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T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 27 maggio 2010, n. 2156


CACCIA - Valichi montani - Divieto di caccia - Art. 21, c. 3 L. n. 157/92 - L.r. Lombardia n. 26/1993, art. 43, c. 3 - Individuazione dei valichi - Apprezzamento caso per caso - Istruttoria. Il divieto di caccia in prossimità dei valichi è previsto a livello nazionale dall’art. 21 comma 3 della l. 11 febbraio 1992 n°157; nella regione Lombardia, il divieto in questione è ribadito, con riguardo ai valichi alpini, dall’art. 43 comma 3 della l.r. 16 agosto 1993 n°26. La normativa regionale rende esplicito un dato già contenuto nella norma statale, ovvero che i valichi montani non sono stati ritenuti suscettibili di una individuazione a priori, dato che le rotte di migrazione dell’avifauna sono per natura un dato mutevole. La necessità di sottoporre a tutela un dato valico deve quindi essere apprezzata caso per caso; l’individuazione poi presuppone una corretta e completa istruttoria, la quale in termini banali accerti se, quali e quanti uccelli migratori attraversino la zona. Pres. Calderoni, Est. Gambato Spisani - LAC (avv. Linzola) c. Provincia di Brescia (avv.ti Donati e Pola) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 27 maggio 2010, n. 2156

CACCIA - Valichi migratori - Zona di protezione speciale - Elementi comuni - Differenze. La zona di divieto di caccia relativa ai valichi migratori e la zona di protezione speciale sono istituti diversi. Le ZPS sono istituto accomunato alla tutela dei valichi dal comune obiettivo di tutela dell’avifauna migratrice, ma con funzione diversa, dato che si tratta di zona in cui gli uccelli non si limitano a transitare in volo, ma possono soggiornare con una qualche stabilità. Pres. Calderoni, Est. Gambato Spisani - LAC (avv. Linzola) c. Provincia di Brescia (avv.ti Donati e Pola) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II - 27 maggio 2010, n. 2156
 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 02156/2010 REG.SEN.
N. 01056/2009 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 1056 del 2009, proposto da:
Lac - Associazione Lega Per L'Abolizione della Caccia - Onlus, rappresentato e difeso dall'avv. Claudio Linzola, con domicilio eletto presso Luisella Savoldi in Brescia, via Solferino, 67;


contro


Provincia di Brescia, rappresentato e difeso dagli avv. Gisella Donati, Magda Poli, con domicilio eletto presso Magda Poli in Brescia, c.so Zanardelli, 38;

nei confronti di

Ispra - Istituto Superiore della Protezione e La Ricerca Ambientale (Ex I.N.F.S.), rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6 (Fax=030/41267); Anuu Cacciatori Migratoristi Italiani - Sez. Provinciale di Brescia, Regione Lombardia; Consiglio Regionale della Lombardia, rappresentato e difeso dagli avv. Riccardo Caccia, Silvia Snider, con domicilio eletto presso Donatella Mento in Brescia, via Cipro, 30 (Fax=030/2449770);

per l’annullamento, previa adozione di misura cautelare,

della deliberazione 24 agosto 2009 n°418 della Giunta provinciale di Brescia, avente ad oggetto “Funzioni in materia di caccia: provvedimenti urgenti a tutela dell’avifauna migratoria nelle località Colle San Zeno e Passo del Maniva, in ottemperanza alla ordinanza TAR 26 giugno 2009”;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Brescia e di Ispra - Istituto Superiore della Protezione e La Ricerca Ambientale (Ex I.N.F.S.) e di Consiglio Regionale della Lombardia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2010 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO
 

L’art. 21 comma 3 della l. 11 febbraio 1992 n°157, ovvero della legge quadro nazionale in materia di caccia, dispone che la caccia stessa sia “vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi”; a sua volta, l’art. 43 comma 3 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 inizialmente disponeva identico divieto, aggiungendo che “i valichi sono individuati dalle province sentito l'INFS, e comunque nel comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi e devono essere indicati nei piani di cui agli artt. 12 e 14 e nei calendari venatori”; tale ultima norma regionale è stata modificata dall’art. 2 della l.r. Lombardia 16 settembre 2009 n°21, in vigore dal 19 settembre 2009, nel senso che la competenza a individuare i valichi protetti in parola sia invece attribuita al “Consiglio regionale su proposta delle province”: il presente ricorso concerne le vicende dell’attuazione di detta normativa nella Provincia di Brescia.

L’associazione ricorrente, che com’è noto ha per scopo statutario la completa abolizione della caccia, ancorché regolamentata, ha ricordato nel proprio atto introduttivo di essersi attivata già con diffida 21 dicembre 2006 per indurre la Provincia, come si è detto allora competente, a individuare i valichi protetti per cui è processo; a fronte del silenzio serbato dall’amministrazione diffidata, la LAC adiva allora questo Tribunale per sentirne dichiarare l’illegittimità, e otteneva a proprio favore la sentenza 6 luglio 2007 n°595, nella quale si accertavano “il carattere ingiustificato del silenzio e l’obbligo della Provincia di avviare e concludere la procedura di revisione del piano faunistico-venatorio sulla base della documentazione prodotta dalla LAC” (fatti non controversi nella presente causa).

Avviata la procedura di revisione in parola come da provvedimento della Giunta provinciale bresciana 25 luglio 2007 n°357 (doc. 5 Provincia, copia di esso), la LAC ne riteneva nondimeno insoddisfacente l’esito ultimo, ovvero la deliberazione 31 marzo 2009 n°31 del Consiglio provinciale di Brescia, che a suo dire non individuava correttamente i valichi protetti; la impugnava pertanto avanti questo Tribunale, ottenendo nel relativo giudizio n°588/09 R.G. tuttora pendente, l’ordinanza cautelare 26 giugno 2009 n°432, la quale, in sintesi estrema, ordinava alla Provincia di “determinarsi nuovamente” in ordine a due specifici siti, il valico di Colle San Zeno e il “Giogo del Maniva”, ritenuti di particolare importanza per le migrazioni (fatti sempre non controversi in causa).

A seguito di tale ordinanza cautelare, la Giunta provinciale bresciana ha allora emanato la deliberazione 24 agosto 2009 n°418 di cui in epigrafe, per la quale è causa, e che prende atto dell’ordinanza medesima, ravvisa “l’urgenza di dettare, prima dell’apertura dell’imminente stagione venatoria, concrete misure di salvaguardia ad ulteriore tutela dell’avifauna migratoria nelle località di cui all’oggetto, in conformità alle statuizioni TAR” e quindi delibera “di vietare la caccia vagante all’avifauna migratoria nel raggio di mille metri dalla sommità del ‘Colle San Zeno e Foppella’ nel territorio dei Comuni di Pezzaze, Pisogne e Tavernole, ad eccezione della beccaccia con uso del cane; di disporre la stessa misura con la medesima eccezione in località ‘Giogo del Maniva’, in territorio dei Comuni di Collio e Bagolino; di proseguire nell’attività di monitoraggio svolta dal Centro ornitologico istituito al Colle di San Zeno in collaborazione con l’INFS, ora ISPRA” (doc. 1 ricorrente, copia provvedimento impugnato).

Avverso tale provvedimento, la LAC ha proposto impugnazione con ricorso articolato in quattro censure, riconducibili in ordine logico ai seguenti motivi:

- con il primo di essi, corrispondente alla prima censura a p. 7 del ricorso, deduce incompetenza, perché l’atto adottato avrebbe natura pianificatoria, e come tale ai sensi dell’art. 42 TUEL sarebbe di competenza del Consiglio e non della Giunta, come confermato indirettamente dalla citata l.r. Lombardia 16 settembre 2009 n°21, la quale, nel trasferire la competenza alla Regione, la demanda al Consiglio regionale;

- con il secondo di essi, corrispondente alle censure seconda e terza alle pp. 8-10 del ricorso, deduce violazione degli artt. 21 comma 3 della l. 157/1992 e dell’art. 43 comma 3 della l.r. Lombardia 26/1993, perché nel sito in questione la caccia si sarebbe dovuta ad avviso della ricorrente vietare puramente e semplicemente, mentre per ragioni oltretutto non precisate il provvedimento impugnato ha ritenuto consentire la caccia non vagante, ovvero da appostamento fisso e la caccia alla beccaccia, ritenuta specie in forte declino;

- con il terzo di essi, corrispondente alla quarta censura alla p. 10 del ricorso, deduce ancora violazione della direttiva 79/409/CEE, in quanto i valichi protetti a suo dire sarebbero soggetti comunque ad un divieto assoluto di caccia in quanto assimilabili alle zone di protezione speciale, in sigla ZPS, previste da tale direttiva.

In chiusura del ricorso, infine, l’associazione ricorrente ha puntualizzato di avere evocato nel presente giudizio anche il Consiglio regionale lombardo, in quanto divenuto, come si è detto, competente ad individuare i valichi in questione e quindi, a dire della ricorrente, destinatario dell’emananda misura cautelare; sempre in chiusura del ricorso la ricorrente ha però puntualizzato anche che “il presente giudizio non verte specificamente sull’ottemperanza alla sentenza n°595/07” di questo Giudice (ricorso, p. 11 ultimo paragrafo).

Hanno resistito l’ISPRA, con atto 5 novembre 2009, il Consiglio regionale, con memorie 5 novembre 2009 e 15 aprile 2010, e la Provincia di Brescia con memorie 4 novembre 2009 e 23 marzo 2010, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile per carenza di interesse e comunque respinto nel merito.

La Sezione, respinta l’istanza cautelare con ordinanza 18 novembre 2009 n°713, confermata in sede di appello dall’ordinanza C.d.S. sez. V 28 gennaio 2010 n°456, all’udienza del giorno 29 aprile 2010 tratteneva la causa in decisione.


DIRITTO


Il ricorso è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.

1. In via preliminare, è infondata la prima eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, proposta dalla Provincia di Brescia a p. 9 della memoria 4 novembre 2009, sul presupposto che il ricorso stesso sarebbe volto a contestare un provvedimento ampliativo, e non restrittivo, dei vincoli posti all’attività venatoria, che quindi si porrebbe in linea, e non in contrasto, con gli obiettivi dell’associazione che lo propone. In proposito, è agevole osservare che il ricorso giurisdizionale amministrativo è sorretto da un idoneo interesse ad agire tutte le volte che dal suo accoglimento potrebbe, ove la prospettazione del ricorrente fosse fondata, derivare un effetto favorevole al ricorrente stesso; in modo simmetrico, è inammissibile quando il suo accoglimento porterebbe a creare una “posizione deteriore rispetto a quella derivante dal provvedimento impugnato”, così come affermato in particolare da C.d.S. sez. V 17 ottobre 1987 n°635.

2. Alla stregua di tale principio, nel caso di specie l’interesse allora sussiste, in quanto l’associazione ricorrente vorrebbe, attraverso i motivi di ricorso da essa articolati, che l’amministrazione venisse vincolata ad emettere, per i valichi montani considerati dal provvedimento impugnato, un divieto di caccia di intensità maggiore di quello già imposto, e quindi si propone di conseguire un risultato più favorevole di quello messo in discussione.

3. Parimenti infondata è la seconda eccezione preliminare proposta sempre dalla Provincia di Brescia, a p. 10 della memoria 4 novembre 2009, in quanto, secondo logica, l’atto impugnato in questa sede sarebbe meramente confermativo della delibera della Giunta provinciale 25 luglio 2007 n°357 di cui si è detto in narrativa, sì che la mancata impugnazione di questa renderebbe inammissibile il ricorso proposto nella sede presente. In termini generali - per tutte C.d.S. sez. V 29 dicembre 2009 n°8853- “il provvedimento amministrativo ha natura confermativa quando, senza acquisizione di nuovi elementi di fatto e senza alcuna nuova valutazione, tiene ferme le statuizioni in precedenza adottate; invece, se viene condotta un'ulteriore istruttoria, anche per la sola verifica dei fatti o con un nuovo apprezzamento di essi, il mantenimento dell'assetto degli interessi già disposto ha carattere di nuovo provvedimento, poiché esprime un diverso esercizio del medesimo potere”, ed è quindi impugnabile in via autonoma anche se non si sia contestato il provvedimento precedente. E’ quanto si verifica nel caso di specie, in cui il provvedimento per cui è causa non tiene affatto senz’altro ferme le statuizioni precedenti, ma, in ottemperanza alla decisione di questo TAR di cui si è detto, dispone misure “di salvaguardia” per eseguire un ulteriore “monitoraggio”, ovvero una più approfondita istruttoria (v. doc. 1 ricorrente, cit.).

4. Il ricorso è però infondato nel merito. Per chiarezza, la trattazione dei motivi in cui esso si articola deve essere preceduta da una corretta qualificazione giuridica del provvedimento di che trattasi, ovvero della più volte citata deliberazione 24 agosto 2009 n°418 della Giunta provinciale di Brescia. E’ noto in termini generali che il divieto di caccia in prossimità dei valichi è previsto a livello nazionale dall’art. 21 comma 3 della l. 11 febbraio 1992 n°157, per cui “La caccia è vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi”; nella regione Lombardia, il divieto in questione è ribadito, con riguardo ai valichi alpini, dall’art. 43 comma 3 della l.r. 16 agosto 1993 n°26, per cui, secondo il testo ora vigente, “La caccia è vietata sui valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna per una distanza di mille metri dagli stessi; i valichi sono individuati dal Consiglio regionale su proposta delle province sentito l'INFS, esclusivamente nel comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi e devono essere indicati nei piani di cui agli artt. 12 e 14 e nei calendari venatori”.

5. In tali termini, la normativa regionale rende esplicito un dato già contenuto nella norma statale, ovvero che i valichi montani di cui si ragiona non sono stati ritenuti suscettibili di una individuazione a priori, la quale secondo logica avrebbe portato a indicarli in via diretta nel testo di legge, e ciò appare senz’altro corretto, dato che le rotte di migrazione dell’avifauna sono per natura un dato mutevole. La necessità di sottoporre a tutela un dato valico deve quindi essere apprezzata caso per caso,come risulta proprio dalla norma regionale, che parla di “individuazione”; l’individuazione stessa poi, secondo i principi, presuppone una corretta e completa istruttoria, la quale in termini banali accerti se, quali e quanti uccelli migratori attraversino la zona.

6. Ciò premesso, la prospettazione giuridica contenuta nel ricorso dà per scontato quanto è invece tuttora oggetto di indagine, ovvero che i valichi di cui si tratta, il Colle San Zeno e il Giogo del Maniva, siano senz’altro valichi migratori; sempre in tale ordine di idee, per tali valichi l’amministrazione avrebbe allora dovuto imporre il divieto totale di caccia di cui alle norme citate, e avrebbe errato prevedendone uno soltanto parziale.

7. Tale prospettazione, ad avviso del Collegio, non va condivisa. Come risulta a semplice lettura del provvedimento impugnato, il carattere “migratorio” oppure no dei valichi in questione è ancora in discussione, dato che si prevede di continuare l’indagine in proposito attraverso il già ricordato “monitoraggio”; nemmeno si può poi dire che tale indagine sia ad oggi arrivata ad esiti definiti. Non è infatti valorizzabile in tal senso, come pretenderebbe la ricorrente, il parere dell’ISPRA 2 dicembre 2009 (prodotto senza numero in data 8 febbraio 2010 a sostegno della istanza di prelievo), che si limita a ribadire come il divieto di caccia sui valichi migratori sia assoluto, ma nulla dice sulla situazione dei due valichi in questione.

8. Alla luce di tali considerazioni, è infondato anzitutto il primo motivo di ricorso. L’atto impugnato non riveste infatti carattere pianificatorio, in quanto non disciplina i valichi di carattere migratorio, ma ha semplice valenza istruttoria e cautelare: mira a raccogliere elementi di decisione, disponendo nelle more misure di salvaguardia. Si tratta di provvedimento pacificamente di competenza della Giunta, a mente dell’artt. 42 comma 2 e 107 TUEL, per cui la Giunta stessa compie tutti gli atti non espressamente demandati al Consiglio e salva la competenza dei dirigenti, che non ricorre trattandosi di un atto di indirizzo politico amministrativo, volto come si è detto a verificare se un atto pianificatorio come il piano faunistico debba o no essere integrato in un dato modo. E’ solo per chiarezza che si aggiunge che, alla luce della modifica legislativa di cui al già ricordato art. 2 della l.r. Lombardia 16 settembre 2009 n°21, l’individuazione finale dei valichi spetta ora al Consiglio regionale, e l’istruttoria compiuta dalla Provincia ora ha la funzione di consentire la relativa “proposta”.

9. E’ parimenti infondato il secondo motivo di ricorso, concernente il presunto difetto di motivazione del provvedimento impugnato, che si censura in quanto, come si è detto, non vieterebbe puramente e semplicemente la caccia nelle zone indicate. In proposito, il Collegio condivide quanto sottolineato dal Consiglio di Stato nell’ordinanza di appello cautelare citata in premesse, ovvero che in tal modo l’associazione ricorrente mira a “consolidare in sede preventiva gli effetti di un divieto la doverosità del quale non è allo stato provata”. In altri termini, la ricorrente vorrebbe che fosse imposta senz’altro una disciplina limitativa che potrà, se mai, conseguire all’accertamento del carattere “migratorio” dei valichi in questione, e che allo stato sarebbe prematura. Nelle more dell’istruttoria, il divieto parziale disposto a salvaguardia non appare viziato da illogicità sindacabile nella sede presente, anche per quanto riguarda la tutela della beccaccia, il cui carattere di specie “in forte declino” non esclude, come ammesso anche dalla ricorrente (ricorso p. 9), che si tratti di specie di regola cacciabile. Né illogica appare la scelta di consentire la caccia da appostamento fisso, trattandosi come è evidente in una situazione ancora non definita di contemperare l’interesse alla tutela della fauna con quello dei titolari degli appostamenti stessi, legittimamente realizzati sulla base dei relativi provvedimenti di autorizzazione, oltretutto onerosi.

10. Da ultimo, è infondato anche il terzo motivo di ricorso, dato che la zona di divieto di caccia relativa ai valichi migratori e la zona di protezione speciale sono istituti diversi. Delle norme che disciplinano il divieto di caccia sui valichi, già si è detto; si deve in questa sede aggiungere che le zone di protezione speciale sono istituto distinto, previsto da una norma a sé stante. Si tratta infatti dell’art. 1 comma 5 della l. 157/1992, per cui “In attuazione delle direttive, Dir. 79/409/CEE, Dir. 85/411/CEE e Dir. 91/244/CEE sono istituite lungo le rotte di migrazione dell'avifauna, segnalate dall'istituto nazionale per la fauna selvatica, zone di protezione finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi e si provvede al ripristino dei biotopi distrutti e alla creazione di biotopi. Tali attività concernono particolarmente le specie elencate nell'allegato I delle citate direttive”. Come è evidente, si tratta di istituto accomunato alla tutela dei valichi dal comune obiettivo di tutela dell’avifauna migratrice, ma con funzione diversa, dato che si tratta di zona in cui gli uccelli non si limitano a transitare in volo, ma possono soggiornare con una qualche stabilità, come si ricava dal richiamo al “mantenimento” e alla “sistemazione”. Anche a prescindere da ciò, tuttavia, si deve rilevare che anche la tutela derivante dal regime di ZPS di un dato territorio presuppone secondo logica che esso sia individuato come idoneo a tal fine, e quindi presupporrebbe anche in tal caso un’istruttoria completa in proposito.

11. In considerazione della particolarità delle questioni trattate e della stessa controversia , originata dall’ottemperanza a un provvedimento cautelare di questo Giudice,, le spese possono essere per intero compensate fra le parti. Non vi è luogo a pronuncia sul contributo unificato, perché si tratta di procedimento esente.


P.Q.M.


il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2010 con l'intervento dei Signori:

Giorgio Calderoni, Presidente

Stefano Tenca, Primo Referendario
Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO

 



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