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1974-9562
T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 9 aprile 2010, n. 1532
CACCIA - Piano faunistico-venatorio - Atti di pianificazione - Osservazioni
degli interessati - Natura - Apporto collaborativo - Rigetto o accoglimento -
Motivazione - Sindacato giurisdizionale - Limiti. Le osservazioni proposte
dagli interessati nei confronti degli atti di pianificazione (nella specie:
piano faunistico venatorio) rappresentano non un rimedio giuridico in senso
proprio, al quale andrebbe data una risposta puntuale e specifica, ma un
semplice apporto collaborativo; possono pertanto essere rigettate o accolte
senza una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state
esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento
pianificatorio, le cui scelte possono formare oggetto di sindacato
giurisdizionale nei soli casi di arbitrarietà, irrazionalità o irragionevolezza,
ovvero di palese travisamento dei fatti, che costituiscono i limiti della
discrezionalità amministrativa, anche tenuto presente che gli atti di tale
specie non sono soggetti ad un obbligo di motivazione in senso proprio, così
come definito dall’art. 3 della l. 241/1990. Pres. Tenca, Est. Gambato Spisani -
Wwf Italia Ong Onlus (avv. Brambilla) c. Provincia di Bergamo (avv.ti Gorlani,
Vavassori e Pasinelli) e Regione Lombardia (avv.ti Gallonetto e Santagostino) -
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 9 aprile 2010, n. 1532
CACCIA - Piano faunistico venatorio - Aree percorse dal fuoco - Coordinamento
- Strumento - Fattispecie. Il Piano faunistico venatorio è strumento
destinato a valere per un periodo di tempo non brevissimo, o addirittura valido
a tempo indeterminato, salve modifiche. Viceversa, le aree percorse dal fuoco
rappresentano una realtà mutevole, anche nel giro di tempi assai brevi.
Pertanto, uno strumento pianificatorio che, a qualsivoglia fine, sia tenuto ad
individuare tali aree, non può operare nel modo classico, ovvero facendo
riferimento ad una cartografia allegata, e destinata a rimanere la medesima per
tutta la vigenza del piano stesso: è necessaria una diversa soluzione tecnica,
che garantisca un costante aggiornamento dello stato di fatto (nella fattispecie
il piano faunistico venatorio faceva legittimamente riferimento ad una
cartografia tematica presente su internet, resa disponibile al pubblico e
costantemente aggiornata con i dati del Corpo forestale dello Stato). Pres.
Tenca, Est. Gambato Spisani - Wwf Italia Ong Onlus (avv. Brambilla) c. Provincia
di Bergamo (avv.ti Gorlani, Vavassori e Pasinelli) e Regione Lombardia (avv.ti
Gallonetto e Santagostino) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 9 aprile 2010,
n. 1532
CACCIA - Divieto di caccia nelle aree percorse dal fuoco - Art. 10 L. n.
353/2000 - Subordinazione all’istituzione di un catasto da parte dei Comuni -
Esclusione - Divieto discendente direttamente dalla legge. Il divieto di
caccia nelle aree percorse dal fuoco discende direttamente dalla legge ( art. 10
comma primo ultima parte della l. 353/2000) e non è subordinato alla
individuazione di esse con qualche specie di atto formale, segnatamente in un
catasto da istituire a cura dei Comuni. Pres. Tenca, Est. Gambato Spisani - Wwf
Italia Ong Onlus (avv. Brambilla) c. Provincia di Bergamo (avv.ti Gorlani,
Vavassori e Pasinelli) e Regione Lombardia (avv.ti Gallonetto e Santagostino) -
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 9 aprile 2010, n. 1532
CACCIA - Strumenti pianificatori - Scelte - Giustificazione in termini
razionali - Fattispecie: piano faunistico venatorio della Provincia di Bergamo -
Individuazione delle zone alpine. Gli strumenti pianificatori, non soggetti
ad un obbligo puntuale di motivazione ai sensi dell’art. 3 della . 241/1990,
debbono pur sempre giustificare le scelte compiute in termini razionali, e non è
all’evidenza razionale una scelta che non renda in alcun modo esplicita la
metodologia seguita nel conformarsi ad un criterio o ad un altro, allorquando
più di uno sia in astratto possibile. (fattispecie relativa al Piano faunistico
venatorio della Provincia di Bergamo, il quale, nell’individuare la “zona
alpina” di cui agli artt. 10 comma 3 della l. 157/1992 e dell’art. 13 comma 3
della l. r. Lombardia n. 26/1993, non contiene alcuna considerazione in ordine
all’istruttoria e alle valutazioni che abbiano preceduto tale individuazione,
posto che non esistono criteri scientifici univoci e condivisi che consentano di
individuare un dato territorio come zona alpina) Pres. Tenca, Est. Gambato
Spisani - Wwf Italia Ong Onlus (avv. Brambilla) c. Provincia di Bergamo (avv.ti
Gorlani, Vavassori e Pasinelli) e Regione Lombardia (avv.ti Gallonetto e
Santagostino) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 9 aprile 2010, n. 1532
CACCIA - L.r. Lombardia n. 26/1993 - Art. 13 - Modifiche - Interpretazione -
Rapporto tra quota protetta di TASP e utilità per la fauna selvatica. La
lettera novellata dell’art. 13 della l.r. Lombardia 26/1993 non impedisce di
ritenere che il requisito di utilità per la fauna selvatica, ancorché non più
menzionato in modo esplicito, continui ad essere richiesto per la quota protetta
di TASP in conformità ai principi nazionali e all’art. 117 lettera s) Cost.
Pertanto, lo stesso art. 13 va interpretato nel senso che i terreni di cui
all’art. 43 successivo, che possono andare a comporre il TASP protetto, siano
non genericamente tutti quelli ove la caccia è vietata, ma soltanto quelli che
possono servire di rifugio alla fauna stessa. A tale interpretazione non osta
certo la lettera dello stesso art. 43, che comprende un elenco di divieti
piuttosto eterogeneo, e non può certo intendersi come oggetto di rinvio
complessivo e totale. Pertanto, ai sensi della normativa così interpretata,
sicuramente potrà far parte della quota protetta di TASP un territorio ove la
caccia è vietata ai sensi del comma 1 lettera b), perché si tratta di area
protetta; non già il territorio delle fasce di rispetto stradali, ferroviarie e
urbane. Pres. Tenca, Est. Gambato Spisani - Wwf Italia Ong Onlus (avv.
Brambilla) c. Provincia di Bergamo (avv.ti Gorlani, Vavassori e Pasinelli) e
Regione Lombardia (avv.ti Gallonetto e Santagostino) - TAR LOMBARDIA,
Brescia, Sez. II - 9 aprile 2010, n. 1532
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 01532/2010 REG.SEN.
N. 00037/2007 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 37 del 2007, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
Wwf Italia Ong - Onlus, rappresentato e difeso dall'avv. Paola Brambilla, con
domicilio eletto presso Paola Brambilla in Bergamo, via Verdi, 3
(Fax=035/4130882));
contro
Provincia di Bergamo, rappresentato e difeso dagli avv. Innocenzo Gorlani,
Giorgio Vavassori, Bortolo Luigi Pasinelli, con domicilio eletto presso
Innocenzo Gorlani in Brescia, via Romanino, 16 (030/3754329) @; Regione
Lombardia, rappresentato e difeso dagli avv. Sabrina Gallonetto, Annalisa
Santagostino, con domicilio eletto presso Donatella Mento in Brescia, via Cipro,
30 (Fax=030/2449770);
nei confronti di
Parco Regionale delle Orobie Bergamasche;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
(A – ricorso principale)
della deliberazione 9 maggio 2006 n°22 del Consiglio provinciale di Bergamo,
recante “Aggiornamento e adeguamento del piano faunistico venatorio della
Provincia di Bergamo”;
del decreto 10 agosto 2006 n°9453 del Dirigente dell’unità organizzativa
sviluppo e tutela del territorio rurale e montano della Regione Lombardia,
recante “Valutazione di incidenza del piano faunistico venatorio della Provincia
di Bergamo”;
dello studio di incidenza del piano in parola, trasmesso dalla Provincia di
Bergamo alla Regione con nota 7 giugno 2006 prot. n°68528;
di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, fra cui i pareri favorevoli
resi dagli Enti parco sullo studio di incidenza, allo stato non conosciuti;
( B- primo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 12 luglio 2007)
della deliberazione 28 marzo 2007 n°26 del Consiglio provinciale di Bergamo,
recante “Variante al piano faunistico venatorio provinciale – Modifica e
adeguamento del piano faunistico venatorio alla l.r. 8 agosto 2006 n°19”;
di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, e in particolare:
della deliberazione 12 aprile 2007 n°171 della Giunta provinciale di Bergamo,
recante “Approvazione dello studio di valutazione di incidenza ambientale della
variante al piano faunistico venatorio della Provincia di Bergamo”;
( C- secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 31 ottobre 2007)
del decreto 19 giugno 2007 n°6653 del Dirigente della struttura valorizzazione
delle aree protette e difesa delle biodiversità della Regione Lombardia, recante
“Valutazione di incidenza del piano faunistico venatorio”;
( D – terzo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 22 novembre 2008)
della deliberazione 9 luglio 2008 n°44 del Consiglio provinciale di Bergamo,
recante “Nuovo piano faunistico venatorio”;
del decreto 18 giugno 2008 n°6845 della Direzione generale qualità dell’ambiente
della Regione Lombardia, recante “Valutazione di incidenza del piano faunistico
venatorio”;
della determinazione dirigenziale 4 luglio 2008 n°1927, di valutazione
ambientale strategica del predetto piano;
Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Bergamo;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Lombardia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11/02/2010 il dott. Francesco Gambato
Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Ai sensi della l. 11 febbraio 1992 n°157 e delle relative norme attuative di
legge regionale, ogni Provincia, allo scopo di regolamentare l’esercizio della
caccia e di renderlo compatibile con la salvaguardia dell’ambiente, è tenuta a
dotarsi di uno strumento particolare, denominato “Piano faunistico venatorio”:
si controverte nella presente sede delle vicende relative a detto piano così
come elaborato dalla Provincia di Bergamo nel periodo di cui appresso.
La vicenda portata all’attenzione del Tribunale incomincia nel 2006, anno nel
quale la Provincia medesima, ai sensi della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26,
approvava con deliberazione del Consiglio 9 maggio 2006 n°22 la propria versione
di tale strumento pianificatorio, per sostituire quello previgente, cessato di
validità al 31 gennaio 2006 e poi prorogato sino ad entrata in vigore del nuovo;
stabiliva in particolare l’entrata in vigore di quest’ultimo “a far data dalla
approvazione della valutazione di incidenza da parte della Regione Lombardia”
(cfr. doc. A allegato al ricorso principale, copia della delibera di
approvazione impugnata, dalla quale si evincono anche gli estremi del piano
previgente e della relativa proroga).
Sempre la Provincia di Bergamo, con successiva nota 7 giugno 2006 prot. n°68528,
trasmetteva lo studio di incidenza del piano così approvato alla Regione
Lombardia, e ne otteneva l’approvazione con il decreto dirigenziale 10 agosto
2006 n°9453 citato in epigrafe (doc. ti B e C allegati al ricorso principale,
copie di detto decreto e dello studio di incidenza).
Avverso tali atti, il WWF proponeva dapprima ricorso straordinario al Capo dello
Stato, ricorso articolato in sette motivi che si riassumono così come segue:
- con il primo motivo, deduceva violazione dell’art. 14 della l.r. Lombardia 16
agosto 1993 n°26, per esser stato asseritamente il piano approvato senza il
contraddittorio, previsto dalla legge, con le organizzazioni protezionistiche,
fra le quali rientra la ricorrente stessa;
- con il secondo motivo, deduceva violazione del combinato disposto degli artt.
11 l. 11 febbraio 1992 n°157 e 14 l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, norme che
prevedono una particolare tutela per le zone alpine e che il piano non
rispetterebbe, in quanto ricomprenderebbe nel territorio esterno alla zona
stessa aree che pacificamente ne farebbero parte;
- con il terzo motivo, deduceva violazione dell’art. 10 commi 3 e 4 della l. 11
febbraio 1992 n°157, in ordine ai criteri adottati per il calcolo della quota
protetta di TASP, ovvero di territorio agro- silvo- pastorale. Tale quota
secondo le norme di legge citate, è costituita da una certa percentuale del
territorio agro- silvo- pastorale provinciale complessivo, che il piano
faunistico venatorio deve localizzare in concreto, nella quale è limitata la
caccia per consentire alla fauna selvatica di vivere e riprodursi indisturbata.
Il territorio in questione, base di calcolo della quota protetta, peraltro, non
corrisponde, al di là delle predette indicazioni di carattere generale, ad un
concetto univoco ed universalmente accettato dagli operatori del settore; ha
provveduto pertanto a dettarne i criteri di calcolo un apposito provvedimento
regionale, la deliberazione della Giunta regionale lombarda 16 aprile 1993 n°
V/34983. Tale atto muove infatti dalla ritenuta oggettiva mancanza di “criteri
oggettivi di definizione e quantificazione del TASP”, e decide di adottare
quello proposto dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica, ente ritenuto di
riferimento in materia. In tali termini, si definisce allora il TASP come “la
superficie disponibile per coltivazioni, pascolo e bosco, al netto quindi di
superfici urbanizzate, acque, strade, rocce, sfasciumi, nevai e ghiacciai e
quanti altri substrati impediscano la crescita di vegetazione spontanea o
coltivata”; si prescrive di conseguenza che per calcolarlo si debbano sottrarre
“alla totalità del territorio preso in esame le seguenti superfici improduttive
per la fauna selvatica”, definite nelle due categorie del terreno “improduttivo
di origine antropica” e del terreno “improduttivo naturale”. L’improduttivo
naturale comprende, sempre secondo la delibera, “ghiacciai, nevai perenni, rocce
nude superiori ai 2.700 mt. di altitudine, laghi naturali o artificiali con
profondità superiore a dieci metri… e comunque tutti i laghi naturali e
artificiali superiori ai 2000 mt. di altitudine”, mentre l’improduttivo di
origine antropica consta a sua volta di due sottocategorie, le “superfici
urbanizzate” e le “opere pubbliche esistenti e infrastrutture”. Nella prima di
dette sottocategorie, sempre nei termini della delibera, rientrano le superfici
appunto urbanizzate “individuabili e mappate ai sensi dei vigenti piani
regolatori comunali. Si terrà conto dello stato di fatto e delle previsioni a
medio termine per le aree in trasformazione….vanno pertanto individuate e
misurate come ‘improduttive’ per la fauna selvatica tutte le superfici
appartenenti alle categorie di territorio non ricomprese fra quelle destinate
alle coltivazioni agricole (ivi comprese le infrastrutture, cascinali…), ai
pascoli, agli impianti boschivi, agli incolti, alle superfici occupate da
vegetazione spontanea. Sono da considerarsi improduttive anche le superfici
esterne al perimetro delle aree urbanizzate ed individuabili come singoli nuclei
residenziali, impianti sportivi e ricreativi (campeggi, campi da golf, tiro al
piattello e con l’arco, giardini pubblici, parchi pubblici suburbani attrezzati,
maneggi)”. Nella seconda delle due sottocategorie rientrano invece “autostrade,
ferrovie, strade statali e provinciali e quelle ad alta percorrenza, svincoli,
innesti, parcheggi, aeroporti, depuratori e fosse per liquami, impianti per lo
smaltimento dei rifiuti e discariche, centrali elettriche, dighe e bacini
artificiali non produttivi (ovvero quando soggetti a rapide, frequenti e
consistenti variazioni di livello), cave in attività” (per tutto ciò, v. doc. 5
ricorrente, copia delibera in questione, da cui le citazioni). In dichiarata
applicazione di tali criteri, il piano impugnato dichiara di avere calcolato il
TASP “sottraendo dalla superficie territoriale l’improduttivo naturale” definito
come sopra, nonché “l’urbanizzato attuale e di espansione previsto dai PRG
comunali, la rete viaria presente ed una fascia di rispetto ritenuta non utile
alla fauna selvatica”, computata in misura di 25 metri per lato per le strade
statali e provinciali, 5 metri per lato per le strade comunali e 50 metri per
lato per autostrade e ferrovie, e non considerata “nel tratto di sovrapposizione
con l’urbanizzato attuale e di espansione e con l’improduttivo naturale” (cfr.
doc. A ricorrente, copia piano impugnato, a p. 5, da cui le citazioni). L’ente
ricorrente censura come contrario alla legge ed alla delibera regionale citata
tale criterio di calcolo, ed assume che escludere dalla superficie complessiva
di TASP sulla quale si calcola la quota protetta l’urbanizzato di espansione e
le fasce di rispetto stradale integrerebbe una indebita riduzione in valore
assoluto della quota protetta in parola. In altri termini, la base di calcolo
dovrebbe comprendere anche zone di territorio, come le suddette fasce di
rispetto, non utili alla fauna selvatica in quanto pericolose per il traffico
che le rasenta, allo scopo di incrementare il valore assoluto della quota
protetta da determinare percentualmente: la quota protetta così calcolata
andrebbe poi localizzata in concreto su parti del TASP effettivamente utili alla
fauna, ovvero ad esempio non sulle fasce di rispetto citate;
- con il quarto motivo, deduceva violazione degli artt. 6 del d.p.r. 12 marzo
2003 n°120 e 5 del d.p.r. 8 settembre 1997 n°357, modificato ed integrato dal
primo provvedimento. Tali norme di legge sottopongono il piano faunistico
venatorio, in quanto “piano di settore” ad una valutazione di incidenza
sull’ambiente, valutazione configurata come preventiva, e non sarebbero state
nel caso di specie rispettate, perché la valutazione, oltre ad aver seguito, e
non preceduto, l’approvazione del piano, sarebbe tale solo di nome, e infatti si
limiterebbe a ricopiare le formule generali dello studio di incidenza redatto da
altra provincia, nella specie Rovigo, senza in alcun modo adattarle alla
specifica realtà bergamasca (cfr. in proposito doc. 8 ricorrente, estratto della
valutazione di incidenza della Provincia di Rovigo);
- con il quinto motivo di ricorso, deduceva violazione dell’art. 11 comma 3
della l. 6 dicembre 1991 n°394, in quanto il piano non avrebbe istituito il
necessario divieto di caccia nei siti di interesse comunitario (in sigla SIC) e
nelle zone di protezione speciale (in sigla ZPS), destinate per legge ad una
maggior tutela dell’ambiente;
- con il sesto motivo di ricorso, deduceva violazione dell’art. 22 comma 3 della
l. 11 febbraio 1992 n°157, in quanto il piano impugnato, nell’istituire una zona
di divieto di caccia di forma circolare, per un raggio di cento metri dal
centro, per ciascuno dei valichi prealpini (cfr. doc. A ricorrente, copia piano,
a p. 107), non avrebbe tenuto conto della diversa ampiezza dei valichi stessi,
che in taluni casi imporrebbe una zona di divieto più ampia;
- con il settimo ed ultimo motivo, infine, deduceva violazione dell’art. 10
comma 7 lettera e) della stessa l. 11 febbraio 1992 n°157, per non corretta
individuazione di alcune zone per addestramento cani da caccia, nelle quali non
sarebbero stati definiti periodi e tipologia di utilizzo, e per errata
localizzazione di due di esse in zone protette.
Di detto ricorso straordinario, la Provincia di Bergamo, con atto notificato al
ricorrente in sede straordinaria il 29 novembre 2006 (doc. 11 Provincia, copia
di esso), domandava la trasposizione in sede giurisdizionale, alla quale il WWF
provvedeva con atto depositato in data 11 gennaio 2007 (doc. 12 Provincia, copia
di esso), trascrivendo nell’atto stesso il contenuto integrale del ricorso
straordinario, e trasformando i motivi dedotti in tale sede in altrettanti
motivi del ricorso principale; lo stesso WWF si costituiva poi nella presente
sede (doc. 13 Provincia, copia atto relativo).
Si costituiva parimenti nella presente sede giurisdizionale la Provincia
intimata, con atto 14 febbraio 2007, deducendo:
- in ordine al primo motivo, la sua infondatezza in fatto, per avere
l’associazione ricorrente, regolarmente invitata a parteciparvi, preso parte a
mezzo di proprio rappresentante al “tavolo tecnico” istituito per elaborare il
piano (doc. ti da 14 a 21 Provincia, copie lettere di convocazione e fogli
presenze) e presentato una serie di osservazioni (doc. 3 ricorrente, copia di
esse);
- in ordine al secondo motivo, ancora la sua infondatezza in fatto, in quanto
l’associazione ricorrente considererebbe, a torto, comprese in zona alpina anche
aree che naturalisticamente non ne fanno parte, pur contenendo sporadiche
presenze di vegetazione o fauna alpine; viceversa, per parlare di zona alpina
occorrerebbe, anche a norma dell’art. 27 comma 1 della l.r. Lombardia 16 agosto
1993 n°26, poter riscontrare una “consistente” presenza di vegetazione ovvero
fauna tipiche;
- in ordine al terzo motivo, che il metodo di calcolo del TASP seguito
dall’amministrazione sarebbe stato corretto, ed anzi rispettoso della decisione
del ricorso straordinario proposto dalla stessa associazione ricorrente avverso
il piano previgente. Tale decisione, resa con D.P.R. 21 febbraio 2006 su parere
del C.d.S. sez. II 6 aprile 2005 in pratica 2728/2003 e trasmessa alle parti con
lettera datata 22 marzo 2006 (doc. 3 Provincia, copia di essa), aveva annullato
appunto il piano previgente proprio per avere ricompreso nel TASP le fasce di
rispetto stradale, oggi escluse;
- in ordine al quarto motivo, che il piano nella sua entrata in vigore sarebbe
stato espressamente condizionato all’approvazione, poi in fatto intervenuta,
dello studio di incidenza, che a sua volta sarebbe stato correttamente redatto;
- in ordine al quinto motivo, che nelle ZPS e nei SIC non sarebbe di per sé
vietata la caccia;
- in ordine al sesto motivo, che esso deriverebbe da un fraintendimento delle
previsioni del piano, poiché la disposizione impugnata riguarderebbe non il
divieto di caccia nei valichi alpini, ma una serie di zone di protezione lungo
le rotte migratorie, istituto a sé stante per il quale non sono previste
ampiezze minime o massime;
- in ordine infine al settimo motivo, che le zone di addestramento cani
asseritamente non classificate sarebbero zone di ripopolamento e cattura della
selvaggina che, in assenza di norme in contrario, sarebbero utilizzate anche a
scopi cinofili, e che le due zone ulteriori di cui si censura la localizzazione
sarebbero in realtà estranee ad ogni area protetta.
Successivamente, interveniva la l.r. Lombardia 8 agosto 2006 n°19, di modifica
degli artt. 13 e 14 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, e con essi dei
criteri per il calcolo del TASP, legge la quale in sintesi, e salvo quanto si
dirà più in dettaglio, sopprime l’aggettivo “utile” riferito in precedenza alla
quota di TASP destinata alla tutela della fauna e prevede alla lettera che nella
quota di TASP in parola debbano ricomprendersi tutte le aree in cui sia vietata
la caccia anche per altre finalità, diverse da quelle di tutela. La Provincia di
Bergamo approvava quindi, con deliberazione 28 marzo 2007 n°26 del Consiglio
(doc. A ricorrente allegato al primo ricorso per motivi aggiunti, copia atto in
questione), tempestivamente impugnata dall’odierno ricorrente con ricorso per
motivi aggiunti articolato in undici censure, riportabili secondo logica ai
seguenti undici motivi, per i quali si prosegue l’ordine numerico del ricorso
principale:
- con l’ottavo motivo, corrispondente alla censura prima a p. 6 del primo
ricorso per motivi aggiunti, ripropone il primo motivo di cui al ricorso
principale;
- con il nono motivo, corrispondente alla censura seconda a p. 9 del primo
ricorso per motivi aggiunti, deduce eccesso di potere, in quanto la variante al
piano sarebbe stata approvata non allo scopo, previsto dalla legge, di tutelare
la fauna, ma a quello, ritenuto illegittimo, di rendere comunque possibile la
caccia da appostamenti fissi, i cd. capanni;
- con il decimo motivo, corrispondente alla censura terza a p. 15 del primo
ricorso per motivi aggiunti, deduce violazione dell’art. 10 della l. 21 novembre
2000 n°353, in quanto la variante impugnata non istituirebbe il prescritto
divieto di caccia nelle zone boscate già interessate da incendi;
- con l’undecimo motivo, corrispondente alla censura quarta a p. 16 del primo
ricorso per motivi aggiunti, deduce, propriamente, la violazione degli artt.
12-14 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, affermandosi che fino
all’entrata in vigore del piano venatorio regionale, oggi mancante, la Provincia
non potrebbe esercitare le proprie competenze al riguardo;
- con il dodicesimo motivo, corrispondente alla censura quinta a p. 19 del primo
ricorso per motivi aggiunti, ripropone il secondo motivo del ricorso principale;
- con il tredicesimo motivo, corrispondente alla censura sesta a p. 22 del primo
ricorso per motivi aggiunti, ripropone in sostanza le critiche già svolte nel
terzo motivo avverso la metodologia seguita nel calcolo del TASP, integrandole
con quanto risulta dalla surricordata modifica normativa operata con l.r.
Lombardia 8 agosto 2006 n°19. In proposito, si censura infatti l’inclusione nel
TASP delle aree “in cui l’esercizio venatorio è vietato dalla l.r. 26793 ed in
particolare dall’art. 1 comma 4 e [sic] gli articoli 17, limitatamente alle
oasi, 18, 37 e 43” (cfr. doc. A ricorrente allegato al primo ricorso per motivi
aggiunti, copia variante, p. 10). Si afferma infatti che delle due l’una. Come
prima possibilità, la legge regionale intervenuta andrebbe interpretata comunque
nel senso di prevedere che la quota di TASP protetta debba essere utile alla
tutela della fauna: in tale caso, la previsione di piano andrebbe ritenuta
illegittima nella parte in cui comprende nella quota stessa aree non utili alla
fauna in cui, nondimeno, la caccia è per qualche ragione vietata. Come seconda
possibilità, la legge regionale prevedrebbe in effetti la possibilità di
computare come TASP protetto aree non utili alla fauna, ed allora sarebbe
illegittima costituzionalmente per violazione dell’art. 117 Cost. , dovendo
quindi questo Giudice sollevare la relativa eccezione davanti alla Corte.
Infine, si deduce che comunque il metodo, ferma la sua erronea impostazione,
sarebbe stato male applicato nel calcolo;
- con il quattordicesimo motivo, corrispondente alla censura settima a p. 33 del
primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone il motivo quarto del ricorso
principale;
- con il quindicesimo motivo, corrispondente alla censura ottava a p. 41 del
primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone il motivo quinto del ricorso
principale;
- con il sedicesimo motivo, corrispondente alla censura nona a p. 22 del primo
ricorso per motivi aggiunti, ripropone il motivo sesto del ricorso principale;
- con il diciassettesimo motivo, corrispondente alla censura decima a p. 46 del
primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone il motivo settimo del ricorso
principale, nella sola parte che riguarda le zone di addestramento cani a
tipologia asseritamente non specificata;
- con il diciottesimo motivo, corrispondente alla censura undecima a p. 47 del
primo ricorso per motivi aggiunti, deduce infine violazione dell’art. 7 del d.
lgs. 152/06, in quanto la variante in questione sarebbe atto ad effetti
significativi sull’ambiente, e come tale andrebbe sottoposta a valutazione
ambientale strategica, nella specie omessa.
Si costituiva in detto primo ricorso per motivi aggiunti l’amministrazione
intimata, con memoria 26 ottobre 2007, nella quale eccepiva in via preliminare
l’irricevibilità dei motivi aggiunti, per esser stati gli stessi erroneamente
notificati (cfr. doc. 28 Provincia, copia busta di spedizione) alla “Provincia
di Bergamo c/o avv. Vavassori, via Romanino 16, Brescia”, e nel merito:
- in ordine all’ottavo motivo di ricorso, eccepiva la sua infondatezza in fatto
anche in questa occasione, per avere ancora una volta l’associazione ricorrente,
regolarmente invitata a parteciparvi, preso parte al procedimento (doc. ti da 30
a 44 Provincia, copie atti relativi);
- in ordine al nono motivo di ricorso, contestava che lo scopo della variante al
piano fosse quello censurato;
- in ordine al decimo motivo di ricorso, deduceva che individuare le aree
percorse dal fuoco, sia pure ai fini del divieto di caccia, non farebbe parte
dei contenuti del piano faunistico venatorio;
- in ordine all’undecimo motivo di ricorso, puntualizzava che la pianificazione
provinciale anche in assenza del piano regionale è possibile ai sensi dell’art.
55 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26;
- in ordine al dodicesimo motivo, riportava le difese già svolte in ordine al
secondo motivo del ricorso principale;
- in ordine al tredicesimo motivo, deduceva la conformità alla Costituzione
della modifica operata dalla l.r. Lombardia 8 agosto 2006 n°19, che avrebbe
avuto in sostanza solo scopo chiarificatore; insisteva poi sulla correttezza nel
merito e nel metodo del calcolo del TASP eseguito in concreto;
- in ordine ai motivi dal quattordicesimo al diciassettesimo, si richiamava
ancora alle difese già svolte a proposito dei corrispondenti motivi di ricorso
principale;
- in ordine infine al diciottesimo motivo, sosteneva la non applicabilità nella
Regione Lombardia, in ordine alla pianificazione non statale, della valutazione
ambientale strategica, per essere ancora mancanti le norme regionali di
attuazione.
Da ultimo, con il secondo ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente impugnava
anche la positiva valutazione regionale di incidenza sulla variante al piano,
meglio indicata in epigrafe (doc. A ricorrente allegato al secondo ricorso per
motivi aggiunti, copia di essa), articolando quattro ulteriori motivi, che si
riassumono così come segue, sempre continuando nell’ordine numerico del ricorso
principale:
- con il diciannovesimo motivo, corrispondente alla prima censura a p. 3 del
secondo ricorso per motivi aggiunti, ripropone i contenuti dei precedenti motivi
quinto e quindicesimo;
- con il ventesimo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 10 del
secondo ricorso per motivi aggiunti, deduce il difetto di istruttoria per omessa
acquisizione del parere dell’ente Parco Orobie Valtellinesi, gestore di un SIC
ricompreso asseritamente nell’area di piano;
- con il ventunesimo motivo, corrispondente alla terza censura a p. 13 del
secondo ricorso per motivi aggiunti, deduce il difetto di motivazione per non
avere il provvedimento impugnato tenuto adeguato conto del parere negativo
espresso dallo stesso WWF quale gestore della Riserva naturale Valpredina;
- con il ventiduesimo motivo, corrispondente alla quarta censura a p. 17 del
secondo ricorso per motivi aggiunti, ripropone infine i contenuti dei motivi
quarto e quattordicesimo.
Resisteva ancora la Regione Lombardia, con atto 7 novembre e memoria 11 gennaio
2008, domandando con deduzioni similari a quelle della Provincia la reiezione
del secondo ricorso per motivi aggiunti, rivolto avverso un proprio
provvedimento.
La Provincia, costituendosi anche in tale ultima sede, con memoria 8 novembre
2007, richiamava in quanto pertinenti le proprie precedenti difese; deduceva poi
nello specifico che l’Ente Parco Orobie, ancorché interpellato, non aveva
ritenuto di esprimersi (cfr. doc. 48 Provincia, copia avviso di procedimento
inviato anche a tale ente), e che dal parere contrario del WWF ci si era
discostati sì, ma motivatamente.
Nella memorie conclusive depositate il 12 gennaio 2008, il WWF e la Provincia
ribadivano le rispettive posizioni.
La Sezione accordava la sospensione cautelare del provvedimento impugnato,
limitatamente alla variante impugnata con il primo ricorso per motivi aggiunti,
nei termini di cui alla propria ordinanza 8 novembre 2007 n°847 e dell’ordinanza
resa in sede di appello C.d.S. sez. VI 27 novembre 2007 n°6267; all’udienza del
giorno 24 gennaio 2008 riteneva poi, nei termini di cui all’ulteriore propria
ordinanza 11 febbraio 2008 n°34, di disporre CTU, affidata dal Giudice delegato
il 1 aprile 2008 al dott. Massimo Zanetti, funzionario dell’Ufficio studi
faunistici della Regione autonoma Friuli V.G., il quale depositava l’elaborato
il 24 ottobre 2008, nei termini di cui alle proroghe concesse.
Nelle more, la Provincia di Bergamo, con deliberazione 9 luglio 2008 n°44 del
Consiglio, provvedeva ad approvare un nuovo Piano faunistico venatorio,
sostitutivo dei precedenti, corredato delle valutazioni di incidenza e
ambientale strategica di cui ai provvedimenti meglio indicati in epigrafe
(allegati, assieme al Piano in questione, in copia senza numero al terzo ricorso
per motivi aggiunti).
Avverso tale nuova versione del Piano, l’associazione ricorrente presentava il
terzo ricorso per motivi aggiunti, articolato in ordine logico così come segue;
si precisa che la ancora una volta proseguendo nella numerazione dei motivi di
ricorso già adottata:
- con il ventitreesimo motivo, corrispondente alle censure seconda e terza alle
pp. 15 e 17 del ricorso, deduce violazione dell’art. 5 comma 6 del D.P.R. 8
settembre 1997 n. 357, dell’art. 2 allegato C della deliberazione della Giunta
regionale lombarda 8 agosto 2003 n°VII/14106 e dell’art. 3 della l. 241/1990,
perché il piano impugnato non conterrebbe quanto richiesto dalle norme citate,
ovvero una congrua motivazione delle scelte operate in rapporto alle
osservazioni formulate dai gestori delle zone protette – riserve naturali, SIC e
ZPS, in particolare su quanto osservato dall’ente ricorrente medesimo, che è
anche gestore del SIC “Valpredina” e come tale ha interloquito nel procedimento
di formazione del piano;
- con il ventiquattresimo motivo, corrispondente alla censura quarta alla p. 22
del ricorso, deduce violazione degli artt. 10 comma 7 della l. 11 febbraio 1992
n°157, 15 della l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 e 9 comma 1 e 14 del d. lgs.
3 aprile 2006 n°152, che sarebbe mancato il coordinamento, richiesto dalle norme
citate, fra il Piano faunistico venatorio e il Piano di miglioramento fondiario,
profilo che, si evidenzia, già sarebbe stato censurato con riguardo ad una
precedente edizione del Piano venatorio nella sentenza di questo TAR 24 gennaio
2003 n°46;
- con il venticinquesimo motivo, corrispondente alla censura undecima alla p. 47
del ricorso (erroneamente rubricata come dodicesima) e riproponente gli
argomenti del motivo decimo, deduce violazione dell’art. 10 della l. 21 novembre
2000 n°353, perché anche la versione del Piano in esame non istituirebbe il
prescritto divieto di caccia nelle zone boscate già interessate da incendi;
- con il ventiseiesimo motivo, corrispondente alla censura quinta alla p. 24 del
ricorso, deduce violazione degli artt. 13 comma 1 del d. lgs. 3 aprile 2006
n°152, 11 della l. 11 febbraio 1992 n°157 e 14 commi 1 e 3 della l. r. Lombardia
16 agosto 1993 n°26 perché la valutazione ambientale strategica del Piano
sarebbe asseritamente inadeguata quanto alla metodologia seguita;
- con il ventisettesimo motivo, corrispondente alla censura settima alle pp.
30-31 del ricorso e riproponente gli argomenti dei motivi secondo e
quindicesimo, deduce ulteriore violazione degli artt. 11 della l. 11 febbraio
1992 n°157 e 14 commi 1 e 3 della l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 e comunque
eccesso di potere, perché il Piano non individuerebbe in modo corretto le zone
alpine , destinatarie ai sensi delle norme citate di una particolare tutela;
- con il ventottesimo motivo, corrispondente alla censura sesta alla p. 27 del
ricorso, deduce violazione dell’art. 10 commi 3 e 4 11 della l. 11 febbraio 1992
n°157 e della l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 così come modificata dalla
l.r. Lombardia 8 agosto 2006 n°19, per illegittimità dei criteri applicati nel
calcolo della quota protetta di TASP. Come subito si vedrà, il motivo in esame
ripropone, anche se solo in parte, le argomentazioni già illustrate nell’ambito
dei motivi terzo e tredicesimo. Ripetendo per chiarezza quanto già spiegato a
tale proposito, si ricorda che il TASP, sigla che sta per “Territorio Agro Silvo
Pastorale”, destinato a quota protetta consiste in una certa parte del
territorio provinciale complessivo, nella quale è limitata la caccia per
consentire alla fauna selvatica di vivere e riprodursi indisturbata. La quota di
TASP in questione, ai sensi dell’art. 10 comma 3 della l. 11 febbraio 1992
n°157, deve avere una estensione complessiva corrispondente ad una data
percentuale del territorio della Provincia, mentre è demandata allo strumento
pianificatorio la sua localizzazione in concreto. In altre parole, fermo il
valore assoluto dell’estensione della quota protetta di TASP, spetta al Piano
faunistico venatorio stabilire se un dato terreno ne faccia o no parte. Sempre
riprendendo quanto già spiegato, sulla metodologia legale di calcolo della quota
protetta di TASP è poi intervenuta la l.r. Lombardia 8 agosto 2006 n°19, di
modifica degli artt. 13 e 14 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, la quale
in sintesi estrema prevede che possano essere considerate parte di essa anche
aree in cui è vietata la caccia per norme diverse da quelle dettate in modo
esplicito per la tutela della fauna. Ciò posto, secondo l’associazione
ricorrente, il piano approvato in conformità alle norme descritte sarebbe
comunque illegittimo, dato che due sarebbero le possibilità, come già detto
sopra a proposito del tredicesimo motivo di ricorso. Nella prima ipotesi, si
interpreterebbe la legge regionale 19/2006 nel senso di prevedere che la quota
di TASP determinata in conformità debba comprendere sì aree in cui la caccia è
vietata per ragioni alla lettera non coincidenti con la tutela della fauna, ma
pur sempre tali da tutelarla in via indiretta. In tale caso, il piano andrebbe
ritenuto illegittimo nella parte in cui comprende nella quota protetta di TASP
aree soggette al divieto di caccia ma oggettivamente non utili alla fauna, in
particolare le fasce di rispetto, cd. “buffer”. Nella seconda ipotesi, si
interpreterebbe invece la legge regionale nel modo opposto, nel senso per cui si
potrebbero computare nella quota protetta di TASP aree oggettivamente non utili
alla fauna. In tal caso, la norma sarebbe come si è già detto illegittima per
violazione dell’art. 117 Cost., e in proposito l’associazione ricorrente ha
nuovamente invitato questo Giudice a sollevare la relativa eccezione davanti
alla Corte. Nel motivo in esame, a differenza di quanto dedotto in precedenza
nei motivi terzo e tredicesimo, ci si richiama quindi soltanto alla disciplina
vigente a livello di legge formale per calcolare il TASP e la quota protetta;
non sono state invece riproposte né censure attinenti il contrasto con il
regolamento regionale che precisa i criteri di legge per determinare il TASP nel
suo complesso né censure attinenti le concrete modalità seguite per calcolarne
l’estensione, ricavare da essa la quota protetta di che trattasi e localizzarla
sul territorio;
- con il ventinovesimo motivo, corrispondente alla censura prima alla p. 11 del
ricorso e riproponente gli argomenti dei motivi quinto, quindicesimo e
diciannovesimo, deduce violazione dell’art. 6 della l. 6 dicembre 1991 n°394,
della l. 6 febbraio 2006 n°66 e dell’art. 5 del D.M. 17 ottobre 2007, perché il
Piano non prevedrebbe i divieti venatori asseritamente imposti dalle norme
citate per i siti protetti della “Rete Natura” e in particolare il divieto di
uso di munizioni contenenti piombo nei siti abitati da uccelli acquatici;
- con il trentesimo motivo, corrispondente alla censura ottava alla p. 36 del
ricorso e riproponente gli argomenti dei motivi sesto e sedicesimo, deduce
violazione degli artt. 22 comma 3 della l. 11 febbraio 1992 n°157 e 44 comma 3
della l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 in quanto anche questa versione del
Piano impugnato, nell’istituire una zona di divieto di caccia di forma
circolare, per un raggio di cento metri dal centro, per ciascuno dei valichi
prealpini (cfr. doc. A ricorrente, copia piano, a p. 107), avrebbe individuato
in modo erroneo i valichi stessi, non avrebbe tenuto conto della loro diversa
ampiezza, che in taluni casi imporrebbe una zona di divieto più ampia, né
avrebbe tenuto conto dell’accertata presenza di capanni da caccia presso i
valichi in parola;
- con il trentunesimo motivo, corrispondente alla censura nona alla p. 42 del
ricorso, deduce violazione dell’art. 14 comma 1 lettera l) della l.r. Lombardia
16 agosto 1993 n°26, per l’omessa georeferenziazione dei capanni da caccia
predetti, i quali si sarebbero dovuti individuare con precisione, quanto al loro
numero e alle coordinate geografiche di ciascuno, prima di redigere il Piano, e
non a Piano già approvato e vigente;
- con il trentaduesimo motivo, corrispondente alla censura decima alla p 45 del
ricorso e riproponente gli argomenti dei motivi settimo e diciassettesimo,
deduce violazione degli artt. 10 comma 7 lettera e) della l. 11 febbraio 1992
n°157 e degli artt. 14 e 21 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 perché
anche il nuovo piano avrebbe individuato in modo non corretto alcune zone per
addestramento cani da caccia, nelle quali non sarebbero stati definiti periodi e
tipologia di utilizzo; avrebbe poi localizzato due di esse in zone protette, in
modo ritenuto non ammissibile.
Hanno resistito anche a tale ricorso la Provincia di Bergamo, con memoria 16
dicembre 2008, e la Regione Lombardia, con memoria 18 dicembre 2008,
riproponendo in parte le rispettive difese di cui si è detto, e aggiungendo
nello specifico:
- in ordine al ventitreesimo motivo – si veda la memoria della Provincia alle
pp. 11 e 14- che vi sarebbe stato un parere sostanzialmente favorevole da parte
di tutti i gestori interpellati, e che comunque la valutazione di incidenza è
stata non semplicemente positiva, ma positiva con prescrizioni, molte delle
quali a tutela proprio del sito “Valpredina”;
- in ordine al ventiquattresimo motivo – memoria della Provincia cit. p. 19- che
il coordinamento fra i due strumenti non sarebbe mancato, e che comunque la
normativa non impone di approvare il Piano di miglioramento prima del Piano
venatorio, anzi permette di approvarli separatamente l’uno dall’altro e
nell’ordine creduto più opportuno;
- in ordine al venticinquesimo motivo – memoria della Provincia cit. pp. 56 e
60- che la censura sarebbe infondata in fatto. Evidenzia infatti la Provincia
resistente che a pagina 205 del Piano ci si fa espressamente carico del
problema, prevedendo che la versione dello strumento inserita nella rete
Internet contenga un link al sito cartografico della Provincia stessa, e per
tale via alla cartografia delle aree percorse dal fuoco, aggiornate oltretutto
con i dati forniti dal Corpo forestale dello Stato, da ritenersi i più
aggiornati e attendibili;
- in ordine al ventiseiesimo motivo – memoria Provincia, p. 23- che
l’inadeguatezza dedotta sarebbe solo enunciata e non dimostrata;
- in ordine al ventisettesimo motivo – memoria Provincia, p. 33- che la
soluzione seguita dal Piano sarebbe corretta;
- in ordine al ventottesimo motivo – cfr. memorie Provincia, p. 28- che il
procedimento seguito sarebbe in sintesi conforme a legge e a Costituzione; a
tale ultimo proposito, si è sottolineato come la Corte, con la propria sentenza
30 dicembre 1997 n°448 avrebbe in sostanza già disatteso le argomentazioni del
ricorrente;
- in ordine al ventinovesimo motivo – memoria Provincia, p. 7- che la censura
sarebbe ancora una volta infondata in fatto, dato che il Piano, a p. 7
dell’elaborato, prevede in modo espresso un recepimento automatico di tali
divieti, nel momento stesso in cui essi vengono introdotti nell’ordinamento;
- in ordine al trentesimo motivo – memoria Provincia, p. 42- che le soluzioni
del Piano sarebbero adeguate;
- in ordine al trentunesimo motivo – memoria Provincia, p. 51- che il Piano
impugnato prevede che alla georeferenziazione dei capanni si debba procedere
entro un breve termine dalla sua entrata in vigore, con adempimento che allo
stato sarebbe stato già svolto;
- in ordine al trentaduesimo motivo – memoria Provincia, pp. 53- 55- che
l’individuazione delle zone addestrative per i cani sarebbe conforme a legge.
Con memorie 2 aprile 2009 per la Provincia, 3 aprile 2009 per la Regione e 4
aprile 2009 per il WWF, le parti ribadivano le rispettive posizioni
Sul nuovo piano approvato e impugnato nei termini di cui sopra, la Sezione
riteneva, in esito all’udienza di merito tenutasi il 16 aprile 2009, con
ordinanza del successivo 4 maggio n°97, di disporre nuova CTU, affidata sempre
al dott. Zanetti, il quale, ricevuto in data 24 giugno 2009 il relativo incarico
dal Giudice delegato, depositava il proprio elaborato il 12 ottobre 2009, sempre
nei termini di cui alle proroghe concesse.
Intervenuto il deposito della nuova CTU, le parti ritenevano di meglio
illustrare le rispettive posizioni con memorie 20 gennaio 2010 per il WWF e la
Regione, 27 gennaio 2010 per la Provincia, nelle quali confermavano tutte le
rispettive conclusioni in ordine al terzo ricorso per motivi aggiunti; la
Regione chiedeva poi in via espressa la declaratoria di inammissibilità ovvero
improcedibilità del ricorso principale e dei primi due ricorsi per motivi
aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse, riferendosi gli stessi a un
piano ormai sostituito dal nuovo.
Alla udienza del giorno 11 febbraio 2010, da ultimo, la Sezione tratteneva il
ricorso in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso principale e i ricorsi per motivi aggiunti primo e secondo – che
comprendono i motivi di censura dal primo al ventiduesimo- vanno dichiarati
improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse Come detto in premesse,
infatti, essi si riferiscono tutti ad una versione del Piano faunistico
venatorio non più in vigore, in quanto sostituita da quello approvato con
delibera del Consiglio provinciale 9 luglio 2008 n°44. Si tratta in altre parole
di atti di pianificazione non più efficaci, sì che dal loro annullamento il
ricorrente non potrebbe più trarre utilità alcuna: si veda sul principio C.d.S.
sez. IV 12 giugno 2007 n°3087, in tema di successione di piani urbanistici, che
si cita per tutte.
2. Il terzo ricorso per motivi aggiunti, riferito alla nuova versione del Piano
attualmente in vigore, approvata con la citata deliberazione 44/2008, è invece
fondato nel merito e va accolto. In proposito, peraltro, alla disamina dei
singoli motivi proposti vanno premesse alcune considerazioni di carattere
generale.
3. In primo luogo, vanno chiariti connotati e limiti della giurisdizione di
questo Tribunale sulla controversia per la quale è causa. Gli atti con i quali
la Regione ha compiuto le valutazioni di incidenza e ambientale strategica in
ordine al Piano per cui è causa e la Provincia lo ha approvato vanno qualificati
all’evidenza, come del resto ha fatto l’associazione ricorrente, come atti
amministrativi, che in mancanza di norme di legge difformi sono impugnabili nel
quadro della giurisdizione generale di legittimità, la quale, com’è noto, in
ragione del proprio carattere impugnatorio, attribuisce a questo Giudice il
potere di annullarli, ma non quello di entrare nel merito degli stessi, ovvero
di sostituire una sua valutazione alla valutazione degli interessi in gioco
compiuta dalle amministrazioni intimate: a tale irrinunciabile limite è soggetto
ogni possibile effetto conformativo della decisione di annullamento. Solo entro
tali confini vanno quindi condivise le argomentazioni proposte al riguardo dal
WWF alle pp. 10-14 della memoria 20 gennaio 2010.
4. Lo stesso giudice amministrativo, di conseguenza, potrà utilizzare, come si è
fatto nella specie, lo strumento della CTU soltanto per verificare la coerenza
logica, secondo le regole proprie della materia tecnica interessata, delle
scelte della p.a.: se esse risultano congrue, respingerà il ricorso; in caso
contrario lo accoglierà annullando l’atto, ma non potrà in ogni caso sostituire
in via diretta il risultato nel merito ottenuto dalla CTU a quello risultante
dalle scelte dall’amministrazione. In tali termini, questo Giudice farà
applicazione degli esiti della CTU affidata come in premesse al dott. Massimo
Zanetti, nella parte in cui essa si riferisce alla nuova versione del Piano in
esame, denominata di seguito soltanto “CTU Zanetti”. La stessa infatti, salve le
precisazioni che si faranno di volta in volta su punti specifici, è ad avviso di
questo Giudice pienamente condivisibile nel suo impianto complessivo, in quanto
sviluppata da premesse di fatto non controverse in termini coerenti e logici.
5. Ciò posto, è infondato il ventitreesimo motivo di ricorso, incentrato sul
presunto difetto di motivazione della valutazione di incidenza delle scelte del
Piano in rapporto alle osservazioni degli enti gestori di aree protette, e in
particolare del WWF quale gestore del SIC “Valpredina”. In proposito, va
premesso che, come è pacifico in giurisprudenza, le osservazioni proposte dagli
interessati nei confronti degli atti di pianificazione rappresentano non un
rimedio giuridico in senso proprio, al quale andrebbe data una risposta puntuale
e specifica, ma un semplice apporto collaborativo; possono pertanto essere
rigettate o accolte senza una motivazione analitica, essendo sufficiente che
esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello
strumento pianificatorio, le cui scelte possono formare oggetto di sindacato
giurisdizionale nei soli casi di arbitrarietà, irrazionalità o irragionevolezza,
ovvero di palese travisamento dei fatti, che costituiscono i limiti della
discrezionalità amministrativa, anche tenuto presente che gli atti di tale
specie non sono soggetti ad un obbligo di motivazione in senso proprio, così
come definito dall’art. 3 della l. 241/1990: in tal senso, da ultimo, C.d.S.
sez. IV 18 giugno 2009 n°4024, su una fattispecie di piano urbanistico, soggetta
ai medesimi principi, e, nella giurisprudenza di questo TAR, sez. II, 20
novembre 2009 n°2248, sempre in tema di pianificazione in generale.
6. Alla luce dei principi delineati, va ritenuto che siano state rispettate le
norme applicabili alla fattispecie, le quali, dato che l’art. 3 della l.
241/1990 come si è detto non è pertinente, coincidono con i commi settimo e
quinto del D.P.R. 8-settembre 1997 n°357, secondo il quale “la valutazione di
incidenza di piani o di interventi che interessano proposti siti di importanza
comunitaria, siti di importanza comunitaria e zone speciali di conservazione
ricadenti, interamente o parzialmente, in un'area naturale protetta nazionale… è
effettuata sentito l'ente di gestione dell'area stessa”, mentre le modalità di
presentazione dei relativi studi sono definite dalla Regione, nel caso di specie
attraverso il regolamento richiamato in narrativa. Come accertato dalla CTU
Zanetti (pp. 23-26), e comunque non contestato, la valutazione di incidenza che
qui interessa è stata compiuta anzitutto rispettando il dato formale, dato che
“sono stati richiesti i pareri di tutti gli enti gestori di SIC/ZPS interessati,
i quali hanno tutti fornito un riscontro” (p. 25, secondo paragrafo); è stato
rispettato poi anche il dato sostanziale, nei limiti richiesti dalla normativa,
dato che “il decreto di approvazione dell’incidenza subordina la propria
efficacia al rispetto di molte prescrizioni, accogliendo numerose richieste dei
vari enti gestori”; fra le richieste non accolte, peraltro, alcune sono
all’evidenza “non direttamente attinenti”: ci si riferisce alle prescrizioni
sull’uso delle munizioni di piombo, che “paiono più indicazioni su possibili
sviluppi di indagine futura che vincoli all’attività presente”, alle
prescrizioni sull’incremento della ricerca scientifica, che non attiene al PFV,
e all’individuazione della zona Alpi, di cui si tratterà a suo luogo, ma per
quel che qui rileva non attiene alla conservazione delle zone già protette (cfr.
CTU, pp. 25 e 26). Per quanto poi specificamente attiene al parere negativo
espresso dal WWF per il SIC “Valpredina”, ad avviso del CTU le sue motivazioni
“non possono ritenersi non considerate”, atteso che nel decreto vi sono numerose
prescrizioni che riguardano il sito in esame (CTU, p. 26), e all’evidenza
considerare non significa condividere puramente e semplicemente. Ad avviso del
Collegio, vi è stato quindi quell’esame complessivo delle osservazioni e quel
confronto delle stesse con gli interessi sottesi al piano che la legge richiede,
con un esito scevro di contraddizioni e quindi non censurabile in questa sede.
7. Va respinto anche il ventiquattresimo motivo di ricorso, in quanto, come
rilevato dalla Provincia nei termini di cui in premesse e condiviso anche dal
CTU (p. 26 in fondo), né l’art. 10 comma 7 della l. 157/1992, né l’art. 15 della
l. r. 26/1993, né alcuna altra norma, nel prevedere lo strumento del Piano di
miglioramento fondiario come diverso e distinto dal PFV, prevedono forme di
coordinamento obbligatorio fra i due. In mancanza di specifiche censure
attinenti il rapporto fra le scelte concretamente operate dai due strumenti,
l’operato della Provincia, che li ha impostati separatamente, va ritenuto di per
sé legittimo.
8. Infondato in fatto è il venticinquesimo motivo, concernente l’asserita
mancata previsione del divieto di caccia nelle zone percorse dal fuoco. In
proposito, occorre rilevare un dato evidente: il Piano faunistico venatorio è
strumento destinato a valere per un periodo di tempo non brevissimo, o
addirittura, come nel caso di specie (v. prima pagina terzo paragrafo del Piano
in parola), valido a tempo indeterminato, salve modifiche. Viceversa, le aree
percorse dal fuoco rappresentano una realtà mutevole, anche nel giro di tempi
assai brevi. Pertanto, uno strumento pianificatorio che, a qualsivoglia fine,
sia tenuto ad individuare tali aree, non può operare nel modo classico, ovvero
facendo riferimento ad una cartografia allegata, e destinata a rimanere la
medesima per tutta la vigenza del piano stesso: è necessaria una diversa
soluzione tecnica, che garantisca un costante aggiornamento dello stato di
fatto.
9. Nel caso di specie, il Piano (v. p. 205 dell’elaborato) contiene un rinvio ad
una cartografia tematica presente nella rete Internet in un sito di pertinenza
della Provincia, cartografia che è in tal modo resa disponibile al pubblico e
costantemente aggiornata con i dati più attendibili, quelli del Corpo forestale
dello Stato, che com’ è noto è precipuamente investito di compiti di difesa
dagli incendi boschivi. Pertanto, in termini banali, chi intenda andare a caccia
nella Provincia di Bergamo ha senz’altro la possibilità, collegandosi al sito
della cartografia – per inciso individuabile anche con un comune motore di
ricerca, inserendo i termini “aree percorse dal fuoco provincia di Bergamo”- di
individuare le aree vietate ai sensi della l. 353/2000, perché colpite da
incendi. E’ poi il caso di chiarire che il divieto di caccia in tali aree
discende direttamente dalla legge ( art. 10 comma primo ultima parte della l.
citata: “Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle
zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia.”) e non è subordinato
alla individuazione di esse con qualche specie di atto formale, segnatamente in
un catasto da istituire a cura dei Comuni: in tal senso, l’affermazione
contenuta nel Piano a p. 205, secondo la quale “la perimetrazione non fornita
dai Comuni non costituisce i vincoli”, se riferita al divieto di caccia, è
sicuramente erronea; su tale errore, però prevale il dato indiscutibile per cui
le aree in esame sono tutte individuabili con gli strumenti offerti dal Piano
stesso, e quindi il cittadino è nelle condizioni di rispettare il divieto di
legge.
10. Il ventiseiesimo motivo di ricorso va respinto perché apodittico: come
rilevato anche dalla difesa della Provincia, i presunti vizi nella metodologia
seguita nell’ambito della VAS di piano sono asseriti, ma non dimostrati: non è
spiegato in sintesi perché il documento di scoping relativo sarebbe da ritenere
“del tutto inadeguato” (p. 24 del ricorso per motivi aggiunti in esame), né
giovano in proposito le argomentazioni sviluppate di seguito dal ricorrente (p.
25: “il rapporto ambientale dovrebbe valutare le alternative… detto banalmente,
perché qui la caccia al cinghiale e non altrove? Perché non escludere tout court
la caccia al cinghiale?...”), che appaiono volte a censurare il merito delle
scelte operate, all’evidenza non valutabile nella presente sede.
11. Il ventisettesimo motivo di ricorso, incentrato come si è detto sulla
presunta inadeguata individuazione della zona alpina, è invece fondato nei
termini di cui appresso. Anzitutto, va ricordato che l’individuazione in parola
non ha mero scopo scientifico o conoscitivo, ma è richiesta dalla normativa in
materia: per quanto qui rileva, ai sensi degli artt. 10 comma 3 della l.
157/1992 e dell’art. 13 comma 3 della l. r. 26/1993, la zona alpina è
considerata zona faunistica a sé stante, e comporta una percentuale di
territorio da adibire a quota protetta di TASP dimezzata rispetto alle altre
zone; inoltre, ai sensi degli artt. 21 comma 3 della l. 157/1992 e 43 comma 3
della l. r. 26/1993, è vietata la caccia “sui valichi montani interessati dalle
rotte di migrazione dell'avifauna per una distanza di mille metri dagli stessi;
i valichi sono individuati… esclusivamente nel comparto di maggior tutela della
zona faunistica delle Alpi e devono essere indicati nei piani”. Pertanto, se la
zona alpina non è correttamente individuata, gli istituti appena illustrati non
possono in fatto operare.
12. Ciò posto, esaminando sia l’elaborato del CTU, sia le osservazioni dei CTP,
emerge un dato di tutto rilievo: non esistono criteri scientifici univoci e
condivisi da tutti i quali consentano di individuare un dato territorio come
“zona alpina” (così espressamente rel. Zanetti, p. 16 ottava riga; v. però in
senso sostanzialmente conforme anche rel. CTP Spagnesi, p. 14 secondo paragrafo
e rel. CTP Tosi, p. 20 in fine, ove si ritengono accettabili almeno due approcci
distinti). Secondo tutti gli esperti interpellati, infatti, sono in sintesi
possibili più soluzioni, a seconda che si seguano prevalentemente criteri
ecologici- fondati sulla presenza o assenza di determinate specie animali e
vegetali, che peraltro non va intesa in senso meccanico, perché banalmente la
presenza di un solo esemplare di specie “alpina” è di per sé poco significativa
per classificare il territorio- ovvero che si affianchino agli stessi criteri
fondati sull’esame delle tradizioni locali (v. ancora rel. Zanetti, pp. 15-19,
rel. CTP Spagnesi, pp. 11-17 e rel. CTP Tosi, pp. 20-25).
13. In tale contesto si inserisce il rilievo fondamentale operato dal CTU, per
cui il PFV “non contiene alcuna considerazione che consenta di comprendere quale
istruttoria e quali valutazioni abbiano preceduto l’individuazione della zona
Alpi. Nella parte che definisce la perimetrazione dei CAC e ATC, il piano si
limita a definire ‘positivamente collaudata’ la precedente delimitazione,
risalente addirittura al 1997 (a trent’anni fa, nell’analisi del prof. Tosi)”
(CTU, p. 22, secondo paragrafo delle conclusioni al quesito 2). In tali termini,
l’atto amministrativo rappresentato dalla approvazione del Piano in esame si
deve ritenere illegittimo, perché anche gli strumenti pianificatori, pur non
soggetti come si è detto ad un obbligo puntuale di motivazione ai sensi
dell’art. 3 della . 241/1990, debbono pur sempre giustificare le scelte compiute
in termini razionali, e non è all’evidenza razionale una scelta che non renda in
alcun modo esplicita la metodologia seguita nel conformarsi ad un criterio o ad
un altro, allorquando più di uno sia in astratto possibile. In proposito, non
basterebbe affermare che il richiamo alla delimitazione del 1997 costituirebbe
motivazione per relationem, di per sé esaustiva, perché lo stesso CTU (p. 16
elaborato, quartultima riga), con valutazione non contestata, evidenzia come “i
criteri per la corretta tutela della fauna alpina devono basarsi su concetti
dinamici, e non statici”: detto altrimenti, nel lasso di tempo intercorso fra il
1997 ed oggi la situazione di fatto potrebbe essere mutata, e i criteri
all’epoca seguiti non essere più attuali. In tali termini, non si può entrare
nel merito delle considerazioni svolte nella CTP Tosi, che alle pp. 26-31
difende la correttezza delle scelte del Piano: quel che rileva nella sede
presente è che tali considerazioni nel Piano non siano contenute, e
costituiscano comunque giustificazione a posteriori, non valorizzabile nella
presente sede di giurisdizione di legittimità.
14. E’ parimenti fondato il motivo ventottesimo, imperniato sulla censura alle
modalità di calcolo della quota protetta di TASP, concetto la cui definizione è
stata ampiamente illustrata in premesse. In questa sede, per migliore
intelligenza, vanno premessi i riferimenti normativi completi della materia. In
proposito, dispone anzitutto l’art. 10 commi 3 e 4 della l. 11 febbraio 1992
n°157: “Il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione è destinato per una
quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione
per il territorio delle Alpi di ciascuna regione, che costituisce zona
faunistica a sé stante ed è destinato a protezione nella percentuale dal 10 al
20 per cento. In dette percentuali sono compresi i territori ove sia comunque
vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni
[comma 3]. Il territorio di protezione di cui al comma 3 comprende anche i
territori di cui al comma 8, lettere a), b), e c). Si intende per protezione il
divieto di abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti
atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole
[comma 4].”. I divieti di caccia di cui al comma 8 lettere citate riguardano poi
“le oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta
della fauna selvatica” [lettera a], “le zone di ripopolamento e cattura,
destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla
cattura della stessa per l'immissione sul territorio in tempi e condizioni utili
all'ambientamento fino alla ricostituzione e alla stabilizzazione della densità
faunistica ottimale per il territorio” [lettera b] e centri pubblici di
riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di
ricostituzione delle popolazioni autoctone” [lettera c]. Ai sensi della
normativa nazionale, è quindi chiaro che il TASP su cui calcolare la quota
protetta deve essere un territorio in una parola utile alla fauna selvatica,
ovvero una zona nella quale la stessa possa vivere e riprodursi in modo
relativamente indisturbato, in modo da costituire una sorta di cuscinetto per la
conservazione nel tempo della fauna medesima.
15. Nella Regione Lombardia, dispone in materia l’art. 13 commi 3 e 4 della l.r.
16 agosto 1993 n°26, che inizialmente prevedeva: “Il territorio
agro-silvo-pastorale della regione [utile alla fauna selvatica] è destinato, per
una quota dal dieci al venti per cento in zona Alpi e per una quota dal venti al
trenta per cento nel restante territorio, a protezione della fauna selvatica; in
dette quote sono compresi i territori ove è comunque vietata l'attività
venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni comprese tutte le aree
in cui l'esercizio venatorio è vietato dalla presente legge e, in particolare,
dalle disposizioni di cui [all'articolo 1, comma 4, e] agli articoli 17,
[limitatamente alle oasi], 18, 37 e 43 [comma 3]. Nei territori di protezione,
[compresi quelli] di cui all'art. 14, comma 3, lettere a), b), e c) sono vietati
l'abbattimento e la cattura a fini venatori e sono previsti interventi atti ad
agevolare la sosta e la riproduzione della fauna [comma 4]”. Le norme richiamate
erano poi le seguenti: il divieto di caccia nelle zone di protezione istituite
ai sensi delle direttive comunitarie sulle rotte di protezione dei migratori, di
cui all’articolo 1 comma 4; il divieto di caccia nelle oasi e zone di
protezione, previsto dall’art. 17 e richiamato limitatamente alle oasi; il
divieto di caccia nelle zone di ripopolamento e cattura di cui all’art. 18; i
divieti di caccia stabiliti a vantaggio dei terreni agricoli e dei fondi chiusi
ai sensi dell’art. 37 e il divieto di caccia sui valichi montani interessati
dalle rotte di migrazione di cui all’art. 43 comma 3. Da ultimo, i territori di
protezione di cui all’ultima parte della norma, previsti dall’art. 14 comma 3
lettere a) e b), coincidono con quelli previsti dalla legge nazionale, e sono le
oasi di protezione e le zone di ripopolamento e cattura. In tali termini, non si
dubitava allora che il concetto di quota protetta di TASP previsto dalla legge
lombarda nella sua prima versione coincidesse con quello previsto dalla legge
nazionale, nel senso di essere un territorio, come si è detto, utile alla fauna
selvatica.
16. Sul testo della l.r. 26/1993 come sopra riportato, è poi intervenuta la già
ricordata l.r. 27 febbraio 2007 n°5, che ha soppresso le parole sopra indicate
fra parentesi quadre: di conseguenza, per quanto qui rileva, è scomparsa la
precisazione espressa, per cui il TASP doveva essere comunque “utile alla fauna
selvatica” e per determinare i terreni che ne possono far parte ora si fa un
rinvio indifferenziato a tutto l’art. 43, non soltanto al comma 3 dello stesso.
L’art. 43 già citato, poi, contiene, sempre in modo indifferenziato, tutti i
divieti vigenti in materia di caccia: si va dal divieto di praticarla in
determinati terreni, a puro titolo di esempio in parchi privati, al divieto di
praticarla con certe modalità, sempre a puro titolo di esempio sparando da
veicoli a motore. Si tratta ora di stabilire le conseguenze per la materia in
esame di tale intervento del legislatore regionale.
17. L’associazione ricorrente ha sostenuto in principalità che l’effetto della
l.r. 5/2005 sarebbe, in sintesi estrema, una vanificazione almeno parziale della
tutela offerta dal TASP destinato a zona di protezione, tutela che sarebbe assai
ridotta rispetto a quanto previsto dalla legge nazionale. Infatti, sempre ad
avviso del WWF, la legge in questione consentirebbe ora che la quota di TASP
destinata a zona di protezione non fosse utile alla fauna selvatica, e
permetterebbe quindi – a differenza di quanto prevede la legge nazionale- di
ricomprendervi anche terreni nei quali la caccia è sì vietata, ma che non
possono essere per le loro caratteristiche inclusi nel concetto di terreno
adatto “ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della
prole”. Si tratterebbe, in particolare, delle fasce di rispetto ferroviario,
stradale e urbano, o “buffer”, nelle quali è vietata la caccia ai sensi
dell’art. 43 comma 1 lettera e) (“è vietato… l'esercizio venatorio… nelle zone
comprese nel raggio di cento metri da immobili, fabbricati e stabili adibiti ad
abitazione o a posto di lavoro ed a distanza inferiore a cinquanta metri da vie
di comunicazione ferroviaria e da strade carrozzabili…”), ma che all’evidenza
scarso asilo offrono alla fauna selvatica, se non altro per il disturbo e
l’inquinamento che vengono dal traffico e dalla presenza umana. Sempre secondo
l’associazione ricorrente, intesa in tal senso la normativa regionale sarebbe
incostituzionale, per contrasto con l’art. 117 comma secondo lettera s). In
altre parole, con la legge nazionale lo Stato avrebbe fissato un presidio minimo
di tutela che la Regione non potrebbe, ai sensi della norma citata, modificare
in peius.
18. Il Collegio non concorda con la predetta interpretazione. In proposito va
premesso che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Provincia di Bergamo (p.
33 memoria 18 dicembre 2009), la questione non può dirsi già risolta dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale, e in particolare dalla sentenza 30
dicembre 1997 n°448, che tale difesa invoca, e che si limita a pronunciarsi su
una legge regionale ligure diversa da quella qui in esame, senza stabilire in
via generale e assoluta quali criteri la Regione possa o non possa adottare per
calcolare la quota di TASP da destinare a zona protetta.
19. Il Collegio si richiama invece al canone proprio della giurisprudenza della
Corte costituzionale, per cui se di un dato testo legislativo sono possibili più
interpretazioni deve preferirsi, ogni volta che è possibile, quella che non
comporta contrasto con la Carta fondamentale (per tutte in questo senso, C.
cost. 27 luglio 1989 n°456), e rileva che tale interpretazione conforme alla
Costituzione nella specie è senz’altro possibile. Infatti, la lettera novellata
dell’art. 13 della l.r. 26/1993 non impedisce di ritenere che il requisito di
utilità per la fauna selvatica, ancorché non più menzionato in modo esplicito,
continui ad essere richiesto per la quota protetta di TASP in conformità ai
principi nazionali e all’art. 117 lettera s) Cost. Pertanto, lo stesso art. 13
va interpretato nel senso che i terreni di cui all’art. 43 successivo, che
possono andare a comporre il TASP protetto, siano non genericamente tutti quelli
ove la caccia è vietata, ma soltanto quelli che possono servire di rifugio alla
fauna stessa. A tale interpretazione non osta certo la lettera dello stesso art.
43, che come si è visto comprende un elenco di divieti piuttosto eterogeneo, e
non può certo intendersi come oggetto di rinvio complessivo e totale. Pertanto,
ai sensi della normativa così interpretata, sicuramente potrà far parte della
quota protetta di TASP un territorio ove la caccia è vietata ai sensi del comma
1 lettera b), perché si tratta di area protetta; non già il territorio delle già
ricordate fasce di rispetto stradali, ferroviarie e urbane.
20. In tali termini, va accolta la censura sostenuta dal WWF in via subordinata
alla eccezione di costituzionalità, ovvero che il Piano per cui è causa è
illegittimo per contrasto con la normativa correttamente interpretata. La CTU
Zanetti (pp. 30-32), non smentita dagli elaborati dei CTP, ha infatti
riscontrato che parte significativa del TASP protetto individuato dal Piano è
costituito dai buffer predetti, e quindi da terreni inidonei a svolgere la
richiesta funzione di protezione dei selvatici. In senso conforme, del resto,
anche il D.P.R. 21 febbraio 2006 su parere del C.d.S. sez. II 6 aprile 2005 in
pratica 2728/2003 (doc. 3 Provincia, cit.), citato in premesse, che come si è
detto in sede di ricorso straordinario ebbe ad annullare una precedente versione
del PFV bergamasco proprio per avere incluso i buffer stradali nella quota di
TASP protetto, del quale, contrariamente a quanto dedotto dall’Amministrazione,
non si è ritenuto di tener conto. Il Piano va quindi annullato anche sotto
questo profilo, che l’Amministrazione dovrà effettivamente considerare nel
riesercitare il proprio potere.
21. Il ventinovesimo motivo, concernente la presunta mancata inclusione nel
Piano dei divieti venatori a tutela dei siti della “Rete natura”, le c.d. ZPS o
Zone a Protezione Speciale, è invece non fondato. Le norme invocate
dall’associazione ricorrente, ovvero i divieti imposti dalla normativa nazionale
e quelli imposti con gli atti amministrativi demandati alla Regione, sono
automaticamente recepiti nel Piano in questione, alla p. 7, ove si legge un
autonomo paragrafo intitolato alle “Disposizioni particolari per i siti della
Rete Natura 2000”, nel quale si prevede che “Eventuali provvedimenti di livello
nazionale o regionale che andranno a disciplinare l’esercizio venatorio” nei
siti in questione “verranno automaticamente recepiti dalla pianificazione
faunistico venatoria”, con espresso rinvio a quelle che la Regione è tenuta ad
approvare in attuazione della norma nazionale. Si tratta di scelta coerente con
la vigenza a tempo indeterminato del Piano, che ne consente un aggiornamento in
via continua. La Provincia, nelle proprie difese (cfr. memoria 18 dicembre p. 10
e suo doc. 55, copia calendario) ha osservato poi come tale aggiornamento non
sia rimasto a livello di enunciazione di principio, dato che il calendario
venatorio 2008/2009 ha reso esplicito proprio il divieto di uso di munizioni di
piombo nelle zone umide, da intendere recepito dal Piano stesso.
22. Dall’accoglimento del ventisettesimo motivo, consegue un primo profilo di
fondatezza anche del trentesimo motivo, concernente l’asserita insufficienza
delle zone di protezione dei valichi alpini, che il Piano ai sensi dei già
citati artt. 21 comma 3 della l. 157/1992 e 43 comma 3 della l. r. 26/1993
individua con un dato criterio, quello di prevedere per ognuno di essi una
identica zona di divieto di forma circolare. E’ di tutta evidenza, infatti, che
ai sensi della stessa norma regionale citata, ogni intervento sui valichi alpini
presuppone che si sia correttamente individuata la zona alpina in cui gli stessi
vanno di necessità individuati. Pertanto, nel riesaminare la fattispecie, la
Provincia dovrà prima circoscrivere la zona alpina rendendo esplicita la
metodologia seguita, e successivamente compiere in coerenza le proprie scelte in
ordine ai valichi, tenendo poi conto anche di quanto subito si dirà in ordine ai
cd. “capanni”.
23. E’ fondato infatti anche il trentunesimo motivo, di asserita violazione
dell’art. 14 comma 1 lettera l) della l.r. 26/1993, per cui il piano deve recare
“l'identificazione delle zone in cui sono collocati e collocabili gli
appostamenti fissi” per la caccia, comunemente detti appunto “capanni”. In punto
di fatto, è non contestato quanto rileva il CTU alla p. 12 prime righe
dell’elaborato, ovvero che nel Piano in questione non esisteva, all’atto della
sua approvazione, nessuna rappresentazione cartografica dei capanni, ma solo una
indicazione di massima, appunto, delle “zone” in cui essi si trovano. In
proposito, la Provincia si è difesa affermando (pp. 50-52 memoria 18 dicembre
2009) da un lato che non sussisterebbe obbligo alcuno di “georeferenziare” i
capanni, ovvero di indicare con le precise coordinate l’ubicazione di ognuno di
loro, e dall’altro lato che simile “georeferenziazione” sarebbe già in atto in
ossequio ad una disposizione regionale, peraltro concernente i soli capanni
localizzati all’interno dei siti della “Rete Natura” più volte citata.
24. In proposito, ritiene il Collegio che tali difese non valgano a superare la
censura dedotta. Nel proprio elaborato, il CTU evidenzia come l’individuazione
di massima delle sole zone interessate dai capanni abbia “da un punto di vista
pianificatorio significato scarso o addirittura fuorviante”, e che
“l’informazione relativa alla collocazione degli appostamenti esistenti” sia
importante per “definire in fase di pianificazione o di analisi della
pianificazione (valutazione ambientale, valutazione di incidenza) la reale
entità della pressione venatoria” (p. 12). Si tratta di rilievi che il Collegio
condivide, trattandosi a ben vedere di applicazioni alla fattispecie particolare
di principi pacifici del diritto amministrativo, e della comune logica, per cui
l’atto, in ispecie l’atto pianificatorio, deve essere preceduto da una corretta
e completa istruttoria, che in primo luogo dia conto dell’esistente, perché solo
conoscendo l’esistente si può intervenire sullo stesso. E’ quindi evidente che
il disposto di legge, che parla di “zone” da individuare va interpretato nel
modo che precede, unico coerente con i fini della pianificazione, quello che
vuole una localizzazione precisa dei capanni in questione. Va poi rilevato che
non si trattava di onere impossibile da assolvere nel corso del processo
pianificatorio, in quanto (v. CTU, p. 12) gli strumenti per tale individuazione
esistono e già erano nella disponibilità della Provincia: risulta infatti che
negli archivi provinciali sono custoditi i fascicoli concernenti
l’autorizzazione di ciascun capanno, contenenti cartografia catastale della sua
ubicazione nella scala 1:10.000.
25. L’omessa previa individuazione dei capanni è poi rilevante anche per un
profilo ulteriore di fondatezza del motivo trentesimo. Poiché è accertato (cfr.
CTU pp. 12-13, ove si riferisce di sopralluoghi effettuati sul posto) che a
ridosso di alcuni valichi individuati come valichi alpini protetti sono presenti
capanni, l’amministrazione, nel determinare caratteristiche e dimensioni della
zona di protezione, avrebbe dovuto tener conto anche di tale dato, ovviamente
dopo averlo acquisito.
26. Da ultimo, è infondato il trentaduesimo motivo, relativo all’individuazione
delle zone per l’addestramento dei cani da caccia. E’ sufficiente rinviare in
proposito alle conclusioni della CTU (pp. 32-33), secondo la quale la loro
previsione e collocazione è conforme ai criteri della scienza faunistica. In
dettaglio, emerge anzitutto che il Piano prevede zone cinofile di tipo A, che in
astratto secondo la legge regionale possono essere localizzate anche nelle aree
protette, e in concreto con esse non interferiscono, perché la loro attività è
limitata sia nella tipologia sia nel periodo consentito. Emerge ancora che il
piano prevede ulteriori zone cinofile permanenti, non esattamente riconducibili
alle previsioni di legge e regolamento, ma accostabili alle zone di tipo B da
esse contemplate: le zone in questione vanno ritenute legittime, perché il loro
territorio “non si sovrappone con istituti di protezione”, senza che rilevi la
mancata previsione di una loro durata massima, dato che è da ritenere loro
applicabile la norma di legge relativa alle zone B, quelle a loro più simili,
che la determina in tre anni.
27. La particolarità e difficoltà delle questioni trattate è giusto motivo per
compensare le spese; di conseguenza, le spese di CTU, fermo il debito solidale
delle parti costituite nei confronti del consulente, andranno nei rapporti
interni ripartite in quote uguali fra le parti costituite medesime, e si
liquidano, conformemente alle note presentate, in € 7.146,72
(settemilacentoquarantasei/72), al lordo di eventuali acconti, chiarendosi che
si tratta nel caso concreto di compenso non soggetto ad IVA. In proposito, si
considera applicabile l’art. 11 del D.M 30 maggio 2002, che concerne fra l’altro
la perizia concernente “progetti di bonifica agraria e simili”, nei quali
rientra senza dubbio la pianificazione di che trattasi; il compenso esposto
(onorario di € 2.770 per ciascuna delle due perizie svolte, sulle due versioni
del piano) è poi da ritenere congruo in ragione all’importanza della fattispecie
e al valore dei piani periziati, non determinato in una cifra precisa, ma
sicuramente considerevole dato il loro elevato contenuto tecnico e il loro
respiro provinciale. Da ultimo, pur in caso di compensazione il contributo
unificato ai sensi dell’art. 13 comma 6 bis T.U. 115/2002 va posto a carico
della “parte soccombente”, in senso stretto della parte la cui domanda non è
stata accolta, ovvero che ha visto accogliere nei suoi confronti la domanda
avversaria. Applicando tale criterio al caso di specie, occorre allora dire che
la Provincia di Bergamo ha visto accogliere nei propri confronti la domanda di
annullamento, e quindi il contributo unificato va posto a suo carico.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione seconda di
Brescia, definitivamente pronunciando, così provvede:
a) dichiara improcedibili il ricorso principale nonché i ricorsi per motivi
aggiunti primo e secondo;
b) accoglie il terzo ricorso per motivi aggiunti, e per l’effetto annulla la
deliberazione 9 luglio 2008 n°44 del Consiglio provinciale di Bergamo, recante
“Nuovo piano faunistico venatorio”, il decreto 18 giugno 2008 n°6845 della
Direzione generale qualità dell’ambiente della Regione Lombardia, recante
“Valutazione di incidenza del piano faunistico venatorio” e la determinazione
dirigenziale 4 luglio 2008 n°1927, di valutazione ambientale strategica del
predetto piano;
c) compensa per intero le spese fra le parti, ponendo il contributo unificato a
carico della Provincia di Bergamo e le spese di CTU, liquidate in € 7.146,72
(settemilacentoquarantasei/72), al lordo di eventuali acconti, a carico delle
parti costituite in quote uguali fra loro, con vincolo di solidarietà nei
confronti del CTU avente diritto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 11/02/2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Stefano Tenca, Presidente FF
Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario, Estensore
Mara Bertagnolli, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/04/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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