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1974-9562
T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 17 novembre 2010, n. 4640
DIRITTO URBANISTICO - N.t.a. - Norma che consente la modifica del piano di
campagna - Applicabiltà agli interventi di demolizione e ricostruzione -
Esclusione - Ragioni. Una disposizione delle n.t.a. che consenta la modifica
del piano di campagna, non può essere applicata ad interventi di demolizione e
ricostruzione, non potendosi ritenere che una norma di piano possa incidere sui
limiti massimi di estensione di una tipologia di intervento edilizio prevista
direttamente dalla legge (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 4929 del
27/10/2009). La modifica del piano di campagna dell’edificio preesistente,
infatti, comporta come conseguenza una traslazione in alto della sagoma. E
vicende di traslazioni di sagoma o volumetria sono incompatibili con i limiti
della demolizione e ricostruzione (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 5268
del 02/12/2009; Tar Toscana, sez. III, n. 639 del 17 aprile 2007) Pres.
Petruzzelli, Est. Russo - E.B. e altro (avv.ti Ferrari, Fontana e Fontana) c.
Comune di Polpenazze del Garda (avv. Ballerini) - TAR LOMBARDIA, Brescia,
Sez. I - 17 novembre 2010, n. 4640
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04640/2010 REG.SEN.
N. 01263/2008 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1263 del 2008, proposto da:
ELIO BERTAZZI, DANIELA TURRINA, rappresentati e difesi dagli avv. Italo Ferrari,
Francesco Fontana, Gianfranco Fontana, con domicilio eletto presso lo studio
dell’avv. Gianfranco Fontana in Brescia, via Diaz, 28;
contro
COMUNE DI POLPENAZZE DEL GARDA, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro
Ballerini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mauro Ballerini in
Brescia, v.le Stazione, 37;
per l'annullamento
- della nota del responsabile n. 3313 del 31.7.2008 di denegato rilascio
autorizzazione ambientale e conferma inefficacia della d.i.a. in variante;
- dell' ordinanza del 17.10.2008 n. 60 di demolizione delle opere eseguite senza
permesso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Polpenazze del Garda;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2010 il dott. Carmine Russo
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’odierno ricorrente – che era interessato a provvedere alla demolizione e
ricostruzione di un immobile di proprietà lesionato dal terremoto, demolizione e
ricostruzione cui aveva provveduto a dare inizio - impugna il provvedimento del
31. 7. 2008 con cui il Comune di Polpenazze comunicava di respingere la domanda
di autorizzazione ambientale e confermava la sospensione dell’efficacia della
d.i.a. in variante che il ricorrente aveva presentato il 29. 11. 2007.
L’amministrazione comunale aveva motivato la propria decisione rilevando che le
norme di piano non consentirebbero lo slittamento dell’edificio verso l’alto che
era previsto dal progetto in variante depositato dall’interessato.
Con lo stesso ricorso il ricorrente impugna anche il provvedimento del 17. 10.
2008 con cui il Comune ordinava conseguentemente la demolizione della parte di
opera nel frattempo costruita illegittimamente.
I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:
1. il provvedimento sarebbe illegittimo per mancanza del preavviso di diniego ex
art. 10bis l. 241/90 (quanto al diniego di autorizzazione ambientale) e per
mancanza della comunicazione d’avvio (quanto all’ordine di demolizione);
2. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione del d.m. 25. 2. 1967
perché il Comune – nel negare l’autorizzazione paesaggistica - avrebbe inserito
profili urbanistici in una valutazione che avrebbe dovuto essere di tipo
strettamente paesaggistico; nella parte finale del motivo di ricorso si deduce
anche che non vi sarebbe la violazione della norma di piano dedotta dal Comune,
in quanto s leggerla bene la stessa consentirebbe in realtà slittamenti verso
l’alto del piano di campagna;
3. il provvedimento sarebbe, inoltre, illegittimo per violazione dell’art. 31
d.p.r. 380/01 perché sarebbe stata ingiunta la demolizione di un’opera soggetta
non a permesso di costruire, ma a mera d.i.a., quale la ristrutturazione
mediante demolizione e ricostruzione, sanzionabile con la sola sanzione
pecuniaria ex art. 37 t.u.; si aggiunge che anche quando non fosse considerabile
intervento soggetto a d.i.a., esso sarebbe comunque qualificabile come
ristrutturazione con ampliamento cui applicare la norma sanzionatoria degli
artt. 33 e 34 del t.u. che consente all’amministrazione di scegliere di irrogare
una mera sanzione pecuniaria.
Si costituiva in giudizio il Comune di Polpenazze, che deduceva l’infondatezza
dei motivi di ricorso ed allegava nota di deposito documenti.
Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 27. 10. 2010, all’esito
della quale veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
I. Il primo motivo di ricorso, in cui si deduce che il provvedimento sarebbe
illegittimo per mancanza del preavviso di diniego ex art. 10bis l. 241/90
(quanto al diniego di autorizzazione ambientale) e per mancanza della
comunicazione d’avvio (quanto all’ordine di demolizione), è infondato.
Premesso che sull’ordine di demolizione è sufficiente richiamare che esso, per
giurisprudenza dominante, non deve essere preceduto da comunicazione d’avvio
(per tutti Tar Campania, Napoli, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 15871: “l'ordine
di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall'avviso
ex art. 7 della L. n. 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso
quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni
urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato
dal legislatore e conseguente disciplinato rigidamente dalla legge”; nello
stesso senso anche Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659, secondo cui
“gli atti sanzionatori in materia edilizia - attesa la loro natura rigidamente
vincolata - non risultano viziati ove non siano stati preceduti dalla
comunicazione d’avvio del procedimento”), sulla questione della mancanza del
preavviso di diniego sull’autorizzazione ambientale occorre precisare brevemente
i passaggi principali della procedura edilizia attivata dal ricorrente, che non
è di semplice lettura, perché in essa si sono affastellate alcune varianti
progettuali che il ricorrente ha direttamente eseguito senza preoccuparsi di
farsi previamente autorizzare.
Infatti, i titoli con cui era stata originariamente autorizzata l’opera di
demolizione e ricostruzione dell’edificio di proprietà del ricorrente sono:
- la d.i.a. presentata il 4. 9. 2007, con successiva varianti del 29. 11. 2007 e
del 9. 1. 2008;
- l’autorizzazione paesaggistica emessa il 15. 2. 2008.
Nel corso di sopralluogo eseguito una settimana dopo il perfezionamento della
procedura, il 22. 2. 2008, il Comune si avvedeva che le opere erano iniziate
anche se non erano ancora decorsi i 60 gg. entro cui la Soprintendenza può
annullare l’autorizzazione rilasciata dal Comune (dal verbale di sopralluogo
emerge che i lavori di demolizione erano stati già integralmente eseguiti; era
stato, inoltre, ricostruito il primo e secondo piano a livello di rustico,
mancavano ancora il secondo piano e la copertura).
Ne seguiva l’ordine di sospensione lavori del 26. 2. 2008, in cui a sostegno
della motivazione si specifica proprio che l’autorizzazione paesaggistica non
era ancora efficace.
Nel corso di un successivo nuovo sopralluogo del 12. 3. 2008 il Comune si
avvedeva che l’ordine di sospensione lavori era stato violato, perché i lavori
edilizi erano andati avanti anche nel periodo in cui avrebbero dovuto essere
fermi (nel verbale di sopralluogo si legge che erano stati nel frattempo
realizzati anche i muri perimetrali del secondo piano ed il cordolo di cemento
armato d’imposta della copertura; era inoltre presente l’impresa sul cantiere).
Il 21. 4. 2008 la Soprintendenza, in effetti, annullava l’autorizzazione
paesaggistica.
Il 23. 4. 2008 la parte depositava, allora, in Comune una nuova soluzione
progettuale senza però fare istanze specifiche di nuovi provvedimenti e
chiedendo solo fosse trasmessa alla Soprintendenza.
Il 12. 5. 2008 il Comune effettuava nuovo sopralluogo in cui si constatava anche
la esistenza di difformità rispetto al progetto che era stato autorizzato sul
piano edilizio (ma non su quello paesaggistico), in quanto piano terra e primo
piano erano più alti di 20 cm. e 5 cm. rispetto all’autorizzato, la sagoma del
tetto era diversamente conformata, e nel complesso l’edificio era più alto di 70
cm. rispetto a quanto autorizzato (sul piano edilizio).
Ne seguiva il 6. 6. 2008 altra ordinanza di sospensione lavori, che citava il
predetto accertamento di difformità.
Il 21. 6. 2008 il ricorrente proponeva, allora, una soluzione progettuale ancora
diversa. Il deposito di tale soluzione progettuale veniva accompagnato
nell’ultima riga della nota del ricorrente dalla dicitura che egli “chiede
l’approvazione di tale progetto”.
Ed era a tale ultima nota che il Comune ha risposto con il provvedimento
impugnato.
Ciò precisato, pertanto - per tornare finalmente al primo motivo di ricorso
nella parte in cui in esso deduce la mancanza di un preavviso di diniego sulla
autorizzazione ambientale – tale motivo deve essere respinto in quanto il
ricorrente ha, in realtà, attivato un procedimento non previsto dalla legge, in
quanto non è possibile chiedere l’autorizzazione paesaggistica per un manufatto
già realizzato (Tar Lazio, sez. I, 4. 9. 2009, n. 8380: Ai sensi dell'art. 146,
d.lg. n. 42 del 2004, l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e
presupposto rispetto al permesso di costruire o gli altri titoli legittimanti
l'intervento urbanistico - edilizio, e non può essere rilasciata in sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi) (e, anche
a volerla ritenere una richiesta implicitamente presentata in sanatoria, non
muterebbe il giudizio in quanto non è possibile neanche chiedere
l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 181, co. 1ter, d.lgs. 42/04,
salvo opere di minimo impatto ambientale che qui non ricorrono).
II. Nel contesto della procedura descritta sopra nei suoi vari passaggi non è
fondato neanche il secondo motivo di ricorso, in cui si deduce che il
provvedimento sarebbe illegittimo per violazione del d.m. 25. 2. 1967 perché il
Comune – nel negare l’autorizzazione paesaggistica - avrebbe inserito profili
urbanistici in una valutazione che avrebbe dovuto essere di tipo strettamente
paesaggistico.
In realtà, il Comune non è stato investito dal ricorrente di una mera richiesta
di autorizzazione paesaggistica, ma di una richiesta più complessa in quanto -
posto che l’opera che intendeva realizzare (e che stava in realtà già
realizzando) era difforme da quanto autorizzato sul piano edilizio - egli,
depositando il 21. 6. 2008 la nuova soluzione progettuale, e scrivendo nella
ultima riga della nota accompagnatoria che “chiede l’approvazione di tale
progetto”, ha chiesto di essere munito sia di un titolo edilizio che di un
titolo paesaggistico (rectius, indipendentemente da ciò che pensava di chiedere
con la irrituale nota di accompagnamento del deposito dei nuovi elaborati, è
corretto che il Comune abbia inteso esprimersi sia sul piano edilizio che su
quello paesaggistico, perché al ricorrente occorreva sia l’uno che l’altro
titolo).
Pertanto, la circostanza che il Comune abbia osservato che la traslazione verso
l’alto dell’edificio si pone in contrasto con le norme di piano è motivazione in
sé corretta, che non viola la norma attributiva del potere sollecitata dal
ricorrente con la nota cui ha risposto il provvedimento impugnato.
III. Nella parte finale del secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce,
peraltro, anche che, in fatto, non vi sarebbe la violazione della norma di piano
individuata dal Comune, in quanto lo strumento urbanistico (ed in particolare
l’art. 9, co. 2, delle n.t.a.) consentirebbe – a suo giudizio - slittamenti
verso l’alto del piano di campagna.
Si ritiene, peraltro, che la norma di piano citata non sia applicabile ad
interventi di demolizione e ricostruzione che, a prescindere dalle specifiche
disposizioni di piano, hanno - per loro natura - un vincolo coessenziale
costituito dal rispetto dell’ingombro planivolumetrico dell’edificio precedente
che sostituiscono.
La modifica del piano di campagna dell’edificio preesistente, infatti, comporta
come conseguenza una traslazione in alto della sagoma. E vicende di traslazioni
di sagoma o volumetria sono state ritenute dalla giurisprudenza incompatibili
con i limiti della demolizione e ricostruzione (T.a.r. Lombardia, Milano, sez.
II, n. 5268 del 02/12/2009: in caso di ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione, lo spostamento di volumetria non può ritenersi ammissibile in
quanto incide sul requisito della identità di sagoma, superfici e volumi
richiesto dall'art. 3 D.P.R. n. 380/2001; Tar Toscana, sez. III, n. 639 del 17
aprile 2007: non è riconducibile alla nozione di ristrutturazione l'intervento
consistente nella totale demolizione del manufatto preesistente, con alterazione
e variazione della quota di imposta e del piano di campagna rispetto allo stato
originario, traslazione della volumetria, modifica della sagoma e aumento
dell'altezza).
Non potendosi ritenere che una norma di piano abbia inciso sui limiti massimi di
estensione di una tipologia di intervento edilizio prevista direttamente dalla
legge (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 4929 del 27/10/2009 ricorda, in
altra fattispecie, che le definizioni legislative degli interventi edilizi,
qualificando in via generale la tipologia dei singoli interventi, prevalgono
sulle norme locali), deve concludersi nel senso che una norma quale l’art. 9, co.
2, delle n.t.a. di Polpenazze, che consente la modifica del piano di campagna,
non possa essere applicata ad interventi di demolizione e ricostruzione quale
quello intrapreso dal ricorrente.
III. Nel terzo motivo di ricorso il ricorrente censura l’ordine di demolizione,
che ha fatto seguito alla mancata approvazione del progetto di variante
(progetto che, come ricordato più volte, il ricorrente aveva già in parte
intrapreso anche senza titolo abilitativo).
Nella prima parte di tale motivo si deduce, in particolare, che il provvedimento
sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 31 d.p.r. 380/01 perché sarebbe
stata ingiunta la demolizione di un’opera soggetta non a permesso di costruire,
ma a mera d.i.a. quale la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione.
In realtà, non è corretto il rilievo che l’opera soggetta a d.i.a. possa essere
sanzionata soltanto con l’applicazione della sanzione pecuniaria, in quanto
l'art. 37, co. 1, del d.p.R. 380/01, che prevede tale sanzione pecuniaria, è
applicabile non a tutti gli interventi astrattamente soggetti a d.i.a., ma
soltanto agli interventi soggetti a d.i.a. che siano altresì conformi agli
strumenti di piano; mentre per gli interventi soggetti a d.i.a., ma non conformi
alle norme di piano, si applica la previsione dell’art. 37, ultimo comma, t.u.,
che rimanda alle norme degli artt. 31 e ss. in cui è previsto, per l'appunto,
l'utilizzo della sanzione demolitoria.
L’art. 37, co. 1, t.u. stabilisce infatti che “la realizzazione di interventi
edilizi di cui all’articolo 22, co. 1 e 2 in assenza della o in difformità dalla
denuncia d'inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari a (…)”. E l’art.
22, co. 1, richiamato dalla norma appena citata, prescrive che: “sono
realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non
riconducibili all’elenco di cui all’art. 10 ed all’art. 6 che siano conformi
alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente” (il co. 2 integra l’elenco con le
varianti).
Pertanto, il testo letterale della norma non consente interpretazioni difformi:
l’art. 37, co. 1, del testo unico richiama soltanto gli interventi soggetti a
d.i.a. che siano altresì conformi agli strumenti di piano; per tutti gli altri
interventi, cioè per quelli astrattamente soggetti a d.i.a. ma non realizzabili
in quanto non conformi, “l’art. 37, co. 6, stabilisce che resta comunque salva
l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 31, 33, 34, 35 e 44 e
dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36”.
D’altronde, se fosse corretta l’impostazione della difesa del ricorrente, e cioè
se l’opera astrattamente suscettibile di essere realizzata in d.i.a., ma non
conforme agli strumenti di piano, non potesse essere demolita, ciò
significherebbe che qualsiasi costruzione astrattamente suscettibile di essere
realizzata in d.i.a., pur se priva di conformità urbanistica, potrebbe essere
abusivamente realizzata, e successivamente regolarizzata, semplicemente pagando
una sanzione pecuniaria.
Ne deriverebbe a quel punto che tutti gli interventi rientranti nell’ambito
della d.i.a. (che ormai sono la generalità e residualità degli interventi
edilizi) potrebbero essere realizzati indipendentemente dalle previsioni di
piano, con conseguente irrilevanza delle previsioni degli strumenti urbanistici
e grave vulnus alla possibilità di regolare, attraverso di essi, lo sviluppo
armonico del territorio.
In ogni caso, si aggiunge per scrupolo che nel caso in esame l’intervento di
demolizione e ricostruzione con traslazione della sagoma verso l’alto non
potrebbe comunque rientrare tra quelli astrattamente suscettibili di esser
realizzati in d.i.a. (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 3939 del 09/06/2009:
La ristrutturazione edilizia "pesante" ben può comportare, ai sensi dell'art. 10
del testo unico dell'edilizia, la trasformazione dell'organismo preesistente, ma
non postula la sua demolizione integrale; laddove invece vi sia demolizione
integrale seguita da ricostruzione, l'intervento in tanto è assimilabile ad una
ristrutturazione in quanto la ricostruzione sia fedele, si mantenga cioè nei
limiti dell'organismo originario, ex art. 3, primo comma, lettera d), testo
unico; T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 5731 del 05/12/2008: Gli interventi
edilizi di demolizione e ricostruzione di un edificio preesistente affinché
possano rientrare nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia è
necessario che in sede di ricostruzione venga mantenuta la stessa volumetria e
sagoma dell'edificio preesistente mentre, in difetto, l'intervento edilizio deve
considerarsi di nuova costruzione).
IV. Nella seconda parte del terzo motivo di ricorso si deduce che, quand’anche
il manufatto realizzato non fosse considerabile intervento soggetto a d.i.a.,
esso dovrebbe essere comunque qualificato come ristrutturazione con ampliamento,
cui applicare la norma sanzionatoria degli artt. 33 e 34 del t.u. che consente
all’amministrazione di scegliere di limitarsi ad irrogare una mera sanzione
pecuniaria.
Non è corretto, in realtà neanche tale argomento subordinato.
Nel caso in esame in cui si versa in ipotesi di immobile soggetto a vincolo
paesaggistico, si applica, infatti, la disciplina dell’art. 33, co. 3, t.u.,
secondo cui “qualora le opere siano state eseguite su immobili vincolati ai
sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, l'amministrazione
competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre
misure e sanzioni previste da norme vigenti, ordina la restituzione in pristino
a cura e spese del responsabile dell'abuso, indicando criteri e modalità diretti
a ricostituire l'originario organismo edilizio, ed irroga una sanzione
pecuniaria da 516 a 5.164 euro”.
La sanzione ripristinatoria, pertanto, era obbligata.
V. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
RESPINGE il ricorso.
CONDANNA il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Polpenazze del Garda
delle spese di lite, che determina in euro 3.500, oltre i.v.a. e c.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/11/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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