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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II bis - 16 marzo 2010, n. 4090
INQUINAMENTO - Sistema di assegnazione delle quote di CO2 - Sistema chiuso -
Autorità nazionali - Adozione di decisioni concernenti le singole quote -
Impossibilità - Superamento dei limiti del Piano nazionale di assegnazione.
Per evitare la violazione degli obblighi internazionali e comunitari dell’Italia
e l’alterazione delle regole di concorrenza fra gli operatori economici, il
sistema di assegnazione nazionale delle quote di CO2 ai singoli operatori
economici deve essere considerato un sistema “chiuso”, con la conseguente
impossibilità per le Autorità nazionali (incluso questo Giudice) di adottare
decisioni (cautelari o di merito) concernenti l’assegnazione di singole quote,
che possano causare il superamento dei limiti del Piano Nazionale di
Assegnazione validato dalla Commissione Europea per il periodo temporale di
riferimento. Pres. Pugliese, Est. Sestini - E. s.p.a. (avv.ti Butti, Chilosi e
Peres) c. Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare e altri
(Avv. Stato). TAR LAZIO, Roma, Sez. II bis - 16 marzo 2010, n. 4090
INQUINAMENTO - Emission trading - Deliberazione n. 025/2007 del
comitato di gestione e attuazione della Direttiva 2003/87/CE - Adempimento di
obblighi comunitari - Disapplicazione di norme nazionali difformi - D.lgs. n.
216/2006 - Mancata previsione di determinate tipologie di impianti - Impianti di
produzione di nerofumo. La Deliberazione n. 025/2007 del Comitato di
Gestione e Attuazione della Direttiva 2003/87/CE, pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 172 del 26.7.2007, relativa alla “specificazione del campo di
applicazione del Decreto Legislativo 4 aprile 2006 relativamente agli impianti
di combustione e raccolta delle informazioni ai fini dell'assegnazione delle
quote di CO2 per il periodo 2008-2012 agli impianti di cui alla Decisione della
Commissione Europea del 15 maggio 2007” risulta adottata nel rispetto ed anzi in
adempimento delle fonti e degli atti di diritto comunitario, con il conseguente
obbligo per le competenti Autorità nazionali di disapplicare ogni eventuale
norma nazionale difforme (segnatamente, il d.lgs. n. 216/2006, il quale non ha
previsto, nell’ambito del sistema di emission trading, alcune tipologie
di impianti, quali quelli per la produzione di nerofumo, a nulla rilevando -
proprio in virtù dell’adempimento alle fonti comunitarie - che i contenuti del
medesimo d.lgs. siano stati modificati con atto amministrativo). Pres. Pugliese,
Est. Sestini - E. s.p.a. (avv.ti Butti, Chilosi e Peres) c. Ministero
dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato). TAR
LAZIO, Roma, Sez. II bis - 16 marzo 2010, n. 4090
DIRITTO PROCESSUALE - Direttive comunitarie - Recepimento tramite legge
delega - Infedele attuazione ad opere del decreto delegato - Disapplicazione da
parte del giudice nazionale. L’infedele attuazione quanto all’ambito di
applicazione (ovverosia quanto ad una norma cogente, puntuale e non
condizionata) di una direttiva comunitaria già recepita nell’ordinamento
nazionale dalla legge di delega, ad opera del decreto delegato attuativo, si
palesa suscettibile di immediata disapplicazione da parte del Giudice nazionale
chiamato alla sua attuazione, al pari di ogni altra norma nazionale successiva
al recepimento della stessa direttiva nell’ordinamento italiano e da essa
difforme. Pres. Pugliese, Est. Sestini - E. s.p.a. (avv.ti Butti, Chilosi e
Peres) c. Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare e altri
(Avv. Stato). TAR LAZIO, Roma, Sez. II bis - 16 marzo 2010, n. 4090
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04090/2010 REG.SEN.
N. 09901/2007 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 9901 del 2007, proposto da:
Soc Evonik Degussa Italia Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Luciano Butti,
Riccardo Chilosi, Federico Peres, con domicilio eletto presso Riccardo Chilosi
in Roma, p.zza Martiri di Belfiore, 2;
contro
Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei
Portoghesi, 12; Ministero delle Attivita' Produttive, Comitato Naz Gestione e
Attuazione Direttiva 2003/87/Ce;
nei confronti di
Soc Polynt Spa;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia, della deliberazione N.25/07 recante
:SPECIFICAZIONE DEL CAMPO DI APPLICAZIONE DEL DEC LGS 4/4/06 RELATIVAMENTE AGLI
IMPIANTI DI COMBUSTIONE E RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI AI FINI DELL'ASSEGNAZIONE
DELLE QUOTE CO2..
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Ambiente e Tutela del
Territorio e del Mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2009 il dott. Raffaello
Sestini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
.1. Con il gravame in epigrafe, la società ricorrente ha impugnato la
Deliberazione n. 025/2007 adottata dal Comitato di Gestione e Attuazione della
Direttiva 2003/87/CE, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 172 del 26.7.2007,
relativa alla «specificazione del campo di applicazione del Decreto Legislativo
4 aprile 2006 relativamente agli impianti di combustione e raccolta delle
informazioni ai fini dell'assegnazione delle quote di CO2 per il periodo
2008¬2012 agli impianti di cui alla Decisione della Commissione Europea del 15
maggio 2007», nonché di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti
presupposti, connessi e consequenziali, richiamati dalla stessa, anche se non
materialmente allegati, nonché contro tutti gli atti, comportamenti e
provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali.
Tale deliberazione, infatti, ha esteso la disciplina comunitaria di rilascio
delle quote di CO2 relativa alla c.d. emission trading anche all’attività svolta
dalla ricorrente, di produzione di nero di carbonio (o carbon black o nerofumo
di gas), materiale utilizzato soprattutto per la produzione di pneumatici,
inchiostri e, in generale, come elemento additivo per la pigmentazione di
oggetti, mediante il processo c.d. "fumace", ricavando vapore ed energia
elettrica dal recupero energetico dalla sua produzione.
Al riguardo, la ricorrente deduce la sussistenza dei vizi di violazione di
legge, con riferimento all’art. 1 delle Disposizioni preliminari, agli artt. 70,
72, 76 e 77 Cost, ed all’art. 14 della legge n. 11/2005, nonché di sviamento di
potere, in quanto l’impugnato atto amministrativo avrebbe indebitamente
modificato, e non semplicemente chiarito, un atto normativo di rango primario
quale il d.lgs. n. 216/2006.
2. L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio per il tramite
dell’Avvocatura dello Stato, oppone sostanzialmente che per l'adeguamento
dell'ordinamento interno al diritto comunitario cd. derivato (regolamenti,
decisioni, direttive) "vige il principio della prevalenza della “sostanza sulla
forma", con la conseguente libertà dello Stato membro di recepire il diritto
comunitario attraverso qualsiasi tipo di fonte; inoltre, il provvedimento
impugnato non incide su una fonte legislativa, bensì soltanto sul Piano
nazionale di assegnazione delle emissioni 2008-2012 (PNA2), che perciò poteva
essere modificato da una fonte non legislativa; in ogni caso, la primazia del
diritto comunitario consentirebbe anche una "disapplicazione" della norma
interna eventualmente difforme.
3. In esito all’udienza del 2 aprile 2009, questo Tribunale con sentenza n.
6887/2009, riscontrata la carenza nell'integrità del contraddittorio, ne ha
disposto l’integrazione ai sensi dell'art. 21, comma 1, della L. 6 dicembre
1971, n. 1034, ordinando alla parte ricorrente di procedere alla notifica, anche
per pubblici proclami, a tutte le aziende operanti nei settori regolati dalla
Direttiva Europea n. 2003/87/CE e riportati nell'allegato 1 al Decreto del
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio n. 74 del 23 febbraio
2006. A seguito della pubblica udienza del 5 novembre 2009 la causa è stata
infine introitata dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
.1. Con il ricorso indicato in epigrafe, la società istante chiede
l’annullamento, per quanto d’interesse, del provvedimento meglio evidenziato in
epigrafe con il quale lo Stato italiano ha dato attuazione sul piano interno
alla disciplina comunitaria in materia di emission trading, estendendo
l’iniziale ambito di applicazione previsto dal Piano Nazionale di Assegnazione
anche all’attività industriale di produzione di nerofumo.
2. Al riguardo, la ricorrente deduce la sussistenza dei vizi di violazione di
legge, con riferimento all’art. 1 delle Disposizioni preliminari, agli artt. 70,
72, 76 e 77 Cost, ed all’art. 14 della legge n. 11/2005, nonché di sviamento di
potere, in quanto l’impugnato atto amministrativo avrebbe indebitamente
modificato, e non semplicemente chiarito, un atto normativo di rango primario
quale il d.lgs. n. 216/2006.
In estrema sintesi, il ricorso contesta le modalità con le quali si sarebbe di
fatto esteso il campo di applicazione del D.lgs. 216/2006, in quanto un mero
atto amministrativo, o quantomeno una fonte di diritto secondaria -quale è senza
dubbio la deliberazione del Comitato ministeriale di gestione della procedura in
esame, - non potrebbe modificare o integrare in alcun modo quanto stabilito da
una fonte primaria, quale il D.lgs. 216/06, e neppure vi sarebbero le condizioni
per procedere alla disapplicazione per preminenza del diritto comunitario,
trattandosi e imporre nuovi obblighi ai privati sulla base di norme di direttiva
comunitaria non trasposte nell’ordinamento nazionale.
3. Il Collegio premette che il provvedimento impugnato è diretto ad ottemperare
agli obblighi internazionali e comunitari dell’Italia in materia di emissione di
gas ad effetto serra. Sono noti gli effetti negativi a livello planetario
globale addebitabili a tali emissioni secondo la migliore dottrina scientifica.
L’Italia ha quindi aderito al Protocollo di Kyoto (ovvero al trattato
internazionale finalizzato a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra), così
come la stessa Unione Europea, che si è quindi dotata di una politica
comunitaria in materia di cambiamenti climatici, diretta ad assicurare il
rispetto dell’impegno di riduzione delle emissioni sottoscritto congiuntamente
all’Italia ed agli altri Stati europei nell’ambito del protocollo.
In tale ambito, la direttiva 2003/87/CE ha istituito il sistema comunitario di
scambio delle quote di emissione di CO2 (gas ritenuto il principale responsabile
dell’effetto serra), prevedendo che l’Italia, al pari degli altri Paesi
comunitari, possa assegnare quote di emissione di CO2 ai singoli impianti
(inclusi quelli della ricorrente), operanti nei settori economici individuati
dalla direttiva in quanto maggiormente responsabili della produzione di CO2.
Ciascun gestore nazionale, a seguito dell’assegnazione delle quote, ha l’obbligo
di comunicare le emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera nel
corso dell’anno, e di restituire le quote in misura corrispondente, ricorrendo
obbligatoriamente, nel caso in cui le emissioni risultino eccedenti rispetto
alle quote conferite, all’acquisto sul mercato di ulteriori quote,
corrispondenti ad impianti “virtuosi” che hanno viceversa contenuto le proprie
emissioni rispetto alle quote ad essi assegnate, risultando in tal modo
conferito un valore economico, negoziabile sul mercato, al contenimento delle
emissioni di CO2 da parte dei singoli operatori economici, secondo il principio
“chi inquina paga”.
4. Ne discende che, per evitare la violazione degli obblighi internazionali e
comunitari dell’Italia e l’alterazione delle regole di concorrenza fra gli
operatori economici, il sistema di assegnazione nazionale delle quote ai singoli
operatori economici deve essere considerato un sistema “chiuso”, con la
conseguente impossibilità per le Autorità nazionali (incluso questo Giudice) di
adottare decisioni (cautelari o di merito) concernenti l’assegnazione di singole
quote, che possano causare il superamento dei limiti del Piano Nazionale di
Assegnazione validato dalla Commissione Europea per il periodo temporale di
riferimento. Pertanto, l’eventuale accoglimento del ricorso in epigrafe, ove
dovesse comportare il conferimento alla ricorrente di maggiori quote (in forma
specifica, ovvero per equivalente, mediante il risarcimento della spesa
sostenuta per l’acquisto di quote ulteriori), imporrebbe, necessariamente, di
procedere ad una contestuale e complessiva diversa riallocazione dell’insieme
delle quote assegnate agli altri operatori economici nazionali, nel rispetto
della parità di trattamento degli operatori economici e degli impegni
internazionali e comunitari assunti dall’Italia in materia di progressivo
contenimento dell’emissione di gas ad effetto serra e di contrasto ai
cambiamenti climatici.
5. In particolare, affinché la descritta disciplina comunitaria in materia di
emission trading possa conseguire le proprie finalità di contenimento delle
emissioni, peraltro senza alterare la parità di trattamento dei singoli
operatori economici ed il libero gioco della concorrenza economica (sanciti
dagli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione italiana e dal Trattato istitutivo
della Comunità europea), assume valore fondamentale l’iniziale “decisione di
assegnazione” agli operatori economici, che l’Italia, così come gli altri Paesi
comunitari, deve assumere in conformità al proprio Piano Nazionale di
Assegnazione, disciplinato dall’Allegato III della Direttiva 2003/87/CE.
La decisione nazionale di assegnazione può avvenire solo dopo l’esame, da parte
della Commissione Europea, della conformità del Piano Nazionale di Assegnazione
all’Allegato III della Direttiva. Tale Allegato fornisce una chiara indicazione
delle quote che ciascuno Stato può ripartire fra le diverse attività economiche
disciplinate, secondo criteri volti ad assicurare la coerenza fra gli obiettivi
di riduzione nazionale sottoscritti nell’ambito del Protocollo, le previsioni di
crescita delle emissioni, il potenziale di loro riduzione ed il principio di
concorrenza.
6. Ed è proprio in tale ambito, che la Commissione Europea con Decisione
15.7.2007, ha ritenuto il Piano Nazionale presentato dall’Italia “non conforme “
ai criteri di redazione dei Piani nazionali contenuti nella direttiva
2003/87/CE, a causa della mancata inclusione di una serie di tipologie di
impianti, compresa quella in cui rientra l’impianto della ricorrente, ed ha
quindi chiesto all’Italia di integrare in tal senso il Piano, consentendole di
aumentare di conseguenza, in maniera giustificata, la quantità totale media di
quote annue da assegnare.
7. Ciò premesso, osserva il Collegio che le “Decisioni” sono atti comunitari
concreti e puntuali, e vengono definite come “obbligatorie” in tutti i loro
elementi per i destinatari da esse specificatamente designati. Ne consegue ce le
Decisioni sono immediatamente applicabili, in modo vincolante, in ciascuno Stato
membro, e come tali sono suscettibili di determinare doveri ed obblighi, sia
direttamente per i soggetti – cittadini ed imprese- indicati, sia – come nel
caso in esame- per le Autorità nazionali appartenenti agli Stati componenti
dell’Unione Europea cui la Decisione si indirizza, che sono tenuti a darvi
tempestiva attuazione.
Quindi l’Autorità nazionale competente, ovverosia il Comitato nazionale di
gestione e attuazione della Direttiva 2003/87/CE istituito presso il Ministero
dell’Ambiente, ha doverosamente dato sollecita attuazione alla Decisione in
esame, al fine di evitare una sicura procedura d’infrazione e condanna nei
confronti dell’Italia, con tutte le conseguenti ricadute negative anche
economiche, e le connesse responsabilità erariali dei componenti del Comitato e
degli stessi vertici ministeriali, integrando il Piano Nazionale (atto
amministrativo, pur generale) con un successivo provvedimento amministrativo,
adottato dell’organo competente a termini di legge e nel rispetto della prevista
procedura, e pertanto del tutto idoneo ad operare le necessarie integrazioni,
impedendo in radice la possibilità di configurare il dedotto vizio di sviamento
di potere.
8. Quanto, poi, alla possibile illegittimità per violazione di legge, osserva in
primo luogo il Collegio che una delle norme di legge richiamate da parte
ricorrente (art. 14 della legge n. 11/2005), introduce una certamente opportuna
procedura di raccordo istituzionale fra Parlamento e Governo ai fini
dell’attuazione delle Decisioni comunitarie, che deve però essere attivata dal
competente Ministro qualora ritenga che la Decisione “rivesta particolare
importanza per gli interessi nazionali o comporti rilevanti oneri di
esecuzione”.
Pertanto, la mancata attivazione della procedura in esame, lungi dal consentire
la non attuazione della Decisione o dal determinare un’illegittimità della
stessa attuazione secondo il diritto nazionale, deve più semplicemente essere
intesa come l’implicito risultato di un’insindacabile valutazione politica del
Ministro competente.
9. Più delicata è la questione concernente la censurata modifica dei contenuti
del d.lgs. n. 216/2006 mediante un atto amministrativo, con la conseguente
dedotta violazione delle norme costituzionali che disciplinano la gerarchia del
sistema nazionale delle fonti di diritto.
Il Collegio, per verificare la fondatezza della censura di violazione di legge
in esame, deve in primo luogo accertare se l’impugnato provvedimento sia
compatibile con le fonti normative superiori, sulla base di un’interpretazione
della norma di riferimento necessariamente “orientata” al diritto comunitario.
Infatti, alla stregua di un criterio di presunzione di legittimità, l’interprete
deve scegliere, fra i diversi possibili significati di una norma, quello che
consente di ritenerla legittima nel sistema nazionale e comunitario delle fonti
di diritto. Pertanto, alla luce delle pregresse considerazioni, deve essere
valorizzata la circostanza che l’Allegato A del citato d.lgs. 216/2006 include
nell’ambito di applicazione (tutti gli) “impianti di combustione con una potenza
calorifica di combustione di oltre 20 MW, esclusi…” (solo, ovvero
esclusivamente) “…gli impianti per rifiuti pericolosi o urbani” (e quindi non
gli impianti di produzione di nerofumo). Nonostante la predetta interpretazione
“evolutiva”, la medesima norma risulta, peraltro, incompatibile con il
provvedimento impugnato quando , in premessa, richiama in modo tassativo taluni
codici “NOSE” di classificazione degli impianti di combustione, escludendo dal
novero la classificazione relativa alla tipologia di impianti cui appartiene
quello della ricorrente.
Pertanto, risultando fondate la censura di violazione di legge, sia pur nei
limiti indicati, occorre passare ad esaminare l’eccezione sollevata
dall’Amministrazione, secondo cui sarebbe necessario procedere alla
disapplicazione della medesima norma nazionale, per violazione del diritto
comunitario.
10. In realtà, osserva il Collegio, alla stregua dell’art. 76 Cost. il decreto
legislativo costituisce una legittima fonte normativa di rango primario nei
limiti della delega operata dal Parlamento, che nella fattispecie prevedeva (né
poteva non prevedere) quale primario principio e criterio direttivo l’integrale
rispetto delle norme comunitarie di riferimento, ciò che nel caso in esame non
sembrerebbe essere avvenuto, come testimoniato proprio dalla Decisione della
Commissione in data 15.7.2007.
La non conformità al criterio di delega determina l’illegittimità della norma
delegata, azionabile davanti alla Corte Costituzionale ad opera del Giudice a
quo demandato ad applicarla, ma qualora la medesima illegittimità concreti in
una diretta violazione di una espressa disposizione del Diritto dell’Unione
Europea immediatamente cogente, secondo il costante insegnamento della Corte di
Giustizia il giudice nazionale deve direttamente disapplicare la norma nazionale
che si frappone alla corretta applicazione della disposizione comunitaria in
ambito nazionale.
Al riguardo, il Collegio osserva altresì la non pertinenza delle
contro-eccezioni mosse dalla ricorrente, circa l’impossibilità di imporre
obblighi ai privati sulla base di direttive non trasposte nell’ordinamento
nazionale, atteso che la disapplicazione discenderebbe dall’attuazione della
Decisione comunitaria, atto direttamente vincolante per lo Stato nazionale, e
che il recepimento della direttiva comunitaria avviene nel nostro ordinamento
già con l’entrata in vigore della legge comunitaria o della specifica legge di
delega, residuando solo l’adozione dei conseguenti strumenti attuativi
(regionali o nazionali, normativi, delegati o regolamentari, o amministrativi).
Pertanto, l’infedele attuazione quanto all’ambito di applicazione (ovverosia
quanto ad una norma cogente, puntuale e non condizionata) di una direttiva
comunitaria già recepita nell’ordinamento nazionale dalla legge di delega, ad
opera del decreto delegato attuativo, si palesa suscettibile di immediata
disapplicazione da parte del Giudice nazionale chiamato alla sua attuazione, al
pari di ogni altra norma nazionale successiva al recepimento della stessa
direttiva nell’ordinamento italiano e da essa difforme.
11. Più in generale, in ordine alle censure in esame, il Collegio osserva che, a
seguito dell’impugnata integrazione, il Piano nazionale di assegnazione delle
quote di emissioni per il periodo di riferimento risulta conforme alle procedure
e ai parametri di cui alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13
ottobre 2003, 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di
emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva
96/61/CE del Consiglio. Si tratta, dunque, di un procedimento che travalica i
confini del singolo Stato membro, per andare a costituire una voce della c.d.
global administrative law, nel senso che la regola generale ed i principi cui lo
Stato ha deciso di adeguarsi sono fondati, nella specie, dal protocollo di Kyoto
attraverso lo sviluppo di un diritto amministrativo comune e a vocazione
universale. Ma, altresì, deve rinvenirsi nella fattispecie in esame, il fenomeno
dell’europeizzazione del diritto amministrativo, di cui si discute da qualche
tempo, in termini di influenza dell’integrazione europea sull’organizzazione ed
– anche - sulle stesse funzioni ed i procedimenti degli Stati membri. E’ questo
il caso: la direttiva del 2003 in tema di emissioni di gas serra che da’
indicazione agli Stati non limitate ai principi, essendo bensì estese agli
organismi atti al rilascio dell’autorizzazione, al metodo di assegnazione ed
alla programmazione, disciplinando il procedimento e prevedendo i rapporti tra
le autorità nazionali e comunitarie. Per quanto qui rileva, la ‘strutturazione’
stessa del procedimento amministrativo risulta incisa, sia in relazione alla
determinazione sopranazionale dei criteri, sia in relazione alle fasi
procedimentali, di tal ché non è dato ad un singolo Stato di procedere alla
decisione di autorizzazione senza il coinvolgimento della Comunità ed, a monte,
senza che la Comunità stessa si sia pronunziata sull’atto di programmazione
elaborato o in difformità da quanto approvato in sede comunitaria.
Ne consegue, osserva il Collegio, che la finalità dell’intera disciplina deve
ravvisarsi nella progressiva diminuzione – entro la soglia indicata come
‘sviluppo sostenibile’ – delle emissioni di Co2 e non nel mero mantenimento
delle stesse emissioni con trasformazione delle quote non consumate dalle
singole imprese in beni-merce collocabili sul mercato, e che fin
dall’approvazione della direttiva 2003/87/CE tutti gli operatori dei settori
produttivi ed impiantistici indicati, ivi incluso – come detto – quello della
ricorrente, erano ben consapevoli, alla stregua di un criterio di ordinaria
diligenza, che a partire dal gennaio 2005 non sarebbe stato più possibile
emettere gratuitamente CO2 in atmosfera, e che chi avesse effettuato
tempestivamente interventi volti ad aumentare l'efficienza dell'impianto avrebbe
dovuto sostenere per la CO2 emessa costi inferiori, e pertanto ogni operatore di
mercato era stato messo in grado di compiere le proprie scelte aziendali e
produttive nel nuovo ambito comunitario volto al contenimento delle emissioni.
12. Tornando al caso particolare all’esame del Collegio, la Commissione Europea
con Decisione 15.7.2007, ha ritenuto il Piano Nazionale presentato dall’Italia
“non conforme “ ai criteri di redazione dei Piani nazionali contenuti nella
direttiva 2003/87/CE, a causa della mancata inclusione (fra gli altri),
dell’impianto della ricorrente, chiedendo quindi all’Italia di rispettare il
previsto ambito di applicazione della direttiva ormai recepita dal nostro
ordinamento, ed ha al contempo consentito di aumentare di conseguenza, purchè in
maniera giustificata, la quantità totale media di quote annue da assegnare,
acclarando al di là di ogni ragionevole dubbio, sia l’incompatibilità
comunitaria della sopra citata norma nazionale, per la parte in cui impone di
escludere lo stesso impianto, sia la doverosità della disapplicazione della
medesima norma da parte delle competenti Autorità nazionali, al fine di
assoggetare il medesimo impianto alla normativa armonizzata ad esso applicabile
ai sensi del Trattato.
13. Conclusivamente, le scelte operate in ambito nazionale e contestate con il
ricorso in epigrafe non possono essere ritenute illegittime come argomentato
dalla ricorrente, essendo state adottate nel rispetto ed anzi in adempimento
delle fonti e degli atti di diritto comunitario, con il conseguente obbligo per
le competenti Autorità nazionali di disapplicare ogni eventuale norma nazionale
difforme, né la ricorrente impugna le specifiche modalità di attribuzione delle
quote di emissione nei propri confronti conseguentemente adottate dallo Stato
italiano.
Infatti, la ricorrente non impugna né le ragioni della previsione comunitaria in
esame, né le modalità nazionali di previsione ed attribuzione delle quote di
emissione per quanto d’interesse, ma contesta la sua stessa sottoposizione ad
obblighi ed impegni pur espressamente sanciti dal diritto comunitario (oltrchè
dal Trattato di Kyoto) con una direttiva già trasposta nel nostro ordinamento,
sulla base di una specifica disposizione normativa nazionale, che è però
apertamente contrastante con lo stesso diritto comunitario e che deve pertanto
essere disapplicata dal Giudice nazionale, così come fu correttamente
disapplicata dall’Autorità amministrativa nazionale al fine di ottemperare alla
citata Decisione comunitaria.
14. Per quanto sin qui esaminato, il ricorso deve essere respinto, essendo stato
l’atto impugnato legittimamente adottato in conformità agli obblighi comunitari
ed internazionali incombenti sul nostro Paese secondo le previsioni degli artt.
9, 10 ed 11 della Costituzione.. Tuttavia, in ragione della complessità della
fattispecie oggetto del gravame, sussistono giusti motivi per la compensazione
delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo regionale del Lazio, Sezione seconda bis,
definitivamente decidendo sul ricorso in epigrafe lo respinge ai sensi e per gli
effetti di cui in motivazione..
Compensa fra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre e 17
dicembre 2009 con l'intervento dei Signori:
Eduardo Pugliese, Presidente
Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore
Mariangela Caminiti, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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