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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 17 giugno 2010, n. 2329
DIRITTO URBANISTICO - Strumenti urbanistici - Osservazioni dei privati -
Natura - Mero apporto collaborativo - Rigetto - Specifica motivazione -
Necessità - Esclusione. Le osservazioni dei privati sui progetti sono un
mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non
danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non
richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state
esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della formazione del piano” (Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008,
n. 3358; in senso conforme Tar Puglia, Bari, 22 ottobre 2008, n. 2357; Tar
Piemonte, sez. I, 29 settembre 2008, n. 2080; Tar Campania, Napoli, sez. VIII,
30 luglio 2008, n. 9582). Pres. Petruzzelli, Est. Russo - C.B. (avv. Bosio) c.
Comune di Casalmaggiore (avv.ti Giannone e Nicolini) - TAR LOMBARDIA,
Brescia, Sez. I - 17 giugno 2010, n. 2329
DIRITTO URBANISTICO - Piano di recupero - Finalità - Interventi edilizi
ammissibili - Recupero cd. pesante - Demolizione e ricostruzione. Il piano
di recupero è per sua natura finalizzato ad organizzare razionalmente ed
esteticamente il patrimonio edilizio esistente, eliminando situazioni di degrado
e di disarmonia: pertanto può tradursi in interventi edilizi diretti, di volta
in volta, alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione o comunque ad
una migliore utilizzazione di un preesistente immobile e può consistere in sole
opere di manutenzione ordinaria e straordinaria o di restauro, in opere di
ristrutturazione più o meno ampia, sino a giungere ad un recupero cosiddetto
pesante, costituito dalla demolizione e ricostruzione di un edificio: ne
consegue che dette opere di ristrutturazione possono legittimamente tradursi,
ancorché entro certi limiti, in un organismo che per consistenza e
caratteristiche tipologiche rechi persino connotazioni di novità rispetto
all'edificio preesistente (Tar Toscana, I, 2831/03) Pres. Petruzzelli,
Est. Russo - C.B. (avv. Bosio) c. Comune di Casalmaggiore (avv.ti Giannone e
Nicolini) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 17 giugno 2010, n. 2329
DIRITTO URBANISTICO - Piano di recupero - Strumento urbanistico attuativo -
Rapporto con il piano particolareggiato - Introduzione di vincoli nuovi rispetto
a quelli esistenti nello strumento urbanistico generale - Eliminazione di
vincoli esistenti - Possibilità - Esclusione. Il piano di recupero è
notoriamente, sotto il profilo giuridico, uno strumento urbanistico
sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche primarie contenute nel piano
regolatore generale ed è quindi equivalente al piano particolareggiato, dal
quale si differenzia in quanto finalizzato piuttosto che alla complessiva
trasformazione del territorio al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente con interventi rivolti alla conservazione, ricostruzione e alla
migliore utilizzazione del patrimonio stesso,così che in sede di sua modifica
non possono essere introdotti, logicamente oltre che giuridicamente, vincoli
nuovi ed ulteriori rispetto a quelli esistenti nello strumento urbanistico
generale in vigore, neppure quanto tale modifica trovi la sua giustificazione in
una richiesta del privato; allo stesso modo, non possono essere eliminati
vincoli esistenti (CdS, IV, 5 marzo 2008, n. 922) . Pres. Petruzzelli, Est.
Russo - C.B. (avv. Bosio) c. Comune di Casalmaggiore (avv.ti Giannone e Nicolini)
- TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 17 giugno 2010, n. 2329
DIRITTO URBANISTICO - Piano di recupero - Approvazione - Passaggi - L.R.
Lombardia n. 23/97 - Procedura semplificata - Applicabilità al piano di recupero
- Limiti. I passaggi di cui si compone l’approvazione di un piano di
recupero sono tre: 1) individuazione delle zone dove per le condizioni di
degrado esistente si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed
urbanistico esistente; 2) individuazione degli immobili, situati all’interno
delle zone di cui al punto 1, per i quali il rilascio della concessione è
subordinato alla formazione di piano di recupero; 3) approvazione del piano di
recupero che detta i parametri concreti dell’edificazione. Non tutte queste tre
operazioni possono essere realizzate con la procedura semplificata della l.r.
Lombardia n. 23/97. L’art. 2, co. 2, lett. f) ammette infatti con tale procedura
soltanto le “varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero del
patrimonio edilizio esistente, di cui all’ art. 27 l. 457/78”, e cioè soltanto
il primo dei tre passaggi logici di cui consta l’approvazione del piano di
recupero. Pres. Petruzzelli, Est. Russo - C.B. (avv. Bosio) c. Comune di
Casalmaggiore (avv.ti Giannone e Nicolini) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I -
17 giugno 2010, n. 2329
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 02329/2010 REG.SEN.
N. 01203/2008 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1203 del 2008, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
CARLO BEDUSCHI,
rappresentato e difeso dall'avv. Omar Bosio,
con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Omar Bosio in Brescia, via
Cefalonia, 70 (Fax=030/2425820);
contro
COMUNE DI CASALMAGGIORE,
rappresentato e difeso dagli avv. Antonietta Giannone, Cesare Nicolini,
con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Malta, 12;
nei confronti di
IMMOBILIARE CITTADELLA SRL, VITTORIO PIANI, GIOVANNI PIANI,
rappresentati e difesi dall'avv. Antonino Rizzo,
con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Malta, 12;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
(con il ricorso principale) della delibera del Consiglio Comunale di
Casalmaggiore n. 57 del 15/7/2008 prot. 117281, recante piano di recupero e
ristrutturazione edilizia via Carioli, 58, denominato "Castra Maiora",
approvazione in variante al Piano Regionale Generale, nonchè di tutti gli atti,
connessi, presupposti e conseguenti;
(con il primo ricorso per motivi aggiunti) del permesso di costruire relativo al
comparto 1 e della delibera del Consiglio comunale 27. 3. 2009, n. 32, di
riapprovazione del piano di recupero;
(con il secondo ricorso per motivi aggiunti) del permesso di costruire relativo
al comparto 2.
Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Casalmaggiore e di
Immobiliare Cittadella Srl e di Vittorio Piani e di Giovanni Piani;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2010 il dott. Carmine Russo
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso principale Beduschi Carlo impugna la delibera del Consiglio
comunale del 15. 7. 2008 con cui è stato approvato il piano di recupero di 3
edifici (due in disuso, un terzo ancora in uso) confinanti con la sua proprietà.
I motivi di ricorso sono i seguenti:
1. la delibera approvata sarebbe illegittima per non aver dato adeguata risposta
ad osservazioni presentate dallo stesso Beduschi nel corso del procedimento;
2. la delibera approvata sarebbe illegittima per aver omesso in corso di
procedimento l’acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale;
3. la delibera approvata sarebbe illegittima per violazione della l. 457/78 in
quanto i piani di recupero dovrebbero agevolare il recupero del patrimonio
edilizio esistente, laddove il progetto prevede che gli edifici siano totalmente
demoliti;
4. la delibera approvata sarebbe illegittima per violazione dell’art. 8 n.t.a.
p.r.g. che, per le zone assoggettate a ristrutturazione con vincolo tipologico
parziale, ammette che nei piani di recupero siano consentite demolizioni entro
il limite massimo di 1/3 del patrimonio esistente;
5. la delibera approvata sarebbe illegittima per irragionevolezza, in quanto
ammette l’intervento perché fornisce un “taglio diverso dal solito” in una zona
dove invece il p.r.g. prevede il vincolo di conservazione della tipologia,
ammettendo in definitiva demolizione dell’esistente, rimozione del vincolo
tipologico, trasferimento di volumetrie ed in questo modo sfruttamento estremo
dell’area;
6. la delibera approvata sarebbe illegittima per eccesso di potere per l’omessa
considerazione del carico urbanistico indotto dalla nuova costruzione, in
particolare sotto il profilo dei parcheggi.
Si costituivano in giudizio il Comune di Casalmaggiore e l’Immobiliare
Cittadella srl, che deducevano l’inammissibilità per carenza d’interesse e
l’infondatezza dei motivi di ricorso.
Nessuno si costituiva per le altre parti convenute in giudizio.
Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del
provvedimento impugnato.
Con ordinanza del 2. 9. 2009, n. 532 il Tribunale respingeva l’istanza
cautelare, rilevando che “pur a tutto concedere in rito, l’attualità del danno
viene rilevata solo in relazione a mere operazioni materiali del privato, senza
alcuna ulteriore impugnativa di esistenti nuovi atti e provvedimenti, comunque
direttamente connessi alla vicenda in discussione”.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti lo stesso ricorrente contestava anche
la delibera del Consiglio comunale 27. 3. 2009, n. 32 che confermava
l’approvazione del piano di recupero, ed il permesso di costruire 6. 6. 2009
rilasciato alla controinteressata per l’esecuzione di parte dell’intervento
oggetto del piano di recupero.
In questo caso i motivi (non articolati con numeri separati, ma evincibili dalla
lettura del ricorso) sono i seguenti:
1. si verserebbe anzitutto in presenza di invalidità derivata dall’invalidità
del provvedimento impugnato con il ricorso principale;
2. il nuovo intervento prevederebbe una volumetria complessiva di mc. 4.254 a
saldo zero rispetto al precedente soltanto perché nel secondo comparto, non
ancora oggetto di edificazione, verrebbero stornati 352 mc., ma tale storno era
puramente ipotetico perché nessun progetto era stato presentato con riferimento
al secondo comparto;
3. il nuovo intervento supererebbe per altezza quelli della zona e quindi non
sarebbe coerente con l’assetto urbanistico della zona,
4. il piano di recupero di cui alla l. 457/78 non prevederebbe la possibilità di
effettuare demolizioni, ma solo tre tassative forme di intervento
(conservazione, risanamento e ricostruzione),
5. gli edifici oggetto del piano di recupero erano soggetti nel p.r.g. a zona A3
(ristrutturazione con vincolo conservativo parziale, non A4 vincolo tipologico
come erroneamente indicato in ricorso), ma ristrutturazione non può essere
sinonimo di demolizione,
6. si verserebbe da ultimo in ipotesi di eccesso di potere per aver ritenuto che
il mero risanamento conservativo fosse insufficiente perché non dotava il
complesso di posti auto sufficienti (il ricorrente contesta che un posto auto
per unità immobiliare sia sufficiente), non rispettava i parametri sanitari, né
le misure per il contenimento del consumo energetico.
Nel ricorso per motivi aggiunti era formulata altresì istanza cautelare di
sospensione del provvedimento impugnato.
Con decreto monocratico del 17. 9. 2009, n. 578 il Presidente del Tribunale
accoglieva interinalmente l’istanza cautelare rilevando che “che allo stato sono
stati eseguiti esclusivamente lavori di demolizione; Ritenuto pertanto opportuno
rimettere le questioni dedotte in ricorso e ribadite nel successivo ricorso per
motivi aggiunti all’attenzione del collegio; Ritenuto pertanto che possa
ravvisarsi la oggettiva estrema gravità ed urgenza richiesta quale presupposto
della tutela cautelare anticipata”.
Con ordinanza del 2. 10. 2009, n. 599 il Tribunale confermava l’accoglimento
dell’istanza cautelare, rilevando che “- il progetto prevede un aumento
volumetrico non possibile prima dell’approvazione del piano di recupero (cfr.
sul punto in particolare l’art. 2, co. 1, norme tecniche del piano di recupero
allegate alla delibera di approvazione dello stesso), - secondo l’impresa di
costruzioni, l’aumento volumetrico adesso disponibile non verrà comunque
sfruttato perché si prevede un intervento a somma zero tra il primo comparto
(che è in aumento) ed il secondo (che è in diminuzione di circa 350 mc), - il
progetto relativo al secondo comparto, peraltro, non è stato neanche presentato,
e la delibera di approvazione del piano di recupero si cautela sul punto
soltanto affermando che bisognerà inserire tempi certi per il rispetto della
condizione relativa alla diminuzione di volumetria nel secondo comparto, - allo
stato, pertanto, il progetto del primo comparto va valutato in modo autonomo, e
cioè come un progetto che prevede un aumento di volumetria rispetto al
preesistente, - ad una prima prospettazione propria della fase cautelare,
l’aumento di volumetria ammesso nel piano di recupero si scontrerebbe con
l’orientamento giurisprudenziale che ritiene non possibili piani di recupero con
aumenti di volumetria (Tar Brescia 09. 12. 2002, n. 2216), talchè in tale
situazione si rende opportuno cautelativamente che il giudizio sul merito si
svolga nella conservazione degli attuali carichi urbanistici posto anche
l’impatto massiccio sul territorio dell’intervento in progetto”.
Con ordinanza del 18. 12. 2009 il Consiglio di Stato confermava l’ordinanza
cautelare emessa in primo grado.
Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 10. 2. 2010,
all’esito della quale il ricorrente chiedeva rinvio per poter notificare motivi
aggiunti.
Con secondo motivi aggiunti il ricorrente impugnava altresì il permesso di
costruire 136/2009 rilasciato alla controinteressata per il c.d. comparto 2 del
piano di recupero, e con cui i volumi complessivi del piano tornavano entro il
livello massimo del preesistente.
Il ricorso, che la stessa parte ricorrente afferma essere stato presentato al
precipuo fine di evitare acquiescenze, è sostenuto dai seguenti motivi:
1. il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per eccesso di potere per aver
adottato criteri di calcolo della volumetria disomogenei rispetto all’edificato
preesistente, che consentono in questo modo di ottenere surrettiziamente il
saldo zero tra lo stato preesistente ed il progettato;
2. il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo anche per violazione della
direttiva contenuta nella stessa delibera di approvazione del piano di recupero
che prescriveva di mantenere inalterati i prospetti su via Cairoli, ed in ogni
caso per violazione del prg autorizzando lo stesso lavori incompatibili con la
normativa di zona;
3. il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per violazione l. 457/78
perché autorizza lavori incompatibili con le tipologie di intervento previste
dalla predetta legge a salvaguardia dei centri storici.
Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 26. 5. 2010
all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
I. Il ricorso ha ad oggetto un complesso intervento di recupero di immobili
degradati (previa parziale demolizione e ricostruzione) che la società
controinteressata intende realizzare nel centro del Comune di Casalmaggiore.
Nel centro di Casalmaggiore sulla via Cairoli, infatti, insisteva un complesso
di edifici (in totale 11 corpi di fabbrica), di epoca risalente e dal diverso
stato di conservazione, che si sviluppavano attorno a tre corti interne. Uno
degli edifici era adibito a destinazione commerciale, uno ad abitazione
residenziale e gli altri erano in stato di abbandono e non avevano una precisa
destinazione urbanistica, costituendo in realtà pertinenze e accessori tipici
delle vecchie case di una volta (fienili, depositi, porticati, vani caldaia).
L’area dell’intervento ricopriva una superficie di 1.451 mq per un volume
complessivo calcolato dal Comune in 6.063,19 mc., e calcolato invece dal tecnico
del ricorrente in 5.305,68 mc.
Nell’area occupata da questi edifici la società controinteressata intendeva
realizzare un progetto scisso in due fasi: un intervento edilizio di
ristrutturazione urbanistica che comporterebbe la realizzazione di 14 unità
immobiliari destinate a residenza, 3 studi professionali, 16 autorimesse
interrate, oltre locali accessori di pertinenza (nel comparto 1) ed un
intervento - meno invasivo - di ristrutturazione edilizia con realizzazione di
autorimesse al piano interrato, locali commerciali al piano terra, ed una
abitazione ai piani superiori (nel comparto 2) (le cifre del numero degli
appartamenti e del numero di autorimesse talora mutano di una o due unità negli
scritti difensivi).
La volumetria da realizzare complessivamente in base all’intervento progettato
dalla società controinteressata è pari, secondo il Comune, a 5.964,08 mc.,
(secondo il tecnico del ricorrente a 6.063,63; la differenza tra i due calcoli è
dovuta al fatto che il tecnico del ricorrente ritiene non scorporabili ex l.r.
33/07 sul risparmio energetico né i solai interni, cui il beneficio non si
applica - né le murature perimetrali esterne ed i solai di copertura, cui il
beneficio si applicherebbe se ci fosse certificazione sulle tecniche costruttive
utilizzate che però non vi sarebbe in atti).
L’intervento edilizio che la società controinteressata aveva progettato è stato
autorizzato dal Comune di Casalmaggiore con una complessa serie di
provvedimenti, tutti impugnati nel presente ricorso. E’ stato, infatti,
approvato anzitutto il piano di recupero del complesso immobiliare con
deliberazione 15. 7. 2008, n. 57 (oggetto del ricorso principale). Sono stati
successivamente emessi i due permessi di costruire n. 115/08 e 136/09 rilasciati
in attuazione del piano per il comparto 1 e per il comparto 2 in cui è stato
diviso l’intervento (ed impugnati rispettivamente con primi e secondi motivi
aggiunti).
II. Contro i provvedimenti che autorizzano la realizzazione del progetto in
parola è insorto il proprietario di un immobile adiacente al complesso oggetto
del piano di recupero, tale prof. Carlo Beduschi, che ha formulato osservazioni
nel corso della procedura amministrativa di approvazione del piano ed ha
presentato ricorso giurisdizionale dopo la sua approvazione definitiva.
Sia il Comune che i controinteressati ritengono che l’odierno ricorrente non
avesse titolo per proporre ricorso giurisdizionale ed hanno chiesto che il
Tribunale dichiarasse l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse.
In realtà, non è seriamente contestabile che il proprietario dell’immobile
confinante a quelli oggetto del piano di recupero abbia un interesse ad agire in
sede giurisdizionale contro la sua approvazione.
Il progetto di piano di recupero degli 11 edifici facenti parte del complesso
immobiliare Castra maiora comporta, infatti, un notevole incremento del carico
urbanistico dell’area in cui vive il ricorrente (rectius: a fianco della quale
vive il ricorrente). Realizzare 14 unità immobiliari destinate a residenza, 3
studi professionali, 16 autorimesse interrate, più locali ad uso commerciale sul
sedime in cui era ospitato un complesso di edifici abbandonati più una sola
unità residenziale già abitata significa attirare nell’area in cui dimora il
ricorrente alcune centinaia di persone, che andranno a vivere o lavorare nel
nuovo complesso immobiliare. La presenza di centinaia di persone in più
nell’area in cui vive il ricorrente comporterà inevitabilmente aumento della
rumorosità e delle polveri, necessità di dividere con altre persone servizi
pubblici che non saranno automaticamente e proporzionalmente potenziati (es.:
servizi ed uffici pubblici più affollati, spazi per la sosta in strada delle
autovetture più ricercati), e tutte quelle altre conseguenze che si accompagnano
sempre all’incremento della presenza antropica in un territorio.
Il Comune ed i controinteressati pretendono che l’aver realizzato un parcheggio
pertinenziale per ciascuna unità immobiliare elida l’interesse del ricorrente a
ricorrere generato dall’aumento del carico urbanistico, ma in realtà l’aumento
del carico urbanistico non si risolve con la mera creazione di qualche posto
auto. La maggiore antropizzazione di un territorio (particolarmente, di un
centro storico) determinata dall’aumento del carico urbanistico, generando
l’obbligo per chi era già insediato sul territorio di dividere standard e
servizi con i nuovi arrivati e di patire la presenza di altre fonti di rumori e
polveri, induce a ritenere sussistente l’interesse al ricorso di chi agisce
contro il provvedimento che ha determinato tale aumento del carico (in senso
analogo, pur se in fattispecie diversa nono avente ad oggetto centri storici,
cfr. T.r.g.a. Trento 46/2010, in cui si sostiene che “sono legittimati
all'impugnazione coloro che possono lamentare una pregiudizievole alterazione
del preesistente assetto urbanistico ed edilizio per effetto della realizzazione
dell'intervento controverso”).
III. E’ infondato il primo motivo del ricorso principale in cui si sostiene che
la delibera approvata sarebbe illegittima per non aver dato adeguata risposta ad
osservazioni presentate dallo stesso Beduschi nel corso del procedimento.
E’ principio di diritto ormai consolidato in giurisprudenza, infatti che “le
osservazioni dei privati sui progetti sono un mero apporto collaborativo alla
formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari
aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica
motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della
formazione del piano” (Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3358; in senso
conforme Tar Puglia, Bari, 22 ottobre 2008, n. 2357; Tar Piemonte, sez. I, 29
settembre 2008, n. 2080; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 30 luglio 2008, n.
9582).
IV. Non è fondato neanche il secondo motivo di ricorso in cui si deduce che la
delibera approvata sarebbe illegittima per aver omesso in corso di procedimento
l’acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale.
A prescindere dalla circostanza che, a giudizio della giurisprudenza
amministrativa, non sarebbe necessaria l’acquisizione del parere per la
procedura di approvazione del piano di recupero (cfr. Tar Venezia, I, 443/98: il
piano di recupero di iniziativa privata deve chiudersi con un provvedimento
espresso da parte del consiglio comunale. Non è obbligatorio richiedere il
parere della commissione edilizia ; ma nel caso in cui tale parere venga
richiesto, esso non può sostituire il necessariamente espresso e formale
provvedimento terminale del procedimento che solo il consiglio comunale è
deputato ad emettere), occorre aggiungere che, come rilevano Comune e
controinteressata, il ricorrente con nota del 12. 2. 2009 aveva prestato
acquiescenza alla mancata acquisizione del parere. La nota è acquisita agli atti
(doc. 7 della controinteressata) ed in essa il ricorrente dichiara “di
rinunciare ai motivi di ricorso attinenti alla mancata acquisizione del parere
preventivo della Commissione edilizia (…) a condizione che il parere della
commissione edilizia venga acquisito”, condizione peraltro verificatasi nel caso
in esame.
V. Non è fondato neanche il terzo motivo del ricorso principale in cui si deduce
che la delibera approvata sarebbe illegittima per violazione della l. 457/78 in
quanto i piani di recupero dovrebbero agevolare il recupero del patrimonio
edilizio esistente, laddove il progetto presentato dalla controinteressata
prevede che gli edifici siano demoliti (in realtà, che siano demoliti solo in
parte).
La norma attributiva del potere esercitato in concreto dall’amministrazione nel
caso in esame è l’art. 27 l. 457/8 che dispone nel suo primo periodo che “i
comuni individuano, nell'ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone
ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla
conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione
del patrimonio stesso”.
Le espressioni usata dalla norma attributiva di potere sono, pertanto,
“conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore
utilizzazione” del patrimonio. Non si parla espressamente di demolizione, ma si
usano termini come “ricostruzione” che lasciano sottendere la possibilità di
disporre demolizione nell’approvazione di un piano di recupero.
Questa interpretazione è stata confermata dalla giurisprudenza amministrativa
che si è espressa più volte sulla compatibilità tra piano di recupero e
demolizione degli edifici da recuperare ed ha sempre ammesso la possibilità di
ricorrere ad esse. Sul punto, ad esempio, CdS, IV, 4759/09, secondo cui “il
piano di recupero, in quanto strumento attuativo, è suscettibile di perseguire
sia finalità di recupero del patrimonio edilizio esistente in misura più
complessa degli interventi di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione
edilizia, sia finalità di recupero urbanistico, e può quindi prevedere
interventi rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con
altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con
la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale”. In
termini più espliciti Tar Toscana, I, 2831/03, secondo cui “il piano di recupero
è per sua natura finalizzato ad organizzare razionalmente ed esteticamente il
patrimonio edilizio esistente, eliminando situazioni di degrado e di disarmonia:
pertanto può tradursi in interventi edilizi diretti, di volta in volta, alla
conservazione, al risanamento, alla ricostruzione o comunque ad una migliore
utilizzazione di un preesistente immobile e può consistere in sole opere di
manutenzione ordinaria e straordinaria o di restauro, in opere di
ristrutturazione più o meno ampia, sino a giungere ad un recupero cosiddetto
pesante, costituito dalla demolizione e ricostruzione di un edificio: ne
consegue che dette opere di ristrutturazione possono legittimamente tradursi,
ancorché entro certi limiti, in un organismo che per consistenza e
caratteristiche tipologiche rechi persino connotazioni di novità rispetto
all'edificio preesistente”, Nello stesso senso d’altronde si era già espresso in
passato CdS, IV, 96/96, secondo cui “i piani di recupero possono avere ad
oggetto non solo un semplice recupero edilizio, ma anche un recupero urbanistico
vero e proprio, che può essere attuato anche mediante la demolizione di edifici
preesistenti; in tal caso, il piano di recupero di presenta come strumento del
tutto autonomo, ed alternativo, rispetto al piano particolareggiato”.
Ne consegue che il motivo di ricorso in cui si deduce che la delibera approvata
sarebbe illegittima per violazione della l. 457/78 in quanto i piani di recupero
dovrebbero recuperare, e non demolire il patrimonio edilizio esistente deve
essere respinto.
VI. Il Tribunale ritiene che sia fondato, invece, il quarto motivo del ricorso
principale.
Con il quarto motivo del ricorso principale il ricorrente deduce che la delibera
di approvazione del piano di recupero sarebbe illegittima per violazione
dell’art. 8 n.t.a. p.r.g. che, per le zone assoggettate a ristrutturazione con
vincolo tipologico parziale, ammette che nei piani di recupero siano consentite
demolizioni entro il limite massimo di 1/3.
A fronte di questo motivo sia il Comune che la difesa dei controinteressati
eccepiscono che il piano di recupero è approvato in variante al piano
regolatore, e che per questo quindi esso non sarebbe tenuto al rispetto delle
norme dello stesso.
Il ricorrente contesta, però, vivacemente che attraverso lo strumento
particolare del piano di recupero si possa derogare alle norme generali del
piano regolatore, facendo venire meno i vincoli derivanti dalla zonizzazione (in
questo caso relativa al centro storico di Casalmaggiore) per effetto di un
provvedimento ad hoc che consentirebbe ad un solo soggetto di non rispettare
quegli stessi parametri urbanistici che continuano ad essere tenuti a rispettare
tutti gli altri proprietari del centro storico.
Il ragionamento che intende condurre il Tribunale parte dalla verifica della
norma del piano regolatore che sarebbe stata disattesa nel caso in esame. L’art.
8 n.t.a. del p.r.g. di Casalmaggiore (prodotta dal ricorrente, allegata alla
memoria del 1. 9. 2009) disciplinava le zone A del Comune, individuando
anzitutto le destinazioni ammesse in questa zona, e passando poi in un secondo
momento ad individuare le modalità di intervento edilizio consentite nella
stessa.
In particolare, secondo l’ottavo comma della norma, ogni edificio appartenente
alla zona A veniva contrassegnato sulla cartografia con apposita simbologia che
lo assoggetta ad una delle seguenti quattro ipotesi alternative di intervento:
1) restauro; 2) risanamento conservativo; 3) ristrutturazione con vincolo
conservativo parziale; 4) ristrutturazione e/o ricostruzione con vincolo
tipologico.
Le modalità di intervento sugli immobili del centro storico di Casalmaggiore
previste dal p.r.g. andavano pertanto da un minimo (mero restauro) ad un massimo
(ristrutturazione e/o ricostruzione con vincolo tipologico). Il ricorrente
osserva che anche in tale ultimo caso era comunque previsto il mantenimento del
vincolo tipologico che viene invece negato dal piano di recupero per il solo
complesso immobiliare della controinteressata.
In particolare, il complesso di edifici oggetto del piano di recupero era
classificato dal p.r.g. nella terza categoria (A3 - ristrutturazione con vincolo
conservativo parziale). Questa zona era disciplinata dalla norma di piano in
questo modo: “1. Gli interventi riguardano le particelle edilizie che, pur non
presentando particolari caratteristiche storico ambientali, sono compatibili con
la organizzazione morfologica del tessuto urbanistico. 2. …. 3. L’intervento di
ristrutturazione potrà prevedere anche aumenti della superficie utile
preesistente, rimanendo comunque fermo che tutte le opere saranno realizzate nei
limiti dell’involucro edilizio preesistente. 4. ….. 5 . ….. 6. Esclusivamente
nel caso di intervento mediante piano di recupero, e nel piano rispetto di
quanto prescritto al precedente comma, sono consentiti lievi spostamenti
volumetrici a saldo zero, semprechè finalizzati ad un miglioramento delle
condizioni minime prescritte di abitabilità, di sicurezza e di riqualificazione
architettonica e tipologica”.
Il piano regolatore prevedeva, pertanto, già i parametri urbanistici che
dovevano rispettare gli immobili del centro storico destinati ad essere risanati
mediante piano di recupero, ammettendo per gli stessi “lievi spostamenti
volumetrici a saldo zero”.
In definitiva, secondo la norma di piano regolatore, nell’area in esame erano
possibili solo interventi di ristrutturazione nei limiti dell’involucro edilizio
preesistente, ma, se l’intervento veniva attuato con piano di recupero, erano
consentiti anche lievi spostamenti volumetrici a saldo zero “finalizzati ad un
miglioramento delle condizioni minime prescritte di abitabilità, di sicurezza e
di riqualificazione architettonica e tipologica”.
La previsione di piano era quindi, in realtà, addirittura più stringente
rispetto a quella individuata in ricorso (secondo cui i piano di recupero non
potrebbero prevedere demolizioni oltre il limite di 1/3, previsione che è
dettata per la zona A4, per la quale l’edificazione è regolata da norme più
liberali), poi rettificata negli scritti successivi, in quanto la zona A3
prevede norme più stringenti anche per gli interventi adottati in base a piani
di recupero (nessuna modifica dell’involucro edilizio preesistente, ma al più
“lievi spostamenti volumetrici a saldo zero finalizzati ad un miglioramento
delle condizioni minime prescritte di abitabilità, di sicurezza e di
riqualificazione architettonica e tipologica”).
L’intervento attuato sul complesso edilizio “Castra maiora” è andato, pertanto,
senz’altro oltre il limite della norma del p.r.g., perché, consentendo la
demolizione di alcuni degli edifici del comparto e la loro ricostruzione in modo
completamente difforme dalla tipologia originaria e senza alcun rispetto
dell’involucro edilizio preesistente, ha consentito la moltiplicazione dei
locali abitabili (la consulenza tecnica del ricorrente evidenzia che si è
passati da 22 vani abitabili a 117), e quindi, pur in un contesto di spostamenti
volumetrici a saldo zero, ha permesso un notevole incremento del carico
urbanistico portato dai fabbricati facenti parte del complesso edilizio.
Ci si deve chiedere a questo punto se abbia ragione la difesa del ricorrente
quando afferma – precisando meglio la posizione più volte nel corso
dell’evolvere degli scritti difensivi - che un piano di recupero, pur approvato
esplicitamente in variante al piano regolatore, non possa derogare alle norme di
piano che prevedono le modalità di intervento sul patrimonio edilizio
preesistente.
La contro-obiezione del ricorrente alla obiezione che avevano mosso Comune e
controinteressati sul motivo di ricorso articolato sulla violazione dell’art. 8
del p.r.g. è fondata.
Occorre anzitutto rilevare che già, in linea generale, l’idea di un piano di
recupero in variante al p.r.g. contiene elementi di contraddizione in termini.
Infatti, “il piano di recupero è notoriamente, sotto il profilo giuridico, uno
strumento urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche
primarie contenute nel piano regolatore generale ed è quindi equivalente al
piano particolareggiato, dal quale si differenzia in quanto finalizzato
piuttosto che alla complessiva trasformazione del territorio al recupero del
patrimonio edilizio ed urbanistico esistente con interventi rivolti alla
conservazione, ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio
stesso” (CdS, IV, 5 marzo 2008, n. 922) (la massima prosegue affermando che
“così che in sede di sua modifica non possono essere introdotti, logicamente
oltre che giuridicamente, vincoli nuovi ed ulteriori rispetto a quelli esistenti
nello strumento urbanistico generale in vigore, neppure quanto tale modifica
trovi la sua giustificazione in una richiesta del privato”; nel caso in esame,
invece, ci troviamo nell’ipotesi - opposta sul piano pratico, ma analoga sul
piano giuridico - di piano di recupero che elimina vincoli previsti dal piano
generale).
Queste perplessità sulla legittimità della procedura di variante seguita dal
Comune si acuiscono nel caso di specie caratterizzato da un particolarissimo
tipo di variante avente ad oggetto un unico edificio. Delle perplessità sulla
scelta di un piano di recupero in variante al p.r.g relativo ad un solo immobile
le aveva manifestate in tempi relativamente recenti anche questo Tribunale che
aveva affermato che “pur non potendosi aprioristicamente escludere l'utilizzo di
un Piano attuativo in variante al P.R.G. in riferimento ad un singolo immobile -
con i contenuti di cui all'art. 3 comma 1 della l.r. 19/92 - è peraltro
indispensabile che una scelta così circoscritta sia accompagnata da una
specifica motivazione che dia conto dell'interesse pubblico perseguito” (T.a.r.
Lombardia, Brescia, 28/02/2006 n. 244).
Sono evidenti, d’altronde, le perplessità che possono sorgere a proposito della
legittimità dell’utilizzo di un piano di recupero in variante al p.r.g. relativo
ad un solo immobile, in quanto – come ben evidenziato dalla difesa del
ricorrente negli scritti depositati in corso di processo – in questo modo si
finisce con il sottrarre un immobile alle prescrizioni della zonizzazione
urbanistica, e si finisce per creare una disciplina di piano valida soltanto per
esso e non per tutti gli altri immobili rientranti nella stessa zona.
Il caso di specie, peraltro, è ancor più particolare, perché non solo si
utilizza un piano attuativo in deroga, non solo lo si realizza per un singolo
immobile, ma per di più lo si fa con le procedure semplificate della l.r. 23/97
nel periodo transitorio previsto dall’art. 25 l.r. 12/05 (si ricorda che
il principio della domanda concerne il monopolio della parte privata nella
individuazione del diritto fatto valere in giudizio, non l’articolazione del
ragionamento giuridico attraverso cui giungere al riconoscimento di tale
diritto, che rimane affidato al tradizionale iura novit curia).
La norma dell’art. 25, co. 1, l.r. 12/05 stabilisce, infatti, che “fino
all’adeguamento dei PRG vigenti, a norma dell’art. 26, e comunque non oltre il
predetto termine di quattro anni, i comuni ad eccezione di quelli di cui al
comma 2, possono procedere unicamente all’approvazione di atti di programmazione
negoziata, di progetti in variante ai sensi dell’ art. 5 d.p.r. 447/98, previo
parere vincolante della Regione qualora non sia vigente il P.T.C.P. e con
l’applicazione dell’art. 97 della presente legge, nonché di varianti nei casi di
cui all’ art. 2, co. 2, l.r. 23/97 e di piani attuativi in variante, con la
procedura di cui all’ art. 3 l.r. 23/97”.
Nel caso in esame vengono in questione solo le ipotesi di cui agli artt. 2 e 3
l.r. 23/97, a norma della quale è stato approvato il piano di recupero in
questione.
L’art. 2, co. 2, l.r. 23/97 stabilisce che: “il procedimento semplificato di cui
all’art. 3 si applica in presenza di una o più delle seguenti fattispecie: a)
varianti dirette a localizzare opere pubbliche di competenza comunale, nonché a
modificare i relativi parametri urbanistici ed edilizi, eccettuati i casi in cui
la legislazione statale o regionale già ammetta la possibilità di procedere a
tali adempimenti senza preventiva variante urbanistica; b) varianti volte ad
adeguare le originarie previsioni di localizzazione dello strumento urbanistico
generale vigente, alla progettazione esecutiva di servizi e infrastrutture di
interesse pubblico, ancorché realizzate da soggetti non istituzionalmente
preposti; c) varianti atte ad apportare agli strumenti urbanistici generali,
sulla scorta di rilevazioni cartografiche aggiornate, dell’effettiva situazione
fisica e morfologica dei luoghi, delle risultanze catastali e delle confinanze,
le modificazioni necessarie a conseguire la realizzabilità delle previsioni
urbanistiche anche mediante rettifiche delle delimitazioni tra zone omogenee
diverse; d) varianti dirette a modificare le modalità di intervento sul
patrimonio edilizio esistente, nel caso in cui esse non concretino
ristrutturazione urbanistica e non comportino incremento del peso insediativo in
misura superiore al 10% rispetto a quanto stabilito dallo strumento urbanistico
vigente; ove necessario, le varianti potranno altresì prevedere il conseguente
adeguamento della dotazione di aree a standard; e) varianti di completamento
interessanti ambiti territoriali di zone omogenee già classificate ai sensi
dell’ art. 2 d.p. 1444/68 come zone B, C, e D che comportino, con o senza
incremento della superficie azzonata, un aumento della relativa capacità
edificatoria non superiore al 10% di quella consentita nell’ambito oggetto della
variante dal vigente P.R.G., ove necessario tali varianti potranno altresì
prevedere il conseguente adeguamento della dotazione di aree a standard; f)
varianti che comportino modificazioni dei perimetri degli ambiti territoriali
subordinati a piani attuativi, finalizzate ad assicurare un migliore assetto
urbanistico nell’ambito dell’intervento, opportunamente motivato e tecnicamente
documentato, ovvero a modificare la tipologia dello strumento urbanistico
attuativo; g) varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero
del patrimonio edilizio esistente, di cui all’ art. 27 l. 457/78; h) varianti
relative a comparti soggetti a piano attuativo che comportino una diversa
dislocazione delle aree destinate a infrastrutture e servizi; i) varianti
concernenti le modificazioni della normativa dello strumento urbanistico
generale, dirette esclusivamente a specificare la normativa stessa, nonché a
renderla congruente con disposizioni normative sopravvenute, eccettuati
espressamente i casi in cui ne derivi una rideterminazione ex-novo della
disciplina delle aree”.
Nella delibera impugnata il Comune di Casalmaggiore non si è curato di
specificare in base a quale tra le ipotesi previste dall’art. 2 l.r. 23/97
veniva approvato il piano di recupero in variante.
Vanno sicuramente escluse, peraltro, le ipotesi delle lettere a) e b) (varianti
di localizzazione), c) (varianti di correzione cartografica), e) (varianti di
completamento zone B, C, D), h) (varianti di ridislocazione), i) (varianti di
specificazione o di adeguamento a normativa sopravvenuta), in quanto totalmente
inconferenti.
Va esclusa anche la lettera d) (varianti volte a modificare le modalità di
intervento sul patrimonio edilizio esistente), perché per disposto della stessa
norma sono possibili soltanto “nel caso in cui esse non concretino
ristrutturazione urbanistica” (si ricorderà che l’intervento sul comparto 1 del
complesso Castra maiora è stato qualificato dall’amministrazione comunale
proprio come ristrutturazione urbanistica).
Restano soltanto le ipotesi previste dalle lettere f) e g), che si ripropongono
di seguito per comodità di lettura: “f) varianti che comportino modificazioni
dei perimetri degli ambiti territoriali subordinati a piani attuativi,
finalizzate ad assicurare un migliore assetto urbanistico nell’ambito
dell’intervento, opportunamente motivato e tecnicamente documentato, ovvero a
modificare la tipologia dello strumento urbanistico attuativo; g) varianti
finalizzate alla individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio
esistente, di cui all’ art. 27 l. 457/78”.
La lettera f) sembra inconferente, in quanto presuppone la modificazione di un
piano attuativo già approvato, mentre nel caso in esame il complesso degli 11
edifici oggetto del piano di recupero non era subordinato prima
dell’approvazione della delibera impugnata ad alcun piano attuativo, essendo
soggetto come tutti gli edifici della stessa zona all’edificazione mediante
ristrutturazione con vincolo conservativo parziale.
Resta la lettera g), che in effetti è orientata a disciplinare proprio i piani
di recupero, in quanto consente l’approvazione di “varianti finalizzate alla
individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, di cui
all’ art. 27 l. 457/78”.
E l’art. 27 l. 457/78, in effetti, prevede: “I comuni individuano, nell'ambito
degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado,
si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente
mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla
ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. Dette zone
possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonchè
edifici da destinare ad attrezzature. Le zone sono individuate in sede di
formazione dello strumento urbanistico generale ovvero, per i comuni che, alla
data di entrata in vigore della presente legge, ne sono dotati, con
deliberazione del consiglio comunale sottoposta al controllo di cui all'art. 59
della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Nell'ambito delle zone, con la
deliberazione di cui al precedente comma o successivamente con le stesse
modalità di approvazione, possono essere individuati gli immobili, i complessi
edilizi, gli isolati e le aree per i quali il rilascio della concessione è
subordinato alla formazione dei piani di recupero di cui al successivo art. 28.
……….”.
Nella procedura prevista dall’art. 27, pertanto, sono previsti due momenti
separati: 1) la individuazione delle zone dove per le condizioni di degrado
esistente si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente; 2) la individuazione degli immobili, situati all’interno delle zone
di cui al punto 1, per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla
formazione di piano di recupero.
Una volta individuate le zone del territorio comunale, ed individuati i singoli
immobili che dovranno essere oggetto del piano, la procedura di perfezionamento
del piano di recupero si completa con l’approvazione del piano di recupero in
senso proprio che detta i parametri concreti dell’edificazione.
Riassumendo: i passaggi di cui si compone l’approvazione di un piano di recupero
sono tre:
1) individuazione delle zone dove per le condizioni di degrado esistente si
rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente;
2) individuazione degli immobili, situati all’interno delle zone di cui al punto
1, per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione di
piano di recupero;
3) approvazione del piano di recupero che detta i parametri concreti
dell’edificazione.
Non tutte queste tre operazioni possono, in realtà, essere realizzate con la
procedura semplificata della l.r. 23/97. Si è ricordato, infatti, che l’art. 2,
co. 2, lett. f) ammette con tale procedura soltanto le “varianti finalizzate
alla individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, di
cui all’ art. 27 l. 457/78”, e cioè soltanto il primo dei tre passaggi logici di
cui consta l’approvazione del piano di recupero.
Ma la delibera impugnata non si limita ad individuare le zone, anzi non
individua affatto le zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, in
quanto già il p.r.g. prevedeva che nel centro storico fosse astrattamente
assentibile l’utilizzo di piano di recupero, e prevedeva anche i parametri per
l’edificazione in base a piano di recupero.
Nel caso in esame, in cui l’art. 8 p.r.g. individuava già la zona del centro
storico come astrattamente assoggettabile a piano di recupero e fissava anche i
limiti che avrebbe dovuto incontrare l’edificazione in base ai piano di recupero
in centro storico (possibilità di “lievi spostamenti volumetrici a saldo zero
finalizzati ad un miglioramento delle condizioni minime prescritte di
abitabilità, di sicurezza e di riqualificazione architettonica e tipologica”),
il Comune di Casalmaggiore non avrebbe potuto con lo strumento della variante
semplificata modificare i limiti massimi dell’intervento edilizio fissati dal
piano generale.
Per spiegare meglio il concetto: nel caso in esame non c’era alcun bisogno di
approvare il piano di recupero in variante posto che la zona in esame era già
assoggettabile al piano, ma - come nota acutamente e correttamente la difesa di
parte ricorrente – l’approvazione del piano di recupero è servita in realtà
soltanto ad eliminare i limiti all’edificazione in centro storico previsti in
via generale dal p.r.g.
Si è già detto d’altronde sopra del giudizio di disfavore dato dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla possibilità per il piano di recupero
di introdurre “logicamente oltre che giuridicamente, vincoli nuovi ed ulteriori
rispetto a quelli esistenti nello strumento urbanistico generale in vigore”
(CdS, IV, 5 marzo 2008, n. 922), ipotesi speculare a quella di eliminazione di
vincoli che è avvenuta nel caso di specie, e si è già detto anche del giudizio
di disfavore espresso nella sentenza 244/2006 di questo Tribunale sulla
possibilità di approvare un piano di recupero in deroga relativo ad un solo
immobile cui sono stati posti limiti rigorosi di motivazione, a questo punto si
aggiunge che in altro precedente giurisprudenziale più risalente di questo
Tribunale si è espresso un ulteriore giudizio di disfavore sulla possibilità di
utilizzare la variante semplificata ex l.r. 23/97 per modificare situazioni
soggettive consolidate in forza del p.r.g.. Nella pronuncia 1593/01 questo
Tribunale ha affermato, infatti, che “i casi eterogenei di più svariato genere
(della l.r. 23/97, n.d.E.), in cui non sembra decisivo il criterio quantitativo
in sé abbastanza evanescente dell'estensione spaziale delle aree coinvolte dalla
variante, mostrano un elemento comune, un collante che le lega. Esso è
individuato nelle varianti agli strumenti urbanistici che non pregiudichino le
situazioni soggettive dei terzi già consolidate in forza del P.R.G. Se si ha
cura di scorrere l'elencazione di cui all'art. 2 si leggono: a) varianti dirette
a localizzare opere di competenza comunale; b) varianti volte ad adeguare le
originarie previsioni di localizzazione dello strumento urbanistico alla
progettazione esecutiva; c) varianti atte ad apportare agli strumenti
urbanistici generali le modificazioni necessarie a conseguire la realizzabilità
delle previsioni urbanistiche; d) varianti dirette a modificare le modalità di
intervento sul patrimonio edilizio esistente; e) varianti di completamento; f)
varianti che comportino modificazioni dei perimetri territoriali esistenti
subordinati ai piani attuativi, finalizzate ad assicurare un migliore asseto
urbanistico nell'ambito dell'intervento opportunamente motivato e tecnicamente
documentato, ovvero a modificare la tipologia dello strumento urbanistico
attuativo; g) varianti finalizzate alla individuazione delle zone di recupero
del patrimonio edilizio esistente; h) varianti relative a comparti soggetti a
piani attuativi; i) varianti concernenti le modificazioni della normativa dello
strumento urbanistico generale. Ad eccezione dell'ipotesi delineata sub a) sulla
localizzazione delle opere pubbliche comunali per la quale non si fa altro che
riproporre lo stesso congegno normativo previsto dall'art. 1 l. 3 gennaio 1978
n. 1, in tutti gli altri casi la variante in forma semplificata non è idonea a
mutare la destinazione delle aree come prevista dal P.R.G., e quindi a
vanificare le situazioni giuridiche consolidatesi in forza della disciplina
impressa dallo strumento urbanistico primario. In definitiva la normativa
regionale, alla stregua dell'art. 25, comma 1, lett.a) l. 28 febbraio 1985 n.
47, mira a rendere più agile e flessibile il rapporto tra i diversi livelli di
pianificazione, preservando peraltro il nesso di derivazione di quello
secondario rispetto a quello primario, che non può essere unilateralmente
alterato da parte dell'amministrazione comunale senza il concorso di quella
regionale”. In un passo successivo il Tribunale aggiunge che “la
riperimetrazione degli ambiti territoriali omogenei al fine di modificare la
tipologia del preesistente strumento attuativo, prevista all'art. 2, comma 2,
lett f) L. r. 23 giugno 1997 n. 23, è stata invece l'occasione, affatto esclusa
dalla norma, per assoggettare aree suscettibili di diretta edificazione allo
strumento urbanistico attuativo, pregiudicando la situazione giuridica
soggettiva dominicale della ricorrente consolidatasi in forza della disciplina
impartita dal P.R.G.”.
Il principio enucleato dal tribunale nell’ormai lontano precedente del 2001,
secondo cui la normativa regionale della l.r. 23/97 mira a rendere più agile e
flessibile il rapporto tra i diversi livelli di pianificazione, ma non può
pregiudicando la situazione giuridica soggettiva dominicale di chi intende
edificare, non può non essere applicato per ragioni logiche anche alle
situazioni soggettive dominicali non solo di coloro che sono interessati
all’edificazione, ma anche di quelli, come nel caso in esame, che ad essa sono
controinteressati.
In definitiva, la delibera oggetto di impugnazione, che ha modificato i
parametri urbanistici cui avrebbe dovuto essere assoggettata la ristrutturazione
del complesso di edifici denominati Castra maiora – che per p.r.g. avrebbero
potuto essere caratterizzati solo da lievi spostamenti volumetrici a saldo zero,
e di cui invece con provvedimento ad hoc è stata permessa la parziale (pressoché
integrale) demolizione con traslazione dei volumi fino a determinare la
quintuplicazione dei vani abitabili, e quindi del carico urbanistico generato
dalla costruzione, urta contro diversi profili di legittimità (sia relativi alla
legge statale, sia relativi alla normativa regionale lombarda) già affrontati in
passato dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale. Ne
consegue che deve essere accolto il motivo di impugnazione in cui si afferma la
illegittimità della delibera impugnata nella parte in cui essa ha violato l’art.
8 delle n.t.a. del p.r.g. che fissava i limiti agli interventi eseguibili anche
con piano di recupero nelle zone del centro storico.
VII. Restano assorbiti gli ulteriori motivi formulati nel ricorso principale.
Infatti, “nel giudizio amministrativo, l'accoglimento di una censura, che sia in
grado di provocare la caducazione dell'atto impugnato, fa venire meno
l'interesse del ricorrente all'esame degli altri motivi da parte del giudice e
la potestà di questi di procedere a tale esame, autorizzando la dichiarazione di
assorbimento" (Cons. Stato, sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 4829).
VIII. Quanto ai due ricorsi per motivi aggiunti, attinenti – oltre che alla
delibera confermativa di approvazione del piano - ai due permessi di costruire
rilasciati in esecuzione della delibera di approvazione del piano di recupero
impugnato con il ricorso principale, essi “sono affetti da invalidità derivata e
pertanto vanno annullati i titoli concessori rilasciati in forza di una delibera
di approvazione regionale di un Piano integrato di recupero dichiarata
illegittima” (Tar Milano, sez. II, 24/05/2004, 1750).
Restano, pertanto, assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso presentati, tra cui
il motivo relativo all’aumento di volumetria che sarebbe stato assentito con il
permesso di costruire rilasciato per il comparto 1, su cui il Tribunale si era
favorevolmente espresso nell’ordinanza cautelare, poi confermata dal Consiglio
di Stato (negli scritti successivi la difesa della controinteressata ha accusato
il Tribunale di essersi pronunciato in sede cautelare su un motivo non proposto,
ma deve trattarsi di refuso negli scritti difensivi, perché, leggendo il ricorso
per motivi aggiunti, pag. 4, si può constatare che 27 righe sono dedicate alla
questione della maggiore volumetria determinata da tale permesso).
IX. La particolare complessità della questione giustifica la decisione di
compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. staccata di
Brescia, I sezione interna, così definitivamente pronunciando:
Accoglie il ricorso principale ed i due ricorsi per motivi aggiunti, e, per
l’effetto, annulla la delibera del Consiglio comunale del 15. 7. 2008, la
delibera del Consiglio comunale 27. 3. 2009, n. 32, il permesso di costruire 6.
6. 2009, ed il permesso di costruire 136/2009.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/06/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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