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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 20 dicembre 2010, n. 4882
INQUINAMENTO - Sostanze cancerogene - Art. 301 d.lgs. n. 152/2006 - Principio di
precauzione - Limiti più restrittivi rispetto a quelli di cui ala tabella 5 -
Legittimità. In situazioni di inquinamento in atto da sostanze cancerogene
l’art. 301 del d.lgs. n. 152/06 (disposizione che per espressa definizione di
legge è attuazione del principio di precauzione previsto dall’art. 174 Trattato
CE, secondo cui “in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana
e per l'ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione”)
consente al Ministero di individuare valori limite più restrittivi di quelli
individuati dalla tabella 5 allegata al codice dell’ambiente, cui l’autorità
amministrativa non è vincolata. Pres. Petruzzelli, Est. Russo - P. s.p.a.
(avv.ti Grassi e Onofri) c. Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato) -
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I- 20 dicembre 2010, n. 4882
INQUINAMENTO - Utilizzo della migliore tecnologia disponibile - Discrezionalità
tecnica amministrativa. La scelta amministrativa in ordine alla necessità di
utilizzo della migliore tecnologia disponibile, in assenza di norme cogenti sul
punto, incide su aspetti di discrezionalità tecnica non censurabili, se non
sotto il profilo dell’eccesso di potere per manifesta illogicità o travisamento
(T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 7 settembre 2007, n. 5773). Pres.
Petruzzelli, Est. Russo - P. s.p.a. (avv.ti Grassi e Onofri) c. Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato) -
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I- 20 dicembre 2010, n. 4882
INQUINAMENTO - Siti inquinati di interesse nazionale - Potere del Ministero
dell’Ambiente di sottoporre ad autorizzazione opere movimenti di terra che
interessano l’area inquinata - Art. 252 T.U. Ambiente. Un potere del
Ministero dell’Ambiente di sottoporre ad autorizzazione le opere ed i movimenti
terra che avvengono nel perimetro dell’area inquinata è previsto nella norma
dell’art. 252 t.u. ambiente relativa ai siti inquinati di interesse nazionale. I
co. 6, 7 e 8 della stessa norma delineano infatti un sistema in cui sono
concentrati in capo al Ministero dell’ambiente i poteri autorizzatori per
qualsiasi tipo di attività che modifichi gli impianti, le attrezzature e le aree
oggetto di bonifica. Pres. Petruzzelli, Est. Russo - P. s.p.a. (avv.ti
Grassi e Onofri) c. Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare e altri (Avv. Stato)
- TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I- 20 dicembre 2010, n. 4882
INQUINAMENTO - Bonifica - Materiale di scavo proveniente da siti inquinati -
Riutilizzo - Risultanze analitiche - Riferimento alla frazione granulometrica
inferiore a 2 mm - Illegittimità - Allegato 2 alla parte IV del d.lgs. n.
152/2006. Alla luce dell’allegato 2 alla parte IV del d.lgs. 152/06 , deve
ritenersi illegittima la prescrizione ministeriale che - ai fini del riutilizzo
del materiale di scavo proveniente da siti inquinati - riferisce le risultanze
analitiche del terreno alla sola frazione granulometrica inferiore a 2 mm, in
quanto la concentrazione deve essere determinata con riferimento alla totalità
dei materiali secchi. Pres. Petruzzelli, Est. Russo - P. s.p.a. (avv.ti Grassi e
Onofri) c. Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e
altri (Avv. Stato) -
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I- 20 dicembre 2010, n. 4882
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04882/2010 REG.SEN.
N. 01298/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1298 del 2009, proposto da:
POLIMERI EUROPA Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Grassi, Giuseppe
Onofri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Onofri in
Brescia, via Ferramola, 14;
contro
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, MINISTERO DEL
LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, AUTORITA'
DI BACINO DEL FIUME PO, AGENZIA INTERREGIONALE PER IL FIUME PO, ENEA, ISPRA,
ISPESL, ISS, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Stato,
domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6;
REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dagli avv. Antonella Forloni, Piera
Pujatti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Donatella Mento in
Brescia, via Cipro, 30;
nei confronti di
PROVINCIA DI MANTOVA, ARPA LOMBARDIA, COMUNE DI MANTOVA, ASL 307 DELLA PROVINCIA
DI MANTOVA, PARCO DEL FIUME MINCIO, COMUNE DI SAN GIORGIO DI MANTOVA, COMUNE DI
VIRGILIO, IES - ITALIANA ENERGIA E SERVIZI SPA, SOGESID SPA, INDUSTRIA COLORI
FREDDI S. GIORGIO Srl, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del decreto prot. 8495/QDV/DI/B in data 30/9/20098, di approvazione definitiva
di tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della Conferenza dei Servizi
decisoria del 31/7/2009, relativa al sito di bonifica di interesse nazionale.
Visti il ricorso e tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2010 il dott. Carmine
Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Questo giudizio ha ad oggetto una parte della procedura amministrativa di messa
in sicurezza di emergenza delle aree inquinate facenti parte del sito di
interesse nazionale dei Laghi di Mantova, un’area posta nella pianura
alluvionale del fiume Mincio, a sud est dell’abitato della città di Mantova, che
ha un’estensione di circa 10 kmq., ed è stata perimetrata con d.m. 7. 2. 2003
emesso dal Ministero dell’Ambiente.
Sulle aree attualmente inquinate erano attive in passato attività industriali
operanti nel settore del petrolchimico. In particolare, la società Edison
s.p.a./Montedison s.p.a. aveva attivato nel 1956 una produzione di soda
caustica, cloro, etilene, proprilene, butene, etibenzolo, stirolo, fenolo,
acetone, e di altri prodotti intermedi della lavorazione.
Il processo produttivo di tale impianto comportava l’utilizzazione di celle di
mercurio. I fanghi della lavorazione contenenti mercurio venivano scaricati nel
canale Sisma, un canale artificiale della lunghezza di 1,5 km creato all’interno
dell’area di lavorazione, che scaricava e scarica ancora adesso nel fiume
Mincio.
Per effetto delle attività inquinanti un tempo insediate in loco e dei sedimenti
dei fanghi di lavorazione versati all’epoca ed ancora contenuti nel canale
Sisma, le acque di tale canale e del fiume Mincio presentano valori superiori
alle soglie massime di inquinamento per i parametri del mercurio, dei solventi
aromatici, dell’idropropilbenzene e degli idrocarburi. Nel corso degli anni la
contaminazione, che non è stata trattenuta dal canale Sisma (che non è
cementato), è penetrata nei suoli ed ha raggiunto anche la falda (sia la falda
sospesa, che quella principale che quella profonda).
In tale contesto è stata avviata la procedura di messa in sicurezza di
emergenza, propedeutica alla bonifica delle acque e dei suoli inquinati. Con l.
31. 7. 2002, n. 179 il sito dei Laghi di Mantova è stato successivamente
dichiarato d’interesse nazionale, ed a quel punto la competenza ad ordinare modi
e termini della procedura di bonifica è stata assunta dallo Stato.
Il ricorso di cui si discute oggi è promosso, in particolare, da Polimeri Europa
s.p.a., che è una società del gruppo ENI operante nel settore del petrolchimico,
ed è una delle varie società proprietarie (ciascuna per una parte diversa)
dell’area inquinata.
Da quando è divenuta proprietaria esclusiva del sito l’ENI ha ristrutturato
varie volte le attività mantovane del gruppo. La società ricorrente, la Polimeri
Europa è in particolare divenuta proprietaria dal gennaio 2002, per cessione del
ramo d’azienda da Enichem s.p.a..
Polimeri Europa è proprietaria di un insediamento industriale dell’ampiezza di
circa 125 ha., diviso in 38 zone produttive, nel cui interno scorrono quattro
corpi idrici: il fiume Mincio, il canale Diversivo, il Canale Sisma, ed il
canale di presa delle acque industriali.
Nel corso della procedura di bonifica la società ricorrente ha già presentato a
questo Tribunale i ricorsi 1399/04, 643/06, 449/07, 450/07, 883/07, 1026/07,
755/09 (contro atti precedenti della procedura), e sul punto sono state già
emesse le sentenze di questo Tribunale nn. 291/06, 1278/07, 318/09, 319/09,
1736/09. La sentenza n. 1278/07 è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato,
che si è pronunciato per la prima volta sulla vicenda con sentenza n. 6455/09.
Nel frattempo, la procedura di bonifica è andata avanti ed il Ministero ha
emesso ulteriori provvedimenti – in cui ha in parte reiterato le proprie
statuizioni, in parte aggiornato le stesse alla luce delle nuove risultanze
dell’istruttoria procedimentale - che vengono impugnati con il presente
provvedimento.
La maggior parte delle questioni proposte in questo ricorso sono state quindi
già decise dal Tribunale nelle precedenti pronunce rese inter partes, e per
questo motivo (qualora decise nello stesso modo) verranno risolte attraverso un
sintetico riferimento al precedente conforme, utilizzando la tecnica prevista
dall’art. 74, ultima parte, c.p.a., per facilitare la lettura di questa
sentenza.
Con il ricorso odierno la società ricorrente Polimeri Europa s.p.a. impugna il
provvedimento del 30. 9. 2009 con cui il direttore generale del Ministero
dell’ambiente ha disposto di approvare tutte le prescrizioni stabilite dal
verbale di conferenza di servizi del 31. 7. 2009 relativo alla bonifica dei
laghi di Mantova e del polo chimico (con gli atti allegati e presupposti).
Si costituivano in giudizio tramite l’Avvocatura dello Stato il Ministero
dell’Ambiente, il Ministero del Lavoro, il Ministero dello Sviluppo economico,
l’Istituto superiore di prevenzione e sicurezza sul lavoro, l’Istituto superiore
della sanità, l’E.N.E.A., l’I.S.P.R.A., l’Autorità di bacino del Fiume Po,
l’Agenzia interregionale per il fiume Po, che chiedevano dichiarasi
l’inammissibilità del ricorso e comunque l’infondatezza dei relativi motivi.
Si costituiva, inoltre, la Regione Lombardia, che prendeva conclusioni conformi
Nessuno si costituiva per le altre parti che la ricorrente aveva ritenuto di
convenire in giudizio.
I motivi che sostengono il ricorso sono descritti di seguito:
- all’elenco dei motivi il ricorrente ha anteposto un motivo di tipo procedurale
cui ha attribuito la lettera A, che è il seguente:
1. il provvedimento sarebbe illegittimo perché: a) mancherebbe una motivazione
del provvedimento dirigenziale che recepisce i contenuti della conferenza di
servizi, non essendo sufficiente il richiamo ai contenuti di questa; b) solo il
Ministro dell’Ambiente, e non il dirigente potrebbe adottare questo
provvedimento; c) non è stato garantito il previo concerto con il Ministro delle
attività produttive previsto dal t.u. in quanto manca la sottoscrizione di
quest’ultimo;
- da qui in poi il ricorso prosegue con l’elencazione dei motivi che il
ricorrente ha classificato sotto la lettera B :
1. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone di rimuovere i
sedimenti dal canale Sisma, sarebbe illegittimo per violazione del giudicato di
cui alla sentenza 16. 3. 2006, n. 291 (che aveva ad oggetto i verbali delle
precedenti Conferenze di servizi del 31. 5. 2004 e 14. 6. 2004);
2. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal
canale Sisma, sarebbe illegittimo perché onera della messa in sicurezza un
soggetto (la Polimeri Europa che ha acquistato l’area nel 2002) diverso dal
responsabile dell’inquinamento (la Edison/Montedison, che ha cessato l’attività
nel 1991). Nello stesso motivo viene dedotto, inoltre, che gli oneri di bonifica
sono sproporzionati rispetto alla situazione in atto che non presenterebbe
affatto caratteri di emergenza;
3. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal
canale Sisma, sarebbe illegittimo perché non esisterebbe in realtà alcun rischio
attuale di inquinamento che giustifichi una messa in sicurezza di emergenza;
4. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal
canale Sisma, sarebbe illegittimo perché, imponendo l’asportazione della matrici
inquinanti, finisce con il prescrivere una vera e propria bonifica ma nelle
forme della messa in sicurezza d’emergenza;
5. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal
canale Sisma, sarebbe illegittimo perché l’attività di dragaggio determinerebbe
il rischio di una dispersione incontrollata di sedimenti contaminati che
potrebbe vanificare l’opera di risanamento;
6. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal
canale Sisma, sarebbe illegittimo perché contraddice le disposizioni dettate
all’epoca in cui la Polimeri Europa ha accettato di intervenire volontariamente
nella procedura di inquinamento, in cui si sosteneva che era sufficiente il
monitoraggio;
7. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal
canale Sisma, sarebbe illegittimo perché, anche applicando le norme sulla
bonifica provocata da scarichi industriali, ne dovrebbe conseguire la
imputazione della bonifica soltanto a chi ha scaricato priva di autorizzazione o
in difformità da essa, censura che non può essere mossa alla ricorrente;
8. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal
canale Sisma, sarebbe illegittimo perché, adottato in assenza di istruttoria da
parte degli organi tecnici ex art. 252 d.lgs. 152/06, che sono l’A.P.A.T., l’A.R.P.A.,
e l’Istituto superiore di sanità;
9. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento
fisico, sarebbe illegittimo per elusione del giudicato della sentenza 1278/07
confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza 6455/09;
10. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento
fisico, sarebbe illegittimo per arbitrario utilizzo della discrezionalità
tecnica nel prescrivere una misura la cui fattibilità è stata affermata in
assenza di qualsivoglia indagine tecnica;
11. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento
fisico, sarebbe illegittimo perché non sarebbe stato adeguatamente provata la
esistenza di una situazione di emergenza che imponga un intervento necessario ed
urgente;
12. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento
fisico, sarebbe illegittimo perché non si sofferma sulle difficoltà di
realizzazione dell’opera e sugli effetti negativi derivanti dalla integrazione
con la barriera idraulica esistente;
13. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento
fisico, sarebbe illegittimo perché non effettua adeguata istruttoria sui
possibili rischi del contenimento fisico, rischi che sono stati invece
evidenziati dal Ministero dello sviluppo economico;
14. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento
fisico, sarebbe illegittimo perché contraddice l’azione amministrativa svolta
fino a quel momento che si fonda su una modalità, la barriera idraulica, che
ormai è in sito fini dall’inizio degli anni ’90;
15. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento
fisico, sarebbe illegittimo perché è stata imposta in un momento in cui
l’attività di studio non era ancora terminata;
16. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone di estendere il
barrieramento fisico per la prima volta anche all’area R2, sarebbe illegittimo
perché non tiene conto degli interventi già realizzati in loco dalla Polimeri
Europa attraverso il sistema dell’emungimento idraulico;
17. il provvedimento impugnato, nella parte in cui – preso atto della diffusa
presenza di surnatante segnalata dall’ARPA, impone di individuare le sorgenti di
contaminazione attiva tramite idonee verifiche della tenuta dei serbatoi nonché
delle reti tecnologiche previste nell’area di competenza, sarebbe illegittima
perché gli interventi di recupero del surnatante messi in campo da Polimeri
Europa sarebbero efficienti sia perché si basa sulla mera supposizione circa
l’esistenza in sito di sorgenti attive di contaminazione.
Nello stesso motivo si prende posizione anche contro la parte del provvedimento
impugnato che prevede lo smantellamento dell’ex impianto cloro/soda, ritenendo
sufficiente averlo perimetrato e recintato e perché la contaminazione è stata
rilevata soltanto intorno alla sala celle;
18. il provvedimento – nella parte in cui detta disposizioni sulla gestione
delle acque di falda emunte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza -
sarebbe illegittimo perché intende assoggettare le acque emunte dalle aree di
bonifica alla normativa sui rifiuti, mentre sarebbero in realtà assoggettabili
alla disciplina degli scarichi;
19. il provvedimento – nella parte in cui detta disposizioni sulla gestione
delle acque di falda emunte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza -
sarebbe illegittimo perché intende assoggettare le acque emunte dalle aree di
bonifica a limiti di scarico più restrittivi di quelli previsti dall’allegato 5
al d.lgs. 152/06;
20. il provvedimento – nella parte in cui dispone che i lavori indifferibili ed
urgenti comportanti anche limitate movimentazione di terreno potranno essere
autorizzati di volta in volta dal Ministero – sarebbe illegittimo perché tale
potere non è previsto nella norma che disciplina le procedure di bonifica;
21. il provvedimento – nella parte in cui dispone che il riutilizzo dei
materiali di scavo potrà avvenire soltanto se non sarà accertata una presenza
sufficiente di materiali inquinanti nella frazione secca del terreno – sarebbe
illegittimo perché prescrive di determinare la percentuale di contaminazione
solo sulla frazione fine e non sul campione di terreno tal quale;
22. il provvedimento – nella parte in cui dispone che debba essere presentata
una revisione del progetto di bonifica dei suoli nel termine di 60 gg. dal
ricevimento del verbale – sarebbe illegittimo sia perché impone un termine
irrispettabile sia perché in contrasto con la norma dell’art. 242, co. 7, t.u.
che lo prevede soltanto per i 6 mesi successivi all’approvazione del documento
di analisi di rischio.
Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del
provvedimento impugnato, che però veniva rinunciata all’udienza a ciò
appositamente fissata.
Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 24. 11. 2010,
all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
I. Si ripete quanto già anticipato nelle premesse di fatto, e cioè che si
preferirà utilizzare la tecnica della citazione del precedente conforme ex art.
74 c.p.a. per dare una risposta a tutte le questioni che sono state già decise
nelle precedenti sentenze emesse da questo Tribunale nel contenzioso che oppone
da anni la Polimeri Europa al Ministero dell’Ambiente.
Ciò posto, si passa ad esaminare i singoli motivi di ricorso.
II. E’ infondato il motivo A1, in cui si sostiene che il provvedimento sarebbe
illegittimo per un triplice ordine di motivi formali, e cioè perché: a)
mancherebbe una motivazione del provvedimento dirigenziale che recepisce i
contenuti della conferenza di servizi, non essendo sufficiente il richiamo ai
contenuti di questa; b) solo il Ministro dell’Ambiente, e non il dirigente
potrebbe adottare questo provvedimento; c) non è stato garantito il previo
concerto con il Ministro delle attività produttive previsto dal t.u. in quanto
manca la sottoscrizione di quest’ultimo.
La questione sub a) è stata già respinta nella sentenza di questo Tribunale 9.
10. 2009, n. 1736, punto III, nonché nella sentenza di questo Tribunale 12. 2.
2010, n. 735, punto XVI.
La questione sub b) è stata già respinta nella sentenza 1736/09, punto III, e
nella sentenza 735/2010, punto XV.
La questione sub c) è stata respinta nella sentenza di questo Tribunale 1736/09
punto IV.
Si rimanda pertanto a quanto affermato dal Tribunale nei precedenti conformi
appena citati, e si respinge nuovamente il motivo.
III. Il primo motivo rubricato sub B, secondo cui il provvedimento impugnato,
nella parte in cui impone la rimozione dei sedimenti inquinati dal canale Sisma,
sarebbe illegittimo per violazione del giudicato di cui alla sentenza 16. 3.
2006, n. 291 (che aveva ad oggetto i verbali delle precedenti Conferenze di
servizi del 31. 5. 2004 e 14. 6. 2004), viene accolto per uniformarsi al
contenuto della decisione del Consiglio di Stato, VI, 21. 10. 2009, n. 6455.
Prima che venisse emessa tale pronuncia, il Tribunale aveva espresso un
orientamento diverso nella sentenza 1736/09, ma si preferisce adeguarsi alla
decisione dell’organo di giustizia amministrativa di secondo grado per
opportunità di uniformità di decisione.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 6455/09, infatti, non costituisce
giudicato in senso tecnico nei confronti del caso sottoposto all’attenzione del
Tribunale (il limite oggettivo del giudicato è che esso non copre gli atti
successivi sia pure emanati tra le stesse parti e sulla stessa materia, a meno
che il giudicato di annullamento non riguardi l’atto presupposto e sia in
discussione l’atto consequenziale la cui legittimità si regge su quello
presupposto, circostanza che non avviene nel caso di specie in cui la
determinazione impugnata con il ricorso odierno è soltanto cronologicamente
successiva, ma equiordinata rispetto all’atto annullato dal Tribunale con
sentenza confermata definitivamente dal Consiglio di Stato e passata in
giudicato), ma in situazione così delicata - quale quella oggetto del ricorso -
è opportuno che in punto di ammissibilità o meno della rimozione dei sedimenti
inquinati dal Canale Sisma quale mera misura di messa in sicurezza di emergenza
non esistano giudicati differenti perché l’autorità amministrativa deve avere
una indicazione chiara sul comportamento da tenere nelle fasi successive del
procedimento.
Ci si uniforma, pertanto, a quanto deciso dal Consiglio di Stato nella pronuncia
n. 6455/09 e si ritiene coperta da giudicato la questione sulla impossibilità di
chiedere già in sede di messa in sicurezza la rimozione dei sedimenti inquinati
dal Canale Sisma. La censura è pertanto accolta.
IV. Ne consegue che i motivi di ricorso da 2 a 8 sono assorbiti perché
riguardano il medesimo punto del provvedimento impugnato relativo alla rimozione
dei sedimenti inquinati dal canale Sisma.
V. E’ infondato il nono motivo di ricorso, in cui si deduce che il provvedimento
impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe
illegittimo per elusione del giudicato della sentenza di questo Tribunale n.
1278/07, confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 6455/09, e della
ordinanza di questo Tribunale n. 760/07.
In realtà, il provvedimento impugnato è del 30. 9. 2009, laddove la sentenza del
Consiglio di Stato n. 6455/09 è stata emessa soltanto il 21. 10. 2009, non vi
era pertanto un giudicato che potesse vincolare un provvedimento che in realtà è
stato emanato prima.
Quanto all’ordinanza n. 760/07, essa non poteva vincolare alla stessa stregua di
un giudicato, in quanto “il provvedimento giurisdizionale di sospensiva non
costituisce giudicato e non ha gli effetti di questo, essendo solo
interinalmente, nelle more della definizione dell'esito del ricorso, destinato a
produrre la mera sospensione degli effetti provvedimentali” (T.a.r. Campania,
Napoli, III, 12313/08).
Solo per completezza si aggiunge che non è neanche possibile ritenere che il
vizio di elusione del giudicato risalga alla sentenza di questo Tribunale 291/06
non impugnata, perché essa riguarda la sola questione dell’asportazione dei
sedimenti dal Canale Sisma, e non il barrieramento fisico (ed, in effetti, la
ricorrente non utilizza tale sentenza nel suo ragionamento).
VI. Viene accolto invece il decimo motivo di ricorso, in cui si afferma che il
provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico,
sarebbe illegittimo per arbitrario utilizzo della discrezionalità tecnica nel
prescrivere una misura la cui fattibilità è stata affermata in assenza di
qualsivoglia indagine tecnica.
Si richiama sul punto il precedente conforme di questo Tribunale n. 1736/09,
punto VIII, nonché la sentenza del Consiglio di Stato n. 6455/09, punto 3.2.,
con la precisazione però che sia la pronuncia del Tribunale che quella del
Consiglio di Stato concludono entrambe nel senso non dell’inammissibilità in
astratto della misura come messa in sicurezza di emergenza, ma soltanto della
insufficienza di dati a sostegno della stessa (il Consiglio di Stato impone
anche un onere al Ministero di spiegare perché il barrieramento idraulico che
stanno conducendo le aziende è insufficiente).
Le conclusioni già prese dagli organi giurisdizionali vengono qui ribadite per
le stesse motivazioni indicate nei precedenti citati, e sembrano essere
corroborate anche dalle deduzioni della parte pubblica che evidenzia che la
versione attuale dello studio Sogesid – o comunque l’ultima versione esposta
dalle parti agli atti di causa – modifica parzialmente la prospettiva adottata
in precedenza dall’amministrazione, prevedendo il barrieramento fisico soltanto
da un lato, e non intorno a tutto il perimetro dell’area contaminata.
La circostanza che anche la società incaricata dallo Stato di individuare la
migliore soluzione tecnologica per il contenimento dell’inquinamento abbia
scartato la ipotesi del barrieramento fisico integrale è ulteriore indica della
arbitrarietà della decisione a suo tempo presa nel provvedimento impugnato e
censurata nel motivo di ricorso in esame. e che quindi essa non esclude una
rivalutazione all’esito della caratterizzazione finale dell’area.
Il motivo è pertanto accolto, impregiudicata ogni valutazione in un (eventuale)
futuro ricorso sulla correttezza della nuova (meno invasiva) soluzione proposta
dalla Sogesid.
VII. I motivi dall’11 al 15, che censurano la stessa prescrizione sul
barrieramento fisico, vengono assorbiti, in quanto la ricorrente ha ottenuto
soddisfazione del proprio interesse già con l’accoglimento del motivo 10.
VIII. E’ fondato il sedicesimo motivo di ricorso, in cui si sostiene che il
provvedimento impugnato, nella parte in cui impone di estendere il barrieramento
fisico per la prima volta anche all’area R2, sarebbe illegittimo perché non
tiene conto degli interventi già realizzati in loco dalla Polimeri Europa
attraverso il sistema dell’emungimento idraulico.
Si tratta di censura identica per contenuto, sia pure diversa per area a quella
proposta nel motivo 10, e quindi deve essere accolta per le stesse ragioni per
cui si è accolta quest’ultima.
IX. E’ infondato il diciassettesimo motivo di ricorso, nella prima parte del
quale si deduce che il provvedimento impugnato, nella parte in cui – preso atto
della diffusa presenza di surnatante segnalata dall’ARPA - impone di individuare
le sorgenti di contaminazione attiva tramite idonee verifiche della tenuta dei
serbatoi nonché delle reti tecnologiche previste nell’area di competenza,
sarebbe illegittimo perché gli interventi di recupero del surnatante messi in
campo da Polimeri Europa sarebbero efficienti sia perché si basa sulla mera
supposizione circa l’esistenza in sito di sorgenti attive di contaminazione.
Il Ministero, infatti, si è limitato a chiedere di verificare tenuta dei
serbatoi e delle reti tecnologiche previste nell’area di competenza e di
attivarsi di più (implicitamente, secondo la migliore tecnologia disponibile)
per il recupero del surnatante, ma in sé e per sé questa pretesa è legittima.
La presenza nell’area di proprietà della ditta (nonché anche nell’area di
proprietà della Ies) della sorgente attiva di contaminazione costituita dal
surnatante è, infatti, abbondantemente documentata negli atti di causa, e non
negata d’altronde da alcuno.
La società ricorrente difende la buona tenuta delle opere di pompaggio che ha
messo in azione per impedire la diffusione del surnatante ed ha presentato dei
dati che ne attesterebbero la sensibile riduzione per effetto dell’azione delle
pompe (la riduzione delle aree coperto dallo stesso è stimabile in circa -40%),
ma l’ARPA in realtà ritiene che la riduzione possa essere dovuta in parte
all’effetto mascheramento correlato all’innalzamento della falda.
Al tempo stesso l’ARPA Lombardia ha evidenziato che la depressione creata dai
pozzi attrezzati per il recupero del prodotto non riesce ad interessare l’intera
superficie in cui è presente il surnatante, e nella stessa nota ha aggiunto che
i dati che fornisce la Polimeri Europa sulla presenza del surnatante potrebbero
essere sottostimati, in quanto la stessa non ha rispettato la richiesta
presentata dalla ARPA di disattivare le pompe 48 ore prima della misurazione per
ottenere valori più attendibili (ed anche in quanto la ditta non ha ancora
accolto la richiesta di cercare il surnatante anche in altre aree dello
stabilimento ivi partitamene indicate).
Nella stessa nota l’ARPA Lombardia evidenzia che – a suo giudizio - la efficacia
dello sbarramento idraulico esistente è discutibile atteso che la sua
inefficacia sarebbe testimoniata anche dal fatto che esso non è stato in grado
di evitare che la contaminazione arrivasse in piezometri ubicati oltre le
barriere idrauliche in azione, che evidentemente non avrebbero tenuto in modo
adeguato.
Il Tribunale non si sostituisce ai tecnici nel decidere quale sia il miglior
modo – secondo la migliore tecnologia disponibile – per recuperare la sorgente
attiva di contaminazione costituita dal surnatante, e si limita a dire che il
provvedimento impugnato che richiede più adeguati interventi di recupero del
surnatante è, sul punto adeguatamente motivato, trovando riscontro nella
documentazione tecnica ad esso sottesa sia la esistenza di surnatante sotto
l’area di competenza della Polimeri, sia la non completa efficacia dei sistemi
di tenuta messi in atto dalla società ricorrente per contenere la fuoriuscita
dello stesso.
X. Nello stesso diciassettesimo motivo si prende posizione anche contro la parte
del provvedimento impugnato che prevede lo smantellamento dell’ex impianto
cloro/soda, ritenendo sufficiente averlo perimetrato e recintato e perché la
contaminazione è stata rilevata soltanto intorno alla sala celle.
Nel provvedimento impugnato l’ex impianto cloro/soda è citato a pag. 38 ed a
pag. 40. Si tratta in realtà di pagine che sono state prelevate dalla Conferenza
di servizi istruttoria e che sono state trasfuse nella Conferenza di servizi
decisoria che, dopo averle citate, ha ritenuto di approvarle.
La citazione di pag. 38 è la seguente: “Sala celle: deve essere completato come
intervento di messa in sicurezza lo smantellamento dell’impianto cloro/soda”.
La citazione di pag. 40 è la seguente: “A seguito dello smantellamento dell’ex
impianto cloro/soda devono essere previsti interventi di bonifica delle matrici
ambientali potenzialmente inquinate effettuando indagini sotto la sala celle, al
fine di verificare l’effettiva presenza di vasche contenenti mercurio metallico
(…) nonché lo stato di qualità delle matrici ambientali sottostanti le celle
medesime”.
Il passaggio non è riportato nel provvedimento impugnato, ma la criticità
relativa allo ex impianto cloro/soda è descritta anche nel parere ARPA del 13.
3. 2009 (depositato dall’Avvocatura il 13. 3. 2009), in cui si afferma (le
pagine non sono numerate, ma è nel capitolo “situazioni critiche all’interno
dello stabilimento Polimeri Europa”) che “in corrispondenza delle suddette
situazioni critiche sono generalmente presenti dei pozzi di emungimento che
captano la falda inquinata; fa eccezione l’area circostante la sala celle
dell’ex impianto cloro/soda dove nonostante la contaminazione da Mercurio, non
risulta installato alcun pozzo di emungimento. Si ritiene infine opportuno
evidenziare come la sola attivazione di misura di sbarramento non sia
sufficiente a far diminuire le concentrazioni degli inquinanti ma risulti
necessario attivare dei veri e propri sistemi di bonifica delle acque
sotterranee, come peraltro proposto dalla ditta nell’ambito del progetto
definitivo di bonifica delle acque di falda presentato nel luglio 2008.
La più complessiva, e non semplice, lettura del provvedimento impugnato consente
di desumere che il problema dell’ex impianto cloro/soda è che, a giudizio
dell’amministrazione, esso continua a rilasciare in falda sostanze contaminanti
(è un problema comune all’ex impianto cloro/soda, al collettore oleoso
abbandonato di strada 5, all’impianto per la produzione del fenolo), e che
pertanto esso debba essere eliminato in quanto fonte di contaminazione in atto.
In questa prospettiva, che è corroborata dalla circostanza che nei pressi
dell’ex impianto cloro soda il piezometro CS5 avrebbe registrato concentrazioni
di mercurio anomale, non può essere ritenuto sufficiente il comportamento
dell’azienda che a scopo cautelativo ha perimetrato e recintato l’area
inibendone l’accesso ai lavoratori, comportamento che salvaguarda i lavoratori,
ma non salvaguarda la falda.
In base agli elementi di carattere tecnico che aveva a disposizione il Ministero
nel momento in cui ha emesso il provvedimento impugnato si ritiene, pertanto,
che la prescrizione relativa all’ex impianto cloro/soda sia una misura di messa
in sicurezza oggetto di un esercizio non arbitrario della discrezionalità
tecnica, e come tale il relativo motivo di ricorso deve essere respinto.
XI. Nel diciottesimo motivo si deduce che il provvedimento – nella parte in cui
detta disposizioni sulla gestione delle acque di falda emunte nel corso delle
operazioni di messa in sicurezza - sarebbe illegittimo perché intende
assoggettare le acque emunte dalle aree di bonifica alla normativa sui rifiuti,
mentre sarebbero in realtà assoggettabili alla disciplina degli scarichi.
Questa deduzione deve essere accolta, pur se nei limiti della motivazione che
segue.
Leggendo il provvedimento impugnato (lettura che, come si è già detto prima, non
è semplice giusta la tecnica di redazione che è stata scelta dall’autorità
amministrativa che non agevola la comprensione dei passaggi motivazionali),
infatti, si deduce che il Ministero ha fondato la propria tesi circa
l’assimilabilità a rifiuto liquido delle acque di falda estratte nel corso delle
operazioni di messa in sicurezza dalla circostanza che l’assimilabilità a
scarico sarebbe prevista soltanto per le acque estratte in occasione delle
operazioni di bonifica, ma non di quelle di messa in sicurezza (pagina 46 del
provvedimento impugnato, seconda e terza riga). Il Ministero ha scelto cioè un
argomento di tipo formale e tranciante, valido per tutti i casi di acque emunte
nel corso delle operazioni di messa in sicurezza.
Questa deduzione non tiene conto, però, della circostanza che alla data in cui è
stato emesso il provvedimento impugnato l’art. 243 d.lgs. 152/06 era stato
novellato dall'articolo 8-quinquies della legge n. 13 del 2009 in cui era stato
introdotto con norma ad hoc anche un inciso (favorevole alla tesi delle aziende)
che prevedeva l’assimilabilità agli scarichi delle acque di falda emunte nel
corso delle procedure di messa in sicurezza. La disposizione in parola è stata
così trasformata nella seguente: “Le acque di falda emunte dalle falde
sotterranee, nell'ambito degli interventi di bonifica o messa in sicurezza di un
sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in
cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di
emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente
decreto. 2. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 104, ai soli
fini della bonifica dell'acquifero, è ammessa la reimmissione, previo
trattamento, delle acque sotterranee nella stessa unità geologica da cui le
stesse sono state estratte, indicando la tipologia di trattamento, le
caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di
reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero
interessato dal sistema di estrazione/reimmissione. Le acque reimmesse devono
essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica
dell'acquifero e non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze
pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presentì nelle acque
prelevate”.
La novella alla norma appena citata, di per sé, non è decisiva per parificare le
acque di falda emunte agli scarichi, perché, come evidenziato da T.a.r. Sicilia,
Palermo, I, n. 540/09 “la norma in parola introduce un peculiare regime
diversificato per le acque di falda emunte nell'ambito di interventi di bonifica
di siti inquinati, di per sé non idoneo tuttavia a parificarne il regime
giuridico - per quanto attiene alla gestione e autorizzazione dei relativi
impianti di trattamento - a quello proprio delle acque reflue industriali. Una
lettura sistematica della previsione normativa in esame, in combinato disposto
con le altre norme e con le ulteriori disposizioni di cui agli art. 210, 242,
124 e 125, d.lg. 152/06, non può infatti non tenere conto della particolare
natura dell'oggetto dell'attività posta in essere, siccome individuata dal
legislatore nei rifiuti liquidi” (la motivazione è nota alle parti che erano
costituite in giudizio anche in quel caso, relativo al disinquinamento dell’area
industriale di Priolo), ed anche questo Tribunale (sia pure in diversa vicenda
ed altra composizione) ha ritenuto nella ordinanza n. 117/2010 che “le acque
emunte sarebbero oggettivamente assimilabili a rifiuti liquidi non potendo avere
alcuna utilizzazione ed essendo prioritaria l’esigenza di evitare qualunque
forma di diluizione con altri tipi di acque o il rischio di dispersione nello
stabilimento”.
Ma al di là di quelli che possono essere i limiti di lettura del nuovo testo
dell’art. 243 d.lgs. 152/06, per decidere il caso sottoposto all’attenzione del
Tribunale è decisiva la circostanza che il Ministero abbia fondato la propria
motivazione soltanto sulla non applicabilità del regime dell’art. 243 d.lgs.
152/06 alle operazioni di messa in sicurezza, ma solo a quelle di bonifica,
circostanza che impone in radice l’assimilabilità a rifiuto delle acque di falda
emunte nelle operazioni di messa in sicurezza e, come detto, non è
normativamente corretta.
Alla luce di tale norma, pertanto, la tesi su cui è fondato il provvedimento del
Ministero non può essere apprezzata, e la relativa prescrizione, nei limiti
della motivazione, deve essere annullata.
XII. Nel diciannovesimo motivo si deduce che il provvedimento – nella parte in
cui detta disposizioni sulla gestione delle acque di falda emunte nel corso
delle operazioni di messa in sicurezza - sarebbe illegittimo perché, intendendo
sviluppare una tecnologia specifica per il trattamento dei metalli rinvenuti in
falda, finirebbe per assoggettare le acque emunte dalle aree di bonifica a
limiti di scarico più restrittivi di quelli previsti dall’allegato 5 al d.lgs.
152/06.
La difesa della ricorrente cita anche una parte del provvedimento impugnato
censurando espressamente la frase contenuta nel provvedimento sulla “necessità
di implementare una tecnologia specifica per il trattamento di alcuni metalli”.
In realtà, la ricorrente ha citato il provvedimento soltanto in parte; la
citazione completa del passaggio in questione del provvedimento del Ministero è
la seguente: “la presenza continua nella IV – V – VI – VII campagna di
monitoraggio di alcuni metalli cancerogeni come Cadmio ed Arsenico e di altri
metalli sospetti cancerogeni come Piombo e Mercurio fa emergere la necessità di
implementare una tecnologia specifica per il trattamento dei metalli nella
matrice acque sotterranee da aggiungere al treno di tecnologie già previste”.
La questione da affrontare allora è se, in presenza di un fenomeno di agenti
cancerogeni in atto l’autorità amministrativa abbia il potere di “implementare
una tecnologia specifica per il trattamento dei metalli” oppure sia vincolato ai
limiti della tabella 5 allegata al codice dell’ambiente, come invece
richiederebbe la difesa della ricorrente.
La risposta sta nella disposizione dell’art. 301 d.lgs. 152/06 secondo cui “il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in applicazione
del principio di precauzione, ha facoltà di adottare in qualsiasi momento misure
di prevenzione, ai sensi dell'articolo 304, che risultino: a) proporzionali
rispetto al livello di protezione che s'intende raggiungere; b) non
discriminatorie nella loro applicazione e coerenti con misure analoghe già
adottate; c) basate sull'esame dei potenziali vantaggi ed oneri; d) aggiornabili
alla luce di nuovi dati scientifici”. La disposizione è per espressa definizione
di legge attuazione del principio di precauzione previsto dall’art. 174 Trattato
CE, secondo cui “in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana
e per l'ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione” (la
precauzione è, inoltre, principio generale dell’azione amministrativa in materia
ambientale ex art. 3ter t.u.).
D’altronde, si ricorda che, anche prescindendo dal principio di precauzione, “la
scelta amministrativa in ordine alla necessità di utilizzo della migliore
tecnologia disponibile, in assenza di norme cogenti sul punto, incide su aspetti
di discrezionalità tecnica non censurabili, se non sotto il profilo dell’eccesso
di potere per manifesta illogicità o travisamento” (T.A.R. Lombardia, Milano,
sez. IV, 7 settembre 2007, n. 5773).
Ne consegue che la norma attributiva di potere consente, in situazioni di
inquinamento in atto da sostanze cancerogene quale quello oggetto del presente
giudizio, al Ministero di individuare valori limite più restrittivi, e che il
relativo motivo di ricorso deve essere respinto.
XIII. Nel ventesimo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento – nella
parte in cui dispone che i lavori indifferibili ed urgenti comportanti anche
limitate movimentazioni di terreno potranno essere autorizzati di volta in volta
dal Ministero – sarebbe illegittimo perché tale potere non è previsto nella
norma che disciplina le procedure di bonifica.
In realtà, un potere del Ministero dell’Ambiente di sottoporre ad autorizzazione
le opere ed i movimenti terra che avvengono nel perimetro dell’area inquinata è
previsto nella norma dell’art. 252 t.u. ambiente relativa ai siti inquinati di
interesse nazionale (quale quello che ci occupa).
I co. 6, 7 e 8 della stessa norma (in cui si dispone che “6. L'autorizzazione
del progetto e dei relativi interventi sostituisce a tutti gli effetti le
autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e
gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l'altro,
quelli relativi alla realizzazione e all'esercizio degli impianti e delle
attrezzature necessarie alla loro attuazione. L'autorizzazione costituisce,
altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità,
urgenza ed indifferibilità dei lavori. 7. Se il progetto prevede la
realizzazione di opere sottoposte a procedura di valutazione di impatto
ambientale, l'approvazione del progetto di bonifica comprende anche tale
valutazione. 8. In attesa del perfezionamento del provvedimento di
autorizzazione di cui ai commi precedenti, completata l'istruttoria tecnica, il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare
in via provvisoria, su richiesta dell'interessato, ove ricorrano motivi
d'urgenza e fatta salva l'acquisizione della pronuncia positiva del giudizio di
compatibilità ambientale, ove prevista, l'avvio dei lavori per la realizzazione
dei relativi interventi di bonifica, secondo il progetto valutato positivamente,
con eventuali prescrizioni, dalla conferenza di servizi convocata dal Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. L'autorizzazione
provvisoria produce gli effetti di cui all'articolo 242, comma 7) delineano un
sistema in cui sono concentrati in capo al Ministero dell’ambiente i poteri
autorizzatori per qualsiasi tipo di attività che modifichi gli impianti, le
attrezzature e le aree oggetto di bonifica. In tali poteri autorizzatori rientra
anche la possibilità utilizzata dal Ministero dell’Ambiente nel caso in esame di
sottoporre a preventiva autorizzazione anche i movimenti di terra.
Senza dimenticare che il potere che è stato esercitato dal Ministero
dell’Ambiente nel caso in esame deriva anche dal potere di vigilanza e controllo
che spetta in via generale ad ogni autorità amministrativa cui la norma
attributiva del potere conferisca poteri di amministrazione attiva per
verificare l’adempimento delle prescrizioni dettate nell’esercizio dei poteri di
amministrazione attiva. Non va, infatti, dimenticato che la decisione
dell’amministrazione è stata originata da una segnalazione ricevuta dalla
Direzione per la qualità della vita che ha rilevato come proprio la Polimeri
Europa avesse presentato 22 comunicazioni di lavori indifferibili ed urgenti
all’interno dello stabilimento che avevano fatto dire alla predetta Direzione
che la Polimeri “stesse operando in pieno contrasto con la vigente normativa in
materia di bonifiche in quanto i predetti interventi non erano riconducibili ad
opere di sicurezza, di collegamento a reti pubbliche, né finalizzati al
miglioramento della sicurezza degli impianti, degli operatori e delle condizioni
ambientali e di lavoro” (si fa notare che in altro ricorso contro lo stesso
provvedimento trattato nella stessa udienza, altra azienda si lamenta proprio
che è stato il comportamento di Polimeri Europa a portare il Ministero a
sanzionare tutte le aziende indifferentemente).
Ne consegue che il potere, riconosciuto dalla norma, è stato esercitato
correttamente dal Ministero e che il relativo motivo di ricorso deve essere
respinto.
XIV. Nel ventunesimo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento – nella
parte in cui dispone che il riutilizzo dei materiali di scavo potrà avvenire
soltanto se non sarà accertata una presenza sufficiente di materiali inquinanti
nella frazione secca del terreno – sarebbe illegittimo perché prescrive
ricercare l’inquinante solo sulla frazione fine (passante al vaglio dei 2 mm.) e
non sul campione di terreno tal quale.
La censura investe una questione di carattere strettamente tecnico, e di non
semplice definizione nell’ambito dei poteri di cognizione del Tribunale.
Va detto preliminarmente che la disposizione data dal Ministero fa parte di un
protocollo operativo per la caratterizzazione dei siti inquinati piuttosto
comune, ed è stato utilizzato negli stessi termini (in altra vicenda
giurisdizionale la questione è già stata portata in sede giurisdizionale ed è
stata decisa in senso favorevole alle aziende [sempre le stesse aziende; in quel
caso si trattava dell’inquinamento della Rada di Augusta] dal T.A.R. Catania
nella pronuncia n. 1254/07, che, pur in termini cautelativi sulla esatta
interpretazione della norma, ha ritenuto che effettivamente la ricerca degli
inquinanti solo sulla frazione fine portava a sovrastimare l’inquinamento in
atto.
Le norme che disciplinano la materia affermano:
- il (previgente) allegato 1 al D.M. 471/99 (citato anche da parte ricorrente)
disponeva che “i risultati delle analisi effettuate sulla frazione
granulometrica passante al vaglio dei 2 mm. sono riferiti alla totalità dei
materiali secchi”. Ed aggiungeva che “qualora si sospetti una contaminazione
anche del sovravaglio devono essere effettuate analisi tale frazione
granulometrica sottoponendola ad un test di cessione che utilizzi acqua
deionizzata satura di diossido di carbonio”;
- l’(attualmente vigente) allegato 2 alla parte IV del d.lgs. 152/06 stabilisce
che “ai fini di ottenere l’obiettivo di ricostruire il profilo verticale della
concentrazione degli inquinanti nel terreno, i campioni da portare in
laboratorio dovranno essere privi della frazione maggiore di 2 cm (da scartare
in campo) e le determinazioni analitiche in laboratorio dovranno essere condotte
sull’aliquota di granulometria inferiore a 2 mm. La concentrazione del campione
dovrà essere determinata riferendosi alla totalità dei materiali secchi,
comprensiva anche dello scheletro. Le analisi chimiche saranno condotte
adottando metodologie ufficialmente riconosciute, tali da garantire
l’ottenimento di valori 10 volte inferiori rispetto ai valori di concentrazione
limite”.
Alla luce di tali norme deve essere esaminato il provvedimento del Ministero per
verificare se lo stesso è conforme allo schema disegnato dalla norma attributiva
di potere.
Nel provvedimento impugnato il Ministero dell’Ambiente ha disposto più
specificamente che: “le risultanze analitiche di detti materiali riferite alla
sola frazione granulometrica inferiore a 2 mm. devono risultare conformi ai
limiti (…). Le risultanze analitiche dell’eluato ottenuto nel test di cessione
che utilizzi come eluente acqua deionizzata satura di diossido di carbonio di
durata 24 ore realizzato sulla frazione minore di 2 mm. devono essere conformi
ai limiti della tabella acque sotterranee”.
La discussione verte sull’aggettivo “sola” che il Ministero ha interpolato nella
frase su in cui ha prescritto le analisi sulla frazione granulometrica passante
al vaglio dei 2 mm. La decisione del Ministero di far effettuare l’analisi sulla
frazione passante al vaglio dei 2 mm. è infatti in sé corretta sia sotto il
disposto del D.M. 471/99 che in base alla norma attualmente vigente
dell’allegato 2 al codice dell’ambiente; la questione però attiene alle
risultanze dell’analisi ed a come vada calcolato il grado di inquinamento
riscontrato dall’esame del sottovaglio.
La norma vigente, in realtà, nel momento in cui prescrive che “la concentrazione
del campione dovrà essere determinata riferendosi alla totalità dei materiali
secchi, comprensiva anche dello scheletro” non avalla la decisione del Ministero
di prevedere che “le risultanze analitiche di detti materiali (debbano essere,
n.d.E.) riferite alla sola frazione granulometrica inferiore a 2 mm.”, in quanto
la concentrazione deve essere determinata con riferimento alla totalità dei
materiali secchi.
Si ritiene, pertanto, che la disposizione dettata dal Ministero (fattispecie
concreta) non sia sovrapponibile a quella della norma di legge (fattispecie
astratta) e che pertanto la impostazione del Ministero sul punto non sia
corretta.
Il relativo motivo di ricorso viene, pertanto, accolto.
XV. Nel ventiduesimo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento – nella
parte in cui dispone che debba essere presentata una revisione del progetto di
bonifica dei suoli nel termine di 60 gg. dal ricevimento del verbale – sarebbe
illegittimo perché in contrasto con la norma dell’art. 242, co. 7, t.u. che lo
prevede soltanto per i 6 mesi successivi all’approvazione del documento di
analisi di rischio.
Si tratta della riproposizione di un motivo su cui il Tribunale si è già
espresso, rigettandolo, nella sentenza 1736/09 al punto XII e nella
sentenza735/2010 al punto XVII.VII. Ne consegue che esso viene respinto per le
ragioni indicate nei due precedenti conformi.
XVI. La soccombenza della ricorrente sulla maggior parte delle questioni
proposte gli impone l’onere delle spese, quantificato come in dispositivo (la
quantificazione tiene conto della circostanza che l’Avvocatura si è limitata a
prendere posizione soltanto su alcuni dei motivi di ricorso; la Regione
Lombardia si è costituita solo formalmente).
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
ACCOGLIE nei limiti della motivazione i soli motivi rubricati sub B 1, 10, 16,
18, 21, e, per l’effetto, annulla il decreto 30. 9. 2009 nella sola parte in cui
dispone a carico della Polimeri Europa l’obbligo di procedere alla rimozione dei
sedimenti inquinati dal Canale Sisma, il barrieramento fisico dell’area
inquinata, il barrieramento fisico dell’area R2, il trattamento come rifiuti
delle acque di falda emunte, il calcolo della percentuale di contaminazione dei
terreni sulla sola frazione passante al vaglio dei 2 mm.
DICHIARA ASSORBITI i motivi rubricati sub B dal 2 all’8, e dall’11 al 15.
RESPINGE per tutto il resto.
CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore di ciascuna delle controparti
costituite delle spese di lite, che quantifica in euro 1.000 (oltre accessori,
se dovuti).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2010 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/12/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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