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T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 22 settembre 2010, n. 3555


BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincolo paesaggistico - Art. 167 d.lgs. n. 42/2004 - Divieto di sanatoria paesistica - interpretazione della norma conforme al principio di proporzionalità - Assenza di danno ambientale - Rilascio in via successiva dell’autorizzazione paesistica - Ammissibilità. Se non ci si ferma a un’interpretazione letterale dell’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004 e si integra la norma con il principio di proporzionalità, si può osservare come il divieto di sanatoria paesistica abbia in realtà la funzione di impedire all’amministrazione di trasformare ordinariamente, attraverso il giudizio di compatibilità paesistica, il danno ambientale in un equivalente monetario. Il fatto compiuto viene quindi sanzionato con la remissione in pristino in quanto potrebbe indurre l’amministrazione ad accettare un prezzo in cambio di una lesione al vincolo paesistico. Dove tuttavia non sussista alcun danno ambientale, o addirittura sia possibile ottenere un guadagno ambientale con l’assunzione da parte del trasgressore di specifiche obbligazioni nell’interesse del vincolo paesistico, non vi sono ragioni per escludere un’autorizzazione paesistica rilasciata in via successiva (v. TAR Brescia Sez. I 19 marzo 2008 n. 317; TAR Brescia Sez. I 25 maggio 2010 n. 2139): ciò a maggior ragione ove la costruzione sia regolarizzabile dal punto di vista urbanistico, in quanto sarebbe contraria all’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004 come sopra interpretato l’imposizione della sanzione demolitoria per opere che una volta demolite potrebbero essere ricostruite identiche. Pres. Petruzzelli, Est. Pedron - A.s.r.l. (avv. Luppi) c. Comune di Salò (avv. Ballerini) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 22 settembre 2010, n. 3555

DIRITTO URBANISTICO - Nozione di pertinenza - Regione Lombardia - Art. 27, c. 1, lett. e-6 L.r. 12/2005 - Volume della pertinenza - Limite del 20% rispetto all’edificio principale - Mediazione degli strumenti urbanistici comunali. Sul piano urbanistico le pertinenze sono una categoria di interventi individuata non attraverso la nozione civilistica di cui all’art. 817 c.c. ma in ragione della modesta rilevanza economica e del limitato peso per il territorio (v. CS Sez. IV 13 gennaio 2010 n. 41; TAR Brescia Sez. I 13 ottobre 2008 n. 1259). Nella Regione Lombardia, l’art. 27 comma 1 lett. e-6 della LR 12/2005 esclude che si possa definire pertinenza una costruzione il cui volume sia superiore al 20% del volume dell'edificio principale. Al di sotto di questa soglia le costruzioni collegate ad altri edifici non sono comunque automaticamente qualificabili come pertinenze. La predetta norma regionale (come la corrispondente norma statale) richiede infatti che la qualificazione delle pertinenze sia mediata dagli strumenti urbanistici comunali e dai regolamenti edilizi. Dunque la deroga alle regole stabilite per le nuove costruzioni è ammissibile solo quando la disciplina comunale contenga un criterio idoneo a differenziare le pertinenze dal resto dell’attività edificatoria.  Pres. Petruzzelli, Est. Pedron - A.s.r.l. (avv. Luppi) c. Comune di Salò (avv. Ballerini) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 22 settembre 2010, n. 3555
 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 03555/2010 REG.SEN.
N. 00256/2008 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)



ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 256 del 2008, proposto da:
ALIBENACO SRL, rappresentata e difesa dall'avv. Alberto Luppi, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Solferino 10;


contro


COMUNE DI SALÒ, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, viale Stazione 37;

per l'annullamento

- dell’ordinanza del responsabile dell’Area Tecnica n. 18 del 29 gennaio 2008, con la quale è stata ingiunta la demolizione della costruzione posta a fianco del ristorante-pizzeria situato in piazza Vittorio Emanuele II;


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Salò;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2010 il dott. Mauro Pedron;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato quanto segue.


FATTO e DIRITTO


1. La ricorrente società Alibenaco srl è titolare del ristorante-pizzeria Tip Tap situato in piazza Vittorio Emanuele II nel Comune di Salò. L’immobile è classificato in zona A (centro storico) e ricade all’interno di un’area sottoposta a vincolo paesistico (DM 8 aprile 1958).


2. Con una DIA depositata il 31 ottobre 2001 la ricorrente ha esposto il progetto di un intervento edilizio su una pedana esterna al ristorante definita come “plateatico” (sull’area la ricorrente dichiarava di detenere un diritto di superficie). L’intervento era descritto come “sostituzione [di] tenda a copertura di plateatico”. La relazione tecnica precisava che sarebbe stata completamente rifatta la struttura portante utilizzando profilati in ferro disposti secondo una tipologia ad arcate circolari a tutto sesto. Come copertura era prevista una tenda color avorio. Il manufatto di progetto aveva una lunghezza di 17 metri, una larghezza di 5,31 metri e un’altezza massima di 3,70 metri, e doveva rimanere aperto su tre lati.


3. Nel corso di un sopralluogo svolto in data 4 dicembre 2007 da due funzionari del Comune in contraddittorio con il legale rappresentante della ricorrente è stato accertato che al posto della struttura descritta nella DIA del 31 ottobre 2001 era stata realizzata una costruzione chiusa su tutti i lati, avente dimensioni pari a 17x5,30 metri, con un’altezza interna compresa tra 2,60 e 3,90 metri. Le pareti sono in ferro con tamponamenti in vetro. La copertura è costituita da una tenda con sottostante cartongesso. Il locale risulta illuminato e riscaldato, e di fatto rappresenta un ampliamento del ristorante adiacente.


4. Preso atto del risultato del sopralluogo il responsabile dell’Area Tecnica con ordinanza n. 18 del 29 gennaio 2008 ha ingiunto la demolizione e la remissione in pristino nel termine di 30 giorni. Questa misura si basa disgiuntamente sull’art. 31 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 (opere eseguite in totale difformità dal titolo edilizio) e sull’art. 167 comma 4 del Dlgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (realizzazione di nuovo volume senza preventiva autorizzazione paesistica).


5. Contro la suddetta ordinanza la ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato il 3 marzo 2008 e depositato il 12 marzo 2008. Le censure possono essere sintetizzate come segue: (i) violazione dell’art. 31 del DPR 380/2001, in quanto il manufatto costituirebbe mera pertinenza del ristorante; (ii) violazione dell’art. 34 del DPR 380/2001, in quanto verrebbe ordinata la demolizione dell’intero manufatto e non delle sole parti difformi; (iii) violazione dell’art. 37 del DPR 380/2001, in quanto il manufatto avrebbe natura temporanea (stagionale) e dunque precaria, e come tale sarebbe sottoposto al regime della DIA semplice.


6. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso. In via preliminare viene eccepita l’inammissibilità del ricorso in base alla considerazione che non sono stati proposti motivi contro la parte del provvedimento impugnato nella quale si fa riferimento alla mancanza di autorizzazione paesistica preventiva.


7. L’eccezione di inammissibilità non appare condivisibile. Se non ci si ferma a un’interpretazione letterale dell’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004 e si integra la norma con il principio di proporzionalità, si può osservare come il divieto di sanatoria paesistica abbia in realtà la funzione di impedire all’amministrazione di trasformare ordinariamente, attraverso il giudizio di compatibilità paesistica, il danno ambientale in un equivalente monetario. Il fatto compiuto viene quindi sanzionato con la remissione in pristino in quanto potrebbe indurre l’amministrazione ad accettare un prezzo in cambio di una lesione al vincolo paesistico. Dove tuttavia non sussista alcun danno ambientale, o addirittura sia possibile ottenere un guadagno ambientale con l’assunzione da parte del trasgressore di specifiche obbligazioni nell’interesse del vincolo paesistico, non vi sono ragioni per escludere un’autorizzazione paesistica rilasciata in via successiva (v. TAR Brescia Sez. I 19 marzo 2008 n. 317; TAR Brescia Sez. I 25 maggio 2010 n. 2139). La soluzione opposta sarebbe irragionevolmente gravosa per il privato e inutile (o controproducente) per l’interesse pubblico. Tornando al caso in esame occorre sottolineare che il Comune si è limitato a contestare la mancanza di autorizzazione paesistica e l’impossibilità della sanatoria, senza indicare un autonomo profilo di lesione dell’interesse paesistico tutelato. Risulta quindi evidente che l’aspetto decisivo della controversia è quello urbanistico (puntualmente trattato nei motivi di ricorso): se la costruzione fosse regolarizzabile sul piano urbanistico ne discenderebbe direttamente anche l’ammissibilità della sanatoria paesistica, in quanto sarebbe contraria all’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004 come sopra interpretato l’imposizione della sanzione demolitoria per opere che una volta demolite potrebbero essere ricostruite identiche.


8. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 31 del DPR 380/2001. La ricorrente sostiene che il manufatto costituirebbe mera pertinenza del ristorante e dunque, non essendo tecnicamente una nuova costruzione, non sarebbe passibile di remissione in pristino.


9. La tesi non appare condivisibile. Si osserva innanzitutto che la costruzione realizzata dalla ricorrente non può ritenersi assentita in forza della DIA del 31 ottobre 2001, essendo diversa sia strutturalmente (chiusura su tutti lati), sia per dimensioni (è più alta), sia per la potenziale stabilità nell’uso (trattandosi di uno spazio sostanzialmente omologo agli altri locali del ristorante l’utilizzazione può avvenire indipendentemente dalle condizioni atmosferiche stagionali, secondo le scelte imprenditoriali del gestore).


10. Fatta questa premessa si possono svolgere due considerazioni:

(a) una costruzione come quella realizzata dalla ricorrente non rientra nel concetto urbanistico di pertinenza ex art. 27 comma 1 lett. e-6 della LR 11 marzo 2005 n. 12 (v. anche l’art. 3 comma 1 lett. e-6 del DPR 380/2001). Sul piano urbanistico le pertinenze sono una categoria di interventi individuata non attraverso la nozione civilistica di cui all’art. 817 c.c. ma in ragione della modesta rilevanza economica e del limitato peso per il territorio (v. CS Sez. IV 13 gennaio 2010 n. 41; TAR Brescia Sez. I 13 ottobre 2008 n. 1259). L’art. 27 comma 1 lett. e-6 della LR 12/2005 esclude che si possa definire pertinenza una costruzione il cui volume sia superiore al 20% del volume dell'edificio principale. Al di sotto di questa soglia le costruzioni collegate ad altri edifici non sono automaticamente qualificabili come pertinenze. La predetta norma regionale (come la corrispondente norma statale) richiede infatti che la qualificazione delle pertinenze sia mediata dagli strumenti urbanistici comunali e dai regolamenti edilizi. Dunque la deroga alle regole stabilite per le nuove costruzioni è ammissibile solo quando la disciplina comunale contenga un criterio idoneo a differenziare le pertinenze dal resto dell’attività edificatoria. Nel caso in esame una simile previsione comunale non è indicata dalla ricorrente. Vale quindi il criterio generale specificato sopra, ossia è necessario verificare se la nuova costruzione abbia modesta rilevanza economica e limitato peso per il territorio. Nessuno di questi parametri è soddisfatto: la rilevanza economica è tutt’altro che modesta, trattandosi di un significativo ampliamento dello spazio di somministrazione del ristorante, e anche il peso per il territorio non può essere definito modesto, dal momento che la costruzione si trova nel centro storico e in un ambito sottoposto a vincolo paesistico;

(b) sussiste un’effettiva soluzione di continuità rispetto alla DIA del 31 ottobre 2001, che prevedeva una struttura leggera e soprattutto aperta (e meno alta). Appare quindi corretta la qualificazione di abuso ai sensi dell’art. 31 del DPR 380/2001 per difformità totale e non per semplice difformità parziale. È vero che alcune parti della struttura potrebbero essere conformi alla DIA, ma il significato complessivo dell’opera è radicalmente diverso (attraverso la chiusura del locale è stato ampliato il volume del ristorante).


11. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 34 del DPR 380/2001. La ricorrente sostiene che non dovrebbe essere ordinata la demolizione dell’intero manufatto ma solo delle parti difformi rispetto alla DIA del 31 ottobre 2001.


12. La tesi non appare condivisibile. In realtà il Comune ha ordinato alla ricorrente di procedere sia alla demolizione sia alla remissione in pristino, il che significa precisamente che è richiesta la demolizione materiale delle sole parti non conformi alla DIA del 31 ottobre 2001. Rimane quindi fermo il titolo autorizzatorio costituito da tale DIA: la demolizione è lo strumento per ricondurre il manufatto entro i limiti ivi stabiliti. Tuttavia, poiché non si tratta di difformità parziale ma di un’opera completamente diversa, come si è visto sopra al punto 10-b, non valgono le regole dell’art. 34 comma 2 del DPR 380/2001. Pertanto se la demolizione delle parti difformi dalla DIA non può avvenire senza la rimozione delle parti conformi non si applica l’istituto della regolarizzazione dell’immobile abusivo mediante il versamento di un importo a titolo di sanzione sostitutiva, ma sarà necessario rimuovere e poi riposizionare le parti conformi.


13. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 37 del DPR 380/2001. La ricorrente sostiene che il manufatto avrebbe natura temporanea (stagionale) e dunque precaria, e come tale sarebbe sottoposto al regime della DIA semplice e sottratto alle sanzioni demolitorie.


14. La tesi non appare condivisibile. In realtà al manufatto non può essere riconosciuto carattere precario, essendo equiparabile agli altri locali del ristorante. Potrebbe certamente esservi un uso stagionale, nel senso che la somministrazione all’interno di questo spazio potrebbe essere limitata a una parte dell’anno. L’individuazione del periodo di utilizzazione è però legata alle scelte imprenditoriali del gestore, in quanto le caratteristiche della struttura, e in particolare il tamponamento delle pareti e presenza dell’impianto elettrico e di riscaldamento, consentono di per sé un impiego in qualsiasi stagione e dunque continuativo.


15. Anche ammettendo la possibilità di individuare un criterio oggettivo per concentrare l’utilizzazione della struttura in un solo periodo dell’anno, questa circostanza non basterebbe da sola a escludere l’applicabilità delle regole sulle nuove costruzioni. Come si è visto sopra al punto 10-a, il manufatto abusivo ha una consistenza superiore a quella delle mere pertinenze. Se anche fosse qualificabile come opera stagionale non potrebbe comunque essere considerato un’opera stagionale di minimo impatto edilizio. Dimostrare il minimo impatto edilizio sembra, in via interpretativa, l’unico mezzo a disposizione del proprietario per conseguire la permanenza ininterrotta della struttura nel sito prescelto (evitando quindi l’onere di rimozione e reinstallazione), sul presupposto che le opere inidonee a provocare disturbo sotto il profilo edilizio non sono intercettate dai divieti di edificazione posti dalla disciplina comunale (v. TAR Brescia Sez. I 26 febbraio 2010 n. 985; TAR Brescia Sez. I 1 luglio 2010 n. 2407). Nel caso in esame tuttavia l’opera ha dimensioni e funzione del tutto equiparabili a quelle di un normale ampliamento volumetrico, e dunque non è possibile eludere il divieto di nuove costruzioni e di ampliamenti in centro storico. In altri termini è riscontrabile la presenza di un “un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile” secondo la definizione dell’art. 31 comma 1 del DPR 380/2001.


16. In conclusione il ricorso deve essere respinto. La complessità di alcune questioni consente l’integrale compensazione delle spese tra le parti.


P.Q.M.


il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione staccata di Brescia, Sezione I, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Le spese sono integralmente compensate tra le parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2010 con l'intervento dei Magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Mario Mosconi, Consigliere
Mauro Pedron, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/09/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO



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