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T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 19 luglio 2010, n. 2484
INQUINAMENTO - AIA - Durata del’autorizzazione - 5 anni - Autorizzazioni rimaste
inutilizzate per un tempo corrispondente - Decadenza - Formazione di diritti
quesiti in capo ai soggetti precedentemente autorizzati - Esclusione. L’AIA
ha (nella maggior parte dei casi) una durata limitata a 5 anni, che può essere
ulteriormente ridotta qualora siano nel frattempo intervenute variazioni
sostanziali nelle migliori tecniche disponibili (art. 9 del Dlgs. 59/2005). Se
dunque una volta trascorsi 5 anni il valore dell’autorizzazione decade e il
soggetto che ha realizzato l’impianto deve subire una verifica sulla base della
nuova normativa tecnica, la stessa regola deve essere applicata nel caso in cui
l’autorizzazione non sia stata utilizzata per un corrispondente periodo di
tempo. Considerata la natura degli interessi pubblici coinvolti (salute dei
cittadini, integrità dell’ambiente) non vi sono ragioni per garantire un
migliore trattamento alle autorizzazioni rimaste inutilizzate, indipendentemente
dalla causa all’origine dell’inattività. Dunque fa ormai parte dei principi
dell’ordinamento la regola secondo cui le autorizzazioni di attività che hanno
come esternalità la produzione di inquinanti devono avere durata limitata nel
tempo e carattere recessivo rispetto ai miglioramenti tecnici in grado di
limitare l’inquinamento. Sotto questi profili non possono formarsi diritti
quesiti in capo ai privati precedentemente autorizzati. Pres. Petruzzelli, Est.
Pedron - Comune di Mantova (avv.ti Bergamaschi e Magotti) c. Regione Lombardia
(avv. Cederle) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 19 luglio 2010, n. 2484
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 02484/2010 REG.SEN.
N. 01255/1998 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1255 del 1998, proposto da:
COMUNE DI MANTOVA, rappresentato e difeso dagli avv. Chiara Bergamaschi e Sara
Magotti, con domicilio eletto presso la segreteria del TAR in Brescia, via Malta
12;
contro
REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Cederle, con domicilio
eletto presso la segreteria del TAR in Brescia, via Malta 12;
nei confronti di
AMBIENTE SPA, ora SYNDIAL SPA ATTIVITÀ DIVERSIFICATE, rappresentata e difesa
dagli avv. Pier Giuseppe Torrani, Enrico Murtula e Maria Gabriella Bertoli, con
domicilio eletto presso quest’ultima in Brescia, piazza Mercato 30;
per l'annullamento
- del provvedimento del dirigente del Servizio Protezione Ambientale e Sicurezza
Industriale n. 2718 del 2 giugno 1998, con il quale è stata autorizzata la
costruzione di un impianto per la produzione di energia elettrica mediante la
combustione di rifiuti non pericolosi;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia e di Ambiente
spa (ora Syndial spa Attività Diversificate);
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del
giorno 28 aprile 2010 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Regione Lombardia con provvedimento del dirigente del Servizio Protezione
Ambientale e Sicurezza Industriale n. 2718 del 2 giugno 1998 ha autorizzato la
società Ambiente spa a costruire presso lo stabilimento Enichem nel Comune di
Mantova un impianto per la produzione di energia elettrica mediante la
combustione di rifiuti non pericolosi. La relativa domanda era stata presentata
il 20 settembre 1996.
2. L’impianto dovrebbe bruciare combustibili non convenzionali (RDF, biomasse,
fanghi di depurazione delle acque reflue, plastiche e imballaggi, pelurie e
residui lanosi, scarti di legno, scarti di cartiera) con un potere calorico
medio pari a 3.990 kcal/kg. Il progetto prevede due linee, ciascuna alimentata
da 10,4 t/h di combustibili non convenzionali (in un’ipotesi di utilizzazione
continua nel corso dell’anno l’impianto potrebbe bruciare mediamente una
quantità di rifiuti pari a circa 430 t/giorno). Alle due linee sono associate
due caldaie, ciascuna con potenza termica pari a 48,31 MW, le quali indirizzano
il vapore verso un’unica turbina alla pressione di 4-5 bar. La potenza elettrica
complessiva prodotta dalla turbina (e ceduta a ENEL) è pari a 22,4 MWe. La
combustione libera inquinanti in atmosfera e dunque ricade nella disciplina
sulla qualità dell'aria di cui al DPR 24 maggio 1988 n. 203. Al riguardo
l’autorizzazione regionale prescrive i seguenti valori limite: (a) 10 mg/Nmc per
le polveri (concentrazione media giornaliera); (b) 5 mg/Nmc per i composti
organici volatili; (c) 10 mg/Nmc per l’ammoniaca; (d) 10 mg/Nmc per l’acido
cloridrico; (e) 5 mg/Nmc per i composti ossigenati dell’azoto. Il progetto
garantisce inoltre emissioni di diossina contenute nel limite di 0,1 ng/Nmc ed
emissioni di idrocarburi policiclici aromatici nel limite di 0,1 mg/Nmc.
3. Occorre precisare che l’autorizzazione regionale è stata rilasciata ai sensi
dell’art. 7 del DPR 203/1988. Si tratta quindi di un provvedimento con il quale
è stato esercitato in via diretta il potere autorizzatorio. In precedenza la
Regione aveva seguito una diversa interpretazione della normativa limitando la
propria competenza al rilascio del parere ex art. 17 del DPR 203/1988 e
rimettendo allo Stato il compito di adottare il provvedimento autorizzatorio
finale. Questo perché la Corte Costituzionale con la sentenza n. 346 del 21
luglio 1995, risolvendo un caso di conflitto di attribuzioni, aveva accertato la
competenza statale per quanto riguarda l’autorizzazione alla costruzione e
all’esercizio di centrali termoelettriche al servizio di singoli impianti
industriali. La giunta regionale con la DGR n. 6/24297 del 24 gennaio 1997 aveva
quindi proposto al consiglio regionale di esprimere parere favorevole per il
Ministero dell’Industria sul progetto di Ambiente spa. In seguito però la
Regione con la DGR n. 6/30907 dell’8 agosto 1997 ha stabilito di esercitare
direttamente il potere autorizzatorio sia per le nuove istanze sia per quelle
già esaminate, con la sola esclusione dei progetti per i quali i pareri erano
ormai stati trasmessi al Ministero. In applicazione di questo nuovo indirizzo la
DGR n. 6/24297 del 24 gennaio 1997 è stata revocata con la DGR n. 6/31294 del 29
settembre 1997. La procedura autorizzatoria è successivamente ripresa e si è
conclusa con il provvedimento dirigenziale del 2 giugno 1998.
4. Nel corso della procedura complessivamente considerata il Comune è
intervenuto più volte, dapprima chiedendo approfondimenti che tenessero conto
anche degli altri inceneritori progettati o presenti sul territorio comunale (v.
note del sindaco del 19 dicembre 1996, del 7 maggio 1997 e dell’11 dicembre
1997) e alla fine manifestando apertamente il proprio dissenso (v. deliberazioni
giuntali n. 524 del 13 giugno 1997 e n. 232 del 27 maggio 1998). I motivi di
dissenso sono così sintetizzabili: (a) il termovalorizzatore in progetto è
sovradimensionato rispetto alla produzione di combustibili non convenzionali sul
territorio provinciale; (b) la realizzazione del termovalorizzatore non comporta
la chiusura dell’inceneritore presente nello stabilimento Enichem; (c) nel
progetto non è stata coinvolta l’ASM Mantova ai fini dell’ampliamento della rete
di teleriscaldamento; (d) manca la conformità urbanistica; (e) non è stata
eseguita la procedura di VIA.
5. Contro l’autorizzazione regionale del 2 giugno 1998 il Comune ha presentato
impugnazione con atto notificato il 14 ottobre 1998 e depositato il 2 novembre
1998. Le censure possono essere sintetizzate nei punti seguenti: (i)
incompetenza e contraddittorietà, in quanto il potere autorizzatorio spetterebbe
allo Stato ex art. 17 del DPR 203/1988; (ii) violazione dell’art. 7 del DPR
203/1988, in quanto non sarebbero state adeguatamente considerate le esigenze
istruttorie rappresentate dal Comune; (iii) difetto di motivazione.
6. La Regione e Ambiente spa (a cui è poi subentrata per incorporazione Syndial
spa Attività Diversificate) si sono costituite in giudizio chiedendo la
reiezione del ricorso. Il TAR Brescia con ordinanza n. 912 del 4 dicembre 1998
ha respinto la domanda di sospensione cautelare.
7. Poco dopo l’avvio della controversia il Ministero dell’Industria con decreto
del direttore generale n. 65/98 dell’11 dicembre 1998, emesso ai sensi dell’art.
17 del DPR 203/1988, ha autorizzato il medesimo progetto già autorizzato dalla
Regione. Questo provvedimento non è stato impugnato dal Comune, che pure ne
aveva ricevuto tempestivamente copia tramite una comunicazione della Regione
pervenuta al protocollo comunale il 25 febbraio 1999. Nonostante le due
autorizzazioni l’impianto non risulta tuttora realizzato.
8. Per quanto riguarda il problema della competenza, a cui è dedicato il primo
motivo di ricorso, si può ritenere che il potere autorizzatorio al momento
dell’adozione del provvedimento impugnato fosse già incardinato nella Regione.
Non tanto per la ragione formale che nel DPR 203/1988 l’art. 17 (competenza
statale) esclude l’applicazione alle centrali termoelettriche del solo art. 6
(procedura) e non dell’art. 7 (competenza regionale). Vi sono invece
giustificazioni di ordine sistematico:
(a) la Corte Costituzionale nella sentenza n. 346/1995 osserva la questione
dalla prospettiva della produzione di energia elettrica (riconoscendo sotto tale
profilo la necessità di una disciplina omogenea a livello statale) ma fa salve
le competenze in materia di inquinamento attribuite alle regioni (“potendo
valutare anche i profili di sommatoria delle emissioni inquinanti ed imporre le
eventuali prescrizioni incidenti su detta attività produttiva industriale”).
Poiché nella combustione di rifiuti i problemi legati all’inquinamento sono
prevalenti su quelli della vera e propria attività produttiva di energia
elettrica, è evidente che la competenza statale era riferita soltanto al
prodotto finale mentre la decisione sulla compatibilità ambientale dei
termovalorizzatori spettava alle regioni;
(b) la prevalenza del profilo della gestione dei rifiuti su quello energetico è
stata stabilita espressamente dal Dlgs. 5 febbraio 1997 n. 22, il quale all’art.
4 comma 1 include nell’attività di recupero anche l'utilizzazione principale dei
rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia. Di
conseguenza il potere regionale di autorizzazione delle operazioni di recupero
(art. 28) si estende anche ai termovalorizzatori, assorbendo il profilo della
produzione di energia elettrica;
(c) sulla stessa linea anche la normativa che ha regolato il decentramento
amministrativo. L’art. 29 comma 2 del Dlgs. 31 marzo 1998 n. 112 attribuisce
infatti allo Stato le funzioni relative alla costruzione degli impianti di
produzione di energia elettrica con potenza termica superiore a 300 MW,
escludendo però espressamente quelli che producono energia da fonti rinnovabili
e da rifiuti ai sensi del Dlgs. 22/1997. A parte la considerazione che nel caso
in esame la potenza termica è ampiamente al di sotto della soglia di 300 MW,
trattandosi di un termovalorizzatore la competenza all’autorizzazione era
comunque regionale.
9. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente,
propongono in sostanza il problema della mancata valutazione del progetto sotto
alcuni profili ritenuti rilevanti dal Comune. Occorre precisare che all’epoca
dei fatti sarebbe stato necessario esperire la procedura di VIA, dove questi
problemi avrebbero potuto trovare un’idonea sede di dibattito, in quanto la
versione originaria dell’allegato A punto i) del DPR 12 aprile 1996 prevedeva
tale adempimento per gli impianti di incenerimento e di trattamento di rifiuti
con capacità superiore a 100 t/giorno. In seguito la necessità della VIA è
venuta meno con la modifica introdotta dal DPCM 3 settembre 1999, che
sostituendo la lett. l) dell’allegato A ha mantenuto la soglia di 100 t/giorno
ma ha anche inserito un inciso che escludeva gli impianti di recupero sottoposti
alle procedure semplificate di cui agli art. 31 e 33 del Dlgs. 22/1997. Tale
inciso è stato poi eliminato dal DPCM 7 marzo 2007, con il risultato di
generalizzare nuovamente la procedura di VIA. Nel frattempo la disciplina è
confluita nel Dlgs. 3 aprile 2006 n. 152, il quale nell’allegato III alla parte
seconda, punto n), sottopone parimenti a VIA gli impianti con capacità superiore
a 100 t/giorno che utilizzano in via principale i rifiuti come combustibile per
produrre energia, senza prevedere eccezioni.
10. Peraltro la questione della VIA e le altre osservazioni esposte dal Comune
nella procedura di autorizzazione (v. sopra al punto 4) non possono essere
esaminate ai fini di una pronuncia di merito, in quanto lo sviluppo della
vicenda offre elementi che indirizzano verso l’improcedibilità del ricorso.
11. L’improcedibilità non è collegata alla mancata impugnazione del decreto
ministeriale. Se si accetta la ricostruzione del riparto di competenze esposta
sopra al punto 8 risulta evidente che la Regione ha esercitato una competenza
propria sull’aspetto che maggiormente interessa al Comune, ossia l’impatto
ambientale del nuovo impianto. Quello regionale era dunque l’unico provvedimento
che il Comune aveva l’onere di impugnare. Il decreto ministeriale è ripetitivo
di quello regionale e in base alla sentenza della Corte Costituzionale n.
346/1995 doveva essere inteso come riferito alla sola produzione di energia
elettrica: l’evoluzione normativa posteriore ha poi conglobato anche questo
profilo nel concetto di recupero dei rifiuti sotto forma di combustibile. In
definitiva nella vicenda vengono in rilievo unicamente spezzoni di competenza
regionale, con riferimento alle materie dei rifiuti e delle emissioni in
atmosfera, e dunque il ricorso è correttamente incentrato sul provvedimento
regionale.
12. Si può invece individuare una causa di improcedibilità nel fatto che pur
essendo trascorsi molti anni dall’autorizzazione regionale l’impianto non è
stato realizzato. È vero che l’autorizzazione regionale, a differenza del
decreto ministeriale, non conteneva nel dispositivo un termine riferito alla
realizzazione dell’impianto, ma questa circostanza non ha particolare rilievo.
In realtà neppure il termine contenuto nel decreto ministeriale (60 giorni) può
essere considerato tassativo. Questo intervallo temporale non individua infatti
la data oltre la quale non sarebbe più possibile realizzare l’impianto ma
semplicemente il termine per la comunicazione al Ministero dell’avvenuta messa
in esercizio: è evidente che se la messa in esercizio è successiva il termine
della comunicazione si sposta in avanti (in sostanza il decreto impone al
soggetto che realizza l’impianto di informare tempestivamente il Ministero in
modo da consentire l’attività di controllo).
13. La mancata fissazione di un termine per la realizzazione dell’impianto non
significa tuttavia che un tale termine non sia individuabile nella normativa o
nei principi dell’ordinamento. Come si è visto sopra al punto 8, autorizzando il
termovalorizzatore la Regione ha esercitato due funzioni all’epoca ancora
distinte ma destinate in seguito a fondersi: da un lato l’autorizzazione al
recupero di rifiuti tramite combustione e dall’altro l’autorizzazione alle
emissioni in atmosfera. La prima autorizzazione ha una durata pari a 5 anni (v.
art. 28 comma 3 del Dlgs. 22/1997) mentre la seconda è modificabile nel tempo in
seguito all'evoluzione delle migliori tecniche disponibili nonché all’evoluzione
della situazione ambientale (v. art. 11 del DPR 203/1988). Se dunque una volta
trascorsi 5 anni il valore dell’autorizzazione decade e il soggetto che ha
realizzato l’impianto deve subire una verifica sulla base della nuova normativa
tecnica, la stessa regola deve essere applicata nel caso in cui l’autorizzazione
non sia stata utilizzata per un corrispondente periodo di tempo. Considerata la
natura degli interessi pubblici coinvolti (salute dei cittadini, integrità
dell’ambiente) non vi sono ragioni per garantire un migliore trattamento alle
autorizzazioni rimaste inutilizzate, indipendentemente dalla causa all’origine
dell’inattività. L’evoluzione normativa ha confermato questa impostazione. Le
due autorizzazioni sono state infatti unificate nell’AIA disciplinata dal Dlgs.
18 febbraio 2005 n. 59. Questo vale per una serie di attività particolarmente
esposte al rischio di produzione di inquinamento, tra cui gli impianti di
combustione con potenza termica di oltre 50 MW, come quello oggetto del presente
ricorso (v. Dlgs. 59/2005 allegato 1, punto 1.1, e allegato 2). L’AIA ha (nella
maggior parte dei casi) una durata limitata a 5 anni, che può essere
ulteriormente ridotta qualora siano nel frattempo intervenute variazioni
sostanziali nelle migliori tecniche disponibili (art. 9 del Dlgs. 59/2005).
Dunque fa ormai parte dei principi dell’ordinamento la regola secondo cui le
autorizzazioni di attività che hanno come esternalità la produzione di
inquinanti devono avere durata limitata nel tempo e carattere recessivo rispetto
ai miglioramenti tecnici in grado di limitare l’inquinamento. Sotto questi
profili non possono formarsi diritti quesiti in capo ai privati precedentemente
autorizzati.
14. Da quanto appena esposto emerge la decadenza dell’autorizzazione regionale
oggetto della controversia, con la conseguente sopravvenuta carenza di interesse
processuale. La controinteressata, qualora intenda coltivare la sua iniziativa,
ha quindi l’onere di ripresentare l’istanza e di aggiornare il progetto, che
sarà poi esaminato dall’amministrazione nell’ambito delle procedure di VIA e
dell’AIA. In proposito occorre però fare una precisazione. L’aspettativa della
controinteressata è recessiva solo in quanto è ora necessario ottenere una nuova
autorizzazione attraverso le suddette procedure. Poiché tuttavia sull’inutile
decorso del tempo ha inciso verosimilmente anche la pendenza del presente
ricorso, e dunque non si può presumere un’inerzia del tutto volontaria, non
possono essere opposti alla controinteressata gli sviluppi nella condizione
giuridica del sito che abbiano introdotto divieti assoluti alla realizzazione
dell’impianto. In particolare le nuove prescrizioni urbanistiche, in quanto
sopravvenute all’autorizzazione impugnata nel presente ricorso, si interpretano
come divieti relativi, che potrebbero essere superati qualora nelle procedure di
VIA e dell’AIA venisse fornita la dimostrazione della piena compatibilità del
progetto con le esigenze di tutela della salute e dell’ambiente.
15. Il ricorso deve quindi essere dichiarato improcedibile nel senso esplicitato
ai punti precedenti. La complessità di alcune questioni consente l’integrale
compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Lombardia Sezione staccata di Brescia, Sezione I, dichiara
improcedibile il ricorso.
Le spese sono integralmente compensate tra le parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Mario Mosconi, Consigliere
Mauro Pedron, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/07/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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