettato dal ripetuto DPCM. Sicché
il richiamo al ripetuto DPCM al più riguarda l’utilizzabilità di regole tecniche
nello stesso contenute e non può prescindere da un giudizio di compatibilità con
il principio di semplificazione procedurale di cui al successivo c. 7. In altre
parole, fuori dalle regole tecniche colà esistenti –e solo in quest’accezione il
Ministero intimato ebbe modo di richiamare le norme dell’art. 6 del ripetuto
DPCM nel corso del lungo procedimento preparatorio al decreto VIA–, il
procedimento è e resta soltanto quello evincibile dalla ratio dell’art. 1 del DL
7/2002, secondo la lettura all’uopo resa dal Giudice delle leggi. Si deve
lasciare, quindi, alla nuova fonte regolamentare la scelta discrezionale di
quale e quanta partecipazione pubblica può esser assicurata, de futuro ed oltre
all’apporto dei i corpi rappresentativi locali titolari di funzioni e potestà
ambientali, nei singoli procedimenti di VIA.
4. – Per ciò che attiene al terzo gruppo di censure, concernenti i pretesi vizi
di formazione e di funzionamento della Commissione VIA-VAS, i ricorrenti
lamentano l’incompetenza del Comitato di coordinamento di detta Commissione
perché avrebbe disatteso alcune osservazioni regionali.
Il motivo è da respingere , anzitutto perché il parere della Regione Veneto è,
per interventi soggetti a VIA statale quale quello per cui è causa, meramente
consultivo/collaborativo, non certo vincolante, giusta quanto evincesi dall’art.
36, c. 4 del Dlg 152/2006 circa l’esclusiva competenza del Ministero intimato
sulla questione. È da osservare che, mentre l’impugnato parere della Commissione
VIA è stato rilasciato il 29 aprile 2009, il parere della Commissione regionale
veneta è stata rilasciata solo il successivo 30 giugno. Sicché il Comitato
tecnico di coordinamento non ha espresso il parere, come detto già a suo tempo
reso dal plenum della Commissione, su cui poi è stato emanato il decreto VIA, ma
s’è solo dato carico di tal documento regionale, provvedendo ad inserire alcune
delle osservazioni nel testo definitivo del decreto stesso. Del pari, il
Comitato non ha rigettato le osservazioni della Commissione regionale sulle
citate prescrizioni nn. 4), 5), 10) e 19), ma non le ha motivatamente condivise
e s’è limitato ad effettuarne un giudizio di compatibilità con il parere già
reso dal plenum, senza modificarne il contenuto.
Si dolgono poi i ricorrenti che il parere della Commissione VIA-VAS sarebbe
inficiato da una situazione d’incompatibilità in capo a quello (dott. Franco
SECCHIERI), tra i componenti di essa, che è pure membro della Commissione
regionale veneta. La tesi non ha gran senso, in primo luogo perché nessuna norma
d’organizzazione dei due organi pone alcun divieto di partecipazione all’uno,
piuttosto che all’altro o ad entrambi. Né vale obiettare che, in fondo, egli non
sarebbe “imparziale” sol perché, in sostanza, avrebbe espresso aliunde avvisi
favorevoli alla riconversione dell’impianto de quo, giacché l’invocata
imparzialità ex art. 97 Cost., peraltro da riferirsi all’intero organo
collegiale, consiste non già nell’aprioristica condiscendenza verso la tesi dei
ricorrenti, bensì nel perseguimento dell’obiettivo di massimizzazione
dell’interesse pubblico, sotteso alla riconversione, attraverso la seria, leale,
razionale e proporzionata ponderazione di tutti gli interessi privati o altri
coinvolti nel relativo procedimento. Anche il richiamo all’art. 51, I c., n. 4,
c.p.c. non sembra nella specie conducente, giacché tal disposizione, recante
l’obbligo di astenersi per il Giudice che abbia conosciuto della lite in altro
grado del processo, a tutto concedere logicamente presuppone una sorta di
rapporto procedimentale tale da configurare il segmento statale come revisio
prioris instantiae di quello regionale. Ma così non è: il procedimento di VIA
statale è nell’esclusiva competenza della P.A. statale, sicché, nel relativo
procedimento, il parere regionale è essenzialmente collaborativo del compito
spettante alla Commissione VIA-VAS statale, a sua volta consultivo rispetto
all’Autorità competente (il Ministero dell’ambiente, di concerto con il MIBAC).
Del tutto infondata è poi la doglianza sull’illegittima composizione della
Commissione VIA-VAS, in quanto il Consilgio di Stato (sez. VI), con decisione n.
8253 del 17 dicembre 2009 da cui il Collegio non ha alcun motivo di discostarsi,
ha integralmente riformato la sentenza di prime cure che aveva a suo tempo
annullato la nomina di tal Commissione, di talché sul punto nulla quaestio.
5. – V’è ancora un quarto gruppo di questioni attinenti al sub-procedimento
regionale di VIA, la prima delle quali riguarda, in gran sintesi, la pretesa
strettezza dei tempi per la convocazione di tutti i soggetti, che hanno proposto
osservazioni al progetto da sottoporre a VIA, nella sede dell’inchiesta pubblica
ex art. 18 della l.r. 26 marzo 1999 n. 10.
Al riguardo, non sfugge certo al Collegio il principio generale, ben investigato
in tema d’avvio del procedimento amministrativo (cfr., da ultimo, Cons. St., VI,
22 ottobre 2008 n. 5172) o per la pubblicazione del PRG adottato al fine di
consentire la produzione delle osservazioni (sulla funzione della pubblicazione,
cfr., p. es., Cons. St., IV, 13 luglio 2010 n. 4546)–, per cui, per quanta
discrezionalità si possa avere nella organizzazione d’un procedimento a termini
liberi, occorre pur sempre prevederne di acconci affinché sia consentita
all'interessato un'effettiva partecipazione procedimentale.
Giova, tuttavia, precisare che l’art. 18, c. 6 della l.r. 10/1999 prevede lo
svolgimento dell’inchiesta pubblica con i soli soggetti che hanno presentato le
osservazioni, ossia con quei soggetti che sono già ben consapevoli del progetto
sottoposto a VIA. E tal conoscenza proviene loro non già aliunde, bensì dalla
stessa scansione del procedimento di VIA, nella misura in cui il soggetto
proponente, ai sensi del precedente art. 14, è tenuto a depositare il progetto e
ad inviarlo, in una con gli altri documenti prescritti, alle Amministrazioni
interessate, oltre ad effettuare la pubblicazione del relativo annuncio, dalla
data del quale decorre, tra l’altro, anche il termine ex art. 18, c. 1 per
l’espressione del parere da parte della Commissione VIA. Né basta: il successivo
art. 15 impone al soggetto proponente il termine di venti giorni dalla
pubblicazione dell’ultimo annuncio ex art. 14, c. 3, per la presentazione al
pubblico del progetto de quo. Non è allora chi non veda come, nel sistema
delineato dalla l.r. 10/1999, non solo ben sussistano svariati termini
predefiniti al fine essenziale, oltre che della conclusione del procedimento di
VIA, di consentire le osservazioni, ma soprattutto come la congruità del termine
d’audizione s’adegui in relazione all’effettiva presentazione di dette
osservazioni, donde l’inutilità di censure che non dimostrino una reale
pretermissione, nella specie e NON in astratto, di tal facoltà. Tanto per tacer
del fatto, ben evincibile dal chiaro tenore del medesimo art. 18, c. 6, che le
osservazioni de quibus costituiscono non formule di codecisione nell’espressione
del parere VIA, ma meri apporti collaborativi, che si possono risolvere nella
sola audizione degli interessati e che non abbisognano quindi di puntigliose
confutazioni.
In tal ottica, specioso s’appalesa allora l’assunto attoreo per cui l’inchiesta
pubblica dovrebbe esser condotta non solo dal Presidente della Commissione
regionale VIA, ma anche dai Comuni e dalla Province interessati, in quanto, in
disparte il chiaro dato testuale che ne limita la competenza solo al primo
–stante appunto la natura collaborativa e non decisoria dell’inchiesta stessa–,
ciò appare in evidente contrasto con il principio di concentrazione nella sola
autorità competente (cfr. l’art. 5, c. 1, lett. p e, per le regioni, l’art. 7,
c. 6 del Dlg 152/2006) d’ogni potestà di definizione della VIA.
Non maggior pregio esprime la successiva censura di violazione dell’art. 5, c. 1
della l.r. 10/1999, in quanto, in disparte l’estrema latitudine delle
espressioni adoperate dalla norma (<<…è istituita (la) Commissione regionale
VIA, presieduta dal Segretario regionale competente in materia ambientale …>>),
è nella discrezionale volizione organizzatoria della Regione, in coerenza con il
proprio Statuto, d’assegnare la materia ambientale e, più specificamente, quella
in tema di VIA al dirigente di più alto livello che s’occupi pure delle
infrastrutture e della mobilità. E ciò sia perché a tal settore precipuo
afferisce essenzialmente la funzione di VIA, sia perché la natura complessa e
trasversale della materia (rectius, delle funzioni pubbliche in tema) d’ambiente
non implica per forza, specie in un’organizzazione per settori e funzioni e non
per ministeri e direzioni generali qual è di solito l’Amministrazione regionale,
la concentrazione dei relativi compiti nella struttura che s’occupa pure del
territorio.
6. – Con il quinto gruppo di censure i ricorrenti impugnano il decreto VIA e gli
altri e presupposti atti, perché, a loro dire e giusta quanto evincesi dal
parere della Commissione regionale VIA in data 30 giugno 2009, il progetto in
questione <<… presenta carenze approfonditive nel confronto tra la riconversione
a carbone e le altre soluzioni alternative…>> e sarebbe <<… del tutto evidente
che ad esempio, le emissioni in atmosfera di un impianto alimentato a gas
naturale di pari potenza sarebbero decisamente inferiori rispetto a quello
proposto…>>.
In ordine al primo aspetto, non nega il Collegio che, ove in effetti si fossero
riscontrati nel progetto mancati approfondimenti circa eventuali soluzioni
alternative sull’alimentazione dell’impianto, ciò si sarebbe risolto in
un’indebita carenza progettuale, a condizione, però, che tal obbligo discendesse
dalla legge e vi fosse una predeterminata gerarchia dei sistemi d’alimentazione.
Così, per vero, non è, nella misura in cui la deroga, stabilita dal ripetuto
art. 5-bis del DL 5/2009 per la riconversione delle preesistenti centrali
termoelettriche alimentate ad olio combustibile in esercizio –qual è quella in
esame–, non è in assoluto, ma riguarda solo i limiti di localizzazione
territoriale, purché siffatta trasformazione a carbone o ad altro combustibile
solido assicuri l'abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50% rispetto ai
limiti previsti dalle sezz. 1, 4 e 5 della parte II dell'all. II) (p.te V) del
Dlg 152/2006. In tal caso, non serve che il progetto rechi alcuna graduazione
delle alternative dei sistemi d’alimentazione, la VIA potendo esser autorizzata,
o no, a seconda che in concreto quello a carbone non superi i predetti limiti,
senza necessità di prevedere soluzioni alternative, del tutto inutili rispetto
alla previsioni di legge e che, in tutta franchezza ed ove richiesti,
s’appaleserebbero adempimenti meramente defatigatori in capo al soggetto
proponente, cui già incombono oneri progettuali assai complessi. E la
speciosità, ancor prima che della censura attorea, dello stesso passaggio del
parere regionale –peraltro assai scarno e non particolarmente specifico–, ben si
ravvisa nell’art. 3, c. 1 del DL 25/2003 il quale, ai fini dell'effettuazione
della VIA sui progetti di modifica o ripotenziamento di impianti di potenza
superiore a 300 MW, considera <<… prioritari i progetti… che comportano il
riutilizzo di siti già dotati di adeguate infrastrutture di collegamento alla
rete elettrica nazionale, ovvero che contribuiscono alla diversificazione verso
fonti primarie competitive…>>. Non è infatti chi non veda come la norma citata
ponga essa un criterio di priorità, anch’esso d’altronde assai garantistico per
le esigenze ambientali, che fa scolorare ogni pretesa sulla “necessità” di
alternative.
Da ciò discende l’evidente erroneità logico-argomentativa dell’assunto che i
ricorrenti basano sulla nota dell’ARPAV – dip.to prov. di Rovigo in data 29
giugno 2009, per cui la controinteressata non avrebbe <<… presentato un quadro
conoscitivo dello stato della qualità dell’aria nel territorio del Delta del
Po…d’importanza fondamentale se consideriamo che l’impianto si colloca in una
delle aree (la pianura Padana) più inquinate d’Europa e nel contempo a più
elevata vocazione ed interesse naturalistico (il parco regionale del Delta del
Po)…>>.
Infatti, per un verso, il richiamo ai problemi generali dell’intera pianura
padana, per un impianto il quale si colloca, per notoria cognizione geografica,
nell’estremo suo lembo orientale ed in una posizione d’evidente proiezione nel
mar Adriatico, appare più ad colorandum che decisivo, tant’è che, a fronte della
pretesa di studi e ricerche in capo alla controinteressata, non è fornito un
serio approccio a confutazione dirimente sull’insopportabilità ambientale non
già dell’alimentazione a carbone in genere, ma dell’effetto dell’impianto nello
specifico territorio d’influenza di questo.
Per altro verso, nemmeno significativo è il giudizio dell’ARPAV circa il ben
noto fenomeno dell’emissione di polveri sottili conseguente al nuovo sistema
d’alimentazione dell’impianto. Invero, ciò che rileva sul punto, ai fini d’un
giudizio positivo, o no, di VIA, è non già un’emissione qualsivoglia di dette
polveri, ma il bilanciamento di tutti gli interessi sottesi al funzionamento
dell’impianto, espresso in forma numerica con l’attestamento dei valori
d’emissione al di sotto del limite imposto.
Per altro verso ancora, il concetto di “limite” va inteso non già (o non solo)
come mero valore-soglia, ma più propriamente come valore-limite commisurato alla
media giornaliera calcolata sperimentalmente in condizioni di funzionamento
standard e di carico medio degli impianti, se del caso (come nella specie)
imponendo parametri più stringenti di quelli posti dalle linee-guida nazionali,
recanti i criteri per l’individuazione delle migliori e più recenti tecnologie
disponibili (MTD o, se si vuole, BAT) in tema di grandi impianti di combustione
(LCP), per tener conto di eventuali fluttuazioni o anomalie dei parametri in
determinate condizioni di funzionamento.
Infine, non convince il richiamo dell’ARPAV allo studio della prof. Laura
TOSITTI, allegato alla CT in un contenzioso innanzi all’AGO e citato dai
ricorrenti, per cui, a suo dire, emergerebbero criticità per l’aria nell’area
deltizia. Il relativo calcolo è effettuato con riguardo non già alla
potenzialità effettivamente inquinante dell’impianto ove funzionante, bensì alla
circostanza che in fondo oggidì l’impianto stesso <<[… non è funzionante, salvo
sporadiche accensioni, n.d.r.]…>>. Al contrario, il parere della Commissione ha
effettuato i propri calcoli considerando appunto che <<… la conversione a
carbone … non andrà ad incidere sullo stato attuale della qualità dell’aria in
misura maggiore rispetto alla situazione che vede la centrale ad olio
combustibile esercita per una produzione di soli 0,7 TWh …>>, donde la perfetta
consapevolezza del funzionamento ridotto dell’impianto stesso.
Il Collegio, pertanto e stante l’incongruità di tali aspetti, non ritiene di
dover confutare la censura attorea, che li adopera per dimostrare la
contraddittorietà da cui sarebbe inficiata, secondo i ricorrenti, la citata nota
dell’ARPAV. Secondo i ricorrenti, infatti, quest’ultima rammenta l’entrata in
vigore dell’art. 5-bis del DL 5/2009 e reputa che la norma non consenta (o non
consenta più) il raffronto <<… con l’ambientalizzazione della centrale ad OCD o
a combustibili gassosi…>>, invece di concludere per un parere negativo sulla
VIA. Al contrario, per il Collegio: A) – le testé usate premesse dei ricorrenti
sono o spurie o logicamente non concludenti; B) – l’interpretazione della l.r.
36/1997 è ictu oculi erronea e non è utilizzabile nella specie né dai ricorrenti
stessi, né dagli organi regionali; C) – il senso del citato art. 5-bis è quello
di assicurare riconversioni anche in deroga, ma con un effetto d’abbattimento
delle emissioni, in relazione, trattandosi nella specie d’un grande impianto di
combustione, ai livelli di prestazione ottenibili dall’applicazione delle MTD.
Né basta: parlando della qualità dell’aria che sarebbe comunque peggiore in caso
di alimentazione a carbone a fronte di quella a metano, i ricorrenti non tengono
conto della circostanza che, per l’impianto a carbone, è prevista una ciminiera
d’altezza ben maggiore da quella per un analogo impianto a gas, onde le sostanze
emesse, ancorché riguardino ossidi di zolfo ed ossidi d’azoto (ma ex lege
equivalenti), tendono più facilmente a ricadere a distanze maggiori dal punto
d’emissione (bocca della ciminiera) e, dunque, le concentrazioni sono meno
elevate. È appena da osservare che, per un impianto a gas d’analoga potenza a
quella della centrale per cui è causa, occorrerebbe un numero d’unità superiore
a quanto previsto per quest’ultima, sicché non si avrebbe un maggior impegno di
territorio, ma vi sarebbe bisogno di più ciminiere più basse, determinando così
un effetto di ricaduta delle emissioni maggiore e viciniore.
È pure da far presente come il futuro impianto di rigassificazione di Porto
Viro, a detta dei ricorrenti utilizzabile per un progetto alternativo
d’alimentazione della centrale della controinteressata, non costituisce un
argomento ineludibile ai fini della perfezione del parere VIA per cui è causa.
Per vero, il rigassificatore de quo avrebbe potuto costituire una valida
alternativa, di cui tutti i soggetti del procedimento di VIA avrebbero dovuto
tener conto, solo se fosse stato già esistente e funzionante alla data del
parere o, perlomeno, in via d’una realizzazione tanto avanzata da prevederne in
tempi certi l’entrata in funzione. In secondo luogo, non va sottaciuto come tale
rigassificatore non avrebbe escluso a priori, a differenza di ciò che opinano i
ricorrenti, la necessità d’un gasdotto, giacché detto impianto si collocherà a
circa km 15 dalla costa, al largo di Porto Levante, imponendo, quindi ed in
disparte l’assoluta dipendenza della controinteressata da un unico fornitore,
una condotta, per mare e per terra, per l’approvvigionamento della centrale. Non
è allora chi non veda come tutte tali situazioni, compresa quella dell’unicità
del fornitore –che garantisce certo non già alcuna diversificazione delle fonti
d’approvvigionamento, bensì a costui una rendita di posizione per mera scelta
amministrativa–, non siano in grado d’assicurare la seria, effettiva e continua
alimentazione a gas di detta centrale elettrica a costi accettabili per il buon
funzionamento dell’impianto e per il consumatore finale.
7.1. – Relativamente poi al gruppo di censure attoree avverso le emissioni
inquinanti ed i pretesi effetti nocivi di questi sulla salute pubblica, in primo
luogo i ricorrenti lamentano che, in ordine alle emissioni di microinquinanti,
il decreto VIA impugnato conclude per autorizzarne concentrazioni maggiori
rispetto a quanto previsto nel progetto della controinteressata.
Al riguardo, affermano i ricorrenti che, mentre l’ARPAV aveva suggerito limiti
orari d’emissione di siffatti microinquinanti in coerenza con le indicazioni del
BREF 2006, la Commissione regionale VIA s’è pronunciata per il dimezzamento
delle emissioni a camino rispetto ai valori massimi posti dal Dlg 152/2006. La
Commissione nazionale VIA ha constatato la divergenza di opinioni tra i due
organismi regionali, stabilendo che il valore limite d’emissione di metalli e
loro composti debbano rispondere ai parametri massimi di cui all’All. II), p.te
II) alla Parte V del Dlg 152/2006.
Sfugge allora, stante la piena responsabilità al riguardo della Commissione
nazionale VIA ed in difetto di argomenti tecnici specifici a confutazione, in
che cosa mai si sostanzi il dedotto vizio di sviamento se, come si vede, la
scelta s’è attestata entro i valori stabiliti dalla legge. E ciò soprattutto se
si considera che tal valutazione tecnica statale, in sé non manifestamente
irragionevole o abnorme –in difetto di dimostrazioni contrarie o dell’accertata
illegittimità dei valori ex lege–, è intervenuta dopo ed a causa di un’ampia
divergenza d’opinioni tra i due organi regionali, anch’essi non fondati su
ragioni tali da far propendere nella specie necessariamente per l’una tesi,
piuttosto che per l’altra. È da osservare, d’altronde, che la scelta statale
diverge da quella della Commissione regionale VIA essenzialmente perché
quest’ultima operando un riferimento indifferenziato per i metalli e loro
composti, indicato in 3 t/anno, s’appalesa non coerente con la norma statale
che, invece, classifica i metalli per tipo. Rettamente quindi detta scelta
s’orienta, come nella specie, per il rispetto del Dlg 152/2006 in tutti i casi
in cui non vi siano parametri per i quali non sia possibile agire direttamente
con tecnologie d’abbattimento disponibili, sicure, appropriate ed efficaci e
viceversa.
7.2. – Non a diversa conclusione reputa il Collegio di pervenire con riguardo
alla violazione del principio di precauzione, per ciò che attiene ai principali
inquinanti (ossidi di zolfo, polveri, CO2, ecc.), in quanto le prescrizioni
imposte alla controinteressata non sarebbero sul punto allineate con le BAT (o,
secondo l’acronimo italiano, le MTD)
A fronte delle affermazioni dei ricorrenti, osserva il Collegio che quelle
imposte dal decreto VIA sul punto alla controinteressata non possono dirsi di
per sé soli contrarie o divergenti alle BREF (linee-guida) per i grandi impianti
di combustione e, correlativamente, non improntate al rispetto del principio di
precauzione.
Invero, i documenti BREF sono elaborati in sede UE al fine di suggerire agli
Stati membri ed agli operatori del settore l’individuazione delle BAT (migliori
tecniche disponibili) e le condizioni di applicabilità alle singole vicende
(p.es., nella specie agli LCP, o grandi impianti di combustione). In tal caso,
le regole scaturenti dai BREF e, in particolare, i livelli d’emissione là posti
non esprimono né valori massimi inderogabili, né tampoco valori limite
d’emissione per i singoli inquinanti, servendo piuttosto ad indicare (seri)
modelli di riferimento, applicati sulla scorta delle linee-guida, per migliorare
allo stato dell’arte le prestazioni ambientali. Dal canto loro, dette
linee-guida vanno non eseguite tout court, ma applicate in modo calibrato al
tipo ed alle particolarità dell’impianto e del sito in cui si colloca, negli
ovvi limiti non solo delle conoscenze tecniche, ma soprattutto della loro
sostenibile realizzabilità tecnica ed economica nel singolo contesto, al fine
d’ottenere il miglioramento sperato in termini di valori d’emissione. E siffatta
sostenibilità è tenuta presente dal BREF, laddove reputa i limiti indicati nelle
BAT raggiungibili non illic et immediate –a pena, cioè, di VIA negativa per il
sol fatto dello sforamento anche d’un solo parametro–, bensì con ragionevole
gradualità, lungo un ampio arco di tempo ed in un ottimale assetto d’esercizio
dell’impianto. Dal che non tanto la vincolatezza a priori di tali dati come se
fossero sempre e comunque valori massimi d’emissione, ma più propriamente la
necessità di considerarli come obiettivi da raggiungere nel tempo occorrente
affinché si contemperino con tutte le situazioni, locali, ambientali ed
economiche in cui si colloca l’impianto o, in parole più semplici, affinché si
realizzi un adeguamento dei limiti emissivi realistico e realizzabile.
I valori riportati nel BREF rappresentano un valore medio di riferimento, ossia
la più efficiente ed avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi
d’esercizio, che indica l’idoneità pratica di date tecniche a costituire la base
logica di massima dei valori limite di emissione, preordinati ad evitare o, se
del caso e ove ciò si riveli impossibile, a ridurre in modo generale le
emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso. Tanto a differenza di
quelli che la legge effettivamente pone come valori limite, i quali non devono
esser mai superati in nessuna condizione di funzionamento a regime
dell’impianto. Se ciò è vero, l’indicazione attorea (cfr. pag. 85 del gravame
introduttivo) dei parametri CO e NH3, che i ricorrenti assumono discostarsi
dalle BAT, s’appalesa erronea in base al significato del BREF.
7.3. – Neppure convince la doglianza circa la (pretesa) carenza d’istruttoria
sul grave impatto non meramente locale, bensì globale delle emissioni inquinanti
di CO2 e di altri “gas serra” da parte dell’impianto de quo, il quale, ad avviso
dei ricorrenti, si porrebbe in contrasto con la normativa in materia di VIA,
avendo il decreto impugnato omesso di valutare la compatibilità del progetto
della controinteressata con il piano nazionale d’assegnazione delle quote di CO2
e fatto prevalere nella specie considerazioni d’ordine economiche.
Non sfugge certo al Collegio che le norme sulla VIA siano in linea di principio
improntate alla necessità d’una stima qualitativa e quantitativa degli impatti
indotti dell’opera sul sistema ambientale considerato nel suo complesso.
Nella specie, tuttavia, il decreto impone che, ai fini della diminuzione delle
emissioni di CO2 in atmosfera, la controinteressata inserisca la centrale de qua
nella sperimentazione, già in atto per quella di Brindisi, per la cattura e lo
stoccaggio della CO2 stessa. In disparte, peraltro, il contributo europeo
concesso alla controinteressata proprio per la riconversione dell’impianto di
Porto Tolle –sì da poter concludere per la positività dell’apporto di tal
centrale all’abbattimento delle emissioni di CO2–, è poi di tutt’evidenza che
siffatta operazione, pur se condotta a cura dei singoli Stati, va inserita in un
quadro normativo ed esecutivo di respiro sopranazionale. Sicché occorre
verificare il rispetto della predetta clausola generale non già soffermandosi
sulla vicenda d’un singolo impianto, ma valutando la questione in base alla
strategia che la Repubblica ha inteso delineare, in concreto con il piano
nazionale delle emissioni in atmosfera, in adempimento delle norme europee sul
tema. Per evitare, quindi, ogni inadempimento degli obblighi internazionali e
comunitari della Repubblica in soggetta materia, bisogna che le emissioni in
atmosfera della centrale di Porto Tolle siano prese in esame non solo come dato
assoluto, ma anche alla luce delle metodiche e delle tecniche di loro
trattamento, quanto a cattura e stoccaggio, che si rendono disponibili grazie al
completamento dell’impianto di Brindisi e che potranno essere immediatamente
utilizzati da quello per cui è causa, non appena a sua volta ultimato.
Suggestive, ma non dirimenti s’appalesano inoltre le censure attoree in ordine
alla pretesa assenza di prescrizioni, nel decreto impugnato, a tutela della
salute in relazione all’emissione di polveri sottili. Ad una serena lettura
delle numerose ed articolate prescrizioni colà contenute, ben s’evince invece lo
sforzo della Commissione statale VIA, a fronte d’un impianto che per il sol
fatto d’esser alimentato a carbone abbisogna di regole certe per ben funzionare
e per non urtare sensibilità ed interessi obiettivamente rilevanti, di fissare i
modi di salvaguardia di questi ultimi. È al riguardo ben noto, essendo stato
ampiamente investigato dalla giurisprudenza di questo Giudice, il principio per
cui è legittimo il giudizio positivo di VIA condizionato da molteplici ed
articolate prescrizioni e condizioni –interessanti in concreto tutti gli aspetti
d’incidenza dell’opera sull’ambiente–, giacché tutto ciò costituisce una
valutazione recante sufficienti e ragionevoli elementi capaci di superare le
ragioni del possibile dissenso, in coerenza con il principio d’economicità
dell’azione amministrativa e di leale collaborazione tra i soggetti del
procedimento.
8. – Con il settimo gruppo di censure, i ricorrenti prospettano il negativo
impatto di detto impianto sul paesaggio interessante l’area del Delta del Po,
nelle cui vicinanze esso si situa.
Al riguardo e a parte la non ancora intervenuta conclusione del connesso, ma
distinto procedimento d’autorizzazione unica alla riconversione, non pare
corretta la censurata discrasia tra il parere della locale Soprintendenza per i
beni architettonici ed il paesaggio ed il parere del MIBAC. Invero, la mera
constatazione dell’estraneità dell’impianto alla naturalezza deltizia,
effettuato dalla predetta Soprintendenza, non implica di per sé alcun giudizio
negativo –e, comunque, non è questa la conclusione cui detto organo è
pervenuto–, trattandosi d’un impianto esistente da lungo tempo e la cui
riconversione implica la liberazione di ca. 40 ha. dalle vecchie strutture. Del
pari, il rinvio alla sede d’autorizzazione unica di alcune prescrizioni
progettuali di natura architettonica, cui il MIBAC ha reputato d’ancorare il
proprio parere favorevole e ben lungi dall’implicare un vizio della VIA –stante
l’ontologica differenza tra i due procedimenti ed il tipo di interessi pubblici
specificamente coinvolti in quello autorizzativi–, s’appalesa corretto in
relazione al livello progettuale preliminare su cui s’esercita la VIA stessa e
che ben consente integrazioni nella progettazione definitiva, senza che ciò
abbisogni d’un nuovo decreto sull’impatto ambientale.
Tanto non volendo considerare che il MIBAC ha imposto fin da subito alla
controinteressata di concordare, per la parte della sistemazione paesaggistica
ed in ordine alla definizione del progetto –la cui redazione preliminare ha
positivamente superato il vaglio della VIA–, prima della conferenza dei servizi
finali e prima dell’effettivo inizio dei lavori. Del pari, non ha gran senso il
richiamo degli artt. 147 e 26 del Dlg 22 gennaio 2004 n. 42, perché il primo
concerne la realizzazione di opere statali –mentre la controinteressata è una
delle imprese esercenti la produzione e la distribuzione dell’energia
elettrica–, ed il secondo recede rispetto alla speciale procedura
d’autorizzazione unica ex art. 1, c. 1 del DL 7/2002.
9. – L’ottavo gruppo di motivi d’impugnazione prende le mosse dalla circostanza
che la centrale di Porto Tolle è posta nel SIC <<Delta del Po>> e nella zona di
protezione speciale – ZPS <<Delta del Po>>, per concludere per l’illegittima
inadeguatezza della valutazione d’incidenza di tal impianto su tali aree
protette.
Per un verso, i ricorrenti affermano, a causa della realizzazione di detta
centrale, la provocazione di alcuni impatti ambientali sulle aree de quibus, con
particolar riguardo all’adeguamento della rete navigabile, al continuo transito
di navi carboniere, alla realizzazione d’una conca di navigazione per collegare
la Laguna di Barbamarco con la Busa di Tramontana e con il frequente transito di
grossi natanti presso i bassi fondali alle bocche a mare della citata Laguna.
Ora, il decreto VIA si fonda sul parere della Commissione statale la quale, sul
punto, conclude per impatti esistenti, ma modesti sugli habitat e sulle
componenti biotiche ed abiotiche delle aree comprese nel SIC e nella ZPS. A
siffatte conclusioni, il citato parere perviene in esito a valutazioni su tutti
gli odierni censurati aspetti, verso cui i ricorrenti non offrono argomenti
contrari tali da dimostrarne, con evidente e pari ragionevolezza, la manifesta
erroneità. Né maggiori profili d’incongruenza possono riscontrarsi nel parere
favorevole della Commissione regionale VIA o in quello, parimenti favorevole
della Direzione pianificazione territoriali e parchi in data 29 giugno 2009, poi
recepite in varia guisa nel parere statale, in quanto quest’ultimo pone svariate
prescrizioni per limitare le movimentazione delle merci in un unico sito, per
limitare il disturbo dell’ittiofauna, ferme le ulteriori misure di mitigazione
in capo alla controinteressata ed a loro volta oggetto d’apposito e continuo
monitoraggio.
Per altro verso, il richiamo all’art. 5, commi 9 e 10 del DPR 8 settembre 1997
n. 357 è inconferente, per la duplice ragione che è evidente l’impatto della
centrale de qua sulle aree protette –senza che ciò implichi per forza la
negatività, specie a seguito delle prescritte mitigazioni–; e che le
disposizioni citate attengono essenzialmente ai casi in cui la valutazione
d’incidenza sia stata denegata e l’opera debba esser comunque realizzata, ossia
un’ipotesi non verificatasi nella specie.
Per altro verso ancora, i ricorrenti lamentano l’illegittimità della valutazione
d’incidenza per omessa informazione al pubblico dell’avvenuto deposito, da parte
della controinteressata, dell’ integrazione documentale richiestale dalla
Regione. Sul punto, consta che la Società rese disponibili gli atti inerenti a
detta valutazione nel 2007, tant’è che se ne diede opportuna pubblicità, anche
su quattro giornali quotidiani nazionali. Quanto, poi, alle integrazioni dell’8
ottobre 2008 e del 24 giugno 2009 mandate alla Direzione regionale
pianificazione territoriale e parchi, l’art. 26, c. 3-bis del Dlg 152/2006 dà
facoltà d’imporre al proponente l’apposita pubblicità anche per la
documentazione integrativa <<… ove ritenga che le modifiche apportate siano
sostanziali e rilevanti per il pubblico …>> e non in ogni caso.
10. – In definitiva, il ricorso in epigrafe va integralmente rigettato, ma la
complessità e la novità delle questioni suggeriscono l’integrale compensazione,
tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. II, respinge
il ricorso n. 9584/2009 RG in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 26 maggio 2010, con
l'intervento dei sigg. Magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Stefano Toschei, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/10/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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