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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 27 maggio 2010, n. 2156
CACCIA - Valichi montani - Divieto di caccia - Art. 21, c. 3 L. n. 157/92 -
L.r. Lombardia n. 26/1993, art. 43, c. 3 - Individuazione dei valichi -
Apprezzamento caso per caso - Istruttoria. Il divieto di caccia in
prossimità dei valichi è previsto a livello nazionale dall’art. 21 comma 3 della
l. 11 febbraio 1992 n°157; nella regione Lombardia, il divieto in questione è
ribadito, con riguardo ai valichi alpini, dall’art. 43 comma 3 della l.r. 16
agosto 1993 n°26. La normativa regionale rende esplicito un dato già contenuto
nella norma statale, ovvero che i valichi montani non sono stati ritenuti
suscettibili di una individuazione a priori, dato che le rotte di migrazione
dell’avifauna sono per natura un dato mutevole. La necessità di sottoporre a
tutela un dato valico deve quindi essere apprezzata caso per caso;
l’individuazione poi presuppone una corretta e completa istruttoria, la quale in
termini banali accerti se, quali e quanti uccelli migratori attraversino la
zona. Pres. Calderoni, Est. Gambato Spisani - LAC (avv. Linzola) c. Provincia di
Brescia (avv.ti Donati e Pola) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 27 maggio
2010, n. 2156
CACCIA - Valichi migratori - Zona di protezione speciale - Elementi comuni -
Differenze. La zona di divieto di caccia relativa ai valichi migratori e la
zona di protezione speciale sono istituti diversi. Le ZPS sono istituto
accomunato alla tutela dei valichi dal comune obiettivo di tutela dell’avifauna
migratrice, ma con funzione diversa, dato che si tratta di zona in cui gli
uccelli non si limitano a transitare in volo, ma possono soggiornare con una
qualche stabilità. Pres. Calderoni, Est. Gambato Spisani - LAC (avv. Linzola) c.
Provincia di Brescia (avv.ti Donati e Pola) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II
- 27 maggio 2010, n. 2156
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 02156/2010 REG.SEN.
N. 01056/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1056 del 2009, proposto da:
Lac - Associazione Lega Per L'Abolizione della Caccia - Onlus, rappresentato e
difeso dall'avv. Claudio Linzola, con domicilio eletto presso Luisella Savoldi
in Brescia, via Solferino, 67;
contro
Provincia di Brescia, rappresentato e difeso dagli avv. Gisella Donati, Magda
Poli, con domicilio eletto presso Magda Poli in Brescia, c.so Zanardelli, 38;
nei confronti di
Ispra - Istituto Superiore della Protezione e La Ricerca Ambientale (Ex I.N.F.S.),
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge
in Brescia, via S. Caterina, 6 (Fax=030/41267); Anuu Cacciatori Migratoristi
Italiani - Sez. Provinciale di Brescia, Regione Lombardia; Consiglio Regionale
della Lombardia, rappresentato e difeso dagli avv. Riccardo Caccia, Silvia
Snider, con domicilio eletto presso Donatella Mento in Brescia, via Cipro, 30
(Fax=030/2449770);
per l’annullamento, previa adozione di misura cautelare,
della deliberazione 24 agosto 2009 n°418 della Giunta provinciale di Brescia,
avente ad oggetto “Funzioni in materia di caccia: provvedimenti urgenti a tutela
dell’avifauna migratoria nelle località Colle San Zeno e Passo del Maniva, in
ottemperanza alla ordinanza TAR 26 giugno 2009”;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Brescia e di Ispra -
Istituto Superiore della Protezione e La Ricerca Ambientale (Ex I.N.F.S.) e di
Consiglio Regionale della Lombardia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2010 il dott. Francesco
Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’art. 21 comma 3 della l. 11
febbraio 1992 n°157, ovvero della legge quadro nazionale in materia di caccia,
dispone che la caccia stessa sia “vietata su tutti i valichi montani interessati
dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli
stessi”; a sua volta, l’art. 43 comma 3 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26
inizialmente disponeva identico divieto, aggiungendo che “i valichi sono
individuati dalle province sentito l'INFS, e comunque nel comparto di maggior
tutela della zona faunistica delle Alpi e devono essere indicati nei piani di
cui agli artt. 12 e 14 e nei calendari venatori”; tale ultima norma regionale è
stata modificata dall’art. 2 della l.r. Lombardia 16 settembre 2009 n°21, in
vigore dal 19 settembre 2009, nel senso che la competenza a individuare i
valichi protetti in parola sia invece attribuita al “Consiglio regionale su
proposta delle province”: il presente ricorso concerne le vicende
dell’attuazione di detta normativa nella Provincia di Brescia.
L’associazione ricorrente, che com’è noto ha per scopo statutario la completa
abolizione della caccia, ancorché regolamentata, ha ricordato nel proprio atto
introduttivo di essersi attivata già con diffida 21 dicembre 2006 per indurre la
Provincia, come si è detto allora competente, a individuare i valichi protetti
per cui è processo; a fronte del silenzio serbato dall’amministrazione
diffidata, la LAC adiva allora questo Tribunale per sentirne dichiarare
l’illegittimità, e otteneva a proprio favore la sentenza 6 luglio 2007 n°595,
nella quale si accertavano “il carattere ingiustificato del silenzio e l’obbligo
della Provincia di avviare e concludere la procedura di revisione del piano
faunistico-venatorio sulla base della documentazione prodotta dalla LAC” (fatti
non controversi nella presente causa).
Avviata la procedura di revisione in parola come da provvedimento della Giunta
provinciale bresciana 25 luglio 2007 n°357 (doc. 5 Provincia, copia di esso), la
LAC ne riteneva nondimeno insoddisfacente l’esito ultimo, ovvero la
deliberazione 31 marzo 2009 n°31 del Consiglio provinciale di Brescia, che a suo
dire non individuava correttamente i valichi protetti; la impugnava pertanto
avanti questo Tribunale, ottenendo nel relativo giudizio n°588/09 R.G. tuttora
pendente, l’ordinanza cautelare 26 giugno 2009 n°432, la quale, in sintesi
estrema, ordinava alla Provincia di “determinarsi nuovamente” in ordine a due
specifici siti, il valico di Colle San Zeno e il “Giogo del Maniva”, ritenuti di
particolare importanza per le migrazioni (fatti sempre non controversi in
causa).
A seguito di tale ordinanza cautelare, la Giunta provinciale bresciana ha allora
emanato la deliberazione 24 agosto 2009 n°418 di cui in epigrafe, per la quale è
causa, e che prende atto dell’ordinanza medesima, ravvisa “l’urgenza di dettare,
prima dell’apertura dell’imminente stagione venatoria, concrete misure di
salvaguardia ad ulteriore tutela dell’avifauna migratoria nelle località di cui
all’oggetto, in conformità alle statuizioni TAR” e quindi delibera “di vietare
la caccia vagante all’avifauna migratoria nel raggio di mille metri dalla
sommità del ‘Colle San Zeno e Foppella’ nel territorio dei Comuni di Pezzaze,
Pisogne e Tavernole, ad eccezione della beccaccia con uso del cane; di disporre
la stessa misura con la medesima eccezione in località ‘Giogo del Maniva’, in
territorio dei Comuni di Collio e Bagolino; di proseguire nell’attività di
monitoraggio svolta dal Centro ornitologico istituito al Colle di San Zeno in
collaborazione con l’INFS, ora ISPRA” (doc. 1 ricorrente, copia provvedimento
impugnato).
Avverso tale provvedimento, la LAC ha proposto impugnazione con ricorso
articolato in quattro censure, riconducibili in ordine logico ai seguenti
motivi:
- con il primo di essi, corrispondente alla prima censura a p. 7 del ricorso,
deduce incompetenza, perché l’atto adottato avrebbe natura pianificatoria, e
come tale ai sensi dell’art. 42 TUEL sarebbe di competenza del Consiglio e non
della Giunta, come confermato indirettamente dalla citata l.r. Lombardia 16
settembre 2009 n°21, la quale, nel trasferire la competenza alla Regione, la
demanda al Consiglio regionale;
- con il secondo di essi, corrispondente alle censure seconda e terza alle pp.
8-10 del ricorso, deduce violazione degli artt. 21 comma 3 della l. 157/1992 e
dell’art. 43 comma 3 della l.r. Lombardia 26/1993, perché nel sito in questione
la caccia si sarebbe dovuta ad avviso della ricorrente vietare puramente e
semplicemente, mentre per ragioni oltretutto non precisate il provvedimento
impugnato ha ritenuto consentire la caccia non vagante, ovvero da appostamento
fisso e la caccia alla beccaccia, ritenuta specie in forte declino;
- con il terzo di essi, corrispondente alla quarta censura alla p. 10 del
ricorso, deduce ancora violazione della direttiva 79/409/CEE, in quanto i
valichi protetti a suo dire sarebbero soggetti comunque ad un divieto assoluto
di caccia in quanto assimilabili alle zone di protezione speciale, in sigla ZPS,
previste da tale direttiva.
In chiusura del ricorso, infine, l’associazione ricorrente ha puntualizzato di
avere evocato nel presente giudizio anche il Consiglio regionale lombardo, in
quanto divenuto, come si è detto, competente ad individuare i valichi in
questione e quindi, a dire della ricorrente, destinatario dell’emananda misura
cautelare; sempre in chiusura del ricorso la ricorrente ha però puntualizzato
anche che “il presente giudizio non verte specificamente sull’ottemperanza alla
sentenza n°595/07” di questo Giudice (ricorso, p. 11 ultimo paragrafo).
Hanno resistito l’ISPRA, con atto 5 novembre 2009, il Consiglio regionale, con
memorie 5 novembre 2009 e 15 aprile 2010, e la Provincia di Brescia con memorie
4 novembre 2009 e 23 marzo 2010, chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile per carenza di interesse e comunque respinto nel merito.
La Sezione, respinta l’istanza cautelare con ordinanza 18 novembre 2009 n°713,
confermata in sede di appello dall’ordinanza C.d.S. sez. V 28 gennaio 2010
n°456, all’udienza del giorno 29 aprile 2010 tratteneva la causa in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.
1. In via preliminare, è infondata la prima eccezione di inammissibilità del
ricorso per difetto di interesse, proposta dalla Provincia di Brescia a p. 9
della memoria 4 novembre 2009, sul presupposto che il ricorso stesso sarebbe
volto a contestare un provvedimento ampliativo, e non restrittivo, dei vincoli
posti all’attività venatoria, che quindi si porrebbe in linea, e non in
contrasto, con gli obiettivi dell’associazione che lo propone. In proposito, è
agevole osservare che il ricorso giurisdizionale amministrativo è sorretto da un
idoneo interesse ad agire tutte le volte che dal suo accoglimento potrebbe, ove
la prospettazione del ricorrente fosse fondata, derivare un effetto favorevole
al ricorrente stesso; in modo simmetrico, è inammissibile quando il suo
accoglimento porterebbe a creare una “posizione deteriore rispetto a quella
derivante dal provvedimento impugnato”, così come affermato in particolare da
C.d.S. sez. V 17 ottobre 1987 n°635.
2. Alla stregua di tale principio, nel caso di specie l’interesse allora
sussiste, in quanto l’associazione ricorrente vorrebbe, attraverso i motivi di
ricorso da essa articolati, che l’amministrazione venisse vincolata ad emettere,
per i valichi montani considerati dal provvedimento impugnato, un divieto di
caccia di intensità maggiore di quello già imposto, e quindi si propone di
conseguire un risultato più favorevole di quello messo in discussione.
3. Parimenti infondata è la seconda eccezione preliminare proposta sempre dalla
Provincia di Brescia, a p. 10 della memoria 4 novembre 2009, in quanto, secondo
logica, l’atto impugnato in questa sede sarebbe meramente confermativo della
delibera della Giunta provinciale 25 luglio 2007 n°357 di cui si è detto in
narrativa, sì che la mancata impugnazione di questa renderebbe inammissibile il
ricorso proposto nella sede presente. In termini generali - per tutte C.d.S.
sez. V 29 dicembre 2009 n°8853- “il provvedimento amministrativo ha natura
confermativa quando, senza acquisizione di nuovi elementi di fatto e senza
alcuna nuova valutazione, tiene ferme le statuizioni in precedenza adottate;
invece, se viene condotta un'ulteriore istruttoria, anche per la sola verifica
dei fatti o con un nuovo apprezzamento di essi, il mantenimento dell'assetto
degli interessi già disposto ha carattere di nuovo provvedimento, poiché esprime
un diverso esercizio del medesimo potere”, ed è quindi impugnabile in via
autonoma anche se non si sia contestato il provvedimento precedente. E’ quanto
si verifica nel caso di specie, in cui il provvedimento per cui è causa non
tiene affatto senz’altro ferme le statuizioni precedenti, ma, in ottemperanza
alla decisione di questo TAR di cui si è detto, dispone misure “di salvaguardia”
per eseguire un ulteriore “monitoraggio”, ovvero una più approfondita
istruttoria (v. doc. 1 ricorrente, cit.).
4. Il ricorso è però infondato nel merito. Per chiarezza, la trattazione dei
motivi in cui esso si articola deve essere preceduta da una corretta
qualificazione giuridica del provvedimento di che trattasi, ovvero della più
volte citata deliberazione 24 agosto 2009 n°418 della Giunta provinciale di
Brescia. E’ noto in termini generali che il divieto di caccia in prossimità dei
valichi è previsto a livello nazionale dall’art. 21 comma 3 della l. 11 febbraio
1992 n°157, per cui “La caccia è vietata su tutti i valichi montani interessati
dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli
stessi”; nella regione Lombardia, il divieto in questione è ribadito, con
riguardo ai valichi alpini, dall’art. 43 comma 3 della l.r. 16 agosto 1993 n°26,
per cui, secondo il testo ora vigente, “La caccia è vietata sui valichi montani
interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna per una distanza di mille
metri dagli stessi; i valichi sono individuati dal Consiglio regionale su
proposta delle province sentito l'INFS, esclusivamente nel comparto di maggior
tutela della zona faunistica delle Alpi e devono essere indicati nei piani di
cui agli artt. 12 e 14 e nei calendari venatori”.
5. In tali termini, la normativa regionale rende esplicito un dato già contenuto
nella norma statale, ovvero che i valichi montani di cui si ragiona non sono
stati ritenuti suscettibili di una individuazione a priori, la quale secondo
logica avrebbe portato a indicarli in via diretta nel testo di legge, e ciò
appare senz’altro corretto, dato che le rotte di migrazione dell’avifauna sono
per natura un dato mutevole. La necessità di sottoporre a tutela un dato valico
deve quindi essere apprezzata caso per caso,come risulta proprio dalla norma
regionale, che parla di “individuazione”; l’individuazione stessa poi, secondo i
principi, presuppone una corretta e completa istruttoria, la quale in termini
banali accerti se, quali e quanti uccelli migratori attraversino la zona.
6. Ciò premesso, la prospettazione giuridica contenuta nel ricorso dà per
scontato quanto è invece tuttora oggetto di indagine, ovvero che i valichi di
cui si tratta, il Colle San Zeno e il Giogo del Maniva, siano senz’altro valichi
migratori; sempre in tale ordine di idee, per tali valichi l’amministrazione
avrebbe allora dovuto imporre il divieto totale di caccia di cui alle norme
citate, e avrebbe errato prevedendone uno soltanto parziale.
7. Tale prospettazione, ad avviso del Collegio, non va condivisa. Come risulta a
semplice lettura del provvedimento impugnato, il carattere “migratorio” oppure
no dei valichi in questione è ancora in discussione, dato che si prevede di
continuare l’indagine in proposito attraverso il già ricordato “monitoraggio”;
nemmeno si può poi dire che tale indagine sia ad oggi arrivata ad esiti
definiti. Non è infatti valorizzabile in tal senso, come pretenderebbe la
ricorrente, il parere dell’ISPRA 2 dicembre 2009 (prodotto senza numero in data
8 febbraio 2010 a sostegno della istanza di prelievo), che si limita a ribadire
come il divieto di caccia sui valichi migratori sia assoluto, ma nulla dice
sulla situazione dei due valichi in questione.
8. Alla luce di tali considerazioni, è infondato anzitutto il primo motivo di
ricorso. L’atto impugnato non riveste infatti carattere pianificatorio, in
quanto non disciplina i valichi di carattere migratorio, ma ha semplice valenza
istruttoria e cautelare: mira a raccogliere elementi di decisione, disponendo
nelle more misure di salvaguardia. Si tratta di provvedimento pacificamente di
competenza della Giunta, a mente dell’artt. 42 comma 2 e 107 TUEL, per cui la
Giunta stessa compie tutti gli atti non espressamente demandati al Consiglio e
salva la competenza dei dirigenti, che non ricorre trattandosi di un atto di
indirizzo politico amministrativo, volto come si è detto a verificare se un atto
pianificatorio come il piano faunistico debba o no essere integrato in un dato
modo. E’ solo per chiarezza che si aggiunge che, alla luce della modifica
legislativa di cui al già ricordato art. 2 della l.r. Lombardia 16 settembre
2009 n°21, l’individuazione finale dei valichi spetta ora al Consiglio
regionale, e l’istruttoria compiuta dalla Provincia ora ha la funzione di
consentire la relativa “proposta”.
9. E’ parimenti infondato il secondo motivo di ricorso, concernente il presunto
difetto di motivazione del provvedimento impugnato, che si censura in quanto,
come si è detto, non vieterebbe puramente e semplicemente la caccia nelle zone
indicate. In proposito, il Collegio condivide quanto sottolineato dal Consiglio
di Stato nell’ordinanza di appello cautelare citata in premesse, ovvero che in
tal modo l’associazione ricorrente mira a “consolidare in sede preventiva gli
effetti di un divieto la doverosità del quale non è allo stato provata”. In
altri termini, la ricorrente vorrebbe che fosse imposta senz’altro una
disciplina limitativa che potrà, se mai, conseguire all’accertamento del
carattere “migratorio” dei valichi in questione, e che allo stato sarebbe
prematura. Nelle more dell’istruttoria, il divieto parziale disposto a
salvaguardia non appare viziato da illogicità sindacabile nella sede presente,
anche per quanto riguarda la tutela della beccaccia, il cui carattere di specie
“in forte declino” non esclude, come ammesso anche dalla ricorrente (ricorso p.
9), che si tratti di specie di regola cacciabile. Né illogica appare la scelta
di consentire la caccia da appostamento fisso, trattandosi come è evidente in
una situazione ancora non definita di contemperare l’interesse alla tutela della
fauna con quello dei titolari degli appostamenti stessi, legittimamente
realizzati sulla base dei relativi provvedimenti di autorizzazione, oltretutto
onerosi.
10. Da ultimo, è infondato anche il terzo motivo di ricorso, dato che la zona di
divieto di caccia relativa ai valichi migratori e la zona di protezione speciale
sono istituti diversi. Delle norme che disciplinano il divieto di caccia sui
valichi, già si è detto; si deve in questa sede aggiungere che le zone di
protezione speciale sono istituto distinto, previsto da una norma a sé stante.
Si tratta infatti dell’art. 1 comma 5 della l. 157/1992, per cui “In attuazione
delle direttive, Dir. 79/409/CEE, Dir. 85/411/CEE e Dir. 91/244/CEE sono
istituite lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, segnalate dall'istituto
nazionale per la fauna selvatica, zone di protezione finalizzate al mantenimento
ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche degli habitat interni a
tali zone e ad esse limitrofi e si provvede al ripristino dei biotopi distrutti
e alla creazione di biotopi. Tali attività concernono particolarmente le specie
elencate nell'allegato I delle citate direttive”. Come è evidente, si tratta di
istituto accomunato alla tutela dei valichi dal comune obiettivo di tutela
dell’avifauna migratrice, ma con funzione diversa, dato che si tratta di zona in
cui gli uccelli non si limitano a transitare in volo, ma possono soggiornare con
una qualche stabilità, come si ricava dal richiamo al “mantenimento” e alla
“sistemazione”. Anche a prescindere da ciò, tuttavia, si deve rilevare che anche
la tutela derivante dal regime di ZPS di un dato territorio presuppone secondo
logica che esso sia individuato come idoneo a tal fine, e quindi presupporrebbe
anche in tal caso un’istruttoria completa in proposito.
11. In considerazione della particolarità delle questioni trattate e della
stessa controversia , originata dall’ottemperanza a un provvedimento cautelare
di questo Giudice,, le spese possono essere per intero compensate fra le parti.
Non vi è luogo a pronuncia sul contributo unificato, perché si tratta di
procedimento esente.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di
Brescia, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2010 con
l'intervento dei Signori:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Primo Referendario
Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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